(disegno di ottoeffe)
Ci sono adulti che hanno metodi particolari, talvolta efficaci, talvolta meno,
per incoraggiare i giovani a coltivare le proprie ambizioni (sul tema
della “motivazione” ci si è già espressi in questa rubrica).
Avevamo una scuola di calcio popolare a Bagnoli, e c’era un allenatore che aveva
dei metodi educativi interessanti, ma che a volte richiedevano discussioni
collettive e, in certi casi, un reindirizzamento. Una volta, per far riflettere
sulla sua arroganza un ragazzo che prendeva in giro un paio di compagni non
ritenendoli alla sua altezza calcistica, gli fece fare un intero allenamento con
un cartello sulla schiena su cui c’era scritto “Io sono di legno”. Un’altra,
durante una riunione pre-allenamento in cui si parlava della scelta delle scuole
superiori per l’anno successivo («Io voglio fare l’alberghiero, mi piace
cucinare»; «A me piacerebbe il liceo classico»), pensò bene di suggerire a un
ragazzo che non brillava per impegno scolastico: «Secondo me, Vince’, tu t’e ‘a
mettere sulo ‘a marenna sott’o braccio pe’ jì a fatica’!».
Avevo poi un professore, alle scuole medie, che in base all’idea che si era
fatto dei suoi studenti gli pronosticava un futuro professionale. Tu, Giovanni?
Medico! Tu, Ivana? Farai la scrittrice. Per quelli meno volenterosi, o meno
svegli, aveva un’unica soluzione: il vigile urbano.
https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/02/lascuola.mp4
(credits in nota1)
In queste settimane ha molto girato un articolo pubblicato da Osservatorio
Repressione sull’approvazione del decreto Milleproroghe da parte del parlamento,
che prevede, tra le altre cose, la possibilità di dotare i vigili urbani di
tutti i comuni italiani del taser (della situazione napoletana avevamo
accennato qui). Negli stessi giorni ventidue avvisi di garanzia sono stati
consegnati ad altrettanti dipendenti della polizia municipale di Vico Equense
per assenteismo e uso indebito, a fini privati, delle auto di servizio (una
efficace analisi del fenomeno è rintracciabile, come direbbero gli accademici,
nel lavoro di Fastidio, G., 2013).
https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/02/ginof.mp4
Esiste molto materiale cult sul tema della percezione sociale del vigile urbano
da parte della popolazione. Fondamentale è la deposizione in tribunale di Andrea
Alongi, testimone nel processo per il caso Bonsu, ventiduenne ghanese pestato
brutalmente da alcuni agenti della polizia municipale a Parma, nel 2008.
https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/02/alongi.mp4
Utile, anche se con risvolti decisamente meno drammatici, la visione del
film Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo (scritto da Maccari e
Scola, e con un cast di fuoriclasse: Cervi, De Filippo, Fabrizi, Manfredi,
Sordi). Alberto Sordi, in particolare, interpreta l’agente Randolfi, uno che
“non perdona nessuna infrazione”, appioppando multe alle alte cariche
istituzionali, ai pompieri, al passante che non attraversa con la dovuta
precisione le strisce pedonali. Alla fine del film Randolfi verrà miseramente
bocciato all’esame di francese con cui spera di far decollare la propria
carriera e soprattutto, per la sua intransigenza mal digerita, trasferito a
Milano”.
A proposito di teste senza corpi e passaggi tra la vita e la morte: un centinaio
di persone, o forse anche di più, sono state fortunate venerdì a vedere
un’azione sonora all’Auditorium Novecento di Napoli. Era There lives what has no
name (letteralmente: “Lì vive ciò che non ha nome”), un susseguirsi di ululati,
soffi, colpi a fiato e a tamburi, piatti e triangoli per opera di Chris Corsano,
Walter Forestiere, Antonio Raia e Makoto Sato, il tutto dentro le fiamme, i
lacci, gli spuntoni e gli sputi, i cadaveri, le lingue e le frecce dei
personaggi disegnati da Roberto-C.
(foto di pazzaglia)
Mi è rimasta impressa in particolare – forse è il fatto che in questi giorni il
Papa sembra rischiare, come si dice a Napoli molto efficacemente, di “farsi la
cartella” – l’immagine del corteo funebre di un cardinale portato in spalla da
figuri tormentati mentre i tamburi dettano il passo.
Per i latini feretrum non era solo la cassa da morto, ma anche la portatina su
cui questa veniva traslata, utilizzata anche per le processioni, il trasporto in
gloria delle statue degli dei e dei trofei (e infatti feretrum si traduce anche
con “trofeo”).
Pietro: Anche se ti sto già osservando da tempo con attenzione, non vedo in te
alcuna traccia di santità, ma piuttosto molta empietà. Che significa mai questa
compagnia che ti segue, tanto lontana dall’essere pontificia? Porti con te quasi
ventimila persone, eppure in questa grande folla non vedo nemmeno uno che mostri
un volto cristiano. Vedo una mescolanza orribile di uomini, nulla se non
bordelli, vino e polvere da sparo che emana un odore disgustoso. Mi sembrano
ladri assoldati, o piuttosto anime dannate che sono risorte dall’inferno per
scatenare guerre in cielo. Ora, quanto più ti osservo, tanto meno vedo in te
tracce di un uomo apostolico. Prima di tutto, che cos’è questa mostruosità, che
mentre indossi l’abito del sacerdote celeste, dentro di te sei armato di armi
insanguinate, tremando e facendo rumore? Inoltre, che occhi feroci, che bocca
sfrontata, che fronte minacciosa, che sopracciglio altezzoso e arrogante! È
davvero vergognoso dirlo e fastidioso anche solo vederlo: non c’è parte del tuo
corpo che non sia contaminata dai segni di una lussuria mostruosa e abominevole.
Senza parlare del fatto che sembri ancora ruttare e puzzare di vino e liquori,
come se stessi per vomitare. Certamente, il tuo corpo appare in tale stato che
sembri ridotto non tanto dalla vecchiaia o dalle malattie, ma dalla rovina
dovuta alla dissolutezza, alla debolezza e all’abuso di cibo e bevande. (san
pietro commenta l’arrivo al paradiso di giuliano della rovere, già papa giulio
II, in: erasmo da rotterdam, iulius exclusus e coelis / traduzione –
probabilmente discutibile – mia)
(a cura di riccardo rosa)
_________________________
¹ Roberto Nobile in: La scuola, Daniele Luchetti (1995)
Tag - parola della settimana
(disegno di ottoeffe)
Che chiagne a fa’, nun ce penza’
pecché ‘o latino ce pò aspetta’.
‘O mare no, l’estate va…
ma che studia’! Chi t’o fa fa’?
(nino d’angelo, arrivederci scuola)
Forse anche quando chiamano qualcuno a fare un laboratorio in una scuola mandano
i più bravi nelle scuole “bene” e poi via via gli altri, a scendere. A me capita
quasi sempre di andare in scuole sgarrupate, con muri sgarrupati, soffitti
sgarrupati e alunni (loro malgrado) sgarrupati, che avrebbero bisogno di ben
altra continuità di intervento educativo, nonché, probabilmente, qualità di
educatori.
https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/02/35eb95ea-2382-40d9-b0ce-5d1e228ff60e.mp4
(credits in nota1)
Quest’anno mi è capitato di lavorare in una scuola del mio quartiere che è
considerata da sempre di ottimo livello. Fino a qualche anno fa, trattandosi di
un quartiere con una precisa storia e identità operaia, nelle assemblee e nei
cortili di questa scuola si formavano un discreto numero di giovani attivisti, e
a catena nascevano collettivi e laboratori politici. Oggi, a parte qualche
eccezione, ci sono semplicemente ragazzi intelligenti, preparati e che prendono
buoni voti.
Con alcuni tra questi ragazzi sto ragionando sulla capacità della scuola di
riflettere le diseguaglianze del nostro quartiere (e del mondo). Sono ben al
corrente, anche loro, dell’esistenza di scuole in cui si riescono a fare
riflessioni, che ne so, sulla strumentalizzazione da parte del capitalismo delle
battaglie per i diritti civili, e dall’altro lato di istituti in cui non si può
non tener conto dei livelli insufficienti di alfabetizzazione di buona parte
degli alunni, né dell’apatia spesso frutto della lunga frequentazione di
un’istituzione che non gli ha saputo dare risposte (senza contare quelli che
fanno il conto alla rovescia verso il sedicesimo compleanno, per abbandonare gli
studi).
Con un ragazzo di una scuola sgarrupata abbiamo parlato del fatto che la scuola
“dovrebbe abolire i libri” e che “ci vorrebbe una rivoluzione” perché così com’è
non serve a niente.
M. non parlava di proiettare film, leggere i testi delle canzoni, o menate del
genere, ma proprio di una rivoluzione. Ci ho messo io, vicino alla sua
imbeccata, una riflessione su quello che forse è un cambiamento genetico
dell’umanità (e quindi, soprattutto, dei giovani) nel corso degli ultimi
decenni, in termini di capacità di analizzare un testo scritto, mantenere la
concentrazione, memorizzare dati, acquisire conoscenze. Forse varrebbe la pena
smettere di rincorrere il mito enciclopedico di una presunta “cultura generale”
(sempre più a portata istantanea di click) e dedicare il tempo scolastico –
utilizzando la storia, la letteratura e la matematica – allo sviluppo del
ragionamento, della capacità critica, dell’abilità a cogliere sfumature e
complessità del reale, almeno nelle scuole elementari e medie.
