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La parola della settimana. Tocco
(disegno di ottoeffe) Un’amica mi ha raccontato che nel piccolo paese da cui proviene è ancora molto in voga, pure tra i giovani, “Padrone e sotto”, antico gioco praticato in molte regioni meridionali. Funziona più o meno così: la prima parte è una partita a scopa a squadre, o una tirata a tocco; chi ha il punto di primiera più alto, o chi ha vinto il tocco, viene nominato “padrone”, mentre chi ha il secondo è il “sotto”; il sotto e il padrone decidono di volta in volta il giocatore che potrà bere dalla brocca o dalle bottiglie comuni, cercando di lasciare fuori qualcuno di non gradito. A volte, però, facendo finta di volergli offrire da bere a oltranza, i due cercano di mettere in mezzo uno dei partecipanti, concentrando su di lui le bevute per farlo ubriacare e denigrarlo. Non è detto che le alleanze portino al risultato prefissato, e in quel caso tanto vino sarà andato sprecato. Durante la prima presentazione di un libro che ho scritto molto tempo fa (La sfida. Storia del re della sceneggiata), alla Sala Assoli del Teatro Nuovo di Napoli, il maestro Pino Mauro, accompagnato da Franco Ricciardi, Carmine Paternoster e Marco Giusti, si mise a recitare Questione ‘e tuocco, di E.A. Mario, che parla di una vendetta all’arma bianca consumata durante una giocata a Padrone e sotto. Proprio accussì, tre anne carcerato pe ‘na quistione ‘e tuocco e mo’ so’ asciuto, maje s’è appurato ‘o fatto comm’è juto e ‘a chesta vocca maje se po’ appura’. Però nun fuje p’o vino, fuje pe’ ‘na parola ascette ‘mmiezo ‘o nomme ‘e ‘na figliola ca nun s’aveva proprio annumena’… – Meh, jammo’: a chi adda essere? Adda essere a vuje, ‘gnorsì cumpa’! […] Sbagliaje, curtellaje ‘nnucentemente a chi nun era ‘nfame comme a te, embè stasera ‘o vendico: chesta è pe’ isso, e chesta ‘cca è pe’ me! (pino mauro, questione ‘e tuocco) Si è ormai diffusa in diverse città d’Italia la pratica del Graduation day, durante il quale i neolaureati si ritrovano in una sede universitaria o in una piazza della città per celebrare il raggiungimento dell’obiettivo lanciando in aria il tocco, cappello che simboleggia la fine e il successo di un percorso di studio. A Novara in piazza dei Martiri erano, lo scorso weekend, in più di mille; a Macerata, in piazza Vittorio Veneto, diverse centinaia, provenienti da più di trenta paesi. Gli studenti sono stati salutati dal rettore McCourt, primo straniero a capo di un ateneo italiano, che ha esaltato la capacità dell’università nel formare i giovani “a capire, pensare, affrontare le complessità del presente”. Da più di un anno il rettore (membro del cda di UniItalia, ente che si occupa della cooperazione accademica internazionale) viene duramente contestato per gli accordi dell’università con atenei israeliani, accordi che non ha finora voluto rescindere, a differenza di quanto fatto con le università russe dopo l’invasione dell’Ucraina. (da: al jazeera) Dieci anni fa ricevetti in regalo per il mio compleanno un libro che riprende i migliori discorsi tenuti da Kurt Vonnegut ai laureandi, al termine dell’anno accademico. Il rettore voleva eliminare ogni forma di pensiero negativo dal suo discorso di saluto, e quindi mi ha chiesto di farvi quest’annuncio: “Tutti quelli che hanno ancora in sospeso il pagamento del parcheggio sono pregati saldare il conto prima di uscire da questo edificio, altrimenti si ritroveranno una sorpresina sul libretto”. Quando ero ragazzino a Indianapolis c’era uno scrittore umoristico di nome Kin Hubbard. Ogni giorno scriveva una freddura di qualche riga per l’Indianapolis News. […] Spesso era arguto quanto Oscar Wilde. Disse, per esempio, che era meglio avere il proibizionismo che stare senza alcool. O che chiunque sostenga che il sapore della birra analcolica si avvicina a quello della birra è incapace di misurare le distanze. Do per scontato che le cose veramente importanti vi siano già state insegnate nel corso dei quattro anni qui e non abbiate gran bisogno di sentire granché dal sottoscritto. Buon per me. Ho solo una cosa da dire: questa è la fine, questa è sicuramente la fine dell’infanzia. “Ci dispiace tanto”, come dicevano durante la guerra del Vietnam. (kurt vonnegut, fredonia college, new york, 20 maggio 1978) Ancora, a proposito di tocco e di università: gira su Youtube un video in cui padre Mike Schmitz, cappellano all’Università del Minnesota Duluth (una via di mezzo tra l’Hugh Grant di Nottingh Hill e lo Sturby di Marco Marzocca), spiega il rapporto tra sorte e Spirito Santo quando c’è da prendere qualche decisione importante. Nello specifico si parla di Conclave ed elezione del Papa: Una mia amica una volta mi ha detto: “Pensavo che tutto il processo fosse molto più… santo. Una cosa quasi mistica. Tipo, entri nella Cappella Sistina, ti metti in preghiera e chiedi allo Spirito Santo di guidare le decisioni”. Invece ha scoperto che i cardinali parlano, discutono, dibattono. Possono persino cercare consensi, cercare voti. E questo le sembrava… meno spirituale, diciamo così. Eppure, se torniamo alla Bibbia, vediamo che lo Spirito Santo agisce attraverso persone comuni, attraverso mezzi, eventi e circostanze che non ci aspetteremmo. Per esempio, negli Atti degli Apostoli, Giuda è morto, e gli apostoli si riuniscono per decidere chi prenderà il suo posto. Come scelgono tra Giuseppe il Giusto e Mattia? Tirano a sorte! È come se lanciassero i dadi per decidere chi sarà il prossimo apostolo. Non sembra molto santo, ma è proprio quello che fecero. E questi sono uomini che camminarono con Gesù, che furono istruiti e formati da lui. Eppure, dicono: “Non lo sappiamo. Tiriamo a sorte”. (fr. mike schmitz, da uccr online, davvero lo spirito santo elegge il nuovo papa?) https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/06/la-banda-tagliato.mp4 (credits in nota1) (a cura di riccardo rosa) __________________________ ¹ Totò e Peppino De Filippo in: La banda degli onesti, di Camillo Mastrocinque (1956)
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parola della settimana
La parola della settimana. Base
(disegno di ottoeffe) Ruinosa è senza la base del timor ogni clemenza. (torquato tasso, gerusalemme liberata; canto quinto) Sono giorni di attacchi missilistici incrociati tra Israele e Iran, attacchi che assai assomigliano a una guerra, e che un po’ di preoccupazione destano, considerando le potenze che ne sono protagoniste e il possibile innesco del sistema di alleanze internazionali. Israele ha presentato l’attacco come un’azione preventiva contro la minaccia rappresentata dal programma nucleare iraniano, sostenendo che l’Iran ha al momento troppo uranio arricchito, utilizzabile per quindici potenziali bombe (solo pochi mesi fa l’intelligence americana aveva escluso che l’Iran stesse allestendo un arsenale militare nucleare). L’attacco israeliano è partito da Teheran, e in particolare da una base segreta di droni costruita dal Mossad vicino la capitale. L’intelligence israeliana avrebbe sfruttato una rete logistica interna al paese per far entrare armi, veicoli e sistemi di comando. E già gli altri, insieme al glorioso Odisseo, stavano nella piazza di Troia, nascosti dentro il cavallo: gli stessi Troiani lo avevano tirato fin sull’acropoli. Così quello era lì: ed essi confusamente a lungo parlavano, seduti all’intorno: tre pareri piacevano loro, o infilzare il cavo legno con bronzo spietato, o gettarlo giù dalle rocce, trascinato fino a un dirupo, o lasciare che fosse un gran dono propiziatorio per gli dei. E proprio così poi doveva andare: infatti, era destino che essi perissero, appena la città avesse accolto il grande cavallo di legno, dove sedevano tutti i più forti degli Argivi, portando strage e rovina ai Troiani. E cantava come distrussero la città i figli degli Achei, calati giù dal cavallo, dopo aver lasciato la concava insidia. (omero, odissea VIII; vv. 485-522) Nelle ultime ore il governo iraniano ha annunciato che colpirà anche le basi degli alleati di Israele, facendo riferimento neppure troppo velatamente agli Stati Uniti. Proprio