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La parola della settimana. Macchina
(da: crash, di david cronenberg) E la macchina sia alleata non nemica ai lavorator. (l’internazionale, versione italiana) Per varie ragioni, negli ultimi tempi, ho letto un po’ di cose sul rapporto tra l’uomo e la macchina. Così venerdì sono andato a rivedermi Crash, il film di Cronenberg forse più angosciante. L’avevo visto una sola volta, una vita fa, durante un corso di Storia e critica del cinema all’Orientale, e mi aveva colpito, complice l’atmosfera sepolcrale delle Mura Greche, il suo nichilismo visionario senza scampo. Quegli uomini e donne che si trascinano nella metropoli, capaci di trovare uno slancio solo verso la morte e attraverso la penetrazione-lacerazione, oggi mi sembrano invece molto plausibili, ancorati alla realtà, più contemporanei ancora dei personaggi di un altro film di C. più recente, che ho amato molto, e che racconta tra le altre cose il farsi esibizione di questo rapporto tra il taglio e l’erotico («La chirurgia è il nuovo sesso»). Quando costruiamo delle macchine è come se fosse la nostra versione del corpo umano. Nel senso che il corpo umano è una macchina. È quello che William Burroughs ha chiamato “the soft machine”. È interessante perché quando apri una macchina vedi la mente dell’uomo che l’ha progettata. […] Mi piace molto lavorare sui motori delle moto e delle auto. In questo modo hai l’intera storia dell’uomo, la tecnologia, il design, la razionalità. […] È un’avventura filosofica lavorare su una macchina. (david cronenberg intervistato da enrico ghezzi per fuori orario, 1988) (credits in nota 1) Alla sua uscita, non capendoci molto, tanti critici bollarono Crash come una sorta di techno-porno. A Londra l’uscita della pellicola fu vietata per molti mesi, in Italia la Repubblica pubblicò due articoli violentissimi firmati da Irene Bignardi. So che i critici italiani hanno scritto che Crash era pornografia ma, guardando film pornografici non mi sembrava che avessero nulla a che vedere con il mio. Forse il problema è strutturale: può darsi che non abbiano mai visto un film che apre con tre scene di sesso e che non sia un porno. È vero che in Crash sono le scene erotiche a portare avanti la narrazione, come nel cinema porno, ed è vero che quelle scene si possono descrivere molto semplicemente come: gente a letto che si dice porcherie e poi ha grossi orgasmi. Ma mi sembra che il modo in cui le scene sono costruite, funzionano nel film e in quello che dicono sia tutto diverso da un film porno. (david cronenberg intervistato da giulia d’agnolo vallan per il manifesto, 1996) Chissà se Cronenberg ha mai conosciuto Carmine Attanasio, o se ha mai saputo che nel novembre di quello stesso anno il leader dei Verdi napoletani propose un ordine del giorno in consiglio comunale per vietare la pellicola anche in Italia. Lo firmarono diciotto consiglieri di Alleanza Nazionale e Rifondazione Comunista, ma l’interpellanza non passò.   Sono in molti, a quanto sembra, a temere un immaginario fatto di violenti urti di carrozzeria e corpi cicatrizzati, post-organici. E l’onda di disgusto si propaga con rapidità: dall’Inghilterra (il film è in attesa di visto), alla pudica America (che rimanda la sua uscita), il “testimone censorio” passa, a sorpresa, a Napoli. Sì, proprio a Napoli, città-modello delle giunte di sinistra. Che si risveglia in un ventoso giorno di novembre stringendo in mano un’interpellanza comunale […] che chiede di bloccare la pericolosa pellicola girata da Cronenberg. Prima ancora che circoli e sia vista, naturalmente. Per pura prevenzione sociale. (arianna di genova, il manifesto) Qualche giorno fa, passeggiando a sera molto tarda per il mio quartiere e attraversando alcuni dei suoi angoli più reconditi, mi sono reso conto della quantità di gente che di notte dorme in macchina, come tra l’altro il personaggio più assurdo e affascinante di Crash («Vivi qui?». «No, io vivo in macchina. Questo è il mio laboratorio»). Il giorno dopo abbiamo pubblicato su Monitor questo articolo molto preciso sulla tragedia di quei tre fratelli che si sono barricati nella loro casa e poi l’hanno fatta esplodere, uccidendo tre carabinieri e innescando contemporaneamente gli ingranaggi di un’altra macchina, molto ben rodata. La notizia, per i giornalisti italiani, non sta nella crisi sociale che il paese sta vivendo attorno a sfratti e sgomberi, specialmente, e sempre più spesso, ai danni di persone anziane. Giusto alcuni casi recenti: 8 ottobre 2025, Sesto San Giovanni (Milano): settantunenne si lancia dal sesto piano mentre l’ufficiale giudiziario notifica lo sfratto; lascia biglietto (“Non ce la faccio più”). 