“Verrà anche incoraggiata la lettura di testi dell’epica classica ma anche della
Bibbia per rafforzare le conoscenze delle radici della nostra cultura.”, spiega
Valditara. Per quanto riguarda il latino, “pensiamo di reintrodurre
opzionalmente elementi di latino già dalle medie, dalla seconda per la
precisione, per numerose ragioni: apriamo le porte a un vasto patrimonio di
civiltà e tradizioni; poi rafforziamo la consapevolezza della relazione che lega
la lingua italiana a quella latina. E poi c’è il tema, importantissimo,
dell’eredità”. “Adesso si apre un grande dibattito, aperto a tutto il mondo
della scuola, ai corpi intermedi, alle associazioni disciplinari. A fine marzo
dovremmo essere pronti con gli ultimi ritocchi perché le novità entrino in
classe con l’anno scolastico 2026-27”, conclude il ministro. (Scuola, nuovi
programmi: latino alle Medie, storia dell’Italia e lettura della Bibbia, il sole
24 ore)
https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/02/149ec866-c901-4963-8a11-b44e058b5e5f.mp4
(credits in nota2)
Anche negli Stati Uniti si parla in questi giorni di riforme della scuola, e
dell’intenzione manifestata più volte dal presidente Trump di abolire in toto il
Dipartimento dell’istruzione, che sarebbe colpevole, a suo avviso, di alimentare
e diffondere l’ideologia woke, con l’obiettivo di contrastare ingiustizie
sociali, razziali o di genere. Un compito che, considerando come è messa male
l’America, forse il Dipartimento non sta svolgendo esattamente alla grande.
I festeggiamenti del primo mattino nel quartiere Little Havana di Miami sono
stati di una portata che non si vedeva dalla morte del dittatore cubano Fidel
Castro, otto anni prima. Anche nel sobborgo di Westchester, saturo di immigrati,
i latinos hanno festeggiato oltre l’alba, quando è stato confermato il ritorno
di Donald Trump alla Casa Bianca. I festeggiamenti di mercoledì mattina nel sud
della Florida hanno rispecchiato la sorprendente vittoria di Trump nella contea
di Miami-Dade, a maggioranza ispanica […], che non era stata conquistata da un
candidato repubblicano da più di trent’anni. La sua vittoria, alimentata in gran
parte dal sostegno degli elettori latini e ispanici, in particolare degli uomini
latini, si è ripetuta in una contea dopo l’altra negli stati in bilico. […] In
Pennsylvania, orde di portoricani che hanno visto la loro patria definitiva
“un’isola galleggiante di spazzatura” durante il comizio di Trump al Madison
Square Garden appena una settimana prima, sono accorsi per dargli il loro voto.
In Wisconsin, gli exit-poll hanno mostrato un aumento di sei punti rispetto al
2020, con il 43%, del sostegno ispanico a Trump, nonostante la sua condanna di
alcuni immigrati come “spacciatori”, “assassini” e “stupratori” e la promessa di
condurre il più grande sforzo di deportazione nella storia degli Stati Uniti
subito dopo il suo insediamento. (richard luscombe, How Trump won over Latino
and Hispanic voters in historic numbers, the guardian – traduzione di -rr)
Tornando alla scuola, c’è una novella di De Amicis che si chiama Latinorum e che
racconta la storia del figlio di un ex spaccapietre arricchito, avviato allo
studio dal padre, che intende in quel modo contrastare la tradizione e gli
ostacoli sociali che frustrano l’esistenza della sua famiglia. L’operazione però
non va a buon fine, dal momento che il ragazzo – a dispetto del padre che, per
spirito di rivalsa sociale ha una vera e propria venerazione per l’idea del
latino – mostra difficoltà a familiarizzare con tutte quelle nozioni che non
rispondono a parametri di concretezza e praticità. Il latino diventa così
l’emblema della scuola-barriera sociale in cui gli alunni vegetano, con alterne
fortune, per un po’ di anni, con una rarissima possibilità, o meglio capacità,
di cambiare destini già scritti (De Amicis sembra tuttavia prendere la cosa da
un’altra angolazione, del tipo: inutile tenere tra i banchi il figlio di un
operaio, anzi siccome comunque diventerà operaio, tanto vale mandarlo in
officina da subito).
“Ma mi spieghi una volta cos’è quest’altra formalità che s’ha a fare, come dice;
e sarà subito fatta”.
“Sapete voi quanti siano gl’impedimenti dirimenti?”.
“Che vuol ch’io sappia d’impedimenti?”.
“Error, conditio, votum, cognatio, crimen. Cultus disparitas, vis, ordo,
ligamen, honestas. Si sis affinis…”, cominciava don Abbondio, contando sulla
punta delle dita.
“Si piglia gioco di me?”, interruppe il giovine. “Che vuol ch’io faccia del suo
latinorum?”.
“Dunque, se non sapete le cose, abbiate pazienza, e rimettetevi a chi le sa”.
“Orsù!…”.
“Via, caro Renzo, non andate in collera, che son pronto a fare… tutto quello che
dipende da me. Io, io vorrei vedervi contento; vi voglio bene io. Eh!… quando
penso che stavate così bene; cosa vi mancava? V’è saltato il grillo di
maritarvi…”.
“Che discorsi son questi, signor mio?”, proruppe Renzo con un volto tra
l’attonito e l’adirato.
“Dico per dire, abbiate pazienza, dico per dire. Vorrei vedervi contento”.
“In somma…”.
“In somma, figliuol caro, io non ci ho colpa; la legge non l’ho fatta io. E,
prima di conchiudere un matrimonio, noi siam proprio obbligati a far molte e
molte ricerche, per assicurarci che non ci siano impedimenti”.
“Ma via, mi dica una volta che impedimento è sopravvenuto?”.
“Abbiate pazienza, non son cose da potersi decifrare così su due piedi. Non ci
sarà niente, così spero; ma, non ostante, queste ricerche noi le dobbiam fare.
Il testo è chiaro e lampante: antequam matrimonium denunciet…”. (conversazione
tra renzo tramaglino e don abbondio, i promessi sposi).
(a cura di riccardo rosa)
PS. Approfitto di questo spazio per dedicare un piccolo pensiero a Domenico
Cirillo, diciassette anni, finito ieri dopo diversi giorni di limbo tra la vita
e la morte. Domenico era stato travolto da un’auto che correva a gran velocità,
nella zona degli chalet di Mergellina, mentre attraversava le strisce pedonali.
Giovane atleta e appassionato di basket, Domenico frequentava, con ottimi
risultati, la scuola di cui ho parlato all’inizio di questa rubrica.
_________________________
¹ Gennarino in: Io speriamo che me la cavo, Lina Wertmuller (1992)
² Ecce bombo, Nanni Moretti (1978)
(disegno di ottoeffe)
Una libbra di carne tolta a un uomo
non vale manco il prezzo od il valore
d’una libbra di carne di montone,
di manzo o di capretto, santo Dio!
Mi allargo a fargli questa offerta amica,
per acquistarmi la sua simpatia.
Se accetta, tanto meglio. Se no, addio!
(shylock, il mercante di venezia)
A parte il piacere di rivedere un po’ di posti e amici, non mi ha messo di
grande umore la due giorni a Taranto Vecchia di inizio settimana. A dire il
vero Angelo mi aveva preparato a uno scenario un po’ mutato, ma non ero pronto
a questa originale forma di trasformazione urbana che alterna tre palazzi
diroccati, due case murate, un bistrot-ristorante gourmet, un deposito di esche
abbandonato, un murales contro la polizia, gru e ponteggi per la ricostruzione
di edifici “sostenibili”, altri due palazzi distrutti, una colonia di gatti,
l’università, un bar vuoto, le case occupate con la biblioteca popolare
sgomberate e murate, un bed and breakfast, due palazzi diroccati, tre case
murate, una pizzeria chiusa, un wine bar, un cocktail bar, due palazzi con i
pilastri, un negozio bio, altri gatti, una sede degli ultras, una “tropical
house”, un palazzo crollato…
https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/02/timoni-VEED.mp4
(credits in nota1)
Gino non lo sa, ma durante i miei soggiorni in Città Vecchia di una decina
d’anni fa, quando per motivi che non vale la pena approfondire ero costretto a
mangiare poco e con una dozzina di ore di “spacco” tra un pasto e l’altro, le
sue bistecche mi hanno salvato la vita. Un pomeriggio mi chiusi in macelleria
con lui e mi feci raccontare la sua storia.
Sono nato in Città Vecchia, ma ora abito dall’altro lato, vicino alla
concattedrale. Avevo vent’anni quando lasciammo l’isola. Mio padre voleva
comprare la casa in città. C’era questo mito di andarsene, che non andava bene
vivere qua. […] All’Italsider arrivavano le barche che portavano il materiale.