alcune mosse dell’imprevedibile Trump sono state, in realtà, secondo molti analisti, una delle cause indirette dell’accelerazione israeliana nell’avvio del conflitto: il criminale di guerra Netanyahu sarebbe stato parecchio indispettito dalla riapertura dei negoziati tra gli Usa e l’Iran sul nucleare, dalla tregua americana con i principali gruppi armati yemeniti e dall’apertura di un canale diplomatico e soprattutto commerciale (ovviamente si parla di armi…) con l’Arabia Saudita. Qualche giorno fa hanno dato in televisione Rain Man, film a dir poco sopravvalutato che si lascia guardare per la bellezza di Valeria Golino e per un paio di spunti indovinati. Il migliore, ma solo in lingua originale, è la ripresa di una vecchia gag di Abbott e Costello (in italiano Gianni e Pinotto), in cui i due discutono dei nomi dei giocatori di una squadra di baseball. Costello chiede al suo partner chi è il giocatore in prima base, e Abbott gli risponde che si chiama Who (che in inglese significa “chi”). “Who’s on first!”, continua a ripetergli, generando confusione nell’altro, il quale pensa che Abbott stia rispondendo alla sua domanda sulla posizione del giocatore (mi rendo conto che a spiegarla così non fa ridere, per cui meglio godersela in video e zitti): In chimica inorganica, si dicono “basi” quelle sostanze che in soluzione acquosa si scindono dando ioni idrossido OH-; oppure, parlando di sistemi acido-base, le sostanze in grado di acquistare uno o più protoni da un’altra sostanza (acido): hanno l’effetto di far divenire rossa una soluzione incolore di fenolftaleina, e azzurra una soluzione rossa di tornasole. In chimica organica, invece, le “basi” sono i derivati contenenti azoto, ottenuti sostituendo con radicali organici gli atomi d’idrogeno dell’ammoniaca o dell’idrossido d’ammonio. In riferimento agli stupefacenti, il termine indica la forma non-salificata di una sostanza che può essere vaporizzata o fumata (una forma che può avere un’assimilazione più rapida rispetto alla sua forma salificata, più comunemente usata per la somministrazione orale o endovenosa). Fra’, nun sì ‘e ccà, nun saje che ‘e a fa cu l’ammoniaca: scarfa a nuvanta grad’ int’a cucina, ‘e frate mieje so’ chef, io arap’ ‘e ristorant’. (luchè, ‘e cumpagne mie) In napoletano, “base” è anche una delle tante parole usate per indicare “la piazza” (di spaccio). Molti anni fa ascoltai a teatro un pezzo di Lanzetta che parlava della solitudine del “palo”, quello che fa la vedetta alla base per avvisare dell’eventuale arrivo della polizia, uno degli ultimi gradini della scala socio-criminale. Non di rado, in effetti, si tratta di poveracci a malapena organici al Sistema, che tirano fuori non pochi soldi per un lavoro che non sporca le mani e che forse proprio per questo, pur nella sua importanza strategica, è tenuto in poca o nulla considerazione. E guardie stanno ‘nculo, ormai se so’ ncullate vacce a spiega’ che ‘e a fa’ magna’ ‘e criature, biberon, ciuccio, pannuline e ‘n ce a faje cchiù a senti’ “pipì e puppù!”. Perciò staje abbascio all’edificio e cirche e te fa’ ricco, e si ce daje ‘o dentifricio sicc’ chill’ s’o pippa pure. Ma diciteme vuje: quale persona nun vulesse nu burzone ‘e Loui-V chin’ ‘e fasul’ e parti’ a luglio? ‘E a fa’ sule duje biglietti! Fitta ‘na vettura e vire comme te divierte, invece ‘e a bere latte Berna scaduto, si addeventato sgarrupo, t’adatti o fernisc’ int’a ‘na traversa vattutto cu tre ‘nfamune ca colpiscen’ a turno ‘a cavia d’a caccia notturna. Craccomani acrobati arrobbano ‘ncopp’ e balcune, perdono ‘o malloppo pe’ fujì d’e robocòp, Range Evoque, roba over’ io e Rocco! (nto ft. rocco hunt, quante cose) a cura di riccardo rosa
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parola della settimana
La parola della settimana. Livore
(disegno di ottoeffe) Una cosa che mi hanno insegnato molto tempo fa è che quando si scrive, o si interviene in un consesso pubblico, bisogna saper far emergere la rabbia ma occultare il livore. Rabbia: Irritazione violenta, spesso incontrollata, provocata da gravi offese, contrarietà o delusioni; oppure sorda e contenuta, dovuta a sdegno o dispetto, senso d’impotenza o anche di invidia. Livore: Astio o rancore astioso. (da: google.com) Una decina d’anni fa i redattori di Monitor mi fecero riscrivere più volte un pezzo-invettiva contro il gruppo comico dei Jackal, perché tracimava, appunto, livore da ogni parola. I video dei Jackal ammiccano caricando all’estremo i personaggi del cosiddetto “popolino”, enfatizzandone a dismisura il dialetto, le movenze, le abitudini più colorite, insomma tutto quanto si può reputare, a seconda della convenienza, ora pittoresco ora intollerabile. Anche quando non si dà addosso ai parcheggiatori abusivi o ci si fa beffe delle vrenzole (al limite della denuncia i video in cui due ragazzi discorrono tra loro, imitando male le donne dei quartieri popolari, con un accento taroccato quanto quello del poliziotto italo-americano dei Simpson), l’immagine della città è talmente stereotipata da risultare grottesca anche per il turista tedesco o americano. (riccardo rosa, the jackal, la napoli che viaggia in rete) Un giornalista molto bravo nel suo genere – quello di attaccare i potenti, in particolare quelli legati al mondo del giornalismo, con articoli al vetriolo ma lasciando sottoterra l’ascia del livore – è stato Nello Cozzolino, che per molti anni ha gestito un blog, dal nome Iustitia, interamente dedicato a questa funzione. Piccolo capolavoro è un pezzo del 2005 che smascherava l’ambiguo iter con cui il paladino della legalità Francesco Emilio Borrelli aveva ottenuto il tesserino di giornalista professionista. Il 25 novembre 2003 Borrelli comincia il praticantato giornalistico alla redazione di Lamezia Terme, un centro di settantamila abitanti della Calabria centrale affacciato sul Basso Tirreno. Lamezia ha l’aeroporto, ma non ci sono voli diretti con Napoli; per raggiungerla rimangono il treno, con tre ore e mezzo di Eurostar, se va bene, o 390 chilometri di autostrada. […] L’assunzione viene comunicata al neo-praticante dall’amministratore unico di Teleregione, Domenica Sarnataro, come il marito Giuseppe Giordano dal 21 ottobre agli arresti domiciliari. […] Ma torniamo a Borrelli e alle bizzarre modalità con cui viene assunto: teleradioreporter con contratto a contribuzione zero per l’editore […]; la precondizione per ottenere gli sgravi è lo stato di disoccupato di chi deve essere assunto. Anzi, la legge 407 è applicabile soltanto ai disoccupati di lunga durata, lavoratori che da almeno due anni sono in cassa integrazione o senza lavoro. Per ottenere gli sgravi, i dirigenti di Teleregione. […] Va infine segnalato che […] “non è possibile svolgere il praticantato quando si ha un contratto, anche di consulenza, in esclusiva con un ente pubblico (come il Comune o la Provincia di Napoli, ndr). Lo vietano gli articoli della legge 150 del 7 giugno 2000, che regola la comunicazione pubblica”. (nello cozzolino, un telereporter a lamezia terme) Col tempo credevo di aver imparato a distinguere anche io tra questi due nobili sentimenti, eppure in settimana, dopo la pubblicazione di questo articolo, una redattrice del giornale mi ha detto: «Ma alla vostra età scrivete ancora questi pezzi?» (in realtà il vero punto è che pezzi così non li scrivono i redattori e le redattrici più giovani, ma questa è un’altra storia). Mussolini è il più grande bluff d’Europa. Anche se domattina mi facesse arrestare e fucilare, continuerei a considerarlo un bluff. Sarebbe un bluff anche la fucilazione. Provate a prendere una buona foto del signor Mussolini ed esaminatela. Vedrete nella sua bocca quella debolezza che lo costringe ad accigliarsi nel famoso cipiglio mussoliniano imitato in Italia da ogni fascista diciannovenne. Studiate il suo passato. Studiate quella coalizione tra capitale e lavoro che è il fascismo e meditate sulla storia delle coalizioni passate. Studiate il suo genio nel rivestire piccole idee con paroloni. Studiate la sua predilezione per il duello. Gli uomini veramente coraggiosi non hanno nessun bisogno di battersi a duello, mentre molti vigliacchi duellano in continuazione per farsi credere coraggiosi. E guardate la sua camicia nera e le sue ghette bianche. C’è qualcosa che non va, anche sul piano istrionico, in un uomo che porta le ghette bianche con una camicia nera. (ernest hemingway, by-line) Lo scorso fine settimana è andato in scena a Roma il Cage Warriors 189, incontro di MMA tra l’irlandese Paddy McCorry e l’israeliano Shuki Farage. Dopo avere atterrato il suo avversario, il pugile irlandese lo ha bloccato a terra e mentre gli assestava altri colpi gli ha urlato più volte nelle orecchie di andare a fare in culo e, soprattutto, “Palestina libera!”