Tag - parola della settimana

La parola della settimana. Vice
(disegno di ottoeffe) Sui giornali napoletani si è parlato molto questa settimana della due giorni dedicata a don Pedro Tellez Giron, terzo duca di Osuna e vicerè di Sicilia e Napoli, una manifestazione organizzata tra gli altri dalle università L’Orientale e Suor Orsola Benincasa, dalla Biblioteca Nazionale e dall’Istituto Cervantes.  Uomo di cultura e politico di lungo corso, il viceré combatté con fervore i turchi ottomani e i repubblicani veneziani. Organizzò a suon di intrighi, corruttele e tradimenti una congiura nel tentativo di conquistare Venezia e riguadagnare i favori di Filippo III, che aveva perso a causa della difficoltà nel gestire le province dell’Italia meridionale. Dalla storia del golpe tentato, come da altre che lo riguardano, Tellez Giron non esce esattamente bene. Dei congiurati spagnoli che volevano distruggere la repubblica marinara si racconta invece in una tragedia di Simone Weil (in realtà incompiuta), Venezia salvata, “forse l’unica vera tragedia contemporanea” per L’indice dei libri del mese (dal numero 8 del 1987, dove tra gli altri si può leggere una bella intervista a Dario Fo, a cui per la prima volta era stato concesso di recitare negli Stati Uniti ). Verso la fine degli anni Sessanta cominciammo a renderci conto che nonostante il nostro successo rischiavamo di essere trasformati in qualcosa di simile a un alka-seltzer, o a diventare una sorta di sauna energetica. Così abbiamo deciso di abbandonare il teatro istituzionale e di costruire una nostra struttura operativa. Ci siamo collegati a spazi proletari come le case del popolo, nate nell’Ottocento come centri culturali, poi cadute in disuso e ridotte per lo più a sale per giocare a carte. Abbiamo inventato una forma di teatro adatta a questi spazi, spettacoli su argomenti controversi che suscitavano lunghe discussioni dopo la rappresentazione: […] la catena di montaggio, la strategia della lotta di classe, lo sfruttamento trionfalistico della Resistenza da parte del Pci e così via. (dario fo intervistato da daniela salvioni e anders stephanson) Il 13 giugno 1971 Fo fu tra i firmatari della Lettera aperta a L’Espresso sul caso Pinelli, un documento che chiedeva la destituzione di numerosi funzionari di polizia che avevano provato a inquinare le ricostruzioni sulla morte dell’ex partigiano e ferroviere anarchico, condizionando il processo a favore del commissario Calabresi (in Morte accidentale di un anarchico Fo lo chiamava “commissario Cavalcioni”, perché interrogava i sospettati piazzandoli gambe a penzoloni sulla finestra aperta della questura). Qualche giorno fa ci ha lasciati Licia, moglie di Pinelli, che alla ricerca della verità e alla difesa della memoria di suo marito ha dedicato gran parte della propria vita. La casa era molto piccola, le telefonate le prendevo io, si sentiva tutto attraverso le pareti, leggevo la posta. Pino poi con me era trasparente, magari voleva tacermi qualcosa ma finiva sempre per dirla, le bugie non era in grado di raccontarle perché aveva un suo modo di esprimerle che le capivo subito. Ci capivamo molto. Il trovarsi d’accordo nelle sfumature e nelle risposte da dare agli altri, guardarsi ed essere veramente d’accordo sulla frase che io sto dicendo e lui la sta dicendo nello stesso modo, sulla stessa lunghezza d’onda, con un’occhiata. C’era un quiz in tv: si presentavano due coppie, di ogni coppia uno doveva rispondere a una domanda e l’altro, della stessa coppia, che non sentiva, doveva dare la stessa risposta. Come affinità elettive. Ecco, Pino aveva mandato la domanda di partecipazione, non so se ti ho risposto. Eravamo cresciuti bene insieme. (licia pinelli e piero scaramucci, una storia quasi soltanto mia. la breve vita di giuseppe pinelli) A proposito di America, sbirri e fascisti: il nuovo vecchio presidente degli Usa ha annunciato le nomine della nuova amministrazione. Tra i personaggi illustri ci sono: Elon Musk, alla guida