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La parola della settimana. Pianeta
(disegno di ottoeffe) «La Terra è cattiva, non dobbiamo addolorarci per lei». «Cosa?». «Nessuno ne sentirà la mancanza». «Ma dove crescerà Leo?». «L’unica cosa che so è che la vita sulla Terra è cattiva». «Potrebbe esserci vita in altri luoghi…». «…ma non c’è». «E tu come lo sai?». «Perché io so le cose». (dialogo tra justine e sua sorella claire, melancholia, di lars von trier) Siccome le cose non vanno un granché ultimamente, ho deciso di calcare la mano e mi sono rivisto in tre giorni tre film di Lars von Trier. Fine del mondo, scoramento, depressione, vendetta, calamità, fustigazione avrebbero tutte potuto essere parole della settimana. Ma non lo sono. Ho visto per la prima volta sia Dogville che Melancholia a un cineforum che alcuni amici tenevano nell’aula delle Mura Greche a palazzo Corigliano, sede dell’Orientale, luogo che nei miei primi anni di università mi sembrava frequentato da gente interessante, pieno di angoli stimolanti (c’era una radio in un’aula occupata proprio sopra le Mura Greche, che oggi è un insopportabile cubo bianco per lezioni che vanno quasi sempre deserte), di continui confronti, e anche scontri, di vario genere.   Del cineforum ho parlato qualche tempo fa a uno studente al primo anno di lingue e letterature moderne. Mentre provavo a dirgli del lavoro di preparazione, delle riflessioni pre e post proiezione, delle connessioni che si cercava di costruire con l’attualità, lui non riusciva a non farmi domande che solo dieci anni prima sarebbero sembrate venire da un altro pianeta. Del tipo: «Eh ma si teneva l’università aperta dopo le sei?», oppure «E il rettore lo faceva fare?», o ancora «Eh ma per i film scaricati da internet nessuno rompeva le scatole?». In effetti i film erano scaricati illegalmente, al rettore solo a volte veniva mandata una mail o un volantino per conoscenza dell’iniziativa, e lo stesso si faceva con le guardie giurate che rimanevano a sorvegliare il palazzo, preoccupandosi appena che non si esagerasse con la birra e le bottiglie in vetro. (dal blog del Cineforum Orientale 2.0) Riguardando più attentamente Dogville (2003) mi sono accorto di non aver notato, a suo tempo, una scena che in un certo senso ne anticipa un’altra, centrale, in Melancholia (2011). Nel primo film c’è Grace (Nicole Kidman) che viaggia su un furgoncino pieno di mele, dove si è nascosta per scappare dalla città. A un tratto il furgoncino viene fermato e Ben, guidatore e proprietario del mezzo in pieno spettro autistico, la stupra minacciandola di consegnarla alla polizia se avesse proferito parola. Quella scena mi è sembrata rimandare a un momento chiave di Melancholia, ovvero quando Justine (Kristen Dust) premonisce la propria depressione dovuta alla consapevolezza di una fine del mondo imminente, e si immagina addormentata sul letto del fiume come Ofelia, che in un fiume si suicida dopo aver preso atto della follia del suo Amleto, in realtà fintosi pazzo. Mentre Justine però, “sa le cose”, e sa che l’impatto con un gigantesco pianeta blu sta per distruggere la Terra, Grace non sa nulla, eppure con la stessa atarassia accetta il destino, giacendo inerme tra le mele, prima, durante e dopo lo stupro, convinta di dover comprendere, se non giustificare, tutto il male che le viene e le verrà fatto («Tu, la mia cara figlia, perdoni gli altri con delle scuse che poi mai al mondo permetteresti a te stessa»). Grace può essere letta come una rappresentazione di Cristo, figlio del dio onnipotente e vendicativo del Vecchio Testamento, che lascia il regno del padre per andare in terra, e mondare gli esseri umani dei loro peccati, sacrificando la propria vita per loro. […] Allo stesso modo, si presta ad essere sacrificata per la salvezza morale di Dogville, lasciandosi umiliare e torturare per il raggiungimento di un bene superiore, quello morale, appunto. […] Grace distrugge Dogville, teatro del suo estremo sacrifico, come l’Io sacrificale che sfugge ad un Super Io vendicativo, per poi accettare di compiere una spaventosa vendetta. Nel momento in cui Grace dà l’ordine di uccidere tutti eccetto il cane, noi spettatori godiamo della sua vendetta. Proviamo una soddisfazione infantile e feroce nel vedere ripagati i torti subiti dalla protagonista. […] Von Trier descrive nel personaggio di Grace una anti-Cenerentola, che non viene ripagata con l’amore per essersi fatta maltrattare con educazione e gentilezza; una versione femminile del Tito Andronico di Shakespeare che pretende sangue per sangue, mano tagliata per mano tagliata, figlio per statuetta. Per il regista probabilmente non esiste alcun bene superiore, non esiste alcun dio misericordioso che ci ripaga dei sacrifici che ci siamo autoinflitti, ma solo un dio vendicativo e onnipotente. (valeria colasanti, dogville. di lars von trier, in: doppio sogno. rivista internazionale di psicoterapia e istituzioni) Va detto che se davvero esiste un dio vendicativo e potente siamo probabilmente spacciati, perché deve averne le palle piene di noi tutti: La Cop30, dove si decide come evitare che il pianeta bruci a causa del riscaldamento globale, è stata sospesa per un incendio (wired, 20 novembre 2025). Eppure una volta “sapute le cose” si potrebbero ancora immaginare delle strategie: Scoperta una Super-Terra, c’è vita sul pianeta GC 251 C? Il pianeta è a “soli” 20 anni luce da noi. E potrebbe ospitare acqua (adnkronos, 24 ottobre 2025) Le ricette non mancano: I filtri nei condizionatori aiutano a salvare il pianeta (hdblog.it, 28 ottobre 2025) A Spoleto un murale per salvare il pianeta (spoletonline.com, 19 settembre 2025) Più tasse a Bezos per salvare il pianeta: maxi striscione di Greenpeace a Venezia (vez.news, 23 giugno 2025) Salvare il pianeta… dagli ambientalisti (corriere della sera, 25 settembre 2025) Diamo dunque il benservito a ogni Grace e Justine: quello che conta è agire! La Danimarca vuole salvare il pianeta… macellando nel suo regno balene e delfini (tviweb.it) (e questo sì che lo farà ammattire, povero principe). https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/11/amletomonitor.mp4 (credits in nota 1) a cura di riccardo rosa __________________________ ¹ Pino Micoli e Giulio Pizzirani in: Amleto, di Maurizio Scaparro (1973)
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parola della settimana
La parola della settimana. Fondo
(disegno di ottoeffe) Il secchio gli disse, gli disse: “Signore, il pozzo è profondo. Più fondo del fondo degli occhi, della notte e del pianto”. Lui disse: “Mi basta, mi basta che sia più profondo di me”. (fabrizio de andrè, andrea) Ha girato molto in questi giorni un articolo scritto dal geologo Benedetto De Vivo e dal tossicologo Maurizio Manno che spiega cosa stanno rischiando di combinare il governo Meloni, il sindaco Manfredi e tutta la struttura commissariale per la bonifica e rigenerazione di Bagnoli, smuovendo il fondo delle acque che circondano la colmata a mare. Un disastro ambientale che segue quello politico, abbiamo titolato su Monitor, un andarsi a cercare la catastrofe con le proprie mani, scavando lì dove non c’è da scavare. (credits in nota 1) Isaura, città dai mille pozzi, si presume sorga sopra un profondo lago sotterraneo. Dappertutto dove gli abitanti scavando nella terra lunghi buchi verticali sono riusciti a tirar su dell’acqua, fin là e non oltre si è estesa la città: il suo perimetro verdeggiante ripete quello delle rive buie del lago sepolto, un paesaggio invisibile condiziona quello visibile, tutto ciò che si muove al sole è spinto dall’onda che batte chiusa sotto il cielo calcareo della roccia. Di conseguenza religioni di due specie si dànno a Isaura. Gli dei della città, secondo alcuni, abitano nella profondità, nel lago nero che nutre le vene sotterranee. Secondo altri gli dei abitano nei secchi che risalgono appesi alla fune quando appaiono fuori della vera dei pozzi, nelle carrucole che girano, negli argani delle norie, nelle leve delle pompe, nelle pale dei mulini a vento che tirano su l’acqua delle trivellazioni, nei castelli di traliccio che reggono l’avvitarsi delle sonde, nei serbatoi pensili sopra i tetti in cima a trampoli, negli archi sottili degli acquedotti, in tutte le colonne d’acqua, i tubi verticali, i saliscendi, i troppopieni, su fino alle girandole che sormontano le aeree impalcature d’Isaura, città che si muove tutta verso l’alto. (italo calvino, le città invisibili) Ha ufficialmente chiuso le proprie attività, a inizio di questa settimana, Scion Capital, il fondo finanziario statunitense di Michael Burry, diventato celebre grazie al film The Big Short (La grande