15 maggio 2019, Torino (Palazzo di Città): Dipendente comunale sessantatreenne si uccide nella sede municipale; aveva subito uno sfratto esecutivo. 16 luglio 2015, Genova (Sestri Ponente): Si getta dalla finestra “a causa dello sfratto”. 19 dicembre 2013, Torino (quartiere Parella): cinquantenne si impicca al balcone; in tasca l’ingiunzione di sfratto da eseguire entro trenta giorni. La vera notizia, a quanto pare, sono i funerali di Stato per i tre carabinieri morti sul lavoro, diventati eroi al pari dei loro colleghi caduti nella lotta alla mafia. Sia chiaro che il sacrificio individuale di chi perde la vita nell’adempimento del dovere merita un rispettoso riconoscimento dallo Stato e da tutti. Tuttavia, trasformare gli esecutori di uno sgombero ai danni di tre contadini semianalfabeti in martiri della legalità, senza alcuno sguardo critico sul contesto, significa spostare il discorso sul piano liturgico, rendendolo impermeabile a ogni analisi, rassicurante, funzionale allo status quo. (antonio malatesta, napolimonitor.it) Nonostante le ripetute rassicurazioni da parte del sindaco di Napoli e dei suoi assessori, le famiglie dell’ex Motel Agip di Secondigliano, sfrattate dall’edificio comunale e abbandonate, sono ancora in strada senza aver ricevuto nessuna proposta alternativa se non la solita elemosina in denaro, in una città in cui il mercato immobiliare impone il possesso di ben altre cifre, e soprattutto garanzie, per potersi assicurare un tetto. Contestato nel corso di un’iniziativa pubblica, il sindaco ha definito le persone che protestavano – molti ex abitanti dell’edificio e un gruppo di solidali − “professionisti della protesta”. Personalmente, l’arroganza e l’indifferenza politica dell’ex rettore mi disgustano quanto gli strali dei tanti che stanno strumentalizzando questa vicenda in vista delle elezioni regionali di novembre, mentre estrema tenerezza provo per quelli che già si stanno allineando verso un “fronte delle sinistre”, al fine di tirare la volata all’improponibile ricandidatura a sindaco dell’ex magistrato vomerese che già abbastanza danni ha fatto alla città in dieci anni di governo. a cura di riccardo rosa
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parola della settimana
La parola della settimana. Gufo
(disegno di ottoeffe) – Cucù! – Chi è? – Sono il gufu, che veglia nella notte, e ti ricorda l’appuntamento di domani. – Grazie gufu, ma c’ho l’agenda del cuore sulla quale ho scritt’ che domani vedrò il mio amat’. – Vabbè, comunque: Cucù! Visto che veglio nella notte, tanto vale che ti ricord’ gli appuntamenti. – Ma gufo, gufo di merda, non ce l’hai una casa? – La mia casa è l’amore e la riscalda il cuore degli amanti! – Maledizione a me e a quando ho deciso di vivere in campagna. (brunello robertetti, un poesie) Da qualche settimana, di notte, dalla mia stanza da letto, si sente uno strano rumore, un po’ diverso dal classico cuu-huu-hu di un gufo, ma nemmeno troppo. Dalle mie parti c’è un po’ di verde, una collina poco distante, ma l’impressione è che l’animale si nasconda piuttosto tra i pannelli solari del tetto di pertinenza, o più semplicemente che qualche condomino lo stia allevando a botte di topi e piccioni. Da ragazzino andavo spesso al mare, con alcuni amici, dalle parti del Fusaro. Non sfioravamo neppure la bellezza della Casina Vanvitelliana, né del lago dove si possono pescare con un po’ di fortuna pesci non troppo comuni. Ci dirigevamo invece con lunghe camminate dalla stazione della Cumana verso una spiaggia isolata, popolata da uomini un po’ strani, tra cui un venditore ambulante con una malformazione sotto lo sterno a forma di frutto, che si diceva essere una pera, ingoiata intera e rimasta letteralmente sullo stomaco al malcapitato. “Ora, veder cose che non posso comprendere, procurarmi cose impossibili ad aversi, questo è lo scopo della mia vita. Vi giungo con due mezzi: il denaro e la volontà… […] Così, per esempio, vedete questi due pesci nati, l’uno a cinquanta leghe da Pietroburgo, l’altro a cinque leghe da Napoli. Non è dilettevole il poterli riunire sulla stessa tavola?”