Quando avevano finito facevano la spesa grossa, perché erano almeno venti
persone a bordo. […] Qualche giorno fa è venuto un napoletano che sta di bordo,
si è preso sette chili di salsicce… le salsicce napoletane, quelle grosse, […] i
pugliesi preferiscono quelle sottili che si cucinano subito, si fanno col
vitello e col maiale, mentre quella che si fa a Napoli è solo maiale. Viene bene
sulla brace, la nostra invece la devi buttare nel sugo, o dentro al panino;
d’estate la gente si fa il panino per andare al mare. In Città Vecchia devi
sempre avere gli involtini, le polpette, la carne arrosto, le costate di maiale,
il capocollo, qua sono tradizionalisti. Sono abituati così, devono fare il sugo.
[…] Sono rimasto solo io, le altre macellerie hanno chiuso. La Città Vecchia si
è fatta piccola, saremo due o tremila persone. Dopo il crollo di vico Reale
negli anni Settanta non si è capito più niente, la gente ha cominciato a
scappare. Poi i politici ci hanno messo il loro. […] La cosa più faticosa oggi è
alzarsi alle cinque tutte le mattine per andare a prendere la carne buona. C’è
gente che si affeziona e anche se si allontana dall’isola viene qua una volta al
mese. Se una persona fa venti chilometri per venire da te, deve trovare il suo
utile: qualità e un po’ di risparmio, i miei clienti sono abituati bene. È mezzo
secolo che sto qua, è assai… no? (luigi lanzalonga, detto gino della
carne, intervista da: riccardo rosa e luca rossomando, timoni al vento. alcune
storie della città vecchia raccontate da chi le ha vissute; in: taranto, un anno
in città vecchia, un libro di cyop&kaf)
A rasserenare le mie turbe ci ha pensato il cinema. Venerdì ho visto ad
AstraDoc Bestiari, erbari, lapidari, una poesia in immagini e suoni di Massimo
D’Anolfi e Martina Parenti, un documentario di tre ore e mezza che non sembrano
tali, anzi forse sono pure poche considerando il sentiero tra vita, cura e morte
su cui ti porta a camminare. Brilla tra i tre il capitolo centrale, dedicato
alle piante, una sorta di testamento dell’umanità che ci ricorda che quando noi
esseri di carne (uomini e animali) ci saremmo annientati gli uni con gli altri,
lasceremo comunque il pianeta in buone mani.
Quando la bomba atomica trasformò
la città di Hiroshima in un deserto annerito,
un vecchio Ginkgo cadde fulminato
vicino al centro dell’esplosione.
L’albero rimase calcinato
come il tempio buddista che proteggeva.
Tre anni dopo qualcuno scoprì
che una lucina verde spuntava nel carbone.
Il Ginkgo aveva buttato fuori un germoglio.
L’albero rinacque, aprì le braccia, fiorì.
Quel superstite della strage è ancora lì.
(eduardo galeano, ginko)
Un po’ di attualità, giusto per rimanere coi piedi per terra:
Fatture false e camorra nel settore della carne: 17 custodie cautelari e trenta
milioni di euro sequestrati. Due indagati nel Bolognese (bologna today, 28
gennaio) – si consiglia la lettura di Alfasuin, di Giovanni Iozzoli.
“Ecco cos’ha trovato mia figlia nella carne”. La scoperta choc al McDonald’s (il
giornale, 30 gennaio) – spoiler: un dente.
Sono il più famoso street food abruzzese, sì ma come si cuociono? Video sugli
arrosticini (cibo today, 30 gennaio)
Parlando di Abbruzzo e di grigliate si dovrebbe aprire il capitolo Roccaraso, ma
abbiamo letto talmente tante sciocchezze dai giornali nel merito che sarebbe
inutile. L’unica cosa veramente divertente è che una minima eterogeneità della
mia bolla social mi ha permesso di entrare in contatto con tutte le opinioni
contrastanti sul caso, comunque circoscrivibili in quattro-cinque categorie
(tutte le argomentazioni erano ovviamente di una noia e banalità disarmante):
L’ambientalista. Non possiamo permettere che l’antropocene violenti ancora per
molto la Terra. E comunque il vero tema è che grazie al cambiamento climatico
nemmeno a Roccaraso c’è più la neve.
Il compagno. È sbagliato inquinare la montagna ma bisognerebbe parlare anche
della turistificazione a Napoli, che è molto più grave.
Il negro da cortile. È per colpa di questa gente che noi napoletani siamo
considerati merda in tutto il mondo. Ce lo meritiamo.
Il giustificazionista. Sono sottoproletari che vogliono passare un giorno nel
benessere. Ci riprendiamo tutto quello che è nostro.
Il simpatico. Oh, ti ho mandato un invito su Facebook! (“Vieni a passare una
piacevole e rilassante giornata nella natura innevata con la nota influencer
Rita De Crescenzo”).
Il neoborbonico. E comunque alla fine il vero dato è che siamo quello che siamo.
Questi con cinquanta euro si comprano l’attrezzatura per la neve e ci fanno
uscire pure il pic nic. Respect!
Je scrivo ‘o schifo e, si n’capisce, po’ me cumpiatisce.
Tu ca nun sì nisciuno, ca n’te scite, ca nun vire
panne pulite ‘ncopp’ a carne sporca,
‘o contraffatto contro a l’arte pura.
E finché ‘a morte nun me cocca io parlo e penzo crudo.
(co’sang ft. lucariello, ‘o spuorc)
(a cura di riccardo rosa)
_________________________
¹ Gli abitanti della Città Vecchia di Taranto, in: Timoni al vento. Diario di
bordo dalla Città Vecchia, cyop&kaf (2015)
(disegno di ottoeffe)
Domenica scorsa a Torino è stato arrestato il generale libico Osama Elmasry
Njeem, meglio noto come Almasri. Il mandato della Corte penale internazionale lo
accusava – in quanto capo della Special Deterrence Forces di Tripoli – di
crimini internazionali ai danni dei detenuti nella prigione di Mitiga, dal 2015
a oggi. Nel carcere in questione, come in altri, vengono rinchiuse, torturate,
violentate e talvolta uccise persone arrestate per il proprio credo religioso,
per omosessualità e altri reati perseguiti dalla “polizia morale”, per
appartenenza a gruppi armati, ma anche a scopo di estorsione. Molti dei detenuti
sono migranti in transito.
Nonostante le raccomandazioni delle Nazioni Unite e del Commissario per i
diritti umani del Consiglio d’Europa, che esortavano i differenti governi a
sospendere questa “assistenza”, dal 2017 l’Italia supporta economicamente e
logisticamente le autorità libiche per “facilitare l’intercettazione e il
rimpatrio” di migliaia di migranti che ogni anno cercano di attraversare il
Mediterraneo. Nello stesso periodo l’Unione Europea ha stanziato oltre sessanta
milioni di euro per sostenere la guardia costiera libica e le forze dell’ordine,
anche attraverso “informazioni di sorveglianza”. Sono più di centoventimila le
persone che sono state rimpatriate durante il loro viaggio e, per buona parte
incarcerate in Libia, dal 2017 a oggi.
Lunedì sera, senza aver avvisato in alcun modo la Corte internazionale, qualcuno
ha messo in nome dell’Italia e riportato a casa, su un volo di Stato, il
generale Almasri.
Grande hype, c’era, e grandi ascolti ci sono stati, per M. Il figlio del secolo,
la serie tratta dal romanzo di Scurati che racconta il ventennio fascista come
una sorta di House of cards delle camicie nere. Mi è capitato di parlarne negli
ultimi giorni con diverse persone (quasi tutte) intelligenti, e ciò che ha più
imbarazzato è la macchiettizzazione di molti dei protagonisti, a cominciare
dallo stesso Mussolini, che per quanto fosse effettivamente personaggio rozzo e
bellamente ignorante, ricorda a tratti, nella serie, quel generale di un vecchio
film di Totò che ancora negli anni Sessanta ingaggiava disoccupati e comparse di
Cinecittà per riprodurre una Repubblica di Salò in miniatura nella sua villa
romana.
https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/01/totodiabolicus-online-video-cutter.com_.mp4
(credits in nota1)
Questo aspetto è sicuramente uno dei limiti principali di un prodotto tutto
sommato discreto, ma che finisce per compromettere la complessità dei personaggi
e di alcuni eventi. In un primo momento ho pensato con soddisfazione alla
possibilità che la serie potesse arrivare a un pubblico ampio, fornendo elementi
che per esempio gli studenti fanno fatica a rintracciare; penso, su tutti, alla
scelta operata da Mussolini e il suo cerchio magico nello schierarsi a tutela
della grande industria, un posizionamento che le classi dirigenti del paese – al
servizio di poteri che sono rimasti gli stessi nel passaggio dalla dittatura
alla democrazia – hanno tentato di occultare, cercando di proporre una vulgata,
tuttora ahinoi in voga, secondo cui un governo basato su “ordine” e “sicurezza”
avrebbe come finalità una qualità della vita più alta per le masse popolari.
Qualche giorno dopo sono tornato al mio più consueto pessimismo, dopo essermi
chiesto e aver cominciato a chiedere a un po’ di ragazzi se l’avessero vista, la
serie. La domanda, a quel punto diventa: ha senso farsi andar bene un prodotto
culturale con degli oggettivi limiti, perché almeno mostra al grande pubblico
cose che nessun altro prodotto concepito per il grande pubblico mostra? E se sì,
ha senso anche quando il grande pubblico (e in particolare i giovani, gli
studenti, quelle fasce di popolazione che hanno un bagaglio culturale meno
ampio) da quel prodotto comunque non viene raggiunto?