scommessa) sulla crisi finanziaria dei subprime del 2008. La decisione sarebbe maturata in un contesto di preoccupazione diffusa a Wall Street rispetto alle valutazioni gonfiate raggiunte in borsa dai giganti della tecnologia e dell’Intelligenza Artificiale. Burry aveva ottenuto fama e successo per aver previsto lo scoppio della bolla immobiliare negli Stati Uniti, un cataclisma finanziario che aveva portato a un quasi-crollo del sistema economico internazionale e aperto una stagione di tutt’ora attive crisi strutturali. Nell’ultimo anno aveva perso diversi milioni di euro per aver scommesso contro aziende come Nvidia e Palantir e forse anche per questo ha deciso di restituire i capitali agli investitori e ritirarsi. Le sue accuse sono comunque piuttosto pesanti: “L’investitore ha pubblicato su X un’analisi dettagliata in cui sostiene che le grandi società tecnologiche stiano manipolando i loro bilanci attraverso un trucco contabile apparentemente semplice ma dalle conseguenze enormi. Burry accusa gli hyperscaler, termine che identifica i principali fornitori di infrastrutture cloud e AI come Microsoft, Meta, Google, Amazon e Oracle, di sottostimare artificialmente l’ammortamento dei loro asset tecnologici. In pratica, secondo Burry, questi gruppi avrebbero esteso la vita utile stimata dei loro chip e server da tre anni a sei anni, permettendo di spalmare i costi su un periodo più lungo e gonfiare i profitti nel breve termine. Secondo il celebre investitore si tratterebbe di “una delle frodi più comuni dell’era moderna”. Burry prevede che tra il 2026 e il 2028 queste società registreranno un’ammortamento inferiore al reale per 176 miliardi di dollari, il che farà apparire i loro profitti più alti di quanto siano in realtà: secondo le sue stime, Oracle sopravvaluterà i profitti del 26,9% e Meta del 20,8% entro il 2028″. (riccardo piccolo, wired.it) Negli stessi giorni in cui Scion Capital chiudeva i battenti, un altro fondo di investimenti americano, Apollo Global Management, è diventato il nuovo azionista di maggioranza della squadra di calcio dell’Atletico Madrid. La proprietà americana ha acquisito il 55% delle azioni della società sborsando una cifra di quasi un miliardo e mezzo di euro, poca roba considerando che Apollo gestisce circa novecento miliardi di dollari di asset (la sola divisione sportiva del fondo ha una liquidità da investire a effetto immediato di cinque miliardi, uno dei quali sarà dedicato alla costruzione di una cittadella sportiva e mega-centro di intrattenimento a pochi passi dallo stadio Metropolitano di Madrid, su terreni ottenuti in concessione per settantacinque anni). Curiosamente, il lancio di stampa e le prime interviste da parte dei dirigenti del fondo Apollo sono arrivate nel giorno dell’anniversario di un altro lancio, di un altro Apollo (il 12), protagonista della seconda missione con cui la Nasa spediva degli umani sulla luna. La missione non iniziò con i migliori auspici, perché il razzo fu colpito da due fulmini nei primi secondi di ascesa, ma raggiunse poi la superficie del satellite, effettuò dei rilievi e in particolare il suo equipaggio riuscì a recuperare alcune parti della sonda robotica Surveyor 3, consentendo successive analisi senza precedenti. A seguire potete guardare la versione integrale di Le Voyage dans la lune, film fantascientifico del 1902 girato dal visionario regista Georges Méliès, considerato tra i padri del cinema insieme ai fratelli Lumière: (credits in nota 2) Nella cultura norrena il termine Ragnarǫk indica una serie di eventi catastrofici che provocheranno un’apocalisse e la distruzione dei nove mondi mitologici. Tra questi eventi vi sono varie calamità naturali, l’incendio e poi la sommersione del mondo, la caduta degli astri fino alla cancellazione totale del creato. L’arrivo dei Ragnarǫk è preceduto dal Fimbulvetr, un rigidissimo inverno lungo più di nove mesi al termine del quale il sole e la luna saranno divorati dai lupi Skǫll e Hati, che li avevano inseguiti invano fin dall’inizio dei tempi. Il buio attaccherà la luce usando fiere come il lupo Fenrir e il mostruoso serpente Miðgarðsormr, mentre una gigantesca nave costruita con le unghie dei morti guiderà le potenze delle tenebre verso la battaglia. Lo scontro tra le forze della luce e delle tenebre, in cui ogni divinità si scontrerà con la propria nemesi, non vedrà però vincitori, ma soltanto distruzione, che avrà il suo culmine nel grande incendio provocato dalla spada di Surtr, gigante del fuoco, e dall’inondazione che sommergerà tutta la vita rimasta sulla Terra, tra cui lo stesso Surtr. La fortuna della parola e del mito dei Ragnarǫk è dovuta però alla sua capacità di indicare contemporaneamente la catastrofe massima e la rigenerazione, attraverso la nascita, dopo l’inondazione, di una nuova dinastia divina e di una nuova popolazione umana discendente da Lif e Lifbrasir, una coppia di esseri umani salvatisi dalla distruzione grazie a una foresta misteriosa in cui erano riusciti a trovare riparo. La palingenesi contestuale del mondo, degli dei e dell’umanità indica la necessità di arrivare al fondo delle cose, e di purificarsi per poter rinascere. Per evitare brutte sorprese ci si dovrà ricordare che proprio mentre il mondo starà iniziando a rivivere dalle proprie ceneri, si innalzerà in cielo come un’ombra il mostro Níðhǫggr, il “drago che vola”, la “serpe scintillante”, che porterà con sé i cadaveri dei morti, a memento del male. “E ora lei si inabissa”, dice la profezia. Forse per sempre. (a cura di riccardo rosa)
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La parola della settimana. Teatro
(disegno di ottoeffe) Da un paio di settimane infuria la polemica legata all’atmosfera dello stadio Maradona, che avrebbe perso, a detta di molti, il suo tipico ardore. La questione esiste, almeno in parte, e le possibili cause sono tante. Prima di tutto il costo dei biglietti che, moltiplicato per il numero di partite (in media si gioca in casa ogni sette-dieci giorni), fa sì che molte persone tra quelle più attive e rumorose, per esempio i più giovani, rimangano spesso escluse per motivi economici; c’è il fattore turisti, che sono sempre di più e che passano la partita a farsi selfie più che a tifare, ma è difficile pensare che questo possa avere una grossa incidenza; ci sono poi regole assurde come il divieto di introdurre nell’impianto persino fumogeni colorati, e c’è la progressiva trasformazione, a cui assistiamo da tempo, dell’evento calcistico in prodotto. Lo diceva un amico in questi giorni: cliente e tifoso sono due cose diverse, anche solo perché se il primo pretende di essere trascinato dalla squadra, il secondo ha come obiettivo quello di trascinare. https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/11/defogiia.mp4 (credits in nota 1) Uno dei paragoni più usati per questa trasformazione, che in effetti avviene in molti stadi, è quello con il teatro («Questa è una curva, non è un teatro!», gridano gli ultras provando a far cantare i tifosi più mosci). Non fanno eccezione i tanti commentatori sportivi locali, a cui andrebbe ricordato, senza bisogno di scomodare l’antica Grecia, che il Globe elisabettiano era tutt’altro che un posto da serate di gala; o che nei teatri popolari dove, per esempio, si portava sul palco la sceneggiata, accadeva di tutto. Durante lo spettacolo la gente si alzava in piedi sulle poltroncine consumate. Gli avevano gridato di cantare ancora. Toglievano il cappello, a lui batteva più forte il cuore. […] Il popolo, quelli che altrimenti al teatro non ci vanno. Quando con l’ultima coltellata l’onore aveva trionfato, loro gli gridavano di colpire ancora. La punizione per il traditore, l’infame, ‘o malamente. Dopo essere stramazzato al suolo, ormai morto, il malamente si alzava. Come per una nuova energia, una nuova vita. Era quello che il pubblico chiedeva. Quello bisognava dargli. Chiedevano di colpire ancora, e al disgraziato di restare in piedi, solo per qualche minuto. Cantare. Tirare forte con quella lama. Delitto d’onore. Era una questione d’istinto. (riccardo rosa, la sfida. storia del re della sceneggiata) Giacché siamo all’autocitazione, tanto vale menzionare che qualche anno fa, nel mezzo di una polemica durissima tra gli ultras del Napoli e il presidente De Laurentiis, scrissi un pezzo su questo tema dell’atmosfera – lo ricordavo migliore, ma così va la vita. In realtà, fin da quando avevo vent’anni, mi è capitato a volte di ascoltare la partita del Napoli in radio, alle spalle della curva, ma con una compagnia abbastanza giusta per capire che non è lo spettacolo a fare il tifoso, ma il contrario. C’è poi un bel video in cui un ragazzino