Diario dal bunker. Il processo per le violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere #9

NapoliMONiTOR - Friday, January 3, 2025
(disegno di cyop&kaf)

L’interporto di Teverola sembra impazzire a dicembre, le processioni dei tir non finiscono mai e si impiega molto più tempo per arrivare in aula bunker. L’aumento produttivo nelle ferie natalizie è l’obiettivo di fase che i padroni inseguono sempre e quel disturbo ossessivo attraversa i magazzini di cemento determinando ritmi di lavoro infernali.

Anche le campagne a ridosso del carcere di Santa Maria Capua Vetere sono affollate da un numero di braccianti superiore al solito. A pochi passi dal luogo in cui si celebra il processo si intravedono i caporali che sorvegliano la raccolta dei friarielli tra i falò delle prostitute.

L’addensarsi disgregato di questi micromondi rende quel territorio una bestia unica.

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Prima della sospensione delle ferie natalizie la Corte di Assise ha concluso l’audizione delle persone offese individuate dalla Procura. L’8 gennaio il processo riprenderà con la batteria di testi dell’accusa in giacca e cravatta che potranno ricostruire le dinamiche della Mattanza dal punto di vista “interno”. Si dovranno ricostruire le decisioni degli apici della catena di comando e si dovrà circoscrivere quel momento temporale rimasto finora in controluce in cui i vertici decisero di operare con una perquisizione straordinaria, detonando la ferocia di circa trecento uomini della penitenziaria.  

Il tempo sta logorando l’attenzione di tutti. I visi in aula sono stanchi, implorano a ogni udienza la fine di questo dibattimento. I giudici popolari sono annoiati e sempre più distaccati da quanto accaduto nel carcere Francesco Uccella il 6 aprile del 2020. Il presidente della Corte e il giudice a latere rimangono vigili nel corso delle lunghissime udienze settimanali ma dalla mimica dei loro visi traspare la fatica accumulata negli anni. Le due sostitute procuratrici e il procuratore aggiunto sono in una sorta di trance ritmata come Darwīsh, mantengono il punto e sanno che dovranno farlo fino alla fine perché con questo processo si stanno giocando anche le loro ambizioni professionali. Gli avvocati sono diminuiti con il tempo; quelli degli imputati sono una decina, ma tre o quattro portano avanti il lavoro di tutti e sono quelli che hanno studi legali organizzati alle spalle, che semplificano il lavoro di analisi degli atti. I difensori delle parti civili che continuano a seguire in aula il processo si contano sulle prime dita di una mano.

Nonostante la difficile routine, come in ogni maxiprocesso alcune udienze rimangono significative anche dopo anni di dibattimento: la dialettica tra le parti si accende d’improvviso e si conserva tesa come nei primi giorni. I difensori dei poliziotti hanno infatti tentato come sempre di rompere quella inerzia con eccezioni e richieste. È il caso della scomparsa della registrazione del video colloquio tra Hakimi Lamine e il magistrato di sorveglianza avvenuto a poche ore di distanza dalle violenze del 6 aprile. Non è chiaro se il colloquio via Microsoft Teams sia stato registrato dal giudice ovvero se il file sia stato perduto. Le difese degli imputati hanno chiesto delucidazioni sul punto e il sequestro del portatile del magistrato che contiene i file degli altri colloqui con i quindici prigionieri tradotti al Danubio. La notizia è rimbalzata sui giornali e nel solito tg regionale, che tempestivamente cerca di sminuire l’indagine e i fatti del 6 aprile. Il tentativo di fondo degli avvocati è di suggerire l’esistenza di una macchinazione tra gli organi che hanno agito in fase di indagine e la scomparsa della registrazione del video colloquio offre una sponda facile a questo gioco di ombre.

In realtà, questa stranezza impatta poco o nulla sulle risultanze probatorie. Quel video potrebbe soltanto aggiungere un pezzetto alla storia del pestaggio di Hakimi e alle sue condizioni psicologiche in isolamento. Rispetto ai danni del pestaggio ci sono le consulenze mediche della Procura e per le fragilità esplose dopo le mazzate ci sono le testimonianze dei compagni di prigionia con cui Hakimi ha condiviso le ultime ore prima di morire. Il video avrebbe dato sicuramente un volto e una voce al fantasma di Hakimi ma non avrebbe aggiunto molto di più.

Proprio sulla morte dell’algerino, sulle condizioni del reparto Danubio e sulle vicende intercorse dal 6 aprile (giorno del trasferimento) al 4 maggio (giorno della morte) si è dilungato Mahdi, il lavorante di sezione.

P.M.: Conosceva il detenuto Hakimi Lamine?

Teste: Stato suo piantone.

P.M.: È stato il suo piantone. Ricorda che quella sera è arrivato dal reparto Nilo?

Teste: Sì.

P.M.: L’ha incontrato quindi al Danubio?

Teste: Sì.

P.M.: Ricorda come stava, in che condizioni era?

Teste: Stava distrutto, aveva un bombolone qua, una emorragia.

P.M.: Dietro la testa?

Teste: Sì.

P.M.: Cioè era gonfio dietro la testa?