. “Quali sono dunque questi pesci?”, domandò Danglars. “Ecco qua, il signor Chateau-Renaud, che ha abitato in Russia, vi dirà il nome dell’uno, e il signor maggiore Cavalcanti, che è italiano, vi dirà il nome dell’altro”. “Questo qui – disse Chateau-Renaud – è, credo, uno sterlet”. “E questo qua – disse Cavalcanti – una lampreda, se non sbaglio”. “Ora, signor Danglars, domandate a questi due signori ove si pescano questi due pesci…”, disse Montecristo. “Ma – disse Chateau-Renaud – gli sterlet si pescano soltanto nel Volga”. “E io – disse Cavalcanti – non conosco che il Fusaro che fornisca lamprede di questa grossezza”. “Ebbene, precisamente! L’uno viene dal Volga e l’altro dal lago del Fusaro”. “Impossibile!”, gridarono a un tempo tutti i convitati. “Ecco appunto ciò che mi diverte”, disse Montecristo. “Io sono come Nerone, desidero l’impossibile”. (alexandre dumas, il conte di montecristo) Ai margini di questa spiaggia sulla quale ogni anno passavamo buona parte del mese di giugno, c’erano delle vecchie palazzine a due piani diroccate. Non saprei spiegare il perché, ma nostro divertimento era entrare lì dentro e continuare a sfasciarle tirando contro i muri i mattoni che trovavamo per terra, qualche volta ferendoci, e finendo in altre persino all’ospedale. Un giorno ci accorgemmo che un gufo era rimasto imprigionato con una zampa in una fessura, e dando vita a uno spettacolo decisamente macabro pendeva a testa in giù, lamentandosi con un verso molto simile a quello che ogni notte oggi sento fuori dal balcone di casa. Salire a liberarlo era impossibile, perché non c’erano più scale né muri a cui arrampicarsi, e così la nostra idea fu quella di lanciare pietre più vicino possibile al suo corpo, per rompere il mattone in cui era rimasto impigliato e salvarlo. Il rischio di lapidarlo era calcolato, e il nostro alibi morale era che se lo avessimo lasciato lì se lo sarebbero mangiato i topi entro pochi giorni. Passammo ore in questa attività senza ottenere alcun risultato, poi abbandonammo l’animale al suo destino, dispiaciuti per non essere riusciti a salvarlo, ma forse un po’, almeno in qualche angolo recondito del nostro sadico cuore, anche di non averlo colpito. https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/10/kill-short.mp4 (credits in nota 1) Non conosco personalmente Gennaro Gattuso, ma mi è sinceramente antipatico. Non sopporto quella sua retorica da uomo tutto d’un pezzo, da contadino del Sud con i valori d’una volta, e quell’atteggiamento “forza e onore” che è facile sbandierare quando vivi tra i privilegi, che per carità, si sarà pure conquistato sul campo, anche se mi sarebbe piaciuto vedere la sua reazione quando Gazza Gascoigne, in Scozia, durante uno dei suoi primi allenamenti con i Rangers di Glasgow, gli cagò nei calzettoni. Gattuso, che come allenatore ha sempre fatto pena (fatta eccezione per qualche piccolo successo tra cui una Coppa Italia vinta in tempi di Covid con il Napoli titolato più brutto di sempre), oggi allena la nazionale italiana, e dispensa perle da vecchio uomo di valori – di norma ripete questa parola ogni due o tre frasi – a ogni intervista. L’altro ieri, tra una banalità e l’altra sul “dobbiamo pensare alla nostra partita”, ha detto che sperava che nella gara tra Israele e Norvegia succedesse “qualcosa di fantastico”, che poi se ho capito bene sarebbe stata la vittoria di Israele (inutile dire che i vichinghi hanno asfaltato gli israeliani per cinque gol a zero).  