racconta di aver fatto un lungo viaggio per assistere alla partita della sua squadra (il Boca Juniors), e dichiara fiero che essere lì val bene l’aver dovuto vendere la sua Play Station, e la moto del suo papà. «E non abbiamo nemmeno il biglietto!», aggiunge. «Ma questo è il Boca: guarda!». Ho ripensato a quella scena in settimana, durante l’ultima partita del Napoli – anche quella abbastanza noiosa. Tra i cori, i megafoni, le bandiere e le mani alzate, avevo davanti un bambino incappellato, sulle spalle del suo papà: un piccolo tifoso di due o tre anni che ha fatto sentire la sua voce molto più di una buona parte della curva in cui eravamo. Dopo un’oretta è crollato, distrutto, e avendo dato tutto quello che poteva, si è addormentato. Chissà se a teatro avrebbe resistito. I’m only sleeping è solo su un primo livello di lettura un inno alla nota pigrizia di John Lennon, e un attacco alla frenesia del consumismo dei Sessanta – “Tutti sembrano pensare che sono pigro | Non importa | Io penso che sono pazzi loro | Correre ovunque a quella velocità | Finché non trovano qualcosa di cui non c’è bisogno”. In realtà, il pezzo è la traccia numero tre di Revolver, album scritto dai Beatles sotto la totale influenza dell’Lsd, tra amplificatori appesi a una corda, registrazioni riprodotte al contrario e volumi-guida come il Libro Tibetano dei Morti di Timothy Leary. Centrale in quel libro è un passaggio, poi citato in Tomorrow never know, in cui si consiglia di “credere nel proprio cervello”, “fidarsi dei propri compagni” e, davanti ai dubbi, spegnere la testa galleggiando verso la valle. I quattro Beatles avevano in quel periodo una certa esigenza di spegnerla, la testa, dopo il disastroso tour dell’estate del ’65, durante il quale folle urlanti e in delirio avevano reso frustrante ogni esibizione musicale. Un ultimo tentativo era stato fatto sei mesi dopo, ma dopo le tappe invernali la band aveva comunque deciso di scrivere un disco (Revolver, appunto) che non avrebbe potuto essere riprodotto dal vivo. A fargli cambiare idea non erano servite, evidentemente, le serate di Glasgow, Liverpool e Newcastle. In teatro. Non a tutti sta bene come Macciardi ha deciso di iniziare il suo mandato al Teatro San Carlo di Napoli. Qualcuno, in più di un’occasione, avrebbe usato questa frase: “Sono entrata da padrona, mica posso uscire da cameriera”. […] Il riferimento è alla minaccia di “spoil system” che […] l’ex sovrintendente del Comunale di Bologna avrebbe paventato. Un’operazione che potrebbe cambiare i ruoli di molte figure finite nella nostra inchiesta, e che in questi anni hanno goduto di compensi alti, spesso considerati poco regolari anche dal ministero dell’economia. Le storture sono anche di ordine “figliettistico”: l’attuale direttore artistico delle Officine Vigliena, per esempio, è il figlio della Direttrice Generale Spedaliere. E per alcune delle persone coinvolte c’è ora aria di “pensionamento anticipato”. (riccardo canaletti, mowmag.com) a cura di riccardo rosa Post Scriptum: mi sono chiesto in questi mesi se ai protagonisti del poco edificante “San Carlo-Gate” sia noto questo intervento di Eduardo De Filippo che raccontava, nella sua ultima apparizione pubblica, la dedizione, il sacrificio, la sofferenza necessari per questa nobile arte. «Così si fa il teatro», concludeva lapidario. «E così ho fatto». 
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parola della settimana
La parola della settimana. Fuoriclasse
(disegno di ottoeffe) O’ Ge’, nun chiagnere: ‘o nonno fotte pure ‘a morte. Appena ‘a sente ca sta pe’ arriva’, ‘o nonno se ne va. Se ne va e nun se fa truva’. (napoli centrale, ‘o nonno mio) C’è stato un periodo, persino in questo medievale paese, in cui anche artisti o scrittori famosi e di successo, che si muovevano nel mainstream del mercato culturale, prendevano posizioni estreme e scomode, rivoltando da capo a piedi il dogma con un disco, raccontando la democrazia come privilegio di classe, denunciando sul principale quotidiano italiano i mandanti di un colpo di Stato portato avanti a suon di bombe. Per poterlo fare, naturalmente, la politica, o quantomeno il mercato, dovevano trovarci una convenienza, il che vuol dire che quella roba doveva essere fatta con una qualità sopra la norma. Un romanzo buono ma innocuo è preferibile per un editore a uno buono ma dirompente, altrimenti d’altronde non ci sarebbero così tanti scrittori scarsi famosi. Il problema sorge quando c’è da scegliere tra una cosa buona ma innocua e una eccezionale ma che ti può portare grane. È così che certe cose, a volte, passano. Ma per farle passare ci vogliono i fuoriclasse.   (credits in nota 1) È morto mercoledì a ottant’anni James Senese, strumentista fuoriclasse, uno dei più grandi sassofonisti italiani della musica contemporanea, proletario nato in una periferia napoletana che all’epoca era un paesino di campagna, dalla relazione tra sua madre e un soldato afroamericano tornato in patria poco dopo la sua nascita («Avrà avuto le sue ragioni», rispondeva il sassofonista a chi gliene chiedeva conto). Senese era al primo impatto disturbante (un suo esilarante ritratto emerge nella stranota scena di No grazie, il caffè mi rende nervoso): nel suo modo di porsi, nelle movenze, nella lingua che usava. Era difficile, da questo punto di vista, capire se avesse difficoltà con l’italiano – così come gli dice proprio Arena – o se semplicemente non gli interessava comunicare in una lingua che non sentiva sua. Durante un’intervista che rilasciò qualche anno fa a Marzullo (non si sa perché, ma la Rai l’ha rimossa da Youtube…) passò due-tre minuti a contraddire l’intervistatore che lo definiva “italo-americano”. Quando Senese è morto sono andato a rivedermi Harlem Meets Napoli, documentario cult della Rai che racconta l’esibizione di una buona parte dei fuoriclasse del Neapolitan Power al fianco di James Brown, dei Temptations, di Lester Bowie (che a un certo punto dice: «Sentiamo che a Napoli sta accadendo una rivoluzione musicale…»), e di altra gente di questo calibro. Prima di allora, a quanto pare, a nessun musicista bianco non statunitense era stato concesso di suonare all’Apollo Theatre di Harlem. Al di là della musica, nel documentario sono esilaranti le scene del viaggio, e in particolare quelle che si svolgono a tavola, sempre in dubbie trattorie e ristoranti. Questa è la mia preferita: (credits in nota 2) Se è vero che la classe si esprime su tanti livelli, la politica non fa eccezione. È anche quella un conflitto costante, per dirla alla Nietzsche, tra Apollo e Dioniso, o tra ragione e sentimento se preferite (cfr. Nazionale, 1997). La settimana scorsa una ventina di attivisti napoletani l’ha fatta sotto al naso alla polizia, introducendosi con una elaborata strategia (pagando il biglietto!) in un padiglione della Mostra d’Oltremare – spazio pubblico di proprietà del comune di Napoli – dove si svolgeva la fiera farmaceutica Pharma Expo. Il gruppo si è avvicinato allo stand dell’azienda israeliana Teva – multinazionale che supporta con azioni concrete il regime sionista e il suo esercito –, mentre alcuni esponenti del gruppo Sanitari per Gaza leggevano una lettera di denuncia e di incitamento al boicottaggio. Una volta conclusasi la contestazione, mentre gli attivisti stavano uscendo dalla Mostra, tre di loro sono stati arrestati, condotti in questura e poi in carcere, dove hanno passato tre notti e tre giorni. Le accuse di resistenza e violenza appaiono grottesche, anche perché nei video si vede benissimo che nessuno tra i manifestanti commette alcuna azione illecita. Ancora più assurdo, oltre all’insensatezza di tenere in carcere tre persone che non hanno fatto nulla, è il fatto che una volta rilasciati i tre attivisti siano stati sottoposti all’obbligo di firma per tre volte a settimana. La misura sembra essere stata assegnata in via del tutto strumentale, vista la scelta del pm di non svolgere un processo per direttissima che avrebbe portato a una immediata assoluzione degli imputati e spostato il focus sulle violenze, l’arresto arbitrario e le ricostruzioni della polizia. Ora, se fossi un giornalista di Fanpage o un esponente di un partito di sinistra direi che “l’aria che c’è in giro non mi piace per niente”, e che “stiamo vivendo una fase politica molto delicata”, che “è necessario vigilare sulla democrazia a rischio”. In realtà, succede semplicemente che essendoci un governo di destra, che legifera e agisce in una certa direzione, polizia e magistratura si sentono più tranquilli nel fare quello che più gli piace fare, ovvero esercitare senza limitazioni, e se possibile regole, il proprio potere. Se fossi un maestro elementare, invece, ora mi auto-assegnerei un 4, perché sto andando fuori traccia. Quindi metto un disco dei Napoli Centrale e mi preparo per andare a Materdei a sistemare le ultime cose di Arte contro le pene capitali. Dormono ‘e schiave d’o faraone sazie d’aglie, sazie ‘e fatica, mentre ‘e piramide s’alzano ‘o cielo ca cielo nun è. […] Dorme ‘o surdato ‘ngrassanno ‘a terra, speranno ca almeno chesta fosse l’ultima guerra. Nun ce penza’, statte tranquillo: dimane ‘sta terra a ‘ngrassa pure a tuo figlio. (napoli centrale, ‘o lupo s’a mangiato ‘a pecurella) a cura di riccardo rosa __________________________ ¹ Franca Rame in: Lo Stupro, Fantastico 8 (Rai 1, 1986-87) ² James Senese, Tullio De Piscopo e Tony Esposito in: Harlem meets Napoli, di Ruggero Miti (1987)