Teste: Una cosa gonfia, un’emorragia, ha preso la botta, forse non è uscito sangue, perciò è rimasto.

[…]

P.M.: Fu più preciso, glielo ricordo: “Lui era particolarmente triste perché voleva rivedere sua madre; alle due di notte l’appuntato del Danubio venne a chiamarmi per farmi parlare con lui e farlo calmare”.

Teste: Sì, un minuto mi ha fatto uscire, ho parlato con lui, mi ha detto: “Mahdi, mamma”, piangeva, poi l’assistente mi dice: “Mahdi, basta”, perché l’unico io che parlava sua lingua, con l’assistente mai stato d’accordo…

Lamine è stato picchiato più volte e gettato da solo in una cella di isolamento.

Dopo aver ricostruito l’ingresso in reparto dei quindici prigionieri ritenuti responsabili della protesta del 5 aprile e le urla di sofferenza di Hakimi, Mahdi ha affrontato il controesame violento delle difese. Senza troppi giri di parole gli avvocati degli imputati hanno provato a insinuare che i lavoranti del Danubio governassero lo spaccio interno di farmaci e che siano stati loro a procurare il cocktail letale che ha ucciso Hakimi. Lo sforzo interpretativo degli uomini in toga ha raccolto solo suggestioni che non hanno trovato riscontri solidi, poggiando esclusivamente sulle voci di corridoio.

Anche Morouane Fakhri è un fantasma in questo dibattimento. È morto dopo qualche anno dalla Mattanza dandosi fuoco nel carcere di Pescara per un motivo rimasto sconosciuto. Il suo compagno di cella ha ricordato le pene sofferte e le sue parole.

P.M.: È riuscito a vedere se Fakhri è stato picchiato?

Teste: Hanno picchiato lui di più.

P.M.: Più di lei?

Teste: Sì.

P.M.: Anche lui era stato messo in ginocchio, che cosa ricorda?

Teste: Sì, sì, perché hanno riconosciuto lui, perché lui venuto da poco da altro carcere, Cassino.

P.M.: Hanno riconosciuto lui in che senso, mi sa spiegare?

Teste: Perché loro dice: “Un’altra volta qua?”, perché hanno detto che forse nel carcere che stava hanno fatto rivolta là.

P.M.: Quindi veniva da un carcere dove c’era stata la rivolta?

Teste: Sì, sì, sì.

P.M.: Si ricorda da che carcere veniva Fakhri?

Teste: Cassino.

P.M.: Chi l’ha riconosciuto?

Teste: Una delle guardie ha detto: “Un’altra volta tu qua?”.

P.M.: E quindi l’hanno picchiato più di lei?

Teste: Sì, sì.

P.M.: Questa guardia che ha detto: “Ancora tu qua”, l’aveva mai vista?

Teste: No, perché è venuta da altro carcere, io mai visto lui.

[…]

Teste: 6 aprile, perché quando loro stavano picchiando altri detenuti noi stavamo guardando tramite finestra, allora Fakhri dice: “Vedi che dopo vengono da noi”; io ho detto: “Come vengono da noi se noi non abbiamo fatto niente?”.

[…]

Teste: Sì, stavamo guardando da finestra che stavano picchiando gente e mettevano al passeggio, allora Fakhri mi ha detto: “Senti, preparati che dopo vengono da noi”; dico: “Come mai? Io non ho fatto niente, come fanno a venire qua?”; ha detto: “Così succede, è successo così a Cassino”.

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I capi d’accusa da 73 a 84 del decreto che dispone il giudizio riguardano calunnie, falsi, depistaggi, rilevazioni di segreti d’ufficio, favoreggiamento e omesse denunce. Alcune contestazioni riguardano le condotte realizzate per coprire il massacro e giustificare i trasferimenti; altre, invece, si riferiscono alle attività di mascheramento che sono state realizzate per sviare le indagini.

Prima della pausa natalizia la Procura ha offerto alla Corte di Assise una prima interessante testimonianza con la deposizione della psicologa esperta del Danubio, ancora in servizio presso il carcere di Santa Maria Capua Vetere. La giovane dottoressa ha mostrato da subito una certa rigidità fin dalle prime risposte.

P.M.:  Si ricorda se lei è stata componente della riunione del GOT del 4 maggio 2020 in relazione anche a questo detenuto deceduto Hakimi Lamine, deceduto il 4 maggio 2020?

Teste: Probabilmente, visto che ha il verbale, sì.

P.M.: Adesso le faccio vedere il verbale, glielo mostro, c’è anche la sua firma apparente, glielo lascio in visione e lei mi dice se conferma la sua sottoscrizione e lo tiene con sé per le domande che le farò. Si dà atto che viene posto in visione il verbale già acquisito agli atti del dibattimento del 4 maggio 2020 ore 16:30, verbale di riunione GOT, in cui si esprime parere per l’allocazione dei detenuti Irollo Emanuele, D’Alessio Luigi e Hakimi Lamine; è data la presenza della psicologa ex art. 80 OP dottoressa Affinito, esperto psicologo.