Ora, al netto del fatto che nell’ultimo mese la nazionale italiana ha giocato e giocherà una seconda volta contro uno Stato che sta commettendo un genocidio da due anni, e che nelle ultime quarantotto ore sta continuando a uccidere decine di civili nella Striscia nonostante la tregua sottoscritta in vista degli accordi di pace; al netto del fatto che in questo mese Gattuso non ha trovato nulla di più intelligente da dire che “dobbiamo giocarla la partita con Israele, altrimenti perderemo a tavolino”; e al netto del fatto che per Italia-Israele di mercoledì sono previste dure contestazioni a quest’evento che di sportivo non ha e non può avere nulla; e al netto del fatto che si è a lungo vociferato di un coinvolgimento del Mossad nella gestione della sicurezza dell’evento… al netto di tutto ciò, a me hanno insegnato che per uno sportivo non c’è niente di meno elegante che “gufare”, ovvero contare su una sconfitta altrui per ottenere una vittoria. È una cosa che – bando ai moralismi – può capitare, ma che bisognerebbe almeno avere il buon senso di tenersi per sé, soprattutto se si è un allenatore professionista, se ci si fa vanto di rappresentare un paese, se ci si propone come “uomo tutto d’un pezzo” e soprattutto perché francamente di questi tempi sperare che Israele vinca anche solo una partita di calcio è veramente un’indecenza. Personalmente, l’unico risultato che auspico è che a Udine mercoledì ci sia tanto di quel casino da costringere all’annullamento della partita. “Io – proseguì poi don Mariano – ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità e ci riempiamo la bocca di dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, che mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancora più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi… E ancora più giù: i pigliainculo, che vnano diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, chè la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre…”. (leonardo sciascia, il giorno della civetta) a cura di riccardo rosa __________________________ ¹ David Carradine in: Kill Bill volume 2, di Quentin Tarantino (2004)
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parola della settimana
La parola della settimana. Cardinale
(claudia cardinale in una foto del 1963) Quando ride, i suoi occhi diventano due fessure nere, scintillanti con qualche cosa di monellesco, di scatenato, di intenso, di meridionale. (alberto moravia descrive claudia cardinale) È morta martedì, a ottantasette anni una straordinaria interprete e senza ombra di dubbio la più bella attrice della storia del cinema italiano. Della carriera di Claudia Cardinale si sa tutto, dei Nastri d’argento e dell’Orso d’oro alla carriera, delle infatuazioni artistiche e maschili di Fellini e Mastroianni, De Sica e Leone, così come del suo impegno femminista e a fianco dei bambini e dei malati di Hiv. Meno nota, almeno ai non cinefili, la sua storia personale. Cardinale era nata nel 1938 a La Goletta, protettorato francese in Tunisia, dove i suoi nonni (palermitani e trapanesi) erano scappati dalla Sicilia allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Fino ai sedici anni non ha parlato una parola d’italiano, dal momento che in famiglia si parlava solo in siciliano e infatti la sua prima apparizione fu in un cortometraggio franco-tunisino del ’56, che raccontava come le donne tunisine, negli anni della conquista dell’indipendenza, si erano unite e avevano raccolto i propri pochi gioielli per venderli e permettere ai mariti pescatori di acquistare piccole barche, dal momento che i grandi imprenditori francesi con i loro pescherecci se l’erano squagliata. Vabè se proprio te lo devo dire: fisicamente non sei fatta male. Ma non esageriamo, non sei la Cardinale! E non sopporto che lo fai notare con quel tuo modo, ti prego, di camminare! (vasco rossi, vabè se proprio te lo devo dire) Dopo quell’esperienza la giovanissima Claudia (anzi Claude, il suo nome all’anagrafe) si trasferì in Italia, ma ritornò in Tunisia poco dopo, avendo scoperto di essere rimasta incinta in seguito a una violenza sessuale subita. Decise di tenere con sé suo figlio e di non rivelare mai il nome del stupratore. Partì per l’Inghilterra con l’aiuto del produttore Franco Cristaldi (con il quale avrà poi una relazione, logorata alla lunga dal fatto che lui fosse sposato e che il divorzio fosse ancora illegale) e nascose a tutti, tranne che ai suoi genitori, la gravidanza. Tenne celato il segreto per sette anni, anni in cui il figlio fu cresciuto in famiglia “come un fratello minore”, fino a quando raccontò tutto in una intervista a Enzo Biagi, pubblicata poi su Oggi e su L’Europeo. https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/09/cardi-1.mp4 (credits in nota 1) Si fanno sempre più insistenti i rumors sulla