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parola della settimana
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La parola della settimana. Macchina
(da: crash, di david cronenberg) E la macchina sia alleata non nemica ai lavorator. (l’internazionale, versione italiana) Per varie ragioni, negli ultimi tempi, ho letto un po’ di cose sul rapporto tra l’uomo e la macchina. Così venerdì sono andato a rivedermi Crash, il film di Cronenberg forse più angosciante. L’avevo visto una sola volta, una vita fa, durante un corso di Storia e critica del cinema all’Orientale, e mi aveva colpito, complice l’atmosfera sepolcrale delle Mura Greche, il suo nichilismo visionario senza scampo. Quegli uomini e donne che si trascinano nella metropoli, capaci di trovare uno slancio solo verso la morte e attraverso la penetrazione-lacerazione, oggi mi sembrano invece molto plausibili, ancorati alla realtà, più contemporanei ancora dei personaggi di un altro film di C. più recente, che ho amato molto, e che racconta tra le altre cose il farsi esibizione di questo rapporto tra il taglio e l’erotico («La chirurgia è il nuovo sesso»). Quando costruiamo delle macchine è come se fosse la nostra versione del corpo umano. Nel senso che il corpo umano è una macchina. È quello che William Burroughs ha chiamato “the soft machine”. È interessante perché quando apri una macchina vedi la mente dell’uomo che l’ha progettata. […] Mi piace molto lavorare sui motori delle moto e delle auto. In questo modo hai l’intera storia dell’uomo, la tecnologia, il design, la razionalità. […] È un’avventura filosofica lavorare su una macchina. (david cronenberg intervistato da enrico ghezzi per fuori orario, 1988) (credits in nota 1) Alla sua uscita, non capendoci molto, tanti critici bollarono Crash come una sorta di techno-porno. A Londra l’uscita della pellicola fu vietata per molti mesi, in Italia la Repubblica pubblicò due articoli violentissimi firmati da Irene Bignardi. So che i critici italiani hanno scritto che Crash era pornografia ma, guardando film pornografici non mi sembrava che avessero nulla a che vedere con il mio. Forse il problema è strutturale: può darsi che non abbiano mai visto un film che apre con tre scene di sesso e che non sia un porno. È vero che in Crash sono le scene erotiche a portare avanti la narrazione, come nel cinema porno, ed è vero che quelle scene si possono descrivere molto semplicemente come: gente a letto che si dice porcherie e poi ha grossi orgasmi. Ma mi sembra che il modo in cui le scene sono costruite, funzionano nel film e in quello che dicono sia tutto diverso da un film porno. (david cronenberg intervistato da giulia d’agnolo vallan per il manifesto, 1996) Chissà se Cronenberg ha mai conosciuto Carmine Attanasio, o se ha mai saputo che nel novembre di quello stesso anno il leader dei Verdi napoletani propose un ordine del giorno in consiglio comunale per vietare la pellicola anche in Italia. Lo firmarono diciotto consiglieri di Alleanza Nazionale e Rifondazione Comunista, ma l’interpellanza non passò.   Sono in molti, a quanto sembra, a temere un immaginario fatto di violenti urti di carrozzeria e corpi cicatrizzati, post-organici. E l’onda di disgusto si propaga con rapidità: dall’Inghilterra (il film è in attesa di visto), alla pudica America (che rimanda la sua uscita), il “testimone censorio” passa, a sorpresa, a Napoli. Sì, proprio a Napoli, città-modello delle giunte di sinistra. Che si risveglia in un ventoso giorno di novembre stringendo in mano un’interpellanza comunale […] che chiede di bloccare la pericolosa pellicola girata da Cronenberg. Prima ancora che circoli e sia vista, naturalmente. Per pura prevenzione sociale. (arianna di genova, il manifesto) Qualche giorno fa, passeggiando a sera molto tarda per il mio quartiere e attraversando alcuni dei suoi angoli più reconditi, mi sono reso conto della quantità di gente che di notte dorme in macchina, come tra l’altro il personaggio più assurdo e affascinante di Crash («Vivi qui?». «No, io vivo in macchina. Questo è il mio laboratorio»). Il giorno dopo abbiamo pubblicato su Monitor questo articolo molto preciso sulla tragedia di quei tre fratelli che si sono barricati nella loro casa e poi l’hanno fatta esplodere, uccidendo tre carabinieri e innescando contemporaneamente gli ingranaggi di un’altra macchina, molto ben rodata. La notizia, per i giornalisti italiani, non sta nella crisi sociale che il paese sta vivendo attorno a sfratti e sgomberi, specialmente, e sempre più spesso, ai danni di persone anziane. Giusto alcuni casi recenti: 8 ottobre 2025, Sesto San Giovanni (Milano): settantunenne si lancia dal sesto piano mentre l’ufficiale giudiziario notifica lo sfratto; lascia biglietto (“Non ce la faccio più”). 15 maggio 2019, Torino (Palazzo di Città): Dipendente comunale sessantatreenne si uccide nella sede municipale; aveva subito uno sfratto esecutivo. 16 luglio 2015, Genova (Sestri Ponente): Si getta dalla finestra “a causa dello sfratto”. 19 dicembre 2013, Torino (quartiere Parella): cinquantenne si impicca al balcone; in tasca l’ingiunzione di sfratto da eseguire entro trenta giorni. La vera notizia, a quanto pare, sono i funerali di Stato per i tre carabinieri morti sul lavoro, diventati eroi al pari dei loro colleghi caduti nella lotta alla mafia. Sia chiaro che il sacrificio individuale di chi perde la vita nell’adempimento del dovere merita un rispettoso riconoscimento dallo Stato e da tutti. Tuttavia, trasformare gli esecutori di uno sgombero ai danni di tre contadini semianalfabeti in martiri della legalità, senza alcuno sguardo critico sul contesto, significa spostare il discorso sul piano liturgico, rendendolo impermeabile a ogni analisi, rassicurante, funzionale allo status quo. (antonio malatesta, napolimonitor.it) Nonostante le ripetute rassicurazioni da parte del sindaco di Napoli e dei suoi assessori, le famiglie dell’ex Motel Agip di Secondigliano, sfrattate dall’edificio comunale e abbandonate, sono ancora in strada senza aver ricevuto nessuna proposta alternativa se non la solita elemosina in denaro, in una città in cui il mercato immobiliare impone il possesso di ben altre cifre, e soprattutto garanzie, per potersi assicurare un tetto. Contestato nel corso di un’iniziativa pubblica, il sindaco ha definito le persone che protestavano – molti ex abitanti dell’edificio e un gruppo di solidali − “professionisti della protesta”. Personalmente, l’arroganza e l’indifferenza politica dell’ex rettore mi disgustano quanto gli strali dei tanti che stanno strumentalizzando questa vicenda in vista delle elezioni regionali di novembre, mentre estrema tenerezza provo per quelli che già si stanno allineando verso un “fronte delle sinistre”, al fine di tirare la volata all’improponibile ricandidatura a sindaco dell’ex magistrato vomerese che già abbastanza danni ha fatto alla città in dieci anni di governo. a cura di riccardo rosa
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parola della settimana
La parola della settimana. Gufo