del Dipartimento per l’efficienza governativa (una specie di dipartimento per l’eliminazione delle regole fissate dallo Stato sull’impresa privata, con la scusa della lotta alla burocrazia); Robert Kennedy Junior (il terzo degli undici figli di Robert Kennedy), sostenitore della cura di praticamente tutte le malattie con i raggi del sole; Stephen Miller, fautore del “Muslim ban” del 2017, che impediva ai cittadini di numerosi paesi musulmani di entrare negli Stati Uniti. Il vice? J. D. Vance, per anni nemico giurato del presidente e tra i leader del movimento “Never Trump”, poi divenuto suo fedelissimo. Vance ha investito grosse cifre di denaro nella piattaforma video on-line Rumble (uno Youtube di estrema destra), attribuisce la maggior parte dei mali del paese all’immigrazione irregolare e pensa che l’aborto vada abolito. Vance si oppone al diritto all’aborto anche in caso di incesto o stupro, ma ritiene che si debbano fare eccezioni per i casi in cui la vita della madre è in pericolo. Si è appellato alla decisione della Corte Suprema nel caso Roe vs. Wade. Durante la preparazione per le elezioni al Senato del 2022, una sezione sul sito della sua campagna recitava semplicemente: “Eliminazione dell’aborto” (traduzione da un articolo di adam nagourney, pubblicato sul new york times il 17 luglio 2024). Fino al 2021, Vance non aveva mai avuto a che fare con la politica. È stato giornalista, scrittore, ha lavorato in uno studio legale e al fianco di Peter Andreas Thiel, il fondatore di PayPal. In politica estera sostiene la necessità per gli Stati Uniti di non intervenire ulteriormente nei conflitti in corso in Europa e di una politica isolazionista. Con Zelenskyj e Putin si dovrà tornare a parlare quando sarà finita la guerra. O sarà finito il vino:   Merita, in chiusura, una menzione l’ex calciatore olandese Ruud van Nistelrooij, sfortunato “vice” dell’allenatore ten Hag durante la sua disastrosa esperienza sulla panchina del Manchester United. Del Manchester van Nistelrooij é stato una leggenda: è il calciatore che ha raggiunto in meno partite quota cento gol, e per due anni di fila è stato miglior marcatore della Champions League. Dal gol in effetti era ossessionato: Gary Neville, suo capitano, ha raccontato che per almeno tre anni van Nistelrooij è stato sempre di cattivo umore perché non riusciva a staccare l’attaccante francese Henry, rivale dell’Arsenal, nella classifica dei migliori cannonieri della Premier League. Si dice che al termine dell’ultima partita del campionato 2004-05, dopo che Alex Ferguson (con cui aveva più volte litigato) lo aveva tenuto di proposito in panchina con l’obiettivo di non fargli vincere l’agognato trofeo individuale, van Nisterlrooij si avvicinò al suo allenatore mettendogli le mani addosso al grido di “maiale scozzese”.  A dispetto degli ottimi risultati (dieci punti in quattro partite) ottenuti nella sua esperienza di allenatore del Manchester dopo l’esonero di ten Hag, la società ha scelto di sollevare RVN dall’incarico di primo allenatore ma anche di vice, con un messaggio un po’ paraculo del tipo: “Il Manchester United conferma che Ruud van Nistelrooy ha lasciato il club. Ruud è tornato in estate e ha preso in mano la squadra nelle ultime quattro partite come capo allenatore ad interim.  Ruud è, e sarà sempre, una leggenda del Manchester United. Siamo grati per il suo contributo e per il modo in cui ha affrontato il suo ruolo durante tutto il suo tempo con il club. Sarà sempre il benvenuto all’Old Trafford”. Nel caso in cui Ruud dovesse essere tra i lettori di questa rubrica lo consoliamo, e ci consoliamo, così:  (a cura di riccardo rosa) __________________________ ¹ Pietro Carloni e Alberto Sordi in: Accadde al commissariato, Giorgio Simonelli (1954)
November 17, 2024 / NapoliMONiTOR
La parola della settimana. Compromesso