possibile cessione del Milan dal magnate Gerry Cardinale alla famiglia Steinbrenner, proprietaria della squadra Nba dei New York Yankees, società con un patrimonio di circa sette miliardi di dollari. Anche Gerry, come Claudia, ha origini italiane da parte di nonni (napoletane il padre e abruzzesi la madre, imparentata pare con D’Annunzio), ma non si trovano molte notizie su come la sua famiglia si sia fatta strada negli Stati Uniti. Lui ha studiato ad Harvard e poi ad Oxford, ha lavorato a Goldman Sachs e poi ne è diventato partner. Ha creato un fondo di investimenti e attraverso quest’ultimo ha acquistato quote di varie compagini sportive, tra cui il Liverpool e gli stessi Yankees. Nella sua gestione certo non memorabile (finora: i miei amici milanisti di fantacalcio sono sicuri che con Allegri in panchina e il Bebote in avanti i rossoneri possano puntare al Triplete), Cardinale ha costituito un fronte con il presidente dell’Inter Marotta, per scardinare gli ostacoli che gli impediscono una mega-speculazione sul fronte stadio. Mentre scrivo mi è tornato in mente che qualche settimana fa, dopo una pessima partita dei nerazzurri, Marotta si fiondò davanti alle telecamere, prese di forza i microfoni della Rai («C’è il presidente che vuole fare un annuncio su un argomento molto serio») e avviò un patetico comizio su come lo Stato sia freno allo sviluppo dell’economia e su come gli imprenditori stranieri si rifiutino di investire nel nostro paese per colpa delle tasse e della burocrazia. A seguire potete trovare due articoli pubblicati su Monitor che spiegano come stanno veramente le cose: Le mani sulla città. Il quartiere San Siro e il modello Milano (giugno 2021) Milano, grande capitale e privato sociale all’attacco di San Siro (settembre 2022) …e l’estratto di un testo più recente pubblicato dal Comitato Salviamo San Siro, come chiamata a una manifestazione svoltasi questa mattina al Parco dei Capitani: La delibera per la vendita dello stadio San Siro e delle aree circostanti è approdata ieri a Palazzo Marino, ma il voto è stato rinviato a lunedì 29 settembre. Non un rinvio qualsiasi: in quella data il consiglio si riunirà in seconda convocazione, e basteranno appena quindici consiglieri per rendere valida la seduta e approvare il provvedimento. Un escamotage voluto dal sindaco Beppe Sala per far passare, a tutti i costi, l’operazione più contestata degli ultimi anni: la svendita di San Siro ai fondi legati a Inter e Milan. […] La tensione a Palazzo Marino è stata altissima. La vicesindaca Scavuzzo è stata fischiata dopo la presentazione della delibera. Le opposizioni hanno denunciato irregolarità nelle procedure: la delibera è stata considerata “licenziata” dalle commissioni anche se non tutte avevano terminato l’esame […]. Era stata anche tentata una sospensiva, respinta dalla maggioranza, che avrebbe permesso di studiare meglio il testo ed evitare l’abbassamento del numero legale. La vera posta in gioco è la speculazione edilizia. Al di là della retorica sul nuovo stadio, la realtà è chiara: i fondi interessati non mirano alla riqualificazione dell’impianto, bensì alla sua demolizione per liberare un’area enorme da trasformare in una colossale operazione immobiliare. Un’operazione che rischia di cancellare non solo un simbolo della città, ma di consegnare ai privati un pezzo di patrimonio collettivo, spalancando la strada a una speculazione edilizia senza precedenti. (comitato salviamo san siro, 26 settembre 2025) Claudio è mezzo fascio e tifa la Lazio, fa feste da paura nella casa a Capalbio. Flaminia fa la squillo a Collina Fleming l’hanno vista col maestro di tennis. Giulio si atteggia come un criminale ma c’ha lo zio che fa il cardinale. Vittoria invece studia alla LUISS e spaccia coca nei momenti bui. (il pagante ft. carl brave, la grande bellezza) a cura di riccardo rosa __________________________ ¹ Claudia Cardinale in: Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata, di Luigi Zampa Tarantino (1971)
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parola della settimana
La parola della settimana. Via
