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Nazisti su Marte
Osservatorio Repressione - Wednesday, January 22, 2025Un giorno scopriremo d’aver consegnato un potere immane a chi ha deciso di deportare in massa i vecchi o a chi ha deciso di deportare in massa su un pianeta-penitenziario, tutti coloro che sulla Terra disturbano l’equilibrio della società.
di Marco Sommariva
Leggo che ieri, 20 gennaio 2025, Donald Trump ha detto e poi ripetuto che “l’età dell’oro dell’America comincia in questo momento”; l’ha fatto all’inizio e alla fine del discorso d’inaugurazione che voleva celebrare la rinascita di un Paese “forte, ricco, sicuro, in crescita e in espansione territoriale, e che nessuno potrà fermare”.
Fra le tante cose, “Trump ha anche promesso di «riprendersi il canale di Panama» […] di mettere fine alle politiche ecologiche del New deal verde (e alle quote di veicoli elettrici fissate da Joe Biden) per dichiarare una «emergenza energetica nazionale» che autorizzerà la più grande trivellazione di petrolio e gas della storia [e che questa] ondata di «oro liquido» finanzierà a sua volta un’espansione dell’apparato militare americano che metterà gli Stati Uniti in condizione di «vincere come non mai»”.
Non che quanto sopra m’abbia sorpreso, sia chiaro: duranti i mesi scorsi, spesso s’era letto delle intenzioni del tycoon, deportazione di massa compresa.
In un articolo pubblicato il novembre scorso su Avvenire avevo letto che, durante la campagna elettorale, Donald Trump aveva promesso che la deportazione di massa non porterà che benefici: “Ci libereremo dai criminali e i salari dei cittadini statunitensi smetteranno di scendere” – la deportazione di massa in questione prevedeva l’arresto, detenzione ed espulsione dagli Stati Uniti di circa undici milioni d’immigrati.
L’articolo proseguiva facendo presente che gli esperti di immigrazione mettevano in dubbio la riuscita di un’operazione del genere, sottolineando il fatto che presentava ostacoli, costi ed effetti negativi enormi.
Non vorrei dilungarmi troppo su ostacoli, costi ed effetti negativi, ma ammetto di non esser rimasto indifferente nel leggere che, logisticamente, arrestare detenere ed espellere undici milioni circa di persone è “un’impresa ciclopica, impossibile da realizzare nei quattro anni di mandato di Trump” – parole di Aaron Reichlin-Melnick, direttore dell’American Immigration Council – e che, più nello specifico, ogni anno, per deportare un milione di immigrati, servirebbero ottantotto miliardi di dollari.
Mi ha pure impressionato leggere che “se effettivamente l’operazione riuscisse, i ricercatori concordano che equivarrebbe a un «disastro economico» per gli Stati Uniti. La rimozione dalla forza lavoro di così tante persone comporterebbe infatti perdite di decine di miliardi di dollari in tasse federali e statali e in contributi previdenziali, oltre a 256 miliardi di dollari di potere di spesa degli immigrati stessi” oltre al fatto che “il contraccolpo dell’assenza di manodopera sarebbe sentito con forza anche nell’ambito dell’ospitalità, delle pulizie, della produzione manifatturiera e dei servizi agli anziani […] le cucine dei ristoranti si svuoterebbero, e nessuno pulirebbe più le stanze degli alberghi”.
Ma la cosa che più di tutto mi ha spaventato è stato l’utilizzo della parola deportazione: “President-elect Donald Trump intends to launch a «light speed» mass deportation campaign as soon as he «puts his hand on that Bible and takes the oath of office», top aide Stephen Miller has boasted”, ossia, “Il presidente eletto Donald Trump intende lanciare una campagna di deportazioni di massa «alla velocità della luce» non appena «metterà mano su quella Bibbia e presterà giuramento», si è vantato il principale aiutante Stephen Miller”.