Gli italiani (se mai li hanno scoperti) possono oggi riscoprire i libri. Io
dunque sfido i dirigenti della televisione a dimostrare la loro buona fede e la
loro buona volontà, attraverso un lancio della lettura e dei libri: lancio da
non relegare ai programmi culturali e alle trasmissioni privilegiate: ma da
organizzare secondo le infallibili regole pubblicitarie che impongono di
consumare. […] I Bernabei , i Fabiani, i Romanò, e i loro colleghi che contano,
se vogliono possono superare ogni difficoltà burocratica e mettere ogni
sera Carosello (?!), e le altre trasmissioni analoghe, abbondantemente a
disposizione di questo nuovo compito così nobile, altruistico e scandalosamente
contradditorio. (pier paolo pasolini, sfida ai dirigenti della
televisione, da: il corriere della sera, 9 dicembre 1973)
Dopo aver visto M mi è venuto in mente un libro che non avevo mai letto (a
dispetto degli incalzanti suggerimenti della mia compagna), ma che ho finalmente
iniziato grazie a questa rubrica. Ha anch’esso come titolo una lettera, ed è
anch’esso ambientato durante una dittatura: si tratta, lo avrete capito, di Z,
di Vasilis Vasilikos, che racconta le premesse al colpo di stato dei Colonnelli
in Grecia, nel 1967, a partire dall’assassinio del deputato ex partigiano e
pacifista Grigoris Lambrakis. Le prime pagine del libro raccontano di un
intervento pubblico del Generale, comandante della gendarmeria nel nord della
Grecia, che davanti ai ministri del governo di destra utilizzan come metafora
della minaccia comunista le malattie parassitarie delle piante.
Il Generale guardò l’orologio mentre l’oratore più importante della serata, il
segretario di Stato all’agricoltura, concludeva la sua conferenza sulle misure
da prendere per combattere la peronospora. […] Il pubblico – prefetti e
comandanti di gendarmeria – cominciava a sonnecchiare. […] Alla fine si
sentirono alcuni timidi applausi e il segretario di Stato scese dal palco.
Il Generale si alzò, attese che l’oratore avesse ripreso il suo posto in mezzo
al pubblico poi, voltando le spalle al palco, rivolto a tutti quegli uomini di
mezza età, per lo più calvi e obesi, che erano prefetti o ufficiali di polizia –
suoi subalterni –, disse: “Colgo a mia volta questa occasione per aggiungere
qualche parola a quanto vi ha esposto così elegantemente il signor Ministro. Per
quel che mi riguarda vi parlerò della nostra peronospora: il comunismo”. […] Uno
scroscio di applausi salutò questa perorazione. La riunione era finita.
Prefetti, comandanti e direttori di ministeri si alzarono, accesero una
sigaretta, si stirarono e si prepararono a uscire al seguito dei rispettivi
superiori. (vassilis vassilikos, Z)
PS. In questo video Vasco Rossi duetta in [per quello che ho da fare] faccio il
militare con Massimo Riva, suo amico fin da bambino, chitarrista storico della
sua band e geniale compositore – Non mi va, Vivere una favola, Stupendo,
Vivere. Era il 1995 e, dopo un periodo di separazione, il cantante aveva chiesto
a Riva di tornare per “Rock sotto l’assedio”, due concerti a San Siro contro la
guerra in Jugoslavia, in cui si esibirono ne Gli spari sopra anche gli Sikter,
band di Sarajevo fatta uscire clandestinamente dal paese.
Rossi e Riva (che in quei concerti suonò insieme a Maurizio Solieri, per la
prima volta, la cover di Generale, di De Gregori) avrebbero continuato a
lavorare insieme fino alla morte per overdose di eroina del chitarrista, di cui
è ricorso il venticinquesimo anniversario lo scorso maggio. (a cura di riccardo
rosa)
_________________________
¹ Totò, Antonio La Raina, Luigi Pavese e Mario Castellani, in: Totò Diabolicus,
Steno (1962)
(disegno di ottoeffe)
Nella notte tra lunedì e martedì sono comparsi a Napoli manifesti funebri che
annunciano la fine dell’esperienza artistica di cyop&kaf, che dal 1994 ha
dipinto la nostra città e altre in giro per il mondo, ha scritto articoli,
diretto film, collaborato con scrittori, teatranti, musicisti, poeti, militanti
politici. Nel dare notizia del suo scioglimento, il collettivo ha menzionato “la
sopraggiunta mutazione dei contesti nei quali operava, delle persone con le
quali interagiva e, non ultima, la sua propria trasformazione”, aprendo il
futuro a strade nuove e diverse.
Già altre volte in questi anni (per esempio qui e qui) cyop&kaf aveva provato a
motivare la sua insofferenza nel rapportarsi, utilizzando gli strumenti che ha
maneggiato per trent’anni, a un mondo sempre più preda del servilismo e della
stupidità. La prima volta, a memoria, risale a una dozzina d’anni fa:
Non fai in tempo a costruire un nuovo alfabeto che arriva la pubblicità a
ingoiartelo. […] Probabilmente questa nuova droga del “ti guardo guardarmi
guardare” è figlia di quel passaggio rivoluzionario che dalla diga
dell’analogico ci ha scaraventati nel mare aperto del digitale. S’incassano
colpi che non si riconoscono come tali e per il momento si è rinunciato a
governare la nave (ma non all’inchino sottocosta del due punto zero). […] Ora mi
pare che l’incendio sia unico e immenso e mi odio, perché l’ho attizzato
anch’io, fosse anche solo mancando di quell’intransigenza che tempi come questo
richiedevano. (cyop&kaf, se il martello è l’incudine – settembre 2012)
Insieme alle figure antropomorfe e ai personaggi che hanno popolato i muri, le
saracinesche, le saittelle della città, rimangono nell’immaginario di chi ha
osservato questo percorso alcuni momenti significativi (cult fu la mostra
Diniego installata in strada alle spalle del Madre, durante la cui inaugurazione
il presidente della regione Bassolino si beccò una bella bicchierata di vino
rosso sulla camicia bianca da un noto esponente della sinistra antagonista
cittadina). Nel 2013, c&k ha girato un film che è fondamentale per capire la
tradizione del “cippo di Sant’Antonio”, anzi la condizione dei bambini e degli
adolescenti in città, anzi i Quartieri Spagnoli prima della turistificazione,
anzi la poesia tribale in una società in cui la barbarie si è fatta progresso.
Insomma, ognuno ci veda ciò che ritiene.
https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/01/segretolow.mp4
(credits in nota1)
Da qualche tempo, nei quartieri popolari, i bambini e i ragazzini napoletani
hanno deciso di anticipare di qualche ora – per sfuggire alla violenta
repressione poliziesca di cui ogni fiamma che arde è diventata oggetto –
l’incendio degli alberi nel giorno del cippo. Invece che la sera del 17 gennaio,
gli alberi cominciano ad ardere nelle prime ore del giorno, poco dopo la
mezzanotte.
Piglia ‘a butteglia ‘e Ferrarelle,
va’ addò benzenaro, spienne ‘ddoje lirelle
miettece pure ‘na mappina ‘ncopp’
e statt’ accort’ ca nisciuno se l’ammocca.
E se pure i fascisti mo’ debbono parlare
sai compagno cosa dobbiamo fare?
Boccia boccia boccia bam bam:
appicciamm’ ‘e fasciste cu tutt’o Quirinal’
(99 posse, s’adda appiccia’)
Questa storia di anticipare il fuoco per fregare la polizia a qualcuno non va
proprio giù.
Questa è una delle macchine dei carabinieri che è stata colpita da una sassaiola
delle baby gang criminali che stanno operando durante questa notte. Una notte di
follia. Via Salvator Rosa, piazza Mercato, la Sanità, Mergellina, Quartieri
Spagnoli, tutti sotto assalto, tutti coordinati tra di loro tra baby gang legate
alla criminalità organizzata e figli degli spacciatori, dei camorristi e dei
delinquenti che affossano la nostra terra. […] Noi dovevamo prevenire, e
dovevamo impedire presentandoci lì in modo blindato, coi carri armati se
necessario! Non esiste che le forze dell’ordine debbano arretrare di fronte a
questi criminali. […] La guerriglia a Napoli è una vergogna, noi non siamo in
guerra, eppure di fatto le baby gang criminali lo stanno facendo assolutamente.
[…] Hanno preso i sanpietrini, come se fossimo in guerra, hanno tirato bombe
carta. […] Ci sono tre quattromila ragazzini solo nella città di Napoli che sono
armi pericolosissime, messi assieme, solo alla Sanità erano circa duecento, e
noi abbiamo dovuto arretrare.
Voce fuori campo: Sta anche Brumotti qua!
Ma è mai pensabile che nel 2025 noi come città, come istituzioni, come civiltà
veniamo messi sotto scacco da una banda di Unni legati alla criminalità?