. All’annuncio della vittoria, decretata all’unanimità dai giudici, McCorry ha alzato una bandiera palestinese e ha nuovamente gridato “Free Palestine!”, applaudito dal pubblico. Esattamente cinquant’anni fa usciva uno dei pezzi più belli e poetici di Joan Baez, scritto qualche mese prima, successivamente a una telefonata notturna del suo ex compagno Bob Dylan, che come sempre “lasciava vaghe le cose importanti”, ma la chiamava per capire se lei fosse ancora innamorata di lui. Con l’eleganza che la contraddistingue, Baez domina il livore e assesta due o tre colpi al suo vecchio amante (il più divertente è “unwashed phenomenon”, espressione con cui Dylan era stato definito anni prima da un portiere di un albergo nel quale avrebbe voluto prenotare una stanza, proprio insieme a Baez). La cantante alla fine scarica il suo poeta, dicendogli in sostanza che “ha già dato” e non ha intenzione di accettare più né i suoi diamanti né la sua ruggine. Qualche anno dopo, in un festival in Texas, Baez avrebbe cantato il pezzo cambiando le parole finali, e ricevendo un’ovazione al suo: “E se hai intenzione di offrirmi diamanti e ruggine… prendo solo i diamanti”. Now you’re telling me | E ora mi dici you’re not nostalgic | che non hai nostalgia then give me another word for it | e allora dammi un’altra parola per dirla you who are so good with words | tu che sei così bravo con le parole and at keeping things vague | e a lasciare le cose vaghe, ‘cause I need some of that vagueness now | perché ho bisogno di un po’ di quella vaghezza ora it’s all come back too clearly | che tutto mi torna così chiaro. Yes, I loved you dearly | Sì, ti ho amato dolcemente and if you’re offering me diamonds and rust | e se mi stai offrendo diamanti e ruggine I’ve already paid | ho già pagato. (joan baez, diamonds and rust) a cura di riccardo rosa
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parola della settimana
La parola della settimana. Scudo
(disegno di ottoeffe) La parola “scudo” viene dal latino scutum, in riferimento al cosiddetto scudo oblungo, elemento difensivo “con una nervatura centrale lignea di rinforzo, detta ‘spina’, dal materiale organico, derivato da più antichi modelli micenei e utilizzato dall’esercito romano ma anche da bande guerriere”. A parte alcune rare eccezioni, non è stato più usato in battaglia fin dall’introduzione delle armi da fuoco. Una di queste eccezioni è il “targe scozzese”, piccolo scudo in legno, cuoio e metallo, utilizzato fino al 1700 e capace di difendere anche dai proiettili dell’epoca. «Per anni allo United sono entrato in campo per difendere, da mediano o centrale, ma il mio istinto è offensivo. Il mio punto di forza è buttarmi in area, segnare, creare pericoli». (scott mc tominay) https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/05/bv.mp4 (credits in nota1) Lo scudo può avere forme diverse: c’è lo “scudo normanno”, triangolare, con la punta in basso; lo “scudo gotico antico”, con i fianchi ricurvi; il “gotico moderno”, con la parte inferiore arrotondata; lo “scudo inglese” o “da torneo”, che riproduce il modello di “targe” di cui sopra. In araldica lo scudetto è la struttura di legno su cui vengono disegnate figure e simboli. In battaglia poteva capitare di veder sventolare i simboli nemici, capovolti, per evidenziare la loro disfatta o resa. (curva b, scudetto 2023) Nel linguaggio sportivo, lo “scudetto” è un piccolo scudo tricolore che viene cucito sulla maglia degli atleti campioni d’Italia, nel calcio ma anche in altri sport di squadra. La sua introduzione risale alla stagione 1924-25, anche se nel 1930, e per tredici anni, Mussolini impose l’apposizione del fascio littorio sul petto dei campioni in carica. Lo scudetto fu contestualmente retrocesso a simbolo della vittoria in Coppa Italia, fino a quando non tornò in palio, con la ripresa dei campionati nell’ottobre 1945 (al termine della stagione fu assegnato al Torino ma privo dello stemma sabaudo, nonostante al referendum che decretava la fine della monarchia mancasse ancora quasi un anno). Per quelli innamorati come noi, per quelli che non ti han tradito mai, magico Napoli, torna campion: cuci sul petto un’altra volta il tricolor! (coro ultras napoli sulle note de i maschi, di gianna nannini) Quando ero bambino mi ci è voluto un po’ per capire che non a tutte le squadre vincitrici nel mondo di un campionato spettasse lo scudo tricolore. In Germania il premio per la vittoria è il Meisterschale, il “piatto dei campioni”, dal peso di cinque chili e mezzo e dal valore di venticinquemila euro circa; in Francia il capitano della squadra vincente alza al cielo il meno pregiato Hexagoal, trofeo minimalista, in alluminio spazzolato con innesti dorati. In Inghilterra, la coppa in palio tra il vincitore del campionato e della FA Cup si chiama Community Shield (“lo scudo della comunità”). Il suo nome era prima Charity Shield (“scudo della beneficenza”) ma nel 2002 la Charity Commission inglese scoprì che la federazione calcistica si era intascata i soldi che avrebbe dovuto devolvere per opere di bene e ne impose il cambiamento. Quest’anno per conquistarselo si sfideranno il Liverpool e il Crystal Palace, squadra del brutto sobborgo operaio di Croydon, che si chiama così perché fu fondata, seppure non ancora ufficialmente, dagli operai dell’omonima struttura costruita per l’Esposizione Universale di Londra, nel 1851. (credits in nota2) Uno dei momenti più emozionanti della premiazione del Napoli campione venerdì sera è stato quando sul maxischermo è comparsa la mano di un incisore che calcava sulla coppa scudetto il nome della mia squadra. Mi sono guardato intorno e ho visto gente piangere, altra telefonare alla propria moglie, altra consumare sostanze (va detto che all’intervallo della partita i bar della curva avevano già tutti esaurito le scorte di birra). Al fischio finale di Napoli-Fiorentina del 10 maggio 1987, intervistato da Giampiero Galeazzi, Maradona disse che la vittoria di quello scudetto valeva persino più del Mondiale che aveva vinto un anno prima, perché quella vittoria era avvenuta “a casa mia”. È bello che oggi quella casa porti il suo nome, e fa riflettere (forse fa riflettere solo me) che da quando gli è stata intitolata, il Napoli abbia vinto due scudetti e una Coppa Italia. Insieme a un paio di amici con cui abbiamo visto la partita-scudetto al Maradona, riflettevamo, durante la cerimonia di premiazione, su quanto a volte la vita possa essere ingiusta, sulla potenza del caso e delle sue sliding doors, e su quanto sia importante trovarsi al posto giusto al momento giusto. Non che avessimo la forza per teorizzare, ma qualcosa del tipo:  A: Scudetti vinti da Zico? B: Zero! A: E da Ronaldo? B: Zero! A: Mmmm… da Kroll? Hamsik? Cavani? B: Zero! A: Scudetti vinti da Okafor? B: Uno! A: E da RafaMarin? B: Uno! A: Juan Jesus? B: Due… . PS. Una menzione speciale sento il dovere di farla allo steward che in queste ore sta rischiando il suo precario posto di lavoro, perché ripreso dai soliti invadenti videoamatori mentre si disinteressa di una piccola folla che a pochi passi da lui scavalca i cancelli dello stadio, per entrare in curva utilizzando il biglietto di un altro settore. Buona fortuna amico mio, questo scudetto è anche tuo. (a cura di riccardo rosa) __________________________ ¹ Da: Braveheart. Cuore impavido, di Mel Gibson (1995) ² Operai inglesi smantellano il Crystal Palace. Cinegiornale a cura del British Pathé.