(disegno di ottoeffe) – Cucù! – Chi è? – Sono il gufu, che veglia nella notte, e ti ricorda l’appuntamento di domani. – Grazie gufu, ma c’ho l’agenda del cuore sulla quale ho scritt’ che domani vedrò il mio amat’. – Vabbè, comunque: Cucù! Visto che veglio nella notte, tanto vale che ti ricord’ gli appuntamenti. – Ma gufo, gufo di merda, non ce l’hai una casa? – La mia casa è l’amore e la riscalda il cuore degli amanti! – Maledizione a me e a quando ho deciso di vivere in campagna. (brunello robertetti, un poesie) Da qualche settimana, di notte, dalla mia stanza da letto, si sente uno strano rumore, un po’ diverso dal classico cuu-huu-hu di un gufo, ma nemmeno troppo. Dalle mie parti c’è un po’ di verde, una collina poco distante, ma l’impressione è che l’animale si nasconda piuttosto tra i pannelli solari del tetto di pertinenza, o più semplicemente che qualche condomino lo stia allevando a botte di topi e piccioni. Da ragazzino andavo spesso al mare, con alcuni amici, dalle parti del Fusaro. Non sfioravamo neppure la bellezza della Casina Vanvitelliana, né del lago dove si possono pescare con un po’ di fortuna pesci non troppo comuni. Ci dirigevamo invece con lunghe camminate dalla stazione della Cumana verso una spiaggia isolata, popolata da uomini un po’ strani, tra cui un venditore ambulante con una malformazione sotto lo sterno a forma di frutto, che si diceva essere una pera, ingoiata intera e rimasta letteralmente sullo stomaco al malcapitato. “Ora, veder cose che non posso comprendere, procurarmi cose impossibili ad aversi, questo è lo scopo della mia vita. Vi giungo con due mezzi: il denaro e la volontà… […] Così, per esempio, vedete questi due pesci nati, l’uno a cinquanta leghe da Pietroburgo, l’altro a cinque leghe da Napoli. Non è dilettevole il poterli riunire sulla stessa tavola?”. “Quali sono dunque questi pesci?”, domandò Danglars. “Ecco qua, il signor Chateau-Renaud, che ha abitato in Russia, vi dirà il nome dell’uno, e il signor maggiore Cavalcanti, che è italiano, vi dirà il nome dell’altro”. “Questo qui – disse Chateau-Renaud – è, credo, uno sterlet”. “E questo qua – disse Cavalcanti – una lampreda, se non sbaglio”. “Ora, signor Danglars, domandate a questi due signori ove si pescano questi due pesci…”, disse Montecristo. “Ma – disse Chateau-Renaud – gli sterlet si pescano soltanto nel Volga”. “E io – disse Cavalcanti – non conosco che il Fusaro che fornisca lamprede di questa grossezza”. “Ebbene, precisamente! L’uno viene dal Volga e l’altro dal lago del Fusaro”. “Impossibile!”, gridarono a un tempo tutti i convitati. “Ecco appunto ciò che mi diverte”, disse Montecristo. “Io sono come Nerone, desidero l’impossibile”. (alexandre dumas, il conte di montecristo) Ai margini di questa spiaggia sulla quale ogni anno passavamo buona parte del mese di giugno, c’erano delle vecchie palazzine a due piani diroccate. Non saprei spiegare il perché, ma nostro divertimento era entrare lì dentro e continuare a sfasciarle tirando contro i muri i mattoni che trovavamo per terra, qualche volta ferendoci, e finendo in altre persino all’ospedale. Un giorno ci accorgemmo che un gufo era rimasto imprigionato con una zampa in una fessura, e dando vita a uno spettacolo decisamente macabro pendeva a testa in giù, lamentandosi con un verso molto simile a quello che ogni notte oggi sento fuori dal balcone di casa. Salire a liberarlo era impossibile, perché non c’erano più scale né muri a cui arrampicarsi, e così la nostra idea fu quella di lanciare pietre più vicino possibile al suo corpo, per rompere il mattone in cui era rimasto impigliato e salvarlo. Il rischio di lapidarlo era calcolato, e il nostro alibi morale era che se lo avessimo lasciato lì se lo sarebbero mangiato i topi entro pochi giorni. Passammo ore in questa attività senza ottenere alcun risultato, poi abbandonammo l’animale al suo destino, dispiaciuti per non essere riusciti a salvarlo, ma forse un po’, almeno in qualche angolo recondito del nostro sadico cuore, anche di non averlo colpito. https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/10/kill-short.mp4 (credits in nota 1) Non conosco personalmente Gennaro Gattuso, ma mi è sinceramente antipatico. Non sopporto quella sua retorica da uomo tutto d’un pezzo, da contadino del Sud con i valori d’una volta, e quell’atteggiamento “forza e onore” che è facile sbandierare quando vivi tra i privilegi, che per carità, si sarà pure conquistato sul campo, anche se mi sarebbe piaciuto vedere la sua reazione quando Gazza Gascoigne, in Scozia, durante uno dei suoi primi allenamenti con i Rangers di Glasgow, gli cagò nei calzettoni. Gattuso, che come allenatore ha sempre fatto pena (fatta eccezione per qualche piccolo successo tra cui una Coppa Italia vinta in tempi di Covid con il Napoli titolato più brutto di sempre), oggi allena la nazionale italiana, e dispensa perle da vecchio uomo di valori – di norma ripete questa parola ogni due o tre frasi – a ogni intervista. L’altro ieri, tra una banalità e l’altra sul “dobbiamo pensare alla nostra partita”, ha detto che sperava che nella gara tra Israele e Norvegia succedesse “qualcosa di fantastico”, che poi se ho capito bene sarebbe stata la vittoria di Israele (inutile dire che i vichinghi hanno asfaltato gli israeliani per cinque gol a zero).  Ora, al netto del fatto che nell’ultimo mese la nazionale italiana ha giocato e giocherà una seconda volta contro uno Stato che sta commettendo un genocidio da due anni, e che nelle ultime quarantotto ore sta continuando a uccidere decine di civili nella Striscia nonostante la tregua sottoscritta in vista degli accordi di pace; al netto del fatto che in questo mese Gattuso non ha trovato nulla di più intelligente da dire che “dobbiamo giocarla la partita con Israele, altrimenti perderemo a tavolino”; e al netto del fatto che per Italia-Israele di mercoledì sono previste dure contestazioni a quest’evento che di sportivo non ha e non può avere nulla; e al netto del fatto che si è a lungo vociferato di un coinvolgimento del Mossad nella gestione della sicurezza dell’evento… al netto di tutto ciò, a me hanno insegnato che per uno sportivo non c’è niente di meno elegante che “gufare”, ovvero contare su una sconfitta altrui per ottenere una vittoria. È una cosa che – bando ai moralismi – può capitare, ma che bisognerebbe almeno avere il buon senso di tenersi per sé, soprattutto se si è un allenatore professionista, se ci si fa vanto di rappresentare un paese, se ci si propone come “uomo tutto d’un pezzo” e soprattutto perché francamente di questi tempi sperare che Israele vinca anche solo una partita di calcio è veramente un’indecenza. Personalmente, l’unico risultato che auspico è che a Udine mercoledì ci sia tanto di quel casino da costringere all’annullamento della partita. “Io – proseguì poi don Mariano – ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità e ci riempiamo la bocca di dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, che mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancora più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi… E ancora più giù: i pigliainculo, che vnano diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, chè la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre…”. (leonardo sciascia, il giorno della civetta) a cura di riccardo rosa __________________________ ¹ David Carradine in: Kill Bill volume 2, di Quentin Tarantino (2004)
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parola della settimana
La parola della settimana. Cardinale
(claudia cardinale in una foto del 1963) Quando ride, i suoi occhi diventano due fessure nere, scintillanti con qualche cosa di monellesco, di scatenato, di intenso, di meridionale. (alberto moravia descrive claudia cardinale) È morta martedì, a ottantasette anni una straordinaria interprete e senza ombra di dubbio la più bella attrice della storia del cinema italiano. Della carriera di Claudia Cardinale si sa tutto, dei Nastri d’argento e dell’Orso d’oro alla carriera, delle infatuazioni artistiche e maschili di Fellini e Mastroianni, De Sica e Leone, così come del suo impegno femminista e a fianco dei bambini e dei malati di Hiv. Meno nota, almeno ai non cinefili, la sua storia personale. Cardinale era nata nel 1938 a La Goletta, protettorato francese in Tunisia, dove i suoi nonni (palermitani e trapanesi) erano scappati dalla Sicilia allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Fino ai sedici anni non ha parlato una parola d’italiano, dal momento che in famiglia si parlava solo in siciliano e infatti la sua prima apparizione fu in un cortometraggio franco-tunisino del ’56, che raccontava come le donne tunisine, negli anni della conquista dell’indipendenza, si erano unite e avevano raccolto i propri pochi gioielli per venderli e permettere ai mariti pescatori di acquistare piccole barche, dal momento che i grandi imprenditori francesi con i loro pescherecci se l’erano squagliata. Vabè se proprio te lo devo dire: fisicamente non sei fatta male. Ma non esageriamo, non sei la Cardinale! E non sopporto che lo fai notare con quel tuo modo, ti prego, di camminare! (vasco rossi, vabè se proprio te lo devo dire) Dopo quell’esperienza la giovanissima Claudia (anzi Claude, il suo nome all’anagrafe) si trasferì in Italia, ma ritornò in Tunisia poco dopo, avendo scoperto di essere rimasta incinta in seguito a una violenza sessuale subita. Decise di tenere con sé suo figlio e di non rivelare mai il nome del stupratore. Partì per l’Inghilterra con l’aiuto del