(disegno di ottoeffe) Io voglio che l’Italia non esca dal Patto Atlantico anche per questo, e non solo perché la nostra uscita sconvolgerebbe l’equilibrio internazionale. Mi sento più sicuro stando di qua, ma vedo che anche di qua ci sono seri tentativi per limitare la nostra autonomia. (enrico berlinguer intervistato da gianpaolo pansa per il corriere della sera, 1976) Giovedì ho visto il film su Berlinguer di Andrea Segre, ambientato negli anni del compromesso storico. C’è dietro un bel lavoro sulle immagini di repertorio da parte del regista e sul personaggio da parte di Elio Germano. Poco altro. Politicamente è quantomeno semplificante e in alcuni passaggi nemmeno troppo onesto. Qualche giorno fa Nanni Moretti ha fatto notare a regista e attore – che nella propria carriera hanno sempre preso precise posizioni politiche ma che nelle presentazioni del film si entusiasmano oltre ogni ragionevolezza per la figura dell’ex segretario del Pci – che se avessero avuto vent’anni nel ’73 probabilmente non sarebbero stati dalla parte di Berlinguer. La gravità dei problemi del paese, le minacce sempre incombenti di avventure reazionarie e la necessità di aprire finalmente alla nazione una sicura via di sviluppo economico […], rendono sempre più urgente e maturo che si giunga a […] un nuovo grande “compromesso storico” tra le forze che raccolgono e rappresentano la grande maggioranza del popolo italiano. (enrico berlinguer su rinascita, 1973) Qualcuno uscendo dal cinema, come di solito fa la gente quando vuole criticare un film ma non sa cosa dire, lo definiva “lento”: https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/11/berli.mp4 (credits in nota1) In queste settimane di dibattito sulla probabile approvazione al senato del Ddl 1660 mi è capitato di rileggere della scomunica che il Pci aveva fatto su l’Unità a sindacalisti, magistrati, docenti, giornalisti che avevano sottoscritto un appello lanciato dai gruppi extraparlamentari contro la legge Reale sull’ordine pubblico. Qualche anno prima il partito aveva organizzato, nel suo istituto di formazione delle Frattocchie, un Seminario sull’estremismo, in cui si faceva un dettagliato punto sugli sviluppi delle realtà extraparlamentari, denotando particolare preoccupazione per la crescita di alcune, che avrebbe potuto rafforzarsi a causa della scarsa accettazione di una parte della base comunista della politica del compromesso storico. È falso che io abbia definito provocatori gli studenti in lotta. Ho accusato di essere provocatori oltre ai fascisti alcuni gruppi dell’area dell’Autonomia che il 2 febbraio scatenarono un’intollerabile violenza in risposta al raid squadrista del giorno precedente. […] Mi riferivo (quando ho detto che è necessario chiudere i covi da cui partono le azioni violente, ndr) anche a covi di gruppi come quelli della cosiddetta Autonomia, per esempio quello di via dei Volsci, i cui aderenti da anni paralizzano alcune facoltà universitarie. […] Sono vere e proprie formazioni paramilitari che bisogna cercare di comprendere ma senza giustificazionismi e applicando la legge fino in fondo. […] In nessun modo i tentativi di capire questi estremisti devono poter essere confusi con un modo paternalistico di civettare con loro. (ugo pecchioli, responsabile della sezione “problemi dello stato” del pci, intervistato da paolo mieli nel febbraio 1977) Nella mia adolescenza, e fino credo al primo anno di università, sono stato iscritto a uno dei due partiti comunisti che ancora portavano qualche parlamentare in Camera e Senato. Una cosa che trovavo difficile era capire, e poi giustificare, i continui cambiamenti di opinione e collocazione rispetto al nascente “centrosinistra”. In effetti, nel ’98 i Comunisti Italiani avevano due ministri (prima volta al governo nella storia d’Italia), nel 2001 due parlamentari europei, appoggiavano Rutelli e Prodi, poi non appoggiavano Prodi in un nuovo governo, si scindevano da Rifondazione Comunista, appoggiando di nuovo Prodi, poi proponevano sempre a Rifondazione, ogni sei mesi, un partito unitario, e infatti poi i due si univano ma intanto era nato il Pd e li aveva