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parola della settimana
La parola della settimana. Ricorsi
(disegno di ottoeffe) Un cittadino bolognese si è visto annullare la scorsa settimana migliaia di euro di multe relative a infrazioni del codice della strada, sfruttando il sistema del silenzio-assenso. L’uomo aveva presentato un ricorso al prefetto per ognuna delle multe ricevute e, non essendogli stata recapitata l’istanza di rigetto, aveva presentato domanda di annullamento in autotutela. Il Comune aveva comunque proceduto a emettere cartelle di pagamento contro di lui, ma alla fine a spuntarla è stato il multato, grazie all’intervento del giudice di pace. Perplessità dal comando locale della polizia municipale. (credits in nota1) Dopo decenni di corteggiamento, e dopo momenti tristemente memorabili – la sindaca Iervolino che attende i risultati sull’assegnazione della sede in mezzo ad assessori e giornalisti, stringendo un corniciello rosso fuoco – finalmente Napoli riesce a ottenere il ruolo di città ospitante della Coppa America di vela. Esultano i giornali, che tornano a parlare di Bagnoli annunciando la realizzazione di piattaforme a mare e di un costruzione di un villaggio organizzativo sulla colmata (l’abbiamo già sentita); colmata che, come ampiamente prevedibile e previsto, una volta blindata dall’accoppiata Manfredi-Meloni, si prepara a diventare uno spazio privatizzato per grandi eventi e sottratto, come da settant’anni a questa parte, ai cittadini. «Bagnoli è stato un elemento essenziale per convincere gli organizzatori – ha detto il ministro dello sport Andrea Abodi – e l’America’s Cup sarà un elemento di accelerazione per un processo che è andato avanti troppo lentamente sottraendo all’Italia un’area che può essere produttiva e che sarà la vera eredità di questa sfida». Ora con tal Ricorso di Cose Umane Civili, che particolarmente in questo libro si è ragionato, si rifletta su i confronti, che per tutta quest’opera in un gran numero di materie si sono fatti, circa i tempi primi e gli ultimi delle Nazioni antiche e moderne: e si avrà tutta spiegata la Storia, non già particolare […]; ma dall’identità in sostanza d’intendere, e diversità de’ modi lor di spiegarsi, si avrà la Storia Ideale delle Leggi eterne, sopra le quali corron’i fatti di tutte le Nazioni, ne’ loro sorgimenti, progressi, stati, decadenze, e fini, se ben fusse, lo che è certamente falso, che dall’Eternità di tempo in tempo nascessero Mondi Infiniti. (giambattista vico, la scienza nuova) Nelle estati del 2012 e del 2013, con il collettivo Ba.Fu.Ca. (Bagnoli-Fuorigrotta-Cavalleggeri) e con altre realtà di movimento, mettemmo in piedi, per fare il verso alla ricorrente farsesca candidatura napoletana alla competizione velistica (all’epoca “LuisVittonCup”), una regata autorganizzata. La chiamammo Giggin Vuitton Cup, una coppa finalmente dedicata a un povero Cristo di Bagnoli, senza casa né lavoro, che si arrangiava vendendo prodotti taroccati. A proposito tengo ‘nu frat’ che da quindici anni sta disoccupato. Che s’ha fatto cinquanta concorsi, novanta domande e duecento ricorsi. Voi che date conforto e lavoro, eminenza, vi bacio e v’imploro: chillo dorme cu’ mamma e cu’ me, che crema d’Arabia ch’è chistu cafè! (fabrizio de andrè, don rafè) La “coppa America dei poveri” portò a Bagnoli centinaia di persone, improvvisati skipper di imbarcazioni incerte e traballanti, canoe sgangherate, zattere mezze marce, bidoni dell’immondizia riciclati che girarono la scogliera antistante il Lido Fortuna provando ad arrivare in testa. Barche affondate, remate in testa, gavettoni: tutto era concesso data l’assenza di regole, lo stesso spirito con cui gli amministratori avevano agito nei vent’anni precedenti (oggi ne sono passati più di trenta e non è cambiato nulla) truccando una finta bonifica, elaborando progetti urbanistici sconclusionati, sognando una speculazione edilizia che è ancora dietro l’angolo. (foto d’archivio) Se Bagnoli piange, i bagnolesi non ridono. Sono passati più di due mesi dallo sciame sismico di marzo e dalla più violenta scossa degli ultimi cinquant’anni e le risposte istituzionali sono assolutamente insufficienti su tutti i fronti (i più eclatanti: un decreto governativo che sa di elemosina; il mancato pagamento del sostegno agli affitti; il mancato arrivo dei fondi per la messa in sicurezza degli edifici; la mancata programmazione di una sistemazione in strutture pubbliche e private per gli sfollati, che vengono trattati come pacchi vedendosi prorogato un soggiorno in alberghi dall’altra parte della città ogni dieci giorni). Lo scorso mercoledì era programmato un incontro tra l’Assemblea popolare e tutti gli assessori competenti, che è saltato senza nessun avviso. Rimandato a venerdì, le risposte sono state a dir poco imbarazzanti. Successivamente, nella stessa giornata, un corteo ha attraversato il quartiere ribadendo l’urgenza di interventi reali e non di rappezzi che sanno di presa in giro. Di quando in quando abbiamo bisogno di una catastrofe per spezzare l’incessante bombardamento dell’informazione. […] Il flusso è costante, – riprese Alfonse. – Parole, immagini, numeri, fatti, grafici, statistiche, macchioline, onde, particelle, granellini di polvere. Soltanto le catastrofi attirano la nostra attenzione. Le vogliamo, ne abbiamo bisogno, ne siamo dipendenti. Purché capitino da un’altra parte. Ed è qui che entra in ballo la California. Smottamenti, incendi nei boschi, erosione delle coste, terremoti, massacri di massa eccetera. Possiamo metterci lì tranquilli a goderci tutti questi disastri perché nell’intimo sappiamo che la California ha quello che si merita. Sono stati loro a inventare il concetto di stile di vita. Basta questo a condannarli. (alfonse spiega a jack la sua teoria sulle catastrofi in: rumore bianco, di don delillo) Le impronte digitali e di notte le pattuglie che inseguono le falene e le comete come te. Tra le lettere d’amore scritte a computer Che poi ci metteremo a tremare come la California, amore, nelle nostre camere separate a inchiodare le stelle, a dichiarare guerre. (a cura di riccardo rosa) __________________________ ¹ Valerio Mastandrea in: Non pensarci, di Gianni Zanasi e Lucio Pellegrini (2009)
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parola della settimana
La parola della settimana. Forma
(disegno di ottoeffe) Avevo vent’anni, ero giovane e inesperto ma scrivevo già meglio di altri colleghi con il doppio della mia età. Il caporedattore di Cronache di Napoli mi mise a fare un’inchiesta sulla casa. Era una roba abbastanza complessa: si trattava di mettere in relazione, andandola a verificare sul campo, la condizione penosa dell’edilizia pubblica nei quartieri più periferici e complicati con il piano politico, e soprattutto con le vicende giudiziarie che stavano coinvolgendo Alfredo Romeo, gestore di quel patrimonio per conto del Comune. In due mesi tirai fuori un bel lavoro, così che qualcuno mi suggerì, dopo la sua pubblicazione, di proporlo anche a un periodico di approfondimento e reportage, all’epoca a me sconosciuto (forse ho già raccontato di questa vicenda, ma la memoria ormai m’inganna). L’inchiesta – ampiamente rivista dal responsabile editoriale – fu il mio primo pezzo per Monitor: andò in prima pagina sul tabloid, una sciccheria che, ad averci i soldi, bisognerebbe riproporre. (n. 26, ottobre 2009) Mentre facevo le interviste, raccolsi anche del materiale video e lo montai in un documentario, dal contenuto interessante ma dalla forma oscena. I redattori di Monitor me lo fecero comunque proiettare in un evento pubblico nella redazione della Sanità, credo