(disegno di ottoeffe) E affacciati alle loro finestre nel mare tutti pescano mimose e lillà. E nessuno deve più preoccuparsi di via della Povertà. (fabrizio de andrè, via della povertà)  Siccome non avevo di meglio da fare, venerdì sera mi sono messo a cercare sui siti internet istituzionali la VIA – Valutazione di impatto ambientale per la Coppa America a Napoli. I lavori a Bagnoli stanno per cominciare e nella zona della colmata si respira un certo fermento, ma della VIA non c’è traccia (in compenso è stata da poco pubblicata una assai meno utile VI, a cui in fondo manca solo la A, ovvero Valutazione di incidenza delle opere sul contesto circostante). La Valutazione è un curioso Pdf di cento pagine che spiega nel dettaglio gli interventi previsti, dall’installazione dei pontili galleggianti alla barriera di scogli soffolta, che secondo diversi biologi avrà effetti devastanti sull’ecosistema marino della baia (è bene sottolineare sempre che il mantenimento della colmata promosso dalla ditta Meloni-Manfredi impedirà il ripristino della morfologia di costa e la rinascita di una grande spiaggia libera, che in trent’anni di dure battaglie gli ex operai, gli ambientalisti, i comitati territoriali, le associazioni del quartiere erano riusciti a imporre non in un solo piano, quello De Lucia, ma addirittura in due, considerando il famoso Praru* poi smantellato dal gatto e la volpe di cui sopra). Nonostante le rassicurazioni – le parole più usate nel documento sono “bassa” e “trascurabile”, ma mai “nulla”, rispetto all’incidenza delle attività di progetto su flora e fauna del luogo – sembra che oltre a svariate varietà di piante e fiori, a farne le spese saranno gli animali, tra cui la tartaruga Carretta Carretta e il Gabbiano Reale (il documento sostiene che tutti gli animali che andranno via sicuramente torneranno, e la cosa fa pensare un po’ ai terremotati che in questi mesi stanno lasciando il quartiere; ma questa è un’altra storia). Le attività di cantiere, a causa del rumore prodotto dai macchinari e mezzi e dalla loro presenza in situ, determinano un impatto diretto sulle specie ornitiche che frequentano la fascia costiera con conseguente loro allontanamento. L’impatto risulta a carico delle specie dell’avifauna prevalentemente marina le quali potrebbero dirigersi verso aree costiere che risultano meno disturbate o subire un’interferenza con il loro ciclo ontogenetico. (valutazione di incidenza – 38th America’s Cup Louis Vuitton) I gabbiani, lo sapete anche voi, non vacillano, non stallano mai. Stallare, scomporsi in volo, per loro è una vergogna, è un disonore. Ma il gabbiano Jonathan Livingston – che faccia tosta, eccolo là che ci riprova ancora, tende e torce le ali per aumentarne la superficie, vibra tutto nello sforzo e patapunf stalla di nuovo – no, non era un uccello come tanti. (richard bach, il gabbiano jonathan livingston) Chissà se il segreto è non vacillare, non essere un uccello come tanti, o alla fine, come a Jonathan Livingston, questo ci si ritorcerà sempre contro. Ci pensavo l’ultima volta che sono stato sul Pontile Ferdi, un posto noto ai bagnolesi come la Sala pompe, perché nell’edificio che vi si trova erano ospitati i macchinari per il trasporto dell’acqua utilizzata nel processo di produzione industriale dell’acciaio. (la sala pompe in una foto degli anni sessanta) Attraversando quel che resta della Sala pompe, e destreggiandosi tra i relitti arrugginiti, ci si trova davanti uno spettacolo incredibile, soprattutto al tramonto. Siamo in uno dei posti più suggestivi del quartiere, sicuramente il più silenzioso, molto meglio del più noto Pontile Nord sempre affollato di runner e di persone che vogliono godersi il panorama. Un posto che non di rado riserva sorprese, come una volta in cui ci trovai a riflettere un amico che vive e lavora dall’altra parte della città o un fotografo che tra le rovine faceva uno shooting a delle adolescenti del quartiere. La Sala pompe si appresta a breve a una scenografica e tragica fine. La demolizione dell’impalcato avverrà tramite tagli controllati con filo e disco diamantato, che consentiranno di suddividerlo in blocchi gestibili per il sollevamento e la movimentazione con gru. I pali di fondazione saranno tagliati alla base e rimossi con autogrù, con l’ausilio di attrezzature subacquee nei tratti sommersi per assicurare precisione e pulizia delle operazioni. (valutazione di incidenza – 38th America’s Cup Louis