La psicologa ha partecipato alla riunione del gruppo di osservazione e trattamento che si riunì con una “certa agitazione” il giorno della morte di Lamine per ratificare l’allocazione dei detenuti e in particolare del ragazzo algerino morto quel giorno nella sezione ex art. 32.

P.M.: Su questo punto lei ha reso vari passaggi dichiarativi, le leggo il primo a pagina 2: “Quel giorno la situazione era caotica, ricordo che entrambi i direttori facevano dei nomi, facevano delle telefonate, parlando del problema di quei giorni che erano trascorsi senza che i detenuti fossero stati allocati nel luogo dove dovevano esserlo; entrambi i direttori erano preoccupati per tutti e tre i detenuti oggetto di quel verbale e non solamente per Hakimi Lamine”. Si ricorda?

Teste: A oggi non ho questo ricordo vivo, non ricordo le telefonate, i riferimenti alle telefonate.

La testimonianza della dottoressa non ha spiccato per coraggio e rigore professionale, forse il fatto che è ancora impiegata nel medesimo istituto ha aggiunto un grado di insicurezza maggiore.

P.M.: Sempre nello stesso verbale, a pagina 2 ha dichiarato: “All’esito delle manifestate preoccupazioni la dottoressa Parenti e il dottore Rubino hanno deciso di compilare il verbale nel modo in cui si legge; i due si rimpallavano le responsabilità e l’uno voleva che l’altro comparisse nel verbale, cercando di non darsi per presente e ciò in relazione alle loro preoccupazioni e agitazione; alla fine decisero di essere formalmente presenti entrambi, nei fatti come si coglie dalla lettura del verbale la dottoressa Parenti firmò il verbale nella parte in cui esprimeva parere favorevole quale componente del GOT, mentre Rubino firmò la parte in cui ratificava l’allocazione nella sezione ex art. 32 RE”.

Teste: Sì, lo ricordo questo.

[…]

P.M.: Nello stesso verbale a pagina 3 ha dichiarato, sempre nel contesto della problematica della verbalizzazione e di quello che è scritto: “In quel contesto io pensavo principalmente al decesso di quel detenuto e non ho fatto caso all’indicazione scritta che so essere non vera nella parte in cui si legge nel verbale che non si è ancora potuto dare seguito ai comminati 15 giorni dell’EAC  esclusione dalle attività in comune – per mancanza di posti in stanza singola, atteso che so bene che l’EAC può essere eseguito anche in una stanza non singola, atteso che il provvedimento di isolamento non è connesso indissolubilmente alla sanzione disciplinare dell’EAC”.

Comunque, oltre alla paura di esporsi, vi è un altro elemento di fragilità colto immediatamente dalle difese degli imputati e riguarda la presenza di elementi indizianti a carico della psicologa. In fondo, la signora ha ammesso in udienza di aver partecipato alla redazione di un verbale falso e questo costituirebbe per gli avvocati dei dirigenti penitenziari motivo per interrompere la testimonianza e trasmettere gli atti agli organi inquirenti. L’eccezione, non accolta dalla Corte di Assise perché «detta affermazione a giudizio del Collegio non consente di ritenere la dichiarazione auto indiziante…», ha centrato l’obiettivo di rendere ancora più tesa e frenata la testimonianza.

In ogni caso, il passaggio è significativo sia per capire il modus operandi dei dirigenti per giustificare le condotte abnormi dell’operazione straordinaria del 6 aprile, che per cogliere la difficoltà di chi ha avuto un ruolo marginale, di “lieve” coinvolgimento. Anche il comparto amministrativo sembra essersi chiuso a riccio provando a evitare ogni tipo di testimonianza scomoda. Infatti, ricordiamo che nessuno (a parte i detenuti e i loro familiari e poche associazioni) ha denunciato quella mattanza. Per l’ormai noto spirito di corpo era quasi impossibile che lo facessero gli agenti, ma non lo hanno fatto i medici, gli infermieri, gli psicologi, i funzionari giuridico-pedagogici, i dirigenti dell’istituto… tutti “cuor di leone” fedeli alla Costituzione italiana e alcuni stanno già incassando il gettone di carriera.

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Nella stagione invernale le udienze finiscono con il buio. Le strade intorno al carcere sono poco illuminate ma il traffico intenso e il via vai della Statale danno la sensazione che in quei mondi ci sia sempre lo stesso tempo. Mentre siamo in coda alla radio danno la notizia dell’indagine di Trapani: una squadretta di agenti avrebbe torturato e seviziato detenuti con fragilità psichiatriche nella sezione blu, destinata all’isolamento. Le parole del procuratore Paci sono nette: «A volte i detenuti venivano fatti spogliare, investiti da lanci d’acqua mista a urina e praticata violenza quasi di gruppo, gratuita e inconcepibile… In questa sorta di girone dantesco sembra leggere parti dei Miserabili di VictorHugo».

Il pensiero improvvisamente corre all’8 gennaio, quando sentiremo in udienza il dottor Basentini, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria nel periodo dell’emergenza pandemica, di quando implosero le carceri, dei morti di Modena… e nel frattempo ripetiamo sottovoce “cantami o diva l’ira funesta degli ultimi e aiutami a gestire la rabbia…”. (napolimonitor)