per incoraggiarmi a continuare a frequentare il giornale. Quando qualche mese dopo gli chiesi un parere su quel lavoro, R. mi rispose laconico: «La forma è il contenuto». Tuttavia ci sono delle menzogne che, se le si crede, non recano alcun danno, per quanto l’intenzione di ingannare anche con questo tipo di menzogne non è esente da danni: i quali però ricadono su chi mente e non su chi gli presta fede. (sant’agostino, contro la menzogna) Oltre che in matematica, a scuola, ero molto scarso anche in filosofia, complici docenti dalla preparazione e dalle capacità comunicative imbarazzanti. So, però, che su forma e contenuto delle cose interessanti le ha dette Kant, così me ne sono andate a cercare alcune. Oggi mi sembrano più chiare. Nella sua Critica della ragion pura adopera la parola “forma” per descrivere le categorie entro cui la conoscenza è in grado di ordinare la realtà fenomenica. Spazio e tempo cessano di essere contenuti e iniziano ad essere modi, categorie attraverso cui la sensibilità umana può conoscere. Ma la forma, ogni forma, pone sempre il problema della sua necessità. E così, nella Critica del giudizio, Kant si domanda quale sia la facoltà umana in grado di trovare il senso della forma. È l’intelletto, legiferante, che stabilisce i significati. (carlotta bandieramonte, culturefuture.net) Se il linguaggio è contenuto e il contenuto è politico, allora il linguaggio è politico. E quindi ci sono parole precise per discriminare una persona per la sua religione, il suo colore della pelle o la sua provenienza, e altre per attaccarne un’altra che si professa seguace di una ideologia basata sull’omicidio e la deportazione (caso in cui, per quanto mi riguarda, bisognerebbe direttamente menargli, alla persona in questione). Sulla vicenda del blitz di due provocatori sionisti in un ristorante napoletano che aderisce a campagne contro l’apartheid israeliano si è detto e scritto anche troppo: l’importante è che la comunità vicina a Nives Monda (che è proprietaria e organizzatrice di quel luogo) sia riuscita a rispondere con una certa prontezza proteggendola da un linciaggio assai pericoloso, nei tempi in cui un cinguettio e una recensione su Tripadvisor, e le implicazioni che si trascinano dietro, possono far sicuramente più male di un calcio nel sedere. Resta l’indecente figura fatta dal comune di Napoli e dalla sua assessora al turismo Teresa Armato, che si è precipitata a solidarizzare con i provocatori sionisti, invece di provare a capire i fatti e andare a sostenere Nives e i lavoratori di quell’attività. La Suprema Corte (sent. n. 48553/2011) ha stabilito che chiamare “parassita” un personaggio politico costituisce diffamazione a meno che non si argomentino le ragioni dalle quali l’insulto è scaturito. Perché vi sia esercizio del diritto di critica, è necessario insomma che il giudizio – anche severo, anche irriverente – sia collegato col dato fattuale dal quale il “criticante” prende spunto. (laleggepertutti.it) Tornando su piani più alti, se il rapporto tra forma e contenuto, per esempio nell’arte, è tema troppo profondo persino per questa rubrica, alcuni spunti utili possono tornarci da immagini efficaci, pur portatrici di linee discutibili. Apprezzabile, sul tema, è Vladimir Ermakov, critico letterario e traduttore russo: La forma si fonde al meglio con il contenuto proprio quando non si fa notare. È come la buona vodka in un bicchiere trasparente. Un po’ meno Wilde: Odio il realismo volgare nella letteratura. Chi chiama vanga una vanga dovrebbe essere costretto ad usarla. È l’unica cosa per cui è adatto.  Altre suggestioni dal più noto Bertoli: E adesso che farò non so che dire: ho freddo come quando stavo solo, ho sempre scritto i versi con la penna non ho ordini precisi di lavoro. […] Adesso dovrei fare le canzoni con i dosaggi esatti degli esperti. Magari poi vestirmi come un fesso per fare il deficiente nei concerti. E dal solito Tolstoj: Il contenuto deve essere facile da capire, non astratto. È assolutamente falso. Il contenuto può essere come volete. Ma non si deve sostituire l’andare al sodo con le chiacchiere, non si deve nascondere con parole scelte il vuoto del contenuto.  https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/05/bsg-clip.mp4 (credits in nota1) POST SCRIPTUM – Qualche giorno fa, parlando con una cara amica e compagna di forma e contenuto nel discorso politico “interno” (inteso come il confronto tra militanti che fanno parte di uno stesso gruppo), riflettevamo sull’opportunità o meno di inserire dei filtri nel linguaggio, a beneficio degli attivisti più giovani che hanno sviluppato una sensibilità più elevata, rispetto alla nostra, in relazione alla forma-parola. Abbiamo preso atto alla fine che forse dovremmo, ma che probabilmente non ne siamo capaci, per cui la sua soluzione (sensata) è dire a tutti (e tutte) qualcosa tipo: mi dispiace se ho avuto dei modi troppo diretti, fatemelo notare, magari davanti a una birra così siamo tutti più rilassati. Forse sbagliammo ‘e modi ma nun sbagliammo moda. Trasimm’ int’a galera cu ‘a tuta r’a Legea. a cura di riccardo rosa __________________________ ¹ Christoph Waltz in: Bastardi senza gloria, di Quentin Tarantino (2009)  
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parola della settimana
La parola della settimana. Matematica
(disegno di ottoeffe) Figlio: Papà mi dai cinquemila lire? Padre: Quattromila lire? Che devi fare con tremila lire? Hai sempre voluto duemila lire mo’ vuoi mille lire? Prenditi cinquecento lire e dividi con tuo fratello! Questa gag – ripetuta ossessivamente dal papà di un amico, ai tempi della scuola, per non sganciare soldi a suo figlio – mi è tornata in mente quando ho ascoltato la conferenza stampa del ministro Musumeci, che dopo la riunione dell’esecutivo ha annunciato in pompa magna la destinazione di fondi per l’emergenza sismica e geologica nel paese. Una roba tipo: “Abbiamo destinato un miliardo” […] “da dividere per quattro regioni” […] “che cacceremo in dieci anni” […] “forse dodici” […] “solo una minima parte nel primo anno” (l’ho un po’ semplificata ma è andata veramente così). Alla fine è venuto fuori, come prevedibile, che per Bagnoli ci sono pochi spiccioli, assolutamente insufficienti per l’unica cosa che si dovrebbe fare: un investimento a tappeto per il miglioramento e/o l’adeguamento sismico di tutto l’abitato, con l’obiettivo di permettere alle persone di “convivere con il bradisismo” (espressione di cui le istituzioni si riempiono la bocca senza avere minimamente l’idea di cosa stiano dicendo). “Fuori gli sghei per i Campi Flegrei”, recitava uno striscione a una manifestazione di qualche settimana fa. Sta andando più o meno così:   Ieri di ritorno da Lecce abbiamo ascoltato la partita dell’Inter sperando che il Verona potesse strappare un risultato contro una squadra stanca e piena di assenze. I nerazzurri hanno fatto una partitaccia ma è bastata, considerando la qualità veramente scadente degli avversari (raramente si sono viste in serie A tutte insieme squadre così scarse come i vari Lecce, Verona, Empoli, Cagliari, Monza di quest’anno). Si rifletteva, in macchina, sul fatto che mentre due anni fa la preoccupazione principale di noi tifosi era fare continui conticini su pezzetti di carta improvvisati per capire in che giornata il Napoli avrebbe vinto lo scudetto, quest’anno dovremmo soffrire fino all’ultimo secondo dell’ultima partita, ma almeno ci risparmieremo di metterci a fare i ragionieri. Pure per questo va ringraziato Conte, anche se personalmente non so se sono pronto. Le energie non solo fisiche ma anche mentali (retorica degli addetti ai lavori calcistici per