La parola della settimana. Occhi

NapoliMONiTOR - Sunday, January 5, 2025
(disegno di ottoeffe)
. I tuoi occhi sono pieni di sale Di quel sale mattutino che tu prendi in riva al mare
Di quel sale che a pensarci ti viene voglia di guardare.
(rino gaetano,
 i tuoi occhi sono pieni di sale) . Ho visto negli ultimi giorni due versioni ben riuscite di altrettante commedie di Eduardo De Filippo. La prima è stata Natale in casa Cupiello, messa in scena da Salemme e la seconda Gennareniello, con regia di Lino Musella. Non scontata ma prevedibile la buona riuscita dei due lavori, considerando che Musella aveva affrontato l’esame più difficile portando in giro per anni un importante spettacolo sull’Eduardo pubblico e privato, e che Salemme è uno degli ultimi rimasti tra quegli attori che sono stati stabilmente nella compagnia De Filippo per un po’ di anni (non ricordo chi scrisse che se tutti gli attori napoletani che sostengono di aver recitato con Eduardo dicessero il vero, avremmo a Napoli più grandi interpreti che panettieri o salumieri).

(credits in nota1)

Un elemento centrale di Gennareniello sono gli occhi. Quelli del protagonista si illuminano davanti alla bellezza della giovane vicina e rivivono una passione senile e commovente grazie alla scenata di gelosia della moglie; poi ci sono quelli di Tommasino, che porta due fondi di bottiglia al posto degli occhiali e che vede pochissimo; e quelli di Uocchie c’arraggiunate, canzone napoletana per la quale Eduardo aveva una predilezione, come spiega anche Peppe Barra, che in una sua versione ricorda come “il direttore” se la facesse spesso cantare da Concetta Barra, sua madre, che stimava molto, e che era anche una bravissima cantante. Nelle attrici ancora di più che negli attori, si dice che Eduardo avesse la capacità di vedere il talento al primo sguardo.

(credits in nota2)

Qualche settimana fa sono stato a una presentazione di La scomparsa dei colorilibro in cui Luigi Manconi racconta le più interessanti sfaccettature e implicazioni della sua progressiva perdita della vista. Con Manconi, che non ha perso con gli anni la sua capacità di raccontare storie, c’era il solito Maurizio De Giovanni, che ha sfoggiato l’altrettanto solita sfilza di banalità, arrivando persino a dire – con una boria da pretino dell’Ottocento – che in fondo chi subisce una tragedia di questo genere è fortunato, perché può sfruttare al meglio sensi come l’olfatto e l’udito. Mentre Manconi lo smentiva con eleganza, a me veniva in mente questo:

(credits in nota3)

Gli occhi più belli che ho visto, seppure in foto, nella mia vita, sono quelli di mio nonno paterno, morto tre anni prima che io nascessi. Erano blu scuro – come i miei, ma più belli – profondi, autorevoli. Pare che il nonno fosse un uomo molto carismatico, gentile ma risoluto. Non era esattamente di sinistra, anzi piuttosto di destra (piuttosto fascista, se proprio vogliamo dirla tutta), ma tant’è.

Anche l’altro mio nonno, il papà di mia madre, aveva occhi molto belli. Era un artista, ma viveva come un artigiano, o meglio come un operaio. Cesellava metalli preziosi: di lui restano alcune opere in giro per case e in qualche museo della città (la maggior parte sono invece riconducibili, purtroppo, agli importanti gioiellieri a cui vendeva), l’arte che ha trasmesso alle sue studentesse, l’odore di pece bruciata, e la polvere d’oro sul suo banco di lavoro in un legno scuro, pieno di scritte fatte coi ferri, dai nipoti.

You sign your own name / Firmi con il tuo nome
and I sign mine. / e io firmo con il mio.
They’re both the same but we still get separate rooms. / Sono uguali ma viviamo ancora in stanze separate. […]
It all looks fine to the naked eye / Sembra vada tutto bene a occhio nudo
but it don’t really happen that way at all. / ma non è affatto così che va.
(the who, naked eyes)

Ieri è stato il decimo anniversario della morte di Pino Daniele. Le commemorazioni sono state abbastanza banali, non hanno reso quasi nulla dell’importanza di questo autore nella produzione poetica della città, l’incredibile forza narrativa dei suoi testi, soprattutto negli anni Ottanta, la sua genialità musicale e la capacità di inventare non uno, ma mille generi contaminando tutto quello con cui si era nutrito nel corso della sua formazione artistica autodidatta. 

Nel suo editoriale di fine anno il direttore di Repubblica Napoli ha parlato di Pino Daniele e di Antonio Conte mettendoli in relazione rispetto alle sfide che attenderebbero la città nel nuovo anno. Personalmente non ci ho capito molto. Mi sono ricordato invece che a inizio anni Novanta Pino Daniele aveva scritto una bella canzone per la sua nuova compagna, che sarebbe divenuta poi la sua seconda moglie.

Occhi blu
che si fermano sul mondo e guardano giù,
dove il mare è più profondo,
dove è nascosta la felicità.
Facciamoci del male
della serie senza pietà.
Occhi blu
diritto in fondo a questa strada ci sei tu.
Troppo seria questa giornata
per dire che tra noi non finirà.
Anche se ti comporti bene
vedrai qualcuno ti giudicherà
[…]
Ti prego non mi mollare
Io sto buono sulo cu’ te.
Occhi blu
che ti guardano le spalle,
non ti senti più
un uomo solo e senza palle.
Noi che sciupiamo questa verità
in un mondo di bugie ‘e ‘sta sfaccimma ‘e società.

(a cura di riccardo rosa)