scaricati. A livello locale andava ancora peggio: le posizioni sulle giunte comunali e regionali Bassolino e Iervolino cambiavano più o meno ogni tredici giorni, a seconda della convenienza politica. Non si può certo dire che la politica del compromesso non sia stata assorbita bene dai comunisti. ‘O ‘vvi’, so’ stato bbuono… Quanno ‘o sanghe cavero int’e vvene scurreva io ero pronto pe’ fa’ ‘a rivoluzione. Succedeva o nun succedeva ca murevano o nun murevano io ero pronto pe’ fa’ ‘a rivoluzione. ‘O ‘vvi’, so’ stato bbuono… Quanno tu diciste: “Lotta ‘e classe sì, ma senza sanghe; ca ‘o sanghe nun ha maje fatto ‘nu munno nuovo”, me cunviciste e dint’e ccarne meje nascette Cristo. ‘O ‘vvi’, so’ stato bbuono… Ma mo’ me so’ rutt’o cazzo! Mò ‘o nemico mio ‘o staje pittanno ‘e russo, e parle ‘e compromesso cu’ chi m’ha fatto fesso, cu’ chi so’ secoli ca me sta rumpenno l’ossa, cu’ chi me fa scava’ ‘a fosse cu’ ‘e stesse mmane mieje… (napoli centrale, ‘o nemico mio) Le scene meno riuscite del film su Berlinguer sono in realtà proprio quelle che dovrebbero, nelle idee di chi l’ha pensato, dare profondità alla pellicola, come quando il segretario si trova a spiegare ad altri – a un’assemblea operaia, o ai suoi figli – le scelte alla base del compromesso. Mi è venuta in mente un paio di volte una scena di Palombella Rossa, quando la giornalista che “si occupa di sport” lancia, senza capirci troppo, al protagonista, una serie di accuse anche sensate ma rese ridicole dalle frasi retoriche che ha trovato su “un libricino”. Apicella risponde con un paio di supercazzole a cui sembra non credere nemmeno lui, non troppo diversamente dal Berlinguer di Germano, che invece nelle sue scelte, nel resto del film, sembra avere una fede incrollabile. https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/11/PALOMBELLA-def.mp4 «Se fossi cattolico come lei crederei anche nel dogma dell’Immacolata Concezione. Ma non sono cattolico, e non credo né a questo dogma né all’evoluzione democratica dei comunisti italiani». (henry kissinger ad aldo moro, 1975) Del Pci del compromesso storico diamo una definizione diversa da prima. Ai nostri occhi era stato un grosso partito democratico che mirava per via opposta al nostro stesso scopo. Ma col tempo era diventato – scrivemmo – il partito che riduceva gli interessi della classe operaia a quelli dello Stato. […] A un certo punto della prigionia Moro si rivolge “al Santo Padre”, con tutto quello che questa espressione significa per lui. Montini risponde con una lettera politica a noi. Gli accenti sono molto alti, accorati, anche toccanti, ma il significato del messaggio è un macigno. Moro se ne rende conto. Quelle parole che cominciano con “Uomini delle Brigate Rosse” e finiscono con “lasciatelo senza condizioni” gli dicono che anche Montini si è schierato, e il cerchio si è chiuso. È disperato. Se il Papa, che avrebbe tutta l’autorità morale per percorrere i sentieri di un compromesso, non si è proposto come mediatore o almeno come interlocutore neutrale, vuol dire che sta con chi ha deciso: meglio Moro morto che trattare con le BR. Dopo quel “senza condizioni” nessuno avrà il coraggio di fare la minima mossa. (mario moretti intervistato da rossana rossanda e carla mosca, 1994) […] Paolo VI ha gettato la ghiara si è travestito in abiti da prete. Sta ingozzando a viva forza Berlinguer per punirlo della sua frugalità, lo ucciderà parlandogli d’amore dopo averlo avvelenato di pietà. E mentre Paolo grida quattro suore si son spogliate già: Berlinguer sta per essere violentato in via della Povertà. (fabrizio de andrè, via della povertà – uncensored) (a cura di riccardo rosa) __________________________ ¹ Mario Pachi, Roberto Benigni, Carlo Monni e Maresco Frantini in: Berlinguer ti voglio bene, Giuseppe Bertolucci (1977) ² Mariella Valentini e Nanni Moretti in: Palombella Rossa, Nanni Moretti (1989) 
November 10, 2024 / NapoliMONiTOR
La parola della settimana. Giungla