dire che azzeccare con la testa su una cosa stanca anche il corpo) sono quasi all’esaurimento, e al ritorno a casa ho dovuto mangiare un chilo di patatine fritte per ristabilizzare la serotonina che aveva fatto su e giù tra la partita del Napoli e quella dell’Inter. Durante la fase maniacale queste persone vivono un momento di grande autostima, sono molto loquaci, parlano rapidamente, passano di continuo da un argomento all’altro, si sentono invulnerabili e per questo assumono comportamenti rischiosi, anche nella sfera sessuale, possono darsi a spese pazze che non si possono permettere, sono irritabili e a volte molesti. Un tratto caratteristico è la mancanza di sonno: possono non aver bisogno di dormire per diversi giorni. […] Questa situazione deve durare almeno una settimana per poter essere definita clinicamente “maniacale”. (luigi ripamonti, siamo tutti bipolari? per fortuna no: gli sbalzi d’umore non sono una malattia in: corriere salute, 31 luglio 2022) L’alcool interferisce con il funzionamento di due recettori neuronali: quelli per il GABA (acido gamma-aminobutirrico) e quelli per il glutammato. […] Se da una parte l’aumento dell’attività del GABA produce gli effetti sedativi, dall’altra la soppressione dell’attività del glutammato, anche a dosi molto basse, ha un effetto specifico sulla formazione dei ricordi e sulle funzioni esecutive, come i processi decisionali, di problem solving e di memoria di lavoro. […] Con l’assunzione cronica di alcool, si verificano dei cambiamenti irreversibili a strutture cerebrali importanti per la memoria, come l’ippocampo. […] La perdita delle cellule nervose dell’ippocampo è responsabile dei cosiddetti “black-out”, con perdita di memoria a breve termine. I ripetuti blackout, un chiaro segno di consumo eccessivo, possono causare danni permanenti che impediscono al cervello di conservare nuovi ricordi. Ad esempio, un individuo può essere in grado di ricordare eventi passati con perfetta chiarezza ma non ricordare di aver avuto la conversazione poche ore dopo. (da: brainandcare.com) Come il Verona sul campo da calcio, sono sempre stato molto scarso in matematica. Al terzo o al quarto anno di liceo incominciai a prendere lezioni da un amico più grande, per cercare di capirci qualcosa di disequazioni, funzioni e derivate. Un giorno, mentre correggevamo un esercizio, mi chiese come potevo averlo risolto in un certo modo, dato che quel metodo si basava su operazioni che avrei studiato almeno l’anno successivo (in realtà me l’ero fatto fare mio fratello più grande, che già studiava architettura). Quando dissi che ci avevo perso molto tempo, finché non mi era “venuta un’intuizione”, mi cacciò di casa, telefonò a mia madre per dirgli che con me si perdeva il tempo e che si sarebbe dimesso dal suo incarico. (credits in nota1) Vattenne a ‘lloco, vattenne pazzarella! Va’ palummella e torna, e torna a st’aria accussì fresca e bella! ‘O bbi’ ca io pure m’abbaglio chianu chiano, e ca m’abbrucio ‘a mano pe’ te ne vulè caccià? (palomma ‘e notte) a cura di riccardo rosa __________________________ ¹ Carlo Cecchi in: Morte di un matematico napoletano, di Mario Martone (1992)
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parola della settimana
La parola della settimana. Sobrietà
(disegno di ottoeffe) Non riesco ad affrontare la vita quando sono sobrio (charles bukowski, musica per organi caldi) Venerdì sera avevo la televisione accesa mentre cenavo. Nel programma di Lilli Gruber si parlava della Resistenza, ma sembrava più un teatrino dei pupi (con tutto il rispetto enorme per il teatro dei pupi) con i copioni scritti per esaltare le caratteristiche dei diversi personaggi. La Gruber faceva quella indignata-brillante contro l’avanzata delle destre (a furia di farla, la parte dell’indignata-brillante le riesce meglio che venti anni fa) ma non aveva disdegnato di invitare, per bilanciare la presenza di una storica di sinistra, un tizio che ha annunciato come presidente della Fondazione Vittoriale degli italiani. Il soggetto in questione è Giordano Bruno Guerri, ex radicale oggi vicino a Forza Italia, studioso della chiesa cattolica e del fascismo, fondatore con Ida Magli di un ambiguo “movimento culturale” dal nome Italiani Liberi. Il copione dei pupi è andato avanti per un’ora, esattamente come ce lo si poteva aspettare, ovvero all’insegna della par condicio (Gruber però si indignava quando parlava quello di destra), come se invece di fascismo e Resistenza stessimo parlando di – che ne so – referendum sulla cittadinanza, Brexit, legge elettorale. Il tutto, comunque, con sobrietà. Sia la premier che i ministri all’unanimità, che io stesso, non abbiamo mai pensato né di vietare né di ostacolare alcunché, figuriamoci una celebrazione così importante come l’anniversario della fine della guerra civile e del ripristino della democrazia. […] Ognuno la sobrietà la interpreta e vive in base alle proprie sensibilità, con la serenità dei credenti e con la buona educazione dei non credenti. Balli e canti scatenati si potrebbero evitare, ecco, mentre la salma è ancora non tumulata. (nello musumeci, ministro per la protezione civile e le politiche del mare) Nell’idea di rispettare le indicazioni del governo vado a completare questa rubrica richiamando all’etimologia del termine (“misuratezza”), riprendendo alcuni documenti – storici e letterari – che mostrano perché effettivamente si può ritenere che gli stessi partigiani rifuggirono qualsiasi eccesso, facendo semplicemente ciò che andava fatto. Carissima mamma, ti spedisco la fotografia di Delio. Il mio processo è fissato per il 28 maggio: questa volta la partenza deve essere prossima. […] Non preoccuparti e non spaventarti qualsiasi condanna mi diano: io credo che sarà dai quattordici ai diciassette anni, ma potrebbe essere anche più grave, appunto perché contro di me non ci sono prove. Cosa non posso aver commesso, senza lasciar prove? Sta’ di buon animo. Ti abbraccio, Nino (lettera dal carcere di antonio gramsci a sua madre, 30 aprile 1928) VM: Noi per esempio non prendevamo la tessera, perché mio padre mi ricordo che venne dalla maestra, je disse: “Io sono così, le mie figlie non voglio che prendano la tessera”. Cinque lire se pagava ‘sta tessera. Ma noi a parte che non ce l’avevamo proprio le cinque lire da daje p’a tessera d’a balilla, ma poi mio padre non voleva. Poi, magari noi abbiamo trovato pure una maestra che ha capito questa cosa, poi s’è stancata e non ce l’ha chiesti più. Però poi in classe veniva una, la fascista [del quartiere], veniva con la divisa, la signorina Serpi se chiamava […]: “Questa qui è ‘na bambina che ‘l padre è comunista e che la tessera del fascio no’ la prende”. E allora sai quante volte m’è toccato litigare co’ dei bambini, perché quando uscivamo da scuola, io e le mie sorelle, ci additavano come “le comuniste”. (testimonianza di valtèra menichetti raccolta da alessandro portelli e pubblicata in: ribelle e mai domata. canti e racconti di antifascismo e resistenza) Nei pressi della stazione mi incontrai con Guglielmo, che mi doveva consegnare la valigia. […] Avevo preso la rivoltella che, di solito, negli attacchi con bombe preferivo non portami dietro, perché se fossi stata fermata e se me l’avessero trovata, non sarei sfuggita alla tortura e alla morte. Ma questa volta ero sola e avevo pensato che armata avrei sempre potuto fuggire sparando, o spararmi nel caso non avessi avuto scampo. Dal lato della stazione verso via Marsala, dove ci sono alcuni ruderi dell’antica Roma, c’era ‘na finestrella che dava proprio nel Banhoff, sempre affollato di truppe tedesche dirette ad Anzio. Sistemai la valigia sul