La parola della settimana. Generale

NapoliMONiTOR - Sunday, January 26, 2025
(disegno di ottoeffe)

Domenica scorsa a Torino è stato arrestato il generale libico Osama Elmasry Njeem, meglio noto come Almasri. Il mandato della Corte penale internazionale lo accusava – in quanto capo della Special Deterrence Forces di Tripoli – di crimini internazionali ai danni dei detenuti nella prigione di Mitiga, dal 2015 a oggi. Nel carcere in questione, come in altri, vengono rinchiuse, torturate, violentate e talvolta uccise persone arrestate per il proprio credo religioso, per omosessualità e altri reati perseguiti dalla “polizia morale”, per appartenenza a gruppi armati, ma anche a scopo di estorsione. Molti dei detenuti sono migranti in transito.

Nonostante le raccomandazioni delle Nazioni Unite e del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, che esortavano i differenti governi a sospendere questa “assistenza”, dal 2017 l’Italia supporta economicamente e logisticamente le autorità libiche per “facilitare l’intercettazione e il rimpatrio” di migliaia di migranti che ogni anno cercano di attraversare il Mediterraneo. Nello stesso periodo l’Unione Europea ha stanziato oltre sessanta milioni di euro per sostenere la guardia costiera libica e le forze dell’ordine, anche attraverso “informazioni di sorveglianza”. Sono più di centoventimila le persone che sono state rimpatriate durante il loro viaggio e, per buona parte incarcerate in Libia, dal 2017 a oggi.

Lunedì sera, senza aver avvisato in alcun modo la Corte internazionale, qualcuno ha messo in nome dell’Italia e riportato a casa, su un volo di Stato, il generale Almasri.

Grande hype, c’era, e grandi ascolti ci sono stati, per M. Il figlio del secolo, la serie tratta dal romanzo di Scurati che racconta il ventennio fascista come una sorta di House of cards delle camicie nere. Mi è capitato di parlarne negli ultimi giorni con diverse persone (quasi tutte) intelligenti, e ciò che ha più imbarazzato è la macchiettizzazione di molti dei protagonisti, a cominciare dallo stesso Mussolini, che per quanto fosse effettivamente personaggio rozzo e bellamente ignorante, ricorda a tratti, nella serie, quel generale di un vecchio film di Totò che ancora negli anni Sessanta ingaggiava disoccupati e comparse di Cinecittà per riprodurre una Repubblica di Salò in miniatura nella sua villa romana.

(credits in nota1)

Questo aspetto è sicuramente uno dei limiti principali di un prodotto tutto sommato discreto, ma che finisce per compromettere la complessità dei personaggi e di alcuni eventi. In un primo momento ho pensato con soddisfazione alla possibilità che la serie potesse arrivare a un pubblico ampio, fornendo elementi che per esempio gli studenti fanno fatica a rintracciare; penso, su tutti, alla scelta operata da Mussolini e il suo cerchio magico nello schierarsi a tutela della grande industria, un posizionamento che le classi dirigenti del paese – al servizio di poteri che sono rimasti gli stessi nel passaggio dalla dittatura alla democrazia – hanno tentato di occultare, cercando di proporre una vulgata, tuttora ahinoi in voga, secondo cui un governo basato su “ordine” e “sicurezza” avrebbe come finalità una qualità della vita più alta per le masse popolari.

Qualche giorno dopo sono tornato al mio più consueto pessimismo, dopo essermi chiesto e aver cominciato a chiedere a un po’ di ragazzi se l’avessero vista, la serie. La domanda, a quel punto diventa: ha senso farsi andar bene un prodotto culturale con degli oggettivi limiti, perché almeno mostra al grande pubblico cose che nessun altro prodotto concepito per il grande pubblico mostra? E se sì, ha senso anche quando il grande pubblico (e in particolare i giovani, gli studenti, quelle fasce di popolazione che hanno un bagaglio culturale meno ampio) da quel prodotto comunque non viene raggiunto?