Per la Treccani, il significato di deportazione è la “pena mediante la quale il condannato viene privato dei diritti civili e politici, allontanato dal luogo del commesso reato o di residenza e relegato in un territorio lontano dalla madrepatria”, e a questo punto mi vengono in mente le parole di Albert Camus che, nel ’58, scrisse: “Per ristabilire la giustizia necessaria, esistono altre vie che non siano la sostituzione di un’ingiustizia con un’altra ingiustizia” – una frase presa da un libro intitolato Ribellione e morte, che raccoglie diversi suoi saggi politici.
Di questo volume vale la pena ricordare altre due affermazioni dello scrittore e filosofo francese, stavolta datate 1948: “Tutti, con poche eccezioni di mala fede, da sinistra a destra, pensano che la propria verità sia la più adatta a rendere felici gli uomini. Tuttavia, tutte queste buone volontà congiunte mettono capo a un mondo infernale dove gli uomini sono ancora uccisi, minacciati, deportati, dove si prepara la guerra e dove è impossibile dire una parola senza essere subito insultati o traditi” e “Soffochiamo tra gente che crede di aver assolutamente ragione, ragione in nome delle macchine o delle idee”.
Ricordo bene le deportazioni di milioni di persone in lager, gulag e strutture similari, ma ho deciso di non avventurarmi in qualsivoglia parallelismo perché sono certo finirei col commettere errori e sono altrettanto sicuro che, coi tempi che corrono, a nulla servirebbe spiegare la mia buonafede.
Detto questo, torno a ragionare sulla “deportazione” chiedendo aiuto alla letteratura. Nel 1971 viene pubblicato un romanzo di Friedrich Dürrenmatt, La caduta; è un libro spietato in cui l’autore mette a nudo le ipocrisie e le ambiguità delle strutture al potere, dove gli uomini più potenti di un partito al potere di un paese imprecisato ne decidono le sorti stando comodamente seduti intorno a un tavolo: “I tredici del segretariato politico disponevano di un potere immane. Decidevano le sorti di quell’immenso impero, mandavano innumerevoli persone in esilio, in carcere e alla morte, intervenivano nell’esistenza di milioni di cittadini, facevano nascere industrie intere dal nulla, deportavano famiglie e popoli, fondavano grandi città, reclutavano eserciti innumerevoli, imponevano la guerra o la pace, ma poiché il loro istinto di conservazione li costringeva a spiarsi a vicenda, le simpatie e le antipatie che provavano l’uno per l’altro influenzavano le loro decisioni assai più che i conflitti politici e le circostanze economiche a cui si trovavano di fronte. Il potere e di conseguenza il terrore reciproco erano troppo grandi per poter fare della pura politica. La ragione non riusciva a spuntarla”.
È così, non c’è dubbio, chi dispone di un potere immane può intervenire nell’esistenza di milioni di persone, deportare popoli interi. È così, la Storia lo insegna. Il problema è che siamo noi a non essere in grado d’imparare, e alla fine commettiamo sempre gli stessi errori, consegniamo poteri immani nelle mani di qualcuno.
Un giorno scopriremo d’aver consegnato un potere immane a chi ha deciso di deportare in massa i vecchi, così come racconta l’argentino Adolfo Bioy Casares nel suo romanzo del ’69, Diario della Guerra al Maiale, dove i giovani di Buenos Aires decidono un bel giorno che chiunque abbia più di cinquant’anni è inutile alla società scatenando, così, una strana e misteriosa guerra durante la quale, per una settimana, i giovani s’impegnano a dare la caccia ai vecchi, e a sterminarli: persino il loro erotismo verrà considerato pura perversione, un’oscenità da eliminare. Nel Diario della Guerra del Maiale i vecchi si vedono costretti a improvvisare una difesa disperata: imparano a muoversi per la città in orari improbabili e a vivere nascondendosi dai giovani, compresi i loro figli: “In questi giorni ho sentito parlare di un progetto di compensazione: l’offerta, alla gente anziana, di terre nel Sud”, “Lo dicano chiaramente e direttamente che vogliono deportare in massa i vecchi”.