(francesco emilio borrelli, video pubblicato da napolitoday)
https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/01/attila.mp4
(credits in nota2)
Oltre al fuoco di Sant’Antonio, con la parola “cippo” a Napoli si fa comunemente
riferimento a qualcosa di molto antico. Questo perché nel cuore di Forcella c’è
un gruppo di pietre (appunto chiamato “cippo”) che risalgono al secondo o terzo
secolo avanti Cristo, e che probabilmente facevano parte di una porta difensiva
della città, la Porta Herculanensis, poi nominata Porta Furcibllensis o Porta
Furcilla, dalla forma a Y del bivio stradale che conduceva alla stessa. Con i
lavori per il Risanamento e lo sventramento della parte bassa di Forcella,
nacque in quella zona una piazza, che fu detta inizialmente piazza delle Mura
greche, proprio a causa delle scoperte archeologiche fatte. Successivamente fu
ribattezzata piazza Vincenzo Calenda, come ancora oggi si chiama l’area
antistante il teatro Trianon, dedicato alla memoria di Raffaele Viviani, e a
partire dalla quale le guardie hanno dato la caccia ai ragazzini e ai loro
alberi anche quest’anno, nella notte tra giovedì e venerdì.
‘E gguardie? Sempe a sfotterle, pe’ ffa’ secutatune;
ma ‘e vvote ce afferravano cu schiaffe e scuzzettune.
E ‘a casa ce purtavano: “Tu, pate, ll’hê ‘a ‘mpara’!”,
ma manco ‘e figlie lloro sapevano educa’.
A dudece anne, a tridece, tanta piezz’ ‘e stucchiune
ca niente maje capévamo pecché sempe guagliune!
(raffaele viviani, guaglione)
Fu lo stesso Sant’Antonio d’altronde – va ricordato per chiudere – a rendersi
protagonista di un inganno e di un vero furto di fuoco (come i ragazzini gli
alberi nei secoli a venire), senza che nessun poliziotto o Borrelli si mettesse
tra le scatole. Leggenda vuole infatti che il santo, desideroso di donare un
fuoco scaccia-malocchio ai suoi devoti, scese agli inferi per rubarlo al
demonio. I diavoli che affollano il sottosuolo però non lo fecero entrare,
rubandogli il bastone e scatenando l’ira del maialino che Sant’Antonio portava
con sé, il quale cominciò a mettere sottosopra l’Inferno. Sant’Antonio pretese,
per placare l’ira del suo animale, la restituzione del bastone, e una volta
ottenuto si allontanò col porco al fianco.
Non sapevano, i diavoli, che quel legno era ferula dal midollo spugnoso, capace
di trattenere viva la scintilla al suo interno senza che nessuno potesse
vederlo. Così, una volta fuori, il santo poté liberare la fiamma e donare il
fuoco purificatore agli uomini, cantando in segno di benedizione: “Fuoco, fuoco
per ogni loco! E per mondo, fuoco giocondo!”. Da quel momento, diventò il nemico
numero uno del demonio.
(a cura di riccardo rosa)
_________________________
¹ I ragazzi del segreto in: Il segreto, cyop&kaf (2013)
² Diego Abatantuono in: Attila, flagello di Dio, Pipolo e Castellano (1982)
(disegno di ottoeffe)
Mercoledì il Tg3 ha mandato in onda un video che mostra il lungo inseguimento al
termine del quale è morto Ramy Elgaml, diciannovenne di origini egiziane
ammazzato da un carabiniere lo scorso 24 novembre a Milano. Dal video, e
soprattutto dagli audio, si capisce bene con quale concitazione e rabbia i
carabinieri abbiano cercato di colpire con la loro auto il motorino su cui
viaggiavano Ramy e il suo amico Fares. I carabinieri si dicono tra loro che Ramy
ha perso il casco, ma nonostante ciò continuano a cercare di speronare il mezzo,
fino allo schianto finale contro un palo. Dalle immagini si vede anche il
momento in cui due militari si avvicinano a un ragazzo, testimone
dell’incidente, per fargli cancellare il video con cui aveva ripreso la scena
(circostanza raccontata dallo stesso ragazzo ai magistrati).
Ci vorrebbe non un breve articolo ma un libro, per raccontare le storie di tutte
le persone che sono state ammazzate nel nostro paese dalle forze di polizia. Un
importante sforzo è rappresentato dalle schede costruite nel corso degli anni da
Acad – Associazione contro gli abusi in divisa. Mi limito quindi a ricordare
solo alcuni tra loro, considerando i recenti o prossimi importanti anniversari
dell’assassinio.
Lo scorso 5 settembre, per esempio, è ricorso il decimo anniversario della morte
di Davide Bifolco, sedicenne ammazzato da un carabiniere in servizio a Napoli,
al termine di un inseguimento. Quando è stato sparato, Davide era a terra,
disarmato. Il 29 febbraio saranno invece passati cinque anni dalla morte di Ugo
Russo, quindici anni, sparato alle spalle da un carabiniere fuori servizio
mentre scappava dopo un tentativo fallito di rapina.
Sempre a febbraio, il 6 del mese, ma del 2010, moriva invece Aziz Amiri, ucciso
da un carabiniere dopo un tentativo di fermo, con una Beretta calibro 9 non in
ordinanza all’agente. Sempre quindici anni fa, il 21 settembre 2010, moriva
anche Roberto Collina, dopo una colluttazione con due agenti in borghese, fuori
servizio, nel comune di Largo Campo, in provincia di Salerno.
A settembre, il 25 per la precisione, saranno passati vent’anni dalla morte di
Federico Aldrovandi, diciottenne al momento della sua morte, pestato brutalmente
con calci, pugni e manganellate da una pattuglia di poliziotti, e poi morto una
volta immobilizzato al suolo per “asfissia da posizione”.
Luglio 2025: sarà il decimo anniversario della morte di Mauro Guerra, trentatré
anni, sparato da un carabiniere in un campo di sterpaglie poco distante da casa
sua, a Carmignano di Sant’Urbano (in provincia di Padova), dopo un tentativo di
trattamento sanitario obbligatorio. «Mauro era stato bloccato, già gli era stata
infilata una delle manette ma il carabiniere lo ha aggredito e lui ha reagito
con due o tre pugni. […] È andato via camminando, ma l’agente gli ha sparato
alle spalle. E gli altri carabinieri, che erano a cento metri, quando sono
arrivati hanno continuato a prenderlo a calci mentre già era a terra», la
testimonianza dei familiari.
Nell’aprile 2020, cinque anni fa, moriva nel carcere di Santa Maria Capua Vetere
Hakimi Lamine, che qualche settimana prima era stato tra i detenuti
violentemente pestati nel corso della Mattanza operata dagli agenti di polizia
penitenziaria, e non solo. Dopo il pestaggio Hakimi era rimasto fino alla sua
morte in isolamento punitivo (qui un diario del processo in corso)
Ne approfitto per segnalare che tra gennaio e febbraio ci saranno due iniziative
a Napoli, all’università L’Orientale, su questi temi, organizzate da dottorandi
e dottorande in Studi Internazionali: il 20 gennaio (ore 10:30, palazzo Giusso,
Sala Dottorato) un seminario con Enrico Gargiulo dell’università di Torino, e
Gaia Tessitore, avvocato del foro di Napoli); il 3 febbraio una mostra – dalle
10 alle 18, palazzo Giusso, Sala Dottorato – sui familiari dei cittadini uccisi
dalle forze dell’ordine (la mostra è promossa da Amnesty International con foto
di Antonio De Matteo, che incontrerà gli studenti alle 15 insieme a Francesca
Corbo, Luigi Manconi, i familiari di Davide Bifolco e quelli di Ugo Russo).
https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/01/polizia-parolasettimana.mp4
(credits in nota1)
(a cura di riccardo rosa)
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¹ Immagini da:
Sulla mia pelle, di Alessio Cremonini (2018)
The Sleepers, di Barry Levinson (1996)
Blue Bayou, di Junstin Chon (2021)
Colorblind, di Mostafa Keshvari (2023)
Judas and the Black Messiah, di Shaka King (2021)
A Clockwork Orange, di Stanley Kubrick (1971)
Hunger, di Steve McQueen (2008)
https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/12/verdoneveed.mp4
.
Hanno fatto il giro del mondo le immagini di uno spettacolo del circo Orfei
andato in scena a Licola il 23 dicembre. È successo che a un certo punto i leoni
si sono innervositi e progressivamente si sono ribellati al loro domatori,
ruggendo, saltando dappertutto e scuotendo la gabbia (tra il terrore degli
spettatori). Per calmarli Sonny Caroli, il domatore, ha dovuto colpirli
ripetutamente col frustino e lanciare contro di loro le pedane, alimentando
ancora di più la sensazione di pericolo tra il pubblico.
Nei giorni successivi sono montate le polemiche. Da un lato chi ritiene che non
sia più accettabile utilizzare gli animali per i circhi, dall’altro chi si è
schierato con il domatore, difesosi sostenendo che chi lavora e abita nel circo
vive in simbiosi con i suoi animali.
Mestiere infame, c’è poco da dire, quello di domare.
Zenobia: Io a Roberto mio non gli faccio mancare niente! (Allungando la voce
verso il marito) Seh, quello chesto vulesse vede’: ca quando tiene appetito non
fosse pronto il mangiare… Madonna, me ne potrei fuggire!
Bettina: Che? (Come dire: Avete sentito? Ad alta voce, con intenzione) Ce vo’ ‘a
furtuna a ‘stu munno…
[…]
Giannina: Sì, ma è troppo ‘na servitù.
Zenobia (piccata): E che viene a dire questa “servitù”? È dovere della moglie
fare tutto al marito. La moglie lava, stira, cuce, rattoppa…
Bettina: E il marito fa il damerino!