Gli italiani (se mai li hanno scoperti) possono oggi riscoprire i libri. Io dunque sfido i dirigenti della televisione a dimostrare la loro buona fede e la loro buona volontà, attraverso un lancio della lettura e dei libri: lancio da non relegare ai programmi culturali e alle trasmissioni privilegiate: ma da organizzare secondo le infallibili regole pubblicitarie che impongono di consumare. […] I Bernabei , i Fabiani, i Romanò, e i loro colleghi che contano, se vogliono possono superare ogni difficoltà burocratica e mettere ogni sera Carosello (?!), e le altre trasmissioni analoghe, abbondantemente a disposizione di questo nuovo compito così nobile, altruistico e scandalosamente contradditorio. (pier paolo pasolini, sfida ai dirigenti della televisione, da: il corriere della sera, 9 dicembre 1973)

Dopo aver visto M mi è venuto in mente un libro che non avevo mai letto (a dispetto degli incalzanti suggerimenti della mia compagna), ma che ho finalmente iniziato grazie a questa rubrica. Ha anch’esso come titolo una lettera, ed è anch’esso ambientato durante una dittatura: si tratta, lo avrete capito, di Z, di Vasilis Vasilikos, che racconta le premesse al colpo di stato dei Colonnelli in Grecia, nel 1967, a partire dall’assassinio del deputato ex partigiano e pacifista Grigoris Lambrakis. Le prime pagine del libro raccontano di un intervento pubblico del Generale, comandante della gendarmeria nel nord della Grecia, che davanti ai ministri del governo di destra utilizzan come metafora della minaccia comunista le malattie parassitarie delle piante.

Il Generale guardò l’orologio mentre l’oratore più importante della serata, il segretario di Stato all’agricoltura, concludeva la sua conferenza sulle misure da prendere per combattere la peronospora. […] Il pubblico – prefetti e comandanti di gendarmeria – cominciava a sonnecchiare. […] Alla fine si sentirono alcuni timidi applausi e il segretario di Stato scese dal palco.

Il Generale si alzò, attese che l’oratore avesse ripreso il suo posto in mezzo al pubblico poi, voltando le spalle al palco, rivolto a tutti quegli uomini di mezza età, per lo più calvi e obesi, che erano prefetti o ufficiali di polizia – suoi subalterni –, disse: “Colgo a mia volta questa occasione per aggiungere qualche parola a quanto vi ha esposto così elegantemente il signor Ministro. Per quel che mi riguarda vi parlerò della nostra peronospora: il comunismo”. […] Uno scroscio di applausi salutò questa perorazione. La riunione era finita. Prefetti, comandanti e direttori di ministeri si alzarono, accesero una sigaretta, si stirarono e si prepararono a uscire al seguito dei rispettivi superiori. (vassilis vassilikos, Z)

PS. In questo video Vasco Rossi duetta in [per quello che ho da fare] faccio il militare con Massimo Riva, suo amico fin da bambino, chitarrista storico della sua band e geniale compositore  Non mi vaVivere una favolaStupendo, Vivere. Era il 1995 e, dopo un periodo di separazione, il cantante aveva chiesto a Riva di tornare per “Rock sotto l’assedio”, due concerti a San Siro contro la guerra in Jugoslavia, in cui si esibirono ne Gli spari sopra anche gli Sikter, band di Sarajevo fatta uscire clandestinamente dal paese.

Rossi e Riva (che in quei concerti suonò insieme a Maurizio Solieri, per la prima volta, la cover di Generale, di De Gregori) avrebbero continuato a lavorare insieme fino alla morte per overdose di eroina del chitarrista, di cui è ricorso il venticinquesimo anniversario lo scorso maggio. (a cura di riccardo rosa)

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¹ Totò, Antonio La Raina, Luigi Pavese e Mario Castellani, in: Totò Diabolicus, Steno (1962)