(disegno di ottoeffe) Sono state pubblicate, negli scorsi giorni, differenti ricostruzioni dei fatti che hanno portato all’omicidio di Gennaro Ramondino, vent’anni, a Pianura, qualche settimana fa. Ramondino era a capo di un gruppo criminale di giovanissimi, mentre il suo assassino era un ragazzo ancor più giovane, appena sedicenne. Pare che i due fossero molto amici. Me vasaste comme a Giuda, m’accattaste ‘nu Triumph, comme si nun fosse furbo ‘a capi’ ca m’e vennuto. […] ‘E lacreme se dissolvono a ‘ppe ‘lloro, song’ n’angelo d’o peccato e dimane volo cu n’ala sola. (co’sang, amic nemic) Il giornalista de La Stampa che scrive dell’omicidio – il pezzo non è firmato – ci descrive con grande pathos l’assassino (presunto, in teoria, fino a sentenza passata in giudicato, ma vabbè…). Il caso è già chiuso nell’incipit dell’articolo: “Violento, spietato, pusher. A soli sedici anni ha sparato a bruciapelo […]. Poi, insieme a dei complici, ha bruciato il corpo in una campagna alla periferia di Napoli. […] Poco importa se i componenti del suo stesso gruppo avevano provato a convincerlo di non risolvere la faccenda in questo modo. […] Lui è andato avanti, senza se e senza ma”. Tien’ troppa arraggia ‘ncuoll’ nun te pozzo da’ tuorto si accarezzanno ‘nu cane randagio t’ha dato ‘nu muorzo, si ‘e chiesto a Dio n’ata vita e nun t’ha dato ‘o rimborso, si aropp’ ‘a scola ‘e ricalcato ‘a sagoma ‘e ‘nu muorto. ‘A vendetta te dà forza po’ te lassa ‘nu vuoto, soprattutto ‘a primma vota, po’ t’abitue a ‘stu ruolo. […] T’hanno sempe mis’ in punizione, mo priemm’ ‘o grilletto pe’ dà ‘na lezione. (co’sang, comme ‘a na fede) Il sedicenne, in effetti, ha confessato l’omicidio. I quotidiani napoletani però riportano un’altra versione rispetto a quella diffusa dal giornale torinese: uno dei riferimenti adulti della malavita locale avrebbe procurato l’arma al ragazzo e l’avrebbe incoraggiato a risolvere la questione in fretta, personalmente, dal momento che, in quanto minorenne, non avrebbe rischiato nulla. Il giovane si rendeva conto – essendo tra l’altro già stato incarcerato a Nisida in passato – dell’inconsistenza di questa teoria, ma ha detto, una volta interrogato, di “non aver potuto dire di no” al boss. https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/10/gomorraclip.mp4 (credits in nota1) In settimana un altro ragazzo giovanissimo è stato sparato, al corso Umberto, nel centro della città. Aveva quindici anni, non aveva precedenti ed era figlio di una coppia che gestisce una trattoria nel Rione Sanità. Le forze dell’ordine stanno facendo una certa fatica a ricostruire la dinamica e il movente del delitto, ma sembra che il ragazzo sia rimasto vittima di una sparatoria tra due gruppi di giovani, tra cui alcuni suoi amici. Gli interrogati (si erano recati all’ospedale per farsi medicare o estrarre un proiettile dal braccio) hanno tutti tra i quattordici e i diciassette anni. Statt’ accort’ stanno passann’ loro: ‘e spuorche ‘ncuollo ‘e pulit’, ‘e muorte ‘ncuollo ‘e ferit’, folle ‘e gente ca s’affollano dint’ ‘e mercat’ t’e ammacchiat’ e che ne è risultat’ ‘e stu incontro ravvicinato do cient’e trirecesimo tipo? Pe’ chi campa ‘a jurnata, a chi n’atu trip ha passato, n’atu ‘ngrippo ‘e pigliato, ‘sta volta simme jute buono… ma dimane? (13 bastardi, persi nella giungla) Rudyard Kipling è uno dei più importanti scrittori inglesi. Nato a Bombay, nel cuore dell’India britannica, è stato cantore del colonialismo imperialista. Era un convinto nazionalista, massone, misogino e sostenitore di qualsiasi guerra di conquista o di mantenimento del dominio del più forte nei confronti del più debole. Vinse un Nobel  nel 1907 per Il libro della giungla, ma certo ogni giungla è, in fondo, la narrazione che se ne fa. Raccogli il fardello dell’Uomo Bianco. Disperdi il fiore della tua progenie. Obbliga i tuoi figli all’esilio per assolvere le necessità dei tuoi prigionieri; per vegliare pesantemente bardati su gente inquieta e selvaggia, popoli da poco sottomessi, riottosi, metà demoni e