Roberto: Donna Betti’… Donna Betti’, lasciate sta’ a mia moglie. (Mordendosi a
stento) Fatela cucinare!
Bettina (sgraziata): Ma chi ‘a sta dicenno niente?
[…] Carletto (a Bagonghi, che appare mortificato per l’accaduto): Oh, ma comme
s’adda fa’ cu ‘a mugliera vosta…?
Bagonghi (andando verso Bettina, uscendo fuori dai gangheri): Ma comme, io aggio
ammaistrato cane, gatte, surice e pulice, e nun so’ stato bbuono maje a te
‘mpara’ ca nun he ‘arapi’ ‘a vocca?
(raffaele viviani, circo equestre sgueglia)
Per un periodo ho frequentato sporadicamente Reggio Calabria, città bellissima e
dalle devastanti contraddizioni. Mi è capitato una volta di andarci in aereo, di
atterrare poco dopo l’alba e di riposarmi su una spiaggia dall’aspetto
californiano, una distesa enorme di sabbia poco distante dall’aeroporto, per
raggiungere la quale bisognava attraversare una terra abbandonata e occupata da
un circo.
Ora, non so se sia un’esperienza comune visitare un circo alle sette del
mattino, ma a me pareva di essere in un film di Fellini, solo senza la
monaca-nana, e con tutti gli altri dormienti, insonni o appena svegli. Una
ragazza dalle gambe lunghissime, con una sottoveste anni Sessanta e degli
zoccoli in legno dava da mangiare ai cavalli. Una signora dai capelli
bianchissimi disponeva biancheria intima su uno stendino malconcio. Un cane
spelacchiato si mise a seguirmi per un po’, finché all’improvviso, così com’era
comparso, sparì. Mi sembrò che quella scena così poetica e decadente volesse
significare qualcosa, ma non riuscii proprio a comprendere cosa e dopo pochi
minuti mi addormentai usando la valigia come cuscino e il giubbotto come telo.
Positiva la presenza di Nettuno in Ariete, tra aprile e ottobre, che ti spingerà
a ricercare significati più spirituali e profondi alla tua esistenza, in poche
parole conferirà una dimensione più spirituale alla tua personalità. (manuela
livi, oroscopo 2025: leone; da: virgilio.it)
Hai l’impressione di aver già vissuto come in un romanzo d’avventura negli
ultimi anni e adesso sei pronto a risolvere senza piagnucolare qualsiasi cosa la
vita ti metta nel piatto. (ginny chiara viola, oroscopo 2025: leone;
da: fanpage.it)
Uno dei gruppi ultras più longevi e determinati dello stadio Maradona – nonché,
se non sbaglio i conti, l’unico che ancora rinuncia alle trasferte, avendo
rifiutato di fare la “tessera del tifoso” – è quello dei Vecchi Lions. Nato nel
1992 dalla scissione dei Blue Lions, il gruppo viene descritto in una delle
periodiche informative che la Digos si premura di inviare a tutti i giornali
come “composto da circa cento tifosi, soliti posizionarsi nell’anello superiore
della Curva A, all’altezza dell’ultimo boccaporto centrale. Gli aderenti
provengono da varie aree di Napoli e provincia. […] Si riunisce in piazza
Sannazzaro, attesa la mancanza di una propria sede. Non Fidelizzati”.
Già negli anni Ottanta, la frangia più radicale dei Blue Lions, quella che poi
darà vita ai “vecchi leoni”, si era distinta per alcune azioni rimaste epiche
nella narrativa popolare ultras. Su tutte, l’aver sventato un possibile
gemellaggio che il Commando Ultrà napoletano, capitanato da Palummella, stava
preparando nientedimeno che con le Brigate Gialloblù del Verona, andando a
caricare i tifosi veneti al Bentegodi, sotto la loro curva. Dopo quell’evento,
tra il 1982 e la fine del 1983 i Blue Lions e i Fedayn arrivarono ripetutamente
allo scontro con gli ultras veneti, finché la situazione non degenerò in
violenti scontri successivi alla partita, a Verona, del 20 novembre 1983 (1-1,
con leggendario gol di capitan Bruscolotti). Sugli spalti, quel giorno, gli
ultras locali avevano esposto uno striscione dedicato al loro ex giocatore, il
brasiliano Dirceu, appena passato al Napoli: “Ora non sei più straniero: Napoli
ti ha accolto nel continente nero”.
Vado in Mozambico!
Mi sbucciai un dito!
Fatta infezione,
necessaria amputazione!
Dito! Gamba!
Vuoi ballare tu la samba?
Samba! Samba! Sam-ba!
Oh leon, oh leon,
questa è la canzon dei vecchi leon!
Oh leon, oh leon,
questa è la canzon dei vecchi leon!
(inno vecchi lions, curva a napoli)
A dispetto del suo carattere aperto (per essere un capo militare e un dirigente
del CCCP si potrebbe dire che era quasi un viveur), Trotskij fu un bambino
solitario, almeno nella sua primissima infanzia. In realtà era accaduto che i
genitori del piccolo Lev (Leon, nella traslitterazione anglosassone dal
cirillico) l’avevano mandato a una scuola ebraica, dove non riusciva a
socializzare con nessuno non parlando una parola di yiddish. Negli anni
successivi, quando un parente di sua madre lo portò con sé a Odessa per fargli
frequentare la scuola parificata luterana, le cose cambiarono. A dieci anni il
ragazzo fu tra i protagonisti di una protesta contro un professore e fu espulso
per colpa di altri studenti che lo avevano denunciato al preside. Tempo dopo
avrebbe commentato così quell’episodio: “I gruppi sorti in quell’occasione – gli
invidiosi e i delatori da una parte, i giovani franchi e valorosi dall’altra, e
la massa neutrale, incerta, amorfa nel mezzo – li ho incontrati anche più tardi,
nelle più svariate circostanze”.
Chissà se immaginava, il giovane Trotskij, che sarebbe morto dall’altra parte
del mondo per mano di una spia assoldata dai suoi vecchi compagni di
partito: Jaime Ramón Mercader del Río. Gli avvenimenti che hanno portato alla
morte di Trotskij sono stati il principale motivo di critica di una serie
distribuita da Netflix che ne racconta la vita, un’operazione di propaganda
putiniana che lo ritrae come un leader sanguinario e cinico. Quel che conta è
che saltellando da un link a un altro sono arrivato a un’altra storia di
propaganda, che non conoscevo.
Autunno 1943: il ministro della cultura popolare della Repubblica di Salò cerca
di assicurarsi, approfittando della distruzione quasi totale di Cinecittà,
l’appoggio di una serie di registi e attori famosi, invitandoli a girare dei
film “schierati” e ben pagati negli studi della nascente Cineisola, che avrebbe
dovuto sorgere in una ex fabbrica di birra della Giudecca (Venezia).
Tutti i registi o quasi si rendono irreperibili, qualcuno si sfila in altro
modo, tra cui De Sica, che si inventa di essere impegnato a Roma con un film
commissionato dal Vaticano. In effetti, quando De Sica interagisce con il
ministro Mezzasoma (già vicesegretario del partito fascista, fucilato e poi
esposto a piazzale Loreto qualche anno dopo) la lavorazione de La porta del
cielo non è ancora partita, e De Sica non è nemmeno il regista designato. Il suo
nome viene imposto, con l’obiettivo di sottrarlo alle pressioni repubblichine,
dall’attrice protagonista del film, sua amante (sarà poi sua seconda moglie e
madre di due dei suoi figli), innescando una serie di avvenimenti per cui la
basilica romana dove viene girata la pellicola diventerà un nascondiglio per
molti ebrei e antifascisti.
https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/12/desica.mp4
.
La protagonista de La porta del cielo si chiamava (è morta nel 2011) María de la
Asunción Mercader, ed era la cugina dell’assassino di Trotskij. (a cura di
riccardo rosa)
(disegno di ottoeffe)
Nel rifugio capitava pure gente avventizia: passanti casuali oppure qualche
personaggio senza recapito: accattoni, prostitute da poco prezzo, trafficanti di
borsa nera […]. Alcuni di costoro, provenienti da Napoli, raccontavano che la
città, dai cento bombardamenti che aveva avuto, era ridotta a un cimitero e un
carnaio. Tutti quelli che potevano ne erano fuggiti; e i poveri pezzenti che
c’erano rimasti, per ripararsi andavano ogni sera a dormire dentro le grotte,
dove avevano portato materassi e coperte (elsa morante, la storia).
C’è un posto, nell’università che ho frequentato negli ultimi due anni grazie a
una borsa pagata dal Pnrr (vale la pena sottolinearlo perché con la riforma
Bernini, e con la fine della sfrenata stagione di ripresa&resilienza, la ricerca
accademica si appresta a chiudere definitivamente bottega, il che considerando
la situazione attuale potrebbe pure non essere un male), che tutti chiamano
“aula bunker”. Si dice fosse il vecchio appartamento di un custode, e in effetti
la struttura a stanze e il bagno da casa della nonna lascia pensare che sia
così. Non è il massimo del comfort, ma le stufe ci sono, l’affaccio su piazza
Banchi Nuovi rende gradevoli le pause, e di recente siamo riusciti ad avere una
stampante-fotocopiatrice.