Un giorno scopriremo d’aver consegnato un potere immane a chi ha deciso di deportare in massa su un altro pianeta i ribelli, i criminali, i non-conformisti, tutti coloro che sulla Terra disturbano l’equilibrio della società, tutti quanti spediti su un pianeta-penitenziario e qui, magari, lasciati in totale libertà, nessuna prigione, niente celle, sbarre o carcerieri, si regolino a loro piacere, s’ammazzino pure: sarà mica per questo che, durante il suo discorso d’insediamento, Trump ha nuovamente ricordato che gli U.S.A. pianteranno la loro bandiera su Marte? Gli appassionati di fantascienza avranno già capito che questa mia elucubrazione s’è ampiamente ispirata al romanzo del 1960 di Robert Sheckley, Gli orrori di Omega, dove, tra le altre cose, si racconta di astronavi che pattugliano l’orbita del pianeta-penitenziario perché i galeotti non abbandonino il mondo su cui son stati esiliati: sarà mica per questo che due amici di Trump – Jeff Bezos ed Elon Musk – hanno dato vita alla corsa allo spazio, a una sfida stellare?
Dico che Bezos e Musk sono amici di Trump perché, insieme a Mark Zuckerberg e Tim Cook, c’erano anche loro accanto al tycoon durante l’Inauguration Day. Spero mi perdonerete se vi confido che quest’immagine del neopresidente degli Stati Uniti e di questi quattro signori, mi ha fatto venire in mente il discorso d’insediamento a Cancelliere del Reich di Adolf Hitler quando, a Berlino, nel febbraio del 1933, orbitavano intorno al fuhrer personaggi quali Josef Goebbels, Hermann Goering, Heinrich Himmler e Rudolf Hess; chiedo sinceramente scusa per questo mio corto circuito, ma credo sia scaturito per via del fatto che, così come Hitler nel ‘33 preannunciava durante il discorso d’insediamento il suo piano per riportare grande la Germania, similmente Trump ha preannunciato durante il discorso d’insediamento il suo piano per riportare grande gli Stati Uniti d’America; ma, molto probabilmente, la più grande responsabilità di questa mia fantasia poco ortodossa e assai irrispettosa, lo ammetto, sarebbe da addebitare all’aver assistito al saluto romano di Musk dal palco di Washington dopo il discorso di Trump. Anche se, alla fin fine, “quel gesto, che alcuni hanno scambiato per un saluto nazista, è semplicemente Elon, che è autistico, che esprime i suoi sentimenti”, come dice il referente di Musk in Italia, Andrea Stroppa.
E nulla cambia se, alla fine, i saluti col braccio destro alzato e il palmo della mano rivolto verso il basso dovessero risultare due e non uno: sono certo nulla c’entrino simpatie come quella dimostrata verso l’Alternative für Deutschland – partito politico tedesco di estrema destra –, ma che si tratti di sana e genuina esternazione di entusiasmo e felicità, insomma, di semplice espressione di sentimenti.
La grandezza della Germania… quella degli Stati Uniti d’America… le deportazioni di massa… mi viene in mente cosa scrisse Orwell: “Tutti i nazionalisti hanno la straordinaria capacità di non cogliere la rassomiglianza tra serie simili di fatti. […] Le azioni non sono buone o cattive di per sé ma in relazione a chi le compie e non esiste quasi alcun genere di violenza – la tortura, l’uso di ostaggi, il lavoro forzato, le deportazioni di massa, l’arresto indiscriminato, la mistificazione, l’assassinio, le bombe sugli inermi – che non cambi significato morale se commessa dalla “nostra” fazione” – frase tratta da una raccolta di suoi saggi intitolata Nel ventre della balena.
Data la mia personalissima impressione che le nuove ideologie sembrino assomigliarsi sempre più a quelle vecchie, chiuderei con un’altra frase di Camus, anche questa del ‘48: “non si tratterebbe di edificare una nuova ideologia, ma soltanto di ricercare uno stile di vita. […] per parlare con più concretezza […] opporre, in ogni circostanza, l’esempio alla forza, la predicazione alla dominazione, il dialogo all’insulto e il semplice onore all’astuzia […]”.
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