metà bambini. (rudyard kipling, il fardello dell’uomo bianco) Luce ca ha stutat’ ‘e luci ‘e sta corsia veloce Caca King Kong ve dong ‘na voce Cita addeventa feroce si vene scetata: l’effetto è d’o muorzo ‘e cobr-ett cu ‘a coda tagliata. (13 bastardi, persi in una giungla) Molly nel bicchiere, Mowgli, mo’ che il mondo gira muoviti a vedere da ogni prospettiva: per la giungla sputa bacche velenose, non palle di cocaina! (chris nolan e tedua, la legge del più forte) Un po’ di tempo fa ho intervistato alcuni ergastolani che potevano frequentare l’università di Milano per seguire dei corsi. Erano tutti uomini tra i cinquanta e i sessanta, da almeno trentacinque anni – alcuni anche quarantacinque – in carcere. Ci erano entrati a causa di omicidi che avevano commesso giovanissimi, in Sicilia, nel corso delle guerre di mafia di inizio anni Novanta. Le loro storie erano accomunate da questo: quando avevano tra i quindici e i vent’anni qualcuno gli aveva messo una pistola in mano, gli aveva dato qualche milione e gli aveva commissionato degli omicidi. Dopo poco tempo erano tutti in carcere. Di fatto hanno vissuto solo fino all’adolescenza. Poi stop. Mentre intervistavo questi signori tranquilli, pacati, riflessivi, annichiliti da decenni di galera, mi chiedevo se ci fossero, e quali fossero, i motivi per cui dovessero essere ancora in carcere. Mi chiedevo anche come mai, così come fu fatto per la lotta armata – con risultati non sempre efficaci, a dire il vero –, nessuno ha mai pensato di chiedere la libertà per queste persone. in quanto colpevoli di reati che non possono non essere contestualizzati in un preciso momento storico, quando era in corso una guerra civile tra eserciti, all’interno dei quali loro erano soldati poco più che bambini, sicuramente meno colpevoli di tante altre persone legate a quell’epoca che oggi si godono ricchezze e carriere in ben altro modo. https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/10/mps_clip.mp4 (credits in nota2) Partiamo dai bambini a cui è stata strappata l’infanzia, ci dicevamo, anche come soggetto politico. Perché ‘sti bambini dell’Olivella, di Montesanto, devono manifestare la loro creatività con la capacità di fare un furto, o di aprire una Cinquecento con l’apriscatole… diamogli la possibilità di fare come gli altri: i colori, la pittura, il teatro… da qui nasce l’idea della Mensa come luogo innanzitutto per i bambini, ma poi anche per le famiglie che sono venute dietro. Guardavamo con sospetto il Partito Comunista che sdegnava totalmente il sottoproletariato, mentre noi testardamente dicevamo: se non lavoriamo anche col sottoproletariato rischiamo di non andare da nessuna parte; dobbiamo svolgere un’azione che sia di recupero, educativa, per noi era battere il clientelismo di marca laurina, il fenomeno culturale del fatalismo, dell’abbandono, dimostrare che la solidarietà poteva portare a forme di organizzazione. (peppe carini e geppino fiorenza in: La Mensa dei bambini proletari, audiodocumentario di marcello anselmo) E così l’Isola dei bambini è oggi l’unica isola del Golfo di Napoli a essere rimasta allo stato selvaggio. (fabrizia ramondino, l’isola dei bambini) (a cura di riccardo rosa) __________________________ ¹ Vincenzo Bombolo e Salvatore Abbruzzese in: Gomorra, Matteo Garrone (2008) ² Michele Placido, Roberto Mariano, Salvatore Termini, Alessandro Di Sanzo, Francesco Benigno in: Mery per sempre, Marco Risi (1989) 
October 27, 2024 / NapoliMONiTOR
La parola della settimana. Tre