davanzale, dopo averla capovolta, e mi allontanai frettolosamente, ma senza correre. Avevo appena raggiunto i giardini di via delle Terme, quando ci fu la deflagrazione, violentissima. (maria teresa regard, autobiografia. testimonianze e ricordi) “Ascolta, dovremmo passare in un paese che ha un nostro presidio. Naturalmente anche lì c’è gente scottata. In particolare ci sono due miei compagni ai quali avete ammazzato i fratelli. […] Quelli vorranno mangiarti il cuore. Quindi noi scarteremo quel paese, lo aggireremo per un vallone che so io. Ma tu non farmi…”. Le dita del sergente si slacciarono da sulla nuca con uno schiocco terribile. Le braccia remigavano nel cielo bianco. Così sospeso era tremendo e goffo. Volava di lato, verso il ciglio e il corpo già pareva arcuarsi nel tuffo in giù. “No!”, aveva gridato Milton. Ma la Colt sparò, come se fosse stato il grido ad azionare il grilletto. Ricadde sulle ginocchia e stette per un attimo, tutto contratto, con la testa appiattita e il naso piccolo e marcato come conficcato nel cielo. […] “No!”, ripetè Milton e gli risparò, mirando alla grande macchia rossa che gli stava divorando la schiena. (un sergente della divisione fascista San Marco incontra il partigiano milton in una questione privata, di beppe fenoglio) MM: Ma ti dirò, io non credo che nessuno di noi, non lo so per gli altri, si sia posto il problema etico dell’uccisione. […] Io non credo – cioè la situazione era talmente estrema – più che di terrore – c’era il terrore – ma di violenza continua – per cui non puoi dire. Forse ci vorrebbe lo psicologo per spiegarlo; ma l’idea di uccidere – a me non è mai venuto mai, “uccido, faccio male”. Non mi sono mai posta questo problema. AP: E dopo? MM: Assolutamente. Se penso, che so, d’aver contribuito con una bomba a far saltare in aria un soldato tedesco, non penso, che so, che quello era un figlio di mamma, che era il padre di un bambino piccolo. Non la vivo così. Vedo torturatori di via tasso, rastrellatori di ebrei, guardia ai campi di sterminio. (testimonianza di marisa musu raccolta da alessandro portelli e pubblicata in: ribelle e mai domata. canti e racconti di antifascismo e resistenza) Guido, Sanmarchi e il Lupo avevano fatto un giuramento: di continuare in tutti i modi la lotta, se uno dei tre fosse stato preso od ucciso. Perciò Guido, appena seppe dell’arresto del Lupo caricò la pistola, e andò dal maresciallo dei carabinieri. […] Gli disse che se non liberava il Lupo avrebbe fatto saltare in aria la caserma, poi lo minacciò con la pistola. A questi argomenti il maresciallo si arrese, e il Lupo fu rilasciato. Da quella volta non si era fatto più vedere in paese, era andato nel bosco vicino a Monte Sole. […] Sugano, vestito con una divisa tedesca, stava sulla strada. Fece cenno di fermare, poi, colla pistola in mano, salì: “Voi scendere!”, disse a Sanmarchi. Lui. rispose: “Ma io essere camerata. Io SS”. Sugano ripetè: “Voi scendere!” e intimò all’autista: “Rauch!” […] Adesso Sanmarchi e Sugano erano soli sulla strada: “Possiamo parlare anche in bolognese – disse Sugano –. Sono un partigiano del Lupo”. Sanmarchi fece per saltargli addosso e si prese cinque palle nello stomaco. “Sei morto?”, disse Sugano. “Si, sono morto. Perchè mi fai tanto male?”, rispose Sanmarchi. Allora Sugano gli sparò nella testa. (la partigiana brunetta musolesi della “brigata stella rossa” racconta l’uccisione della spia fascista infiltrata olindo sanmarchi) (a cura di riccardo rosa)
parola della settimana
La parola della settimana. Fake
(disegno di ottoeffe) Avevamo una gag, con El Trinche Carlovich, che prendeva un po’ in giro Nicolao Dumitru, giocatore del Napoli nel 2010-11. In realtà la gag era sull’incontentabilità del tifoso partenopeo che, spazientito per le prestazioni del calciatore, se la prendeva con lui a ogni occasione, chiedendogli più sfrontatezza quando lo vedeva timido e diligente in campo, e più umiltà non appena il povero Dumitru tentava una giocata. Questo atteggiamento provocava crisi di identità al ragazzo, fino a fargli chiedere all’allenatore di tenerlo in panchina (vero è che a fine stagione Dumitru andò via da Napoli e non combinò più nulla in carriera) Quella gag diventò uno dei migliori pezzi tra i fake che di tanto in tanto ci divertiamo a pubblicare, talmente riuscito che il procuratore o l’avvocato, ora non ricordo, del calciatore, ci mandò una mail intimandoci di rimuoverlo (una cosa simile successe anche con uno dei nostri bersagli preferiti, lo scrittore Maurizio De Giovanni; per questo articolo Bassolino e i suoi si divertirono invece parecchio). Più divertente ancora, fu che il pezzo su Dumitru – confuso dai più per una vera intervista – cominciò a girare sui siti web dedicati al Napoli, dando vita a un dibattito tra tifosi che riproponeva gli stessi atteggiamenti su cui noi credevamo di scherzare. (screenshot dal forum di partenopeo.net) Nel 2023 il Napoli vinse lo scudetto con largo anticipo. Travolti dal fiume di retorica che scorreva tra le pagine dei quotidiani, decidemmo di pubblicare un intero giornale fake. Ancora una volta, i più distratti lo scambiarono per una cosa reale. In questi anni ho imparato a fare tutto: ho scritto libri e racconti, ho mostrato il calcio e la politica, sono stato dalla parte dei deboli e ho girato spot per gli Agnelli e film commissionati da Hollywood. Ma sono rimasto il ragazzo con l’orecchino che non ci credeva che “solo ‘e strunz’ vanno a Roma”. Sono andato e tornato, di nascosto, tanto che una notte di due anni fa un barbone davanti al centro Paradiso, stupito nel vedermi piangere e baciare un santino di Ciccio Romano, mi disse: “M’a vuo’ ra’ ‘na sigarett’?”. Va così, quando mi perdo e la mente vaga. Torno nel mio film. C’è Silvio Orlando che scrocca le partite sul pezzotto; c’è Bentivoglio che interpreta De Laurentiis e sale sul motorino di un passante gridando: “Siete delle merde!”; c’è Morgan Freeman in un flash forward metaforico su Osimhen da vecchio, che spezza le sue catene e cammina sul prato del Paradiso circondato da fenicotteri che no, non so che cazzo vogliono dire, ma comunque ce li devo mettere. (paolo sorrentino, il mio film tricolore in: la gazzella dello sport) In napoletano c’è una parola che, come l’inglese fake, vuol dire molto di più di “falso”. “Pezzotto” è la app pirata che ti permette di vedere le partite pagando un quarto del costo di Sky e Dazn (già negli anni Novanta esistevano le “schede pezzottate” di Stream e Tele+); “pezzottati” erano i vestiti di marca simili all’originale ma cuciti chissà dove e smerciati nei mercati di strada (oggi il termine è passato di moda a favore di “paralleli”); “pezzotta” è una ragazza bassina e dal carattere forte, “pezzotto” era il cd masterizzato con l’ultimo album di Tizio o Caio o il gioco appena uscito per la Play Station, ma anche la zeppa che si infila sotto a un tavolo o un mobile traballante, o una persona che cerca di imitare altri senza successo. Compa’ si bell’ comme ‘a sta palla e leccame ‘a caramella che tengo acopp’. ‘O vero mast’ ‘e festa, ‘o peggio guastafeste p’e pezzott’, vengo aropp’ l’otto pecchè song’ ‘o guaje ‘e notte. […] Chesta è ‘a ricett si sì ‘nu favez’ MC, siente e statte: uno, doje, tre e quatte! Chiste so’ ‘e nummere e accussì va ‘o fatto, ‘ngopp’ ‘o beat spaccamm’ ‘o pezzotto: cinche, sei, sette e otto! (la famiglia; uno, due, tre e quatto) Donald Trump ha respinto in settimana la richiesta di un giudice di fornire informazioni sulla sorte di un migrante erroneamente deportato in El Salvador. Kilmar Abrego Garcia è stato arrestato il 12 marzo da agenti della polizia dell’immigrazione e deportato con altre duecentocinquanta persone circa, ritenute appartenenti a gang che il governo ha equiparato a organizzazioni terroristiche, utilizzando una legge che gli consente di farlo in caso di guerre o invasioni. La cosa più inquietante (oltre al fatto che questa storia non è troppo diversa da quanto accade in Italia) è che in America sta succedendo un casino per questo poveraccio che non ha nulla a che vedere con la criminalità, ma nessuno mette realmente in discussione quella che è una vera deportazione in violazione totale dei diritti umani, basata peraltro su una serie infinta di fake news. Tanti americani – ma in realtà è un’impostazione, questa, condivisa da opinioni pubbliche e governi di ogni paese, quando si parla di mafiosi, camorristi, stupratori – pensano semplicemente che essendo questi uomini terroristi, sia lecito somministrargli qualsiasi tortura usando qualsiasi metodo.  . I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri e i ministri dell’interno e di grazia e giustizia, per sapere […]: 1) se il Governo sia a conoscenza del fatto che, nel corso dell’interrogatorio del 2 febbraio 1982 di fronte al sostituto procuratore della Repubblica di Verona, il terrorista Cesare Di Lenardo, arrestato nella base di via Pindemonte a Padova (dove le Brigate rosse tenevano sequestrato il generale della Nato, James Lee Dozier), avrebbe dichiarato di essere stato sottoposto a tortura: bruciatura su una mano, tagliuzzamenti ai polpacci delle gambe, scosse elettriche ai testicoli, rottura di un timpano, finta fucilazione in aperta campagna, percosse, denudamento, forzato ingerimento di acqua e sale, eccetera; […] 3) se il Governo sia a conoscenza del fatto che, sui fatti denunciati, la procura della Repubblica di Padova […] ha aperto una inchiesta giudiziaria […] 4) se il Governo non ritenga che quanto sopra esposto […] contrasti totalmente con le sue smentite, tanto più essendo stati smentiti fatti di tale natura anche specificatamente e nominativamente in relazione al caso del terrorista Di Lenardo; 5) se il Governo non ritenga doveroso rettificare, di fronte alla Camera, le affermazioni non vere fatte nel corso della seduta del 15 febbraio. (boato, bonino, pinto, mellini; interrogazione alla camera dei deputati del 22 marzo 1982) (immagine da: les complotistes) Un’amica mi ha regalato qualche settimana fa un fumetto francese dal titolo Les Complotistes, facendo riferimento alla mia tendenza a vedere ovunque inganni, insidie, falsi amici e profeti (va detto che il novanta per cento delle volte il tempo mi dà ragione). Mi ero quasi offeso nel leggerlo, sentendomi accostato a terrapiattisti e company, poi per fortuna il libricino, e la mia amica, si sono salvati all’ultima tavola, quando gli autori ci fanno capire che il problema in fondo non sono le scie chimiche e i cerchi nel grano, ma il capitalismo.  (a cura di riccardo rosa)
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parola della settimana
La parola della settimana. Diserzione
(disegno di ottoeffe) Maje lassat’ ‘a questura fotografie e impronte, pecché capette forse ca ‘eva brucia’ ‘a bandiera ‘e l’obbedienza a l’uniforme. (co’sang, fuje tanno) Ho un’amica a cui tengo molto, vive all’estero da tanto tempo – non so se queste cose siano in relazione tra loro, ma non credo. Credo invece che andiamo d’accordo perché ha un carattere spigoloso simile al mio, e più di me dice sempre quello che pensa, a costo di risultare antipatica. Conosce bene Praga, città in cui vive da anni (forse per questo non la sopporta più) e la letteratura del paese che l’ha “adottata”. Qualche tempo fa mi ha parlato di Jaroslav Hašek, irriverente e anticonformista scrittore ceco, morto solo e in miseria quarantenne, noto soprattutto per il suo romanzo Le fatidiche (o fatali) avventure del buon soldato Švejk durante la guerra mondiale, parodistico testo antimilitarista tradotto in centoventi lingue. Il soldato Švejk è un uomo semplice, gioviale, modesto, amante del bere, e che cerca sempre di accontentare il prossimo. Vive senza drammi tutte le assurdità che la vita e il potere gli riservano, dal manicomio alla galera, dall’esercito alla guerra, agendo assai più razionalmente del mondo pazzo con cui deve confrontarsi e che non perde occasione per accusarlo di sabotaggio e diserzione. M. mi raccontava che a dispetto della chiarezza del messaggio di Hašek, il soldato Švejk viene oggi ritratto in patria come un ingenuo fessacchiotto (un pepe, si dice nel suo dialetto). Il gruppo del calcetto del lunedì di cui faccio parte ha pensato invece di stamparsi sulle maglie un disegno che lo ritrae. La squadra si chiamerà, anche in suo onore, “I disertori”. –.Voi avete tradito sua maestà l’imperatore! –.Gesummaria e quando? –.Smettetela con queste stupidaggini. –.Faccio rispettosamente notare che tradire sua maestà l’imperatore non è per niente una stupidaggine… –.Non volete confessare? Avete volontariamente indossato un’uniforme russa? –.Volontariamente. –.Senza alcuna pressione? –.Senza alcuna pressione. –.Sapete che siete perduto? –.Lo so, al 91º reggimento mi staranno senz’altro cercando… (da un dialogo tra il soldato švejk e il maggiore che presiede il tribunale militare) Al contrario di quanto comunemente noto, la diserzione non è un atto solo confinato all’ambito militare. Disertare è, da dizionario, anche “abbandonare” o “non recarsi in un luogo” in cui si è attesi o dove si sarebbe forzati a essere. Per estensione figurativa, è anche “esimersi dal compimento di un obbligo”. https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/04/high-2.mp4 (credits in nota1) Qualche anno fa gli ultras del Napoli protestarono per l’emanazione da parte della società di un regolamento d’uso dello stadio (all’epoca ancora San Paolo) che sembrava fatto apposta per rompergli le scatole. No fumogeni, no bandiere, no megafoni per lanciare i cori. Non si poteva vedere la partita in piedi e si era obbligati a rispettare il posto numerico scritto sul biglietto. Per chi è abituato a seguire la partita in maniera attiva e non da semplice spettatore, i gradoni rischiavano di diventare così una specie di servizio militare. Fortunatamente, col tempo si è arrivati a più miti consigli e, forse informalmente – personalmente non so che fine abbia fatto quell’astruso regolamento – almeno in curva si lascia l’agibilità meritata a chi vive la partita come un precetto (la parola “diserzione”, riferita allo stadio, dice molto di questo rapporto di vincolo reciproco).   (foto di archivio) Nelle ultime settimane si è molto parlato del disco di La Niña, cantante napoletana figlia d’arte, laureata in filosofia e con un master in comunicazione musicale preso a Milano. Dopo aver vissuto a Londra e aver scritto testi in inglese La Niña è tornata a Napoli e ha iniziato a cantare in napoletano. È stata scritturata dalla Sony e da lì la sua produzione si è gradualmente fissata su un folk-elettronico che mi sembra di aver già sentito molte volte e che trovo francamente troppo ammiccante. Furesta, l’album del momento, mi è parso abbastanza scontato e ripetitivo. Rolling Stone (giornale bollito da tempo) ha definito invece La Niña “la nuova Teresa De Sio”. Teresa stanca di guerra senza scarpe se ne va, su questa terra che è bella muove i piedi in libertà. E ha un cappello dalle falde larghe larghe, che se piange non si sente, ma se ride tu la puoi sentire mentre ride, e cantando se ne va. Teresa stanca di guerra. (teresa de sio, teresa stanca di guerra) (a cura di riccardo rosa) __________________________ ¹ Totò e Peppino De Filippo in: La banda degli onesti, di Russel Mulcahy (1956)
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