Dentro al bunker, in questi due anni, sono confluite un po’ di persone legate in
maniera diversa all’università, e confrontandosi hanno pianificato e organizzato
iniziative, costruito alleanze dentro e fuori l’università, creato – con alterne
fortune – un minimo di conflitto, fatto insomma quello che si dovrebbe fare
quando si sta dentro un’istituzione e se ne vedono tutti i limiti: politica.
Tra le iniziative organizzate nei prossimi mesi e partite dal bunker ci sono due
seminari interessanti: uno a febbraio, con una docente
e ricercatrice dell’università dell’East London che racconterà il processo di
resistenza degli abitanti di Dalston – a cui ha partecipato con i suoi studenti
– contro il tentativo di “rigenerazione urbana” (ovvero “capitalizzazione
economica”) del quartiere; l’altro con uno tra i più meticolosi studiosi delle
forze di polizia del nostro paese, anche lui docente all’università di Torino.
«Presidente, ne approfitto per comunicarvi che l’avvocato Marziale, che difende
la posizione della parte civile Fakhri Marouane mi ha appena notiziato […] che
il suo assistito purtroppo si è dato fuoco in carcere a Pescara. È in condizioni
gravissime, è stato trasportato in eliambulanza sabato a Bari, dove attualmente
è ricoverato».
Il ragazzo marocchino aveva trent’anni ed è morto dopo due mesi di agonia in
quell’ospedale. Era nel gruppo selezionato dei quattordici il giorno
della Mattanza; prelevato con la forza dalla sua cella, aveva percorso il
“corridoio umano” prendendo diversi pugni e calci. […] Dopo il corridoio, giunto
nella saletta della socialità, Fakhri è costretto a inginocchiarsi al cospetto
degli agenti e a strisciare fino al muro della stanza; alzarsi in piedi e poi
inginocchiarsi di nuovo dinanzi all’altro agente di polizia. (estratti
dalla puntata n.7 di Diario dal bunker, una rubrica della redazione di Napoli
Monitor sul processo per le violenze della polizia nel carcere di Santa Maria
Capua Vetere)
Qualche giorno fa il rapper Marracash ha pubblicato un nuovo disco, È finita la
pace, suo settimo album. Il pezzo migliore è Factotum: primo perché parla di
cose di cui nessuno parla più (i lavoratori, gli operai, gli sfruttati, il lento
crepare non solo alla fine, ma anche in mezzo tra il “produci” e il “consuma”) e
poi perché mostra che anche se si fa successo si può continuare ad avere
contatto con la realtà – rifuggendo per quanto possibile il rifugio – e
raccontarla.
Il lavoro debilita l’uomo,
non rinuncio la sera all’uscita,
vado a letto la notte che muoio e mi sveglio che sono quasi in fin di vita.
Oggi in un cantiere io e un eritreo,
metto canaline su un piano intero.
In pausa stecchiti
dormiamo in cartoni imbottiti di lana di vetro.
La vita è “produci-consuma-crepa”
chiunque di noi prima o poi lo accetta
che si crepa già prima di finire sottoterra.
Produco il mеno possibile, rubo il rubabile, per ritardare che mi crepi l’anima,
poi fuori fa scuro e ognuno va nel formicaio in cui abita.
La pace come condizione strutturale non è più un orizzonte, e lo si è capito da
un po’. È opinione comune che viviamo tempi cronicamente bellici, dove per
guerra è limitante intendere solo le bombe e le granate contro popoli e
territori di conquista, ma anche quella quotidiana ai poveri, ai migranti,
ai marginali, a chi protesta.
Tempo fa lessi che Zuckerberg si stava costruendo un gigantesco bunker
antiatomico in Nuova Zelanda. A inizio settimana, più modestamente, ho visto un
paginone sul Corriere della Sera in cui si pubblicizzava un kit di difesa ai
CBRN (chimici, batteriologici, radiologici, nucleari): mille e duecento euro
trasporto e iva inclusi, da febbraio 2025, per proteggersi dagli attacchi
nemici.
In quei primi anni le strade erano affollate di profughi imbacuccati dalla testa
ai piedi. Protetti da maschere e occhialoni, seduti tra gli stracci sul bordo
della strada come aviatori in rovina. Carriole piene di cianfrusaglie. Carri e
carretti al seguito. Gli occhi spiritati in mezzo al cranio. Gusci di uomini
senza fede che avanzavano barcollanti sul selciato come nomadi in una terra
febbricitante. La rivelazione finale della fragilità di ogni cosa. Vecchie e
spinose questioni si erano risolte in tenebre e nulla. L’ultimo esemplare di una
data cosa si porta con sé la categoria. (cormac mccharty, la strada)
Una mattina di un bel po’ di anni fa ero in treno con alcuni amici. Era la prima
volta che prendevamo un’alta velocità, tutto era nuovo e pulito, e i viaggiatori
apparivano molto soddisfatti di poter percorrere il tragitto tra Napoli e Roma
in un’ora. Uno tra noi quattro o cinque, credo, non aveva il biglietto. La
controllora lo scoprì e, con disgusto, al nostro rifiuto di pagare ci intimò di
consegnarle i documenti. Si lasciò scappare, poi, qualcosa sul fatto che su quel
tipo di treno, non erano ammessi comportamenti del genere, e che avremmo dovuto
vergognarci di un gesto simile. Il mio amico le rispose che quella cosa si
chiamava “Repubblica di Weimar” e che “dopo di questo c’è il nazismo”. Lei non
colse, ma alla fine non ci fece la multa e neppure lo fece identificare dalle
guardie.
C’è una scena nella versione televisiva de La paura numero uno (commedia di De
Filippo del 1950) in cui Eduardo prova a spiegare a una perplessa Luisa Conte il
rapporto tra consumo compulsivo e guerra.
https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/12/paura-n1def.mp4
(credits in nota1)
Insomma, più la fine è vicina, ci dice anche Pasolini, più l’asticella si alza.
E nulla è meglio di una villa a Salò, come bunker.
https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/12/salo.mp4
(credits in nota2)
Rifugiati in bunker anti-nucleari
nuje ce l’ammo guadagnata ‘st’aria:
meno uommene, cchiù vuommeche;
‘na sola banca emette carta straccia
e nun è manco eletta pe’ suffragio.
E a nuje ce spetta ‘e muri’ pe’ ‘na causa
pecchè suffri’ vo’ dicere curaggio.
(enzo avitabile ft. co’sang, maje ‘cchiù)
(a cura di riccardo rosa)
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¹ Eduardo De Filippo e Luisa Conte in: La paura numero uno, Eduardo De Filippo
(1964, versione televisiva)
² Paolo Bonacelli, Uberto Paolo Quintavalle, Hélène Surgère, Sonia Savange in:
Salò o le 12o giornate di Sodoma, Pier Paolo Pasolini (1975)
E se tu la credevi vendetta
il fosforo di guardia segnalava la tua urgenza di potere,
nentre ti emozionavi nel ruolo più eccitante della legge,
quello che non protegge:
la parte del boia.
(fabrizio de andrè, sogno numero due)
I giornali di tutto il mondo si sono arrovellati per giorni perché non
riuscivano a cogliere la motivazione più profonda che ha portato il ventiseienne
Luigi Mangione ad ammazzare Brian Thompson, amministratore della United Health
Care, negli Stati Uniti.
Le eventuali motivazioni che lo hanno spinto al gesto estremo dello scorso 4
dicembre saranno presumibilmente principale materia per le indagini. (luca
celada, il manifesto)
L’insospettabile Mangione vanta un curriculum scolastico specchiato, nessun
profilo da killer professionista né da “uomo addestrato” capace di uccidere
nonostante la pistola […] si fosse inceppata. Se mai ci dovesse essere un
movente omicida va ricercato nella profonda ostilità del ventiseienne nei
confronti del sistema capitalistico. (domenico di cesare, rainews.it)
There are things police know and things they are still working through,
including the motive. (marcia kramer e tim mac nicholas, cbs.news)
Devo aver sviluppato nel tempo una certa capacità di leggere nel pensiero delle
persone, perché a me queste motivazioni non sembrano così oscure, considerando
tra l’altro che Mangione si portava dietro una sorta di “manifesto” in cui erano
descritti gli abusi che le compagnie di assicurazioni “continuano a perpetrare a
scopo di immenso lucro contro il paese” e che “francamente questi parassiti se
lo meritano”. Si deve poi tenere conto del fatto che una buona parte della
popolazione americana è letteralmente in ostaggio delle assicurazioni sanitarie,
un business da oltre mille e cinquecento miliardi l’anno, e che produce utili di
livello mostruoso (solo per la United Healt parliamo di trecentosettanta
miliardi nel 2023). Ah, oltre centocinquantamila famiglie americane, ogni anno,
non riescono a pagare i debiti contratti con le assicurazionil’anno precedente.
La prima cosa che mi è venuta in mente quando ho letto la notizia è quel libro
di Don DeLillo in cui si segue il destino di un giovane multimiliardario che,
dalla sua limousine rivestita di marmo di Carrara, gestisce faraonici affari,
perdendo enormi quantità di soldi giocando in borsa. Intanto, intorno a lui New
York va in fiamme, travolta da una rivolta anticapitalista.