produttore Franco Cristaldi (con il quale avrà poi una relazione, logorata alla lunga dal fatto che lui fosse sposato e che il divorzio fosse ancora illegale) e nascose a tutti, tranne che ai suoi genitori, la gravidanza. Tenne celato il segreto per sette anni, anni in cui il figlio fu cresciuto in famiglia “come un fratello minore”, fino a quando raccontò tutto in una intervista a Enzo Biagi, pubblicata poi su Oggi e su L’Europeo. https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/09/cardi-1.mp4 (credits in nota 1) Si fanno sempre più insistenti i rumors sulla possibile cessione del Milan dal magnate Gerry Cardinale alla famiglia Steinbrenner, proprietaria della squadra Nba dei New York Yankees, società con un patrimonio di circa sette miliardi di dollari. Anche Gerry, come Claudia, ha origini italiane da parte di nonni (napoletane il padre e abruzzesi la madre, imparentata pare con D’Annunzio), ma non si trovano molte notizie su come la sua famiglia si sia fatta strada negli Stati Uniti. Lui ha studiato ad Harvard e poi ad Oxford, ha lavorato a Goldman Sachs e poi ne è diventato partner. Ha creato un fondo di investimenti e attraverso quest’ultimo ha acquistato quote di varie compagini sportive, tra cui il Liverpool e gli stessi Yankees. Nella sua gestione certo non memorabile (finora: i miei amici milanisti di fantacalcio sono sicuri che con Allegri in panchina e il Bebote in avanti i rossoneri possano puntare al Triplete), Cardinale ha costituito un fronte con il presidente dell’Inter Marotta, per scardinare gli ostacoli che gli impediscono una mega-speculazione sul fronte stadio. Mentre scrivo mi è tornato in mente che qualche settimana fa, dopo una pessima partita dei nerazzurri, Marotta si fiondò davanti alle telecamere, prese di forza i microfoni della Rai («C’è il presidente che vuole fare un annuncio su un argomento molto serio») e avviò un patetico comizio su come lo Stato sia freno allo sviluppo dell’economia e su come gli imprenditori stranieri si rifiutino di investire nel nostro paese per colpa delle tasse e della burocrazia. A seguire potete trovare due articoli pubblicati su Monitor che spiegano come stanno veramente le cose: Le mani sulla città. Il quartiere San Siro e il modello Milano (giugno 2021) Milano, grande capitale e privato sociale all’attacco di San Siro (settembre 2022) …e l’estratto di un testo più recente pubblicato dal Comitato Salviamo San Siro, come chiamata a una manifestazione svoltasi questa mattina al Parco dei Capitani: La delibera per la vendita dello stadio San Siro e delle aree circostanti è approdata ieri a Palazzo Marino, ma il voto è stato rinviato a lunedì 29 settembre. Non un rinvio qualsiasi: in quella data il consiglio si riunirà in seconda convocazione, e basteranno appena quindici consiglieri per rendere valida la seduta e approvare il provvedimento. Un escamotage voluto dal sindaco Beppe Sala per far passare, a tutti i costi, l’operazione più contestata degli ultimi anni: la svendita di San Siro ai fondi legati a Inter e Milan. […] La tensione a Palazzo Marino è stata altissima. La vicesindaca Scavuzzo è stata fischiata dopo la presentazione della delibera. Le opposizioni hanno denunciato irregolarità nelle procedure: la delibera è stata considerata “licenziata” dalle commissioni anche se non tutte avevano terminato l’esame […]. Era stata anche tentata una sospensiva, respinta dalla maggioranza, che avrebbe permesso di studiare meglio il testo ed evitare l’abbassamento del numero legale. La vera posta in gioco è la speculazione edilizia. Al di là della retorica sul nuovo stadio, la realtà è chiara: i fondi interessati non mirano alla riqualificazione dell’impianto, bensì alla sua demolizione per liberare un’area enorme da trasformare in una colossale operazione immobiliare. Un’operazione che rischia di cancellare non solo un simbolo della città, ma di consegnare ai privati un pezzo di patrimonio collettivo, spalancando la strada a una speculazione edilizia senza precedenti. (comitato salviamo san siro, 26 settembre 2025) Claudio è mezzo fascio e tifa la Lazio, fa feste da paura nella casa a Capalbio. Flaminia fa la squillo a Collina Fleming l’hanno vista col maestro di tennis. Giulio si atteggia come un criminale ma c’ha lo zio che fa il cardinale. Vittoria invece studia alla LUISS e spaccia coca nei momenti bui. (il pagante ft. carl brave, la grande bellezza) a cura di riccardo rosa __________________________ ¹ Claudia Cardinale in: Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata, di Luigi Zampa Tarantino (1971)
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parola della settimana
La parola della settimana. Via
(disegno di ottoeffe) E affacciati alle loro finestre nel mare tutti pescano mimose e lillà. E nessuno deve più preoccuparsi di via della Povertà. (fabrizio de andrè, via della povertà)  Siccome non avevo di meglio da fare, venerdì sera mi sono messo a cercare sui siti internet istituzionali la VIA – Valutazione di impatto ambientale per la Coppa America a Napoli. I lavori a Bagnoli stanno per cominciare e nella zona della colmata si respira un certo fermento, ma della VIA non c’è traccia (in compenso è stata da poco pubblicata una assai meno utile VI, a cui in fondo manca solo la A, ovvero Valutazione di incidenza delle opere sul contesto circostante). La Valutazione è un curioso Pdf di cento pagine che spiega nel dettaglio gli interventi previsti, dall’installazione dei pontili galleggianti alla barriera di scogli soffolta, che secondo diversi biologi avrà effetti devastanti sull’ecosistema marino della baia (è bene sottolineare sempre che il mantenimento della colmata promosso dalla ditta Meloni-Manfredi impedirà il ripristino della morfologia di costa e la rinascita di una grande spiaggia libera, che in trent’anni di dure battaglie gli ex operai, gli ambientalisti, i comitati territoriali, le associazioni del quartiere erano riusciti a imporre non in un solo piano, quello De Lucia, ma addirittura in due, considerando il famoso Praru* poi smantellato dal gatto e la volpe di cui sopra). Nonostante le rassicurazioni – le parole più usate nel documento sono “bassa” e “trascurabile”, ma mai “nulla”, rispetto all’incidenza delle attività di progetto su flora e fauna del luogo – sembra che oltre a svariate varietà di piante e fiori, a farne le spese saranno gli animali, tra cui la tartaruga Carretta Carretta e il Gabbiano Reale (il documento sostiene che tutti gli animali che andranno via sicuramente torneranno, e la cosa fa pensare un po’ ai terremotati che in questi mesi stanno lasciando il quartiere; ma questa è un’altra storia). Le attività di cantiere, a causa del rumore prodotto dai macchinari e mezzi e dalla loro presenza in situ, determinano un impatto diretto sulle specie ornitiche che frequentano la fascia costiera con conseguente loro allontanamento. L’impatto risulta a carico delle specie dell’avifauna prevalentemente marina le quali potrebbero dirigersi verso aree costiere che risultano meno disturbate o subire un’interferenza con il loro ciclo ontogenetico. (valutazione di incidenza – 38th America’s Cup Louis Vuitton) I gabbiani, lo sapete anche voi, non vacillano, non stallano mai. Stallare, scomporsi in volo, per loro è una vergogna, è un disonore. Ma il gabbiano Jonathan Livingston – che faccia tosta, eccolo là che ci riprova ancora, tende e torce le ali per aumentarne la superficie, vibra tutto nello sforzo e patapunf stalla di nuovo – no, non era un uccello come tanti. (richard bach, il gabbiano jonathan livingston) Chissà se il segreto è non vacillare, non essere un uccello come tanti, o alla fine, come a Jonathan Livingston, questo ci si ritorcerà sempre contro. Ci pensavo l’ultima volta che sono stato sul Pontile Ferdi, un posto noto ai bagnolesi come la Sala pompe, perché nell’edificio che vi si trova erano ospitati i macchinari per il trasporto dell’acqua utilizzata nel processo di produzione industriale dell’acciaio. (la sala pompe in una foto degli anni sessanta) Attraversando quel che resta della Sala pompe, e destreggiandosi tra i relitti arrugginiti, ci si trova davanti uno spettacolo incredibile, soprattutto al tramonto. Siamo in uno dei posti più suggestivi del quartiere, sicuramente il più silenzioso, molto meglio del più noto Pontile Nord sempre affollato di runner e di persone che vogliono godersi il panorama. Un posto che non di rado riserva sorprese, come una volta in cui ci trovai a riflettere un amico che vive e lavora dall’altra parte della città o un fotografo che tra le rovine faceva uno shooting a delle adolescenti del quartiere. La Sala pompe si appresta a breve a una scenografica e tragica fine. La demolizione dell’impalcato avverrà tramite tagli controllati con filo e disco diamantato, che consentiranno di suddividerlo in blocchi gestibili per il sollevamento e la movimentazione con gru. I pali di fondazione saranno tagliati alla base e rimossi con autogrù, con l’ausilio di attrezzature subacquee nei tratti sommersi per assicurare precisione e pulizia delle operazioni. (valutazione di incidenza – 38th America’s Cup Louis Vuitton) Piante, gabbiani, tartarughe e pontili. Sgomberati, sfollati e lesionati. Affittuari allo stremo, commercianti a basso reddito, attività storiche. Fiori azzurri e tempi grigi. Via di qui. Via via, vieni via di qui. Niente più ti lega a questi luoghi, neanche questi fiori azzurri. Via via, vieni via con me. Neanche questo tempo grigio, pieno di musiche e di uomini che ti son piaciuti. (paolo conte, via con me) Quando ero bambino mio zio portava spesso me e i miei fratelli in giro in macchina per Napoli, a farci vedere le vedute più belle del golfo dalle strade panoramiche. Non di rado si fermava all’improvviso a chiedere, per lo più a persone anziane, indicazioni per strade assurde, tipo “via Gianfranco Zola” o “via vecchia Tom e Jerry”, e giù risate dai sedili posteriori. Oggi che pure c’è Google Maps e la gag ha quindi perso buona parte del suo significato, c’è un ragazzo che fa lo stesso accumulando migliaia di follower sui social, me incluso. Avevo un dubbio a un certo punto su quale parola scegliere per questa settimana, poi, una notte che non dormivo, su Canale21 stavano trasmettendo Delitto in Formula 1 di Corbucci, con Tomas Milian e Bombolo. A un certo punto proprio Bombolo, che interpreta il tuttofare Venticello, deve mettere al sicuro la famiglia dell’ispettore, che lo incarica di portare tutti a Frascati, dalla suocera, la signora Proietti, alla via dei Santissimi Martiri. https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/09/milian.mp4 (credits in nota 1) a cura di riccardo rosa __________________________ * Programma di Risanamento ambientale e Rigenerazione urbana ¹ Tomas Milian e Bombolo in: Delitto in Formula 1, di Bruno Corbucci (1984)
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parola della settimana
La parola della settimana. Carte
(disegno di ottoeffe) All’angolo di via delle Zoccolette, sotto la pioggia, il Riccetto vede un gruppo di persone, e piano piano ci si accosta. In mezzo al gruppo di tredici o quattordici persone e gli ombrelli lucidi, era aperto un ombrello più grande del comune, nero, con sopra messe in fila tre carte, l’asso di denari, l’asso di coppe e un sei. Le mescolava un napoletano e la gente puntava sulle carte cinquecento, mille e anche duemila lire. Il Riccetto se ne rimase lì per una mezz’oretta a guardare. Un signore, che giocava accanito, perdeva a ogni puntata, mentre degli altri, napoletani pure loro, ora perdevano e ora vincevano. Quando quel primo treppio si sciolse, era già verso tardi. Il Riccetto s’accostò al napoletano che stava a mescolare le carte e gli fece: – Aòh, permetti na parola? – Sì. – rispose l’altro allungando la scucchia. – Che sei de Napoli? – Sì. – Sto ggioco ‘o fate a Napoli? – Sì. – E come se fa sto ggioco? – Mbè… è difficile, ma in un po’ de tempo se impara. – ‘O impari pure a mme? – Sì. – fece il napoletano, – ma… Si mise a ridere con l’aria di uno che sta combinando un affare e pensa fra di sè: «Aòh, mettèmise d’accordo, che t’ho da ddì!». S’asciugò la faccia bagnata di pioggia, giovane e tutta rugosa, coi labbroni che gli pendevano a culo di gallina. Guardò il Riccetto negli occhi. – Mbè te lo imparo, come no, – disse lui, visto che l’altro taceva, – ma vojo na ricompenza. – Come no, – rispose serio il Riccetto. Ma intanto intorno all’ombrello stava per formarsi un nuovo gruppo di persone; tra questi c’erano sempre i napoletani di prima. (pier paolo pasolini, ragazzi di vita) Anna Paola Merone è una storica giornalista del Corriere del Mezzogiorno. Si occupa di cronaca, ma soprattutto – parafrasando il titolo di un vecchio rotocalco del Tg2 – di “costume e società” (qui un suo imperdibile ritratto dal sito Iustitia.it): nella storia restano alcune sue rubriche, come quella sugli amori di personaggi influenti della città – per capirne il tenore si possono trovare qui i nomi, anche senza dover leggere gli articoli. (da: corrieredelmezzogiorno.corriere.it) Da un po’ di anni Merone detta le linee di buon gusto e di bon-ton attraverso fulminanti storie su Instagram, esprimendosi lapidaria e frizzante con brevi pillole. “Burraco? No! Ma nemmeno ramino, gin, rubamazzo, scopa o scopone!”. (anna paola merone) Comincia con questa denuncia il breve video pubblicato dalla cronista sul social network, video che lancia il suo articolo su quella che per una parte di Napoli è stata, per tutta la settimana, “la notizia del giorno”: Il circolo Posillipo di Napoli mette al bando le carte. Il verbale dell’ultima riunione del Consiglio […] parla chiaro e con severità stigmatizza e condanna il gioco. È deciso che nei saloni del circolo anche una partitella a carte non sarà tollerata. Una scelta che sorprende, dal momento che i circoli sono, storicamente, luoghi dove i soci si dilettano in sfide che comprendono anche le carte. Non sono certo bische — anche se le cronache cittadine in passato hanno riportato racconti di blasonati sodalizi dove gli equilibri erano scivolati e dove si giocava non per diletto — ma salotti dove si trascorre del tempo anche seduti al tavolo verde. […] La sala attualmente usata dai giocatori sarà svuotata dei tavoli, saranno ritirate dalla segreteria carte da gioco, fiches, blocchetti e ogni materiale legato alle carte. Le alternative di utilizzo dello spazio sono due: renderlo sala Tv e lettura o destinarlo ai servizi di segreteria e amministrazione. […] Tutto a posto dunque? Non esattamente. Si rumoreggia, si protesta, si contesta una decisione che appare paradossale se rapportata a «innocenti evasioni» e, se sono stati ravvisati reati, ingiustamente punitiva per tutti. (anna paola merone, il corriere del mezzogiorno) https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/09/queifdef.mp4 (credits in nota 1) Leggendo sui quotidiani napoletani di questa scottante questione mi sono ricordato che, un po’ di anni fa, sul cartaceo di Monitor pubblicammo un bel reportage con cui Carola Pagani ci faceva entrare nelle sale del Circolo Posillipo, tra milionari novantenni e nuotatori olimpionici. Da accanito giocatore di carte quale ero all’epoca mi spiacque molto che impenetrabile, anche per lei, era rimasta la sala da gioco. Le sale da gioco sono le uniche dove è permesso fumare e quelle dove è più difficile entrare se non sei socio. Ogni tanto ne esce qualcuno con gli occhi rossi e il viso paonazzo, si fa un rapido giro del salone a testa bassa e rientra con foga. Il mercoledì e la domenica pomeriggio il Salone delle feste si riempie di tavoli e i soci con le rispettive consorti si riversano nei tornei di bridge e di burraco. Si incontra spesso, con la moglie, il Professore, ottantadue anni, medico chirurgo di fama adesso in pensione, che è socio del circolo da quarant’anni e proboviro da venti. I probiviri sono una specie di senato del Posillipo e sono eletti fra i soci più anziani. Loro è il compito di regolare l’ammissione dei nuovi soci sostenitori e di vegliare sul rispetto delle regole. […] Il professore lamenta spesso la decadenza dei costumi. Dice che le persone non hanno più il contegno di una volta, che si presentano al circolo senza cravatta e schiamazzano spesso e volentieri. […] L’avvocato Mazzone, consigliere comunale, deputato e poi eurodeputato per l’MSI, confluito in Alleanza Nazionale e presidente del Posillipo per due volte, sostiene che la decadenza dei costumi coinvolge tutta la città e che le classi alte sono ormai rassegnate: «Ai figli ripetono la maledetta frase di Eduardo: fuitevenne ‘a Napule; mentre loro, come me ormai, sopravvivono in quest’oasi di pace senza più la forza di reagire». (carola pagani, posillipo, i lunedì al sole – dal n.30/marzo 2010 di Napoli Monitor) The cabaret was empty now, | Il teatro era vuoto ora, a sign said “Closed for repair”. | un cartello diceva: “Chiuso per ristrutturazione”. Lily had already taken | Lily aveva già tolto all of the dye out of her hair. | tutta la tintura dai suoi capelli. She was thinkin’ ‘bout her father | Pensava a suo padre who she very rarely saw. | che aveva visto molto raramente. Thinkin’ ‘bout Rosemary and thinkin’ about the law. | Pensava a Rosemary e pensava alla legge. But, most of all | Ma, soprattutto she was thinkin’ ‘bout the Jack of Hearts. | pensava al Fante di cuori. (a cura di riccardo rosa)
parola della settimana
La parola della settimana. Paraculo
(disegno di ottoeffe) “Chiediamo che venga ritirato l’invito a partecipare alla Mostra di Venezia a Gerard Butler, Gal Gadot e a qualunque artista e celebrità che sostenga pubblicamente e attivamente il genocidio. E che invece quello spazio venga messo a disposizione di una nostra delegazione che sfili sul red carpet con la bandiera palestinese”. (venice for palestine, 25 agosto 2025) Gal Gadot, l’attrice israeliana famosa per il ruolo di Wonder Woman, ha svolto due anni di leva militare obbligatoria nell’esercito del proprio paese, con la mansione di istruttore atletico nella Idf, le forze di difesa israeliane, dopo essere risultata tra i primi del suo corso d’addestramento. […] Nel 2007, al mensile Maxim, Gadot descriveva così la sua attività quotidiana nell’esercito: “Insegnavo ginnastica e calistenics; ai soldati piacevo perché li mantenevo in forma”. […] In una cover story per Glamour: “Devo dire che nessun paese dovrebbe aver bisogno di un esercito; ma ad ogni modo, per essere un vero israeliano, devi servire lo Stato, e restituirgli quello che ti ha dato. Per due o tre anni, non pensi a te stessa, rinunci alla tua libertà, ma impari la disciplina e il rispetto”. (cinemaserietv.it) (foto da cufi.org) Una serata di gala con celebrità raccoglie trentotto milioni di dollari per l’Idf a Los Angeles. Tra gli ospiti presenti c’erano Julie Bowen, Gerard Butler, Robert De Niro, Joanna Krupa e Arnold Schwarzenegger. L’evento è stato presieduto dall’imprenditore e magnate dei media Haim Saban e da sua moglie Cheryl e ha visto la partecipazione di numerosi personaggi ebrei di spicco. […] “Siamo lieti di vedere che la fondamentale missione dell’esercito israeliano, fornire programmi di benessere e istruzione agli eroici uomini e donne dell’IDF, continua a riscuotere successo nella comunità di Los Angeles”, ha affermato Saban. (cufi.org / traduzione di -rr) Almeno sette persone, fra cui cinque bambini che erano in coda per l’acqua, sono rimaste uccise in un attacco israeliano con droni avvenuto nella zona di al-Mawasi, nel sud di Gaza, vicino Khan Younis. Lo riferisce Al Jazeera citando una fonte dell’ospedale Nasser. L’emittente riporta che il portavoce della Protezione civile di Gaza, Mahmoud Basal, ha pubblicato una foto dei corpi di cinque bambini, insieme a un’immagine della macchia di sangue nel luogo in cui sono stati uccisi. “Erano in fila per riempire delle taniche d’acqua nella zona di al-Mawasi, descritta come ‘sicura’, quando le forze di occupazione li hanno presi direttamente di mira, trasformando la loro ricerca di vita in un nuovo massacro”. (il fatto quotidiano, 2 settembre 2025) Il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto L’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto. (i nomadi, dio è morto) “Se mi si invita a riconoscere che è in corso un genocidio la risposta è assolutamente sì. Questo è uno di quei casi in cui quello che sta succedendo è evidente, non c’è tanto da stare a discutere. Le testimonianze di istituzioni assolutamente affidabili sono riscontrabili. Se invece poi si scivola dentro un’emotività che ti porta a chiedere di censurare o di boicottare, in questo caso faccio un passo indietro e sono meno propenso, anzi non sono per niente propenso a censurare nessuno. Soprattutto in un luogo come questo che deve accogliere chiunque, anche quelli che sostengono le posizioni più scomode e ai nostri occhi irritanti”. (paolo sorrentino) Il paraculo è l’opportunista, quello che, specie in maniera occulta, cerca di volgere una situazione a proprio vantaggio. Il paraculo è levantino, sa navigare nello scorrere degli eventi, sa compiacere e approfittare per il fine ultimo e supremo del proprio tornaconto. Forse l’unico connotato che conserva del suo significato precedente è lo sprezzo – connotato da non disdegnare, nel qualificare l’opportunista: troppo spesso il furbo scafato ha un profilo positivo, profilo invece tendenzialmente escluso dal paraculo. (unaparolaalgiorno.it) “Mi hanno messo in mezzo. Mi ha chiamato Silvia Scola, la figlia di Ettore chiedendomi se volevo firmare un appello contro quello che sta accadendo a Gaza, che va condannato in tutti i modi, nell’ambito della Mostra, manifestando a una platea ampia la sensibilità del cinema, che non è chiuso nell’indifferenza. E ho firmato. In un secondo momento i promotori hanno aggiunto i nomi di quei due attori. Non sono d’accordo nell’escludere gli artisti. Anche all’inizio della guerra in Ucraina ricordo il boicottaggio verso i tennisti russi. Ma cosa c’entravano loro? Sono sportivi, non militari né politici. […] Quei due non sono gente che tira le bombe, sono attori come me”. (carlo verdone) (credits in nota1) “Quando ho firmato l’appello non c’era questa richiesta sull’esclusione di alcuni artisti. Non mi appartiene, non sono d’accordo”. (ferzan ozpetek) “Sono stato tra i firmatari di un documento che chiedeva di accendere una luce più forte su una tragedia immane a cui stiamo assistendo. […] Credo che il risultato al primo giorno di festival sia già ampiamente raggiunto. […] Non condivido per nulla il boicottaggio di artisti israeliani o di qualsiasi altro paese a manifestazioni come la Mostra del cinema o come la Biennale arte. Credo che questi luoghi siano luoghi di accoglienza in cui si invita tutti e poi ci si confronta e si stabilisce civilmente su che posizione si sta, ma non sono luoghi di esclusione. Questo aspetto, ci tengo a dirlo, non lo condivido”. (toni servillo) “Questo boicottaggio non lo condivido. Però, se entriamo nel merito di chi sono questi, se hanno compiuto delle cose che in qualche modo acconsentono, sono favorevoli alla scelta di Netanyahu… Che poi li si debba censurare… la censura è sempre qualche cosa di inaccettabile, che viene dall’alto, dal potere, che schiaccia. Io sono fautore della protesta non violenta” (marco bellocchio) Faccio fa’ le pulizie di casa all’indianino con la go-pro, almeno vedo se pulisce bene o no. E con tutti i soldi che ogni mese je do’ magari ce esce n’artro marò! […] Questo colla vespa nun me vuole fa’ usci’ c’ha pure l’adesivo de Piero Gramscì, madonna ‘sti qui: che radical chic! […] Sostanzianzialmente penso solo ai cazzi miei per ottenere tutto quello che vorrei: troppe domande fossi in te non ne farei. (brusco, paraculo) Il 2020 ha prodotto risultati positivi da parte di attivisti, studenti, difensori dei diritti civili e legislatori per sostenere il diritto di boicottare Israele. […] Ci sono state molte azioni dirette, vittorie in tribunale e appelli a sanzionare Israele per le sue violazioni del diritto internazionale. […] All’inizio dell’anno, le Nazioni Unite hanno pubblicato il tanto atteso elenco di società che traggono profitto dai crimini di guerra di Israele. […] Il rapporto elenca 112 società coinvolte in attività negli insediamenti come la fornitura di attrezzature e materiali per la costruzione o la demolizione di case, sorveglianza e sicurezza, trasporto e manutenzione, inquinamento e scarico di rifiuti e sfruttamento delle risorse naturali, comprese l’acqua e la terra. Il Bnc ha accolto con favore la pubblicazione del rapporto, che è avvenuto “nonostante le intimidazioni da parte di Donald Trump e del governo di estrema destra di Israele”. […] Ad aprile, l’ufficio del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo in Giordania ha annunciato che non rinnoverà il suo contratto con G4S, una società di sicurezza privata con una lunga storia di coinvolgimento nei crimini di Israele. […] La Corte europea dei diritti dell’uomo ha sostenuto il diritto di boicottare Israele quando ha annullato le condanne penali contro undici attivisti per i diritti dei palestinesi in Francia. Ha stabilito all’unanimità che le condanne contro gli attivisti per aver invitato gli acquirenti a boicottare le merci israeliane hanno violato la garanzia di libertà di espressione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. (continua a leggere!) POST SCRIPTUM – Ho letto che quando Boris Pasternak consegnò agli emissari di Giangiacomo Feltrinelli il manoscritto per la pubblicazione italiana ed europea de Il dottor Živago, avendo saputo che il Pcus stava facendo enormi pressioni attraverso il Pci, addirittura trattando l’argomento in diverse sedute del Comitato Centrale del partito sovietico per non farlo pubblicare, Pasternak gli disse più o meno: «Ecco, questo manoscritto vale anche come invito al mio funerale».  (a cura di riccrado rosa) __________________________ ¹ Fabrizio Bracconeri e Carlo Verdone in: Acqua e sapone, Carlo Verdone (1983)
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