(disegno di ottoeffe) L’amore dura tre anni è un romanzo di fine Novecento, scritto da Frederic Beigbeder. Tutto gira intorno alla figura di Marc Marronier, un pubblicitario parigino, ricco, cinico e amante delle donne, convinto che l’amore, come tutto nel capitalismo, abbia una data di scadenza (tre anni, appunto). Il tema su cui però si finisce a ragionare leggendolo è: può esistere l’amore ai tempi del turbocapitalismo? O meglio, sono i due fenomeni conciliabili? Ci ho pensato martedì, durante la presentazione di Conflitto di classe e sindacato in Amazon, libro di Marco Verruggio di cui si è parlato alla biblioteca Ramondino-Neiwiller di Napoli. Simone, combattivo corriere di Amazon, ha spiegato come la strategia dell’azienda sia in sostanza quella di spremere il lavoratore per un triennio, che evidentemente è considerato il periodo di tempo in cui può raggiungere il massimo della produttività, e poi scaricarlo, licenziarlo, indurlo a dimettersi. È un po’ quello che sostengono molti allenatori di calcio quando, dopo aver vinto qualche trofeo, convinti che un gruppo di calciatori non possa più esprimersi al meglio, abbandonano la nave perché quella squadra “ha finito il ciclo”. Un buon calciatore in serie A, tipo Politano o Di Lorenzo del Napoli, guadagna tre milioni di euro l’anno. Un operaio di Amazon, che probabilmente corre anche più di Spinazzola, per guadagnare trentamila euro ci può mettere anche tre anni. Tre (chiedere ai cristiani, ai pitagorici, gli induisti, a Dante, gli stilnovisti, i cinesi) è il numero perfetto. Una volta Zdenek Zeman ha spiegato che è il cardine del suo modulo tattico, ma anche dei suoi metodi di lavoro e del suo pensiero. Gradoni, sacchi di sabbia e ripetute. Bilancia, campo, lavagna. Baiano-Signori-Rambaudi. Verratti-Insigne-Immobile. Quando allenava il Foggia, il suo numero tre era Maurizio Codispoti, grande corsa ma piedi non proprio educati. Così un giorno il presidente Casillo si presentò all’allenamento e gli disse che da quella domenica gli avrebbe messo prima di ogni partita centomila lire nella scarpa sinistra. Se avesse fatto più cross giusti che sbagliati, se le sarebbe potute tenere. Tre mast’ testa a testa mo’ s’attestano cap’ ‘e sta festa! Se manifestano comme ‘a tempesta… N’abbasta! Spaccano ‘e timpani comme ‘e lastre ‘e feneste, assaggia comme è bona ‘sta menesta mista! […] Tre assi ca tenene classe, tre re pe ‘nu tris so’ gruosse pe’ fisso… Mò cu tre ‘e nuje s’aiza o business! (la famiglia, mast) Ancora su Zeman, sul numero tre e sull’importanza della psicologia nello sport. Aveva un difensore, l’allenatore boemo, sempre al Foggia, che si chiamava Matrecano (avrebbe poi giocato anche nel Napoli), che aveva preso dalla serie C2 per pochi milioni di lire. Alla vigilia di una delle prime partite che il ragazzo si apprestava a giocare in Serie A, Zeman gli disse: “Tu sei forte. Oggi marchi Klinsmann”. Klinsmann non toccò palla e Matrecano collezionò grandi voti in pagella. Dopo qualche partita arrivò il Milan. Stessa scena: “Tu sei forte. Oggi marchi Van Basten”. Van Basten fece tre gol. https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/10/ricomincioda3.mp4 (credits in nota1) Uomo con tre peni in UK: è solo il secondo caso di triphallia noto alla scienza (fanpage.it, 17 ottobre)  Elly Schlein su Instagram: “È il gioco delle tre carte” (corrieretv, 17 ottobre). Lo spritz di Meloni, la birretta di Salvini e il mistero dell’acqua naturale di Tajani. La notte dei tre leader al bar Magritte – Vertice informale in un locale a Bruxelles, atmosfera rilassata (repubblica.it, 17 ottobre) https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/10/trecazunedef-1.mp4 (credits in nota2) Tito non sei figlio di Dio, ma c’è chi muore nel dirti addio. Dimaco ignori chi fu tuo padre, ma più di te muore tua madre. Con troppe lacrime, piangi Maria, solo l’immagine d’un’agonia; sai che alla vita nel terzo giorno il figlio tuo farà ritorno. Lascia noi piangere un po’ più forte chi non risorgerà più dalla morte. A   A mister Zeman, ricoverato da venerdì all’ospedale di Pescara per un’ischemia, un augurio di pronta guarigione e di un presto ritorno in campo. (a cura di riccardo rosa) __________________________ ¹ Massimo Troisi e Lello Arena in: Ricomincio da tre, Massimo Troisi (1981) ² Graziella Marina, Lello Grotta, Pietro De Vico, Pietro Carloni,  Eduardo De Filippo in: Tre cazune furtunate, Eduardo De Filippo (1959) 
October 20, 2024 / NapoliMONiTOR