Non vale questa modesta rubrica lo spoiler di un libro così bello, ma si può
almeno dire che Cosmopolis è una delle cose più chiare e feroci scritte contro
il capitalismo, e su un futuro in cui “il topo diventerà l’unità monetaria”.
https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/12/cosmopolis-copia.mp4
(credits in nota1)
I know a mouse, and he hasn’t got a house
I don’t know why I call him Gerald.
He’s getting rather old, but he’s a good mouse.
(pink floyd, bike)
In psicologia, “motivazione” è “quanto concorre a determinare il comportamento
di un individuo o anche di una collettività”.
https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/12/demotivtore.mp4
(credits in nota2)
Due brevi storie da raccontare, sebbene note ai più.
Storia numerouno. 1975, i Pink Floyd sono ad Abbey Road a registrare alcuni
pezzi di quello che sarà Wish you were here. Il gruppo deve fare a meno del
genio psichedelico di Syd Barret, uscito nel ’68 perché non riesce nemmeno più a
reggersi in piedi sul palco, a causa delle tante e devastanti dipendenze. Barret
era un ragazzo bellissimo, ma quel giorno si presenta in studio senza capelli e
molto grasso (“Ho un frigo gigante pieno di carne di maiale”, spiegherà), tanto
che i suoi amici in un primo momento non lo riconoscono. Dopo qualche minuto gli
fanno ascoltare Shine on you crazy diamond, la canzone che hanno appena
registrato e che tra l’altro è quella che contiene più riferimenti all’ex
chitarrista. Quando gli chiedono un parere, lui fa una smorfia e commenta: “Non
mi pare un granché, suona un po’ vecchia”. La sera, prima di andare a una festa
insieme al gruppo, Barret se ne va senza salutare né dir niente. Nessuno dei
suoi amici lo rivedrà mai più, fatta eccezione per Waters, che lo incontrerà una
volta per caso da Harrods. Dopo quell’incontro, però, scriveranno per lui Wish
you were here, una delle più belle canzoni della storia della musica.
Storia numero due. 1993, dopo un disastroso girone di qualificazione l’Argentina
deve affrontare l’Australia in uno spareggio per conquistarsi l’accesso al
mondiale. Sarebbe il primo mondiale dal 1978 senza Maradona, squalificato per
uso di cocaina nel 1991 e da pochissimo tornato in campo col Siviglia. La Fifa,
come sempre, approfitta della situazione, e terrorizzata dal rischio flop del
mondiale americano pensa di buttare nella mischia il calciatore più forte e
famoso di tutti i tempi. Il presidente Blatter fa un lavoro diplomatico enorme,
garantisce che non sarà oggetto del controllo antidoping, e di fatto fa
convocare Maradona per la doppia sfida con i canguri. Diego non si tira
indietro, è un po’ disgustato ma vuole vincere il mondiale per le sue figlie,
che nell’86 non erano ancora nate, e avevano negli occhi solo le lacrime per la
finale rubata nel 1990 dalla “mafia federale italiana”. In America Diego sarà
scaricato dalla stessa Fifa (lo racconta bene in
quest’intervistaquest’intervista rilasciata a Gianni Minà subito dopo la nuova
squalifica), ma in quelle due partite fece il suo, servendo l’assist a Balbo per
il gol all’andata, e combattendo fino alla fine nell’uno a zero del Monumental.
Tutto questo per dire che si avvicina il nuovo anno. La guerra è alle porte, il
capitalismo ci sta divorando e il topo non è ancora unità monetaria. Trovatevi
qualcuno che vi dia motivazioni come Syd Barret ai Pink Floyd e Diego Maradona
ai suoi compagni prima di Argentina-Australia.
https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/12/diego.mp4
.
(a cura di riccardo rosa)
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¹ Cosmopolis (2012), un film di David Cronenberg
² Toni Bonji nei panni del Demotivatore
(disegno di ottoeffe)
Mille e cinquecento impianti di sorveglianza già esistenti a Napoli e
trecentocinquanta nell’area metropolitana. Due milioni messi a disposizione
dalla Regione Campania per aumentare le telecamere nelle periferie. Il raddoppio
di presidi fissi di soldati e forze dell’ordine nelle piazze napoletane, in
particolare a piazza Dante, nell’ambito dell’operazione “Strade Sicure”, di
fatto una guerra aperta agli adolescenti della città (per la quale il prefetto
Di Bari ha ringraziato “la sensibilità del ministro Piantedosi”). Che non sia
questa la soluzione, considerando che tutti si lamentano?
E invece i commercianti della zona insistono, e in settimana hanno protestato
per chiedere ancora più telecamere, più pattuglie, più sicurezza. Soprattutto,
vogliono che i militari non stiano fermi in un posto ma si muovano avanti e
indietro nella piazza. Pronti a intervenire contro il nemico minorenne.
https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/12/taci.mp4
(credits in nota1)
Per evitare la “serrata” dei commercianti, che minacciavano di lasciare le
saracinesche abbassate per protesta contro le baby gang e contro lo Stato, il
prefetto ha messo su una sorta di consiglio di guerra, convocando il comandante
dei carabinieri e il questore, e portandoseli a un incontro con i commercianti
di cui sopra (che si sono tranquillizzati e hanno cancellato l’iniziativa).
Personalmente ho appreso quest’accezione del termine “serrata” (“sospensione
dell’attività lavorativa da parte di piccoli imprenditori, specialmente
commercianti e artigiani, consistente nella chiusura dei propri esercizi di
vendita e distribuzione, come forma di tutela dei propri interessi”) solo di
recente. Più nota mi era quella di “sospensione totale o parziale del lavoro
disposta dal datore di lavoro come mezzo di intimidazione, di coercizione e di
rivalsa contro i lavoratori, durante vertenze e lotte sindacali; non avendo,
come il diritto di sciopero, specifica tutela costituzionale, la serrata va
considerata violazione degli obblighi contrattuali del datore di lavoro, e, nei
casi più gravi, può configurare una forma di comportamento antisindacale vietato
dallo Statuto dei lavoratori”.
Il proprietario delle fonderie
una serrata aveva ordinato,
ma gli operai avevan lottato
per difendere il posto di lavor.
Il boss fascista Adolfo Orsi
e Mario Scelba suo degno compare
a sangue freddo fecero sparare
su quella folla seminando terror.
(bruna montorsi, l’eccidio di modena)
Da qualche anno esiste una piattaforma che si chiama “Rilanciare il settore,
rilanciare il paese” che di fatto è un’intesa tra organizzazioni datoriali e
sindacati confederali (Cgil compresa) perché il comparto delle costruzioni venga
sostenuto da investimenti pubblici su infrastrutture e grandi opere. Nel 2019,
quando in occasione di un #climastrike il sindacato guidato da Landini chiamò
una giornata di mobilitazione dei lavoratori delle costruzioni, richiamando
esplicitamente a quella piattaforma e quindi all’intesa con i padroni, in molte
città italiane, e in particolare davanti alle sedi dei sindacati, comparvero dei
manifesti:
(foto da: contropiano.org)
Alle due di notte dello scorso 7 ottobre, con l’ausilio di ruspe e lacrimogeni
delle forze dell’ordine, un gruppo di militanti No Tav è stato sgomberato da un
terreno che il movimento aveva collettivamente acquistato e che era in corso di
esproprio (lo sgombero è avvenuto addirittura prima dei termini previsti dalla
legge). Il terreno è stato recintato da blocchi di cemento e griglie di ferro
protette da filo spinato.
Secondo il sito Volere la luna, sul terreno non sarebbero previsti lavori nel
breve-medio termine. Il gruppo di proprietari ha avviato un’azione legale
contestando le modalità di esproprio dell’area che considera illegittime.
Sulla storia del grande inganno Torino-Lione sono stati prodotti decine di
reportage, documentari, libri, oltre che materiale che di anno in anno si
rinnova e viene presentato nel corso del festival che si tiene ogni estate in
Val di Susa. Due tra le cose migliori sono Un viaggio che non promettiamo bene.
Venticinque anni di lotte No Tav, di Wu Ming1, e Binario Morto. Alla scoperta
del corridoio 5 e dell’Alta velocità che non c’è, autori Andrea Benedetti e il
compianto Luca Rastello, di cui ricorrerà quest’estate il decimo anniversario
della precoce scomparsa.
Poi, magari, ti assale un pensiero: sono gli oggetti che ti sopravviveranno. Un
giorno tu sarai morto e nel solito vecchio pettine ci sarà ancora impigliato
qualche tuo capello. (luca rastello, piove all’insù)
A proposito di scioperi e di Tav, è bene ricordare che l’articolo 15 del Ddl
1660 in corso di approvazione – uno dei motivi per cui si è manifestato negli
ultimi due giorni – prevede alcune modifiche all’articolo 583-quater del codice
penale “in materia di lesioni personali ai danni di un ufficiale o agente di
polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell’atto o a causa dell’adempimento
delle funzioni o del servizio”. Una aggravante di nuova formulazione prevede
che:
all’articolo 339 è aggiunto il seguente comma: “Se la violenza o la minaccia è
commessa al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di
un’infrastruttura strategica, la pena è aumentata”.
Blocchi, disobbedienza, picchetti. Quanto sembri lontano, millenovecento.
https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/12/classe-operaia.mp4
(credits in nota2)
(a cura di riccardo rosa)
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¹ Totò e Tina Pica in: Destinazione Piovarolo, Domenico Paolella (1955)
² da: La classe operaia va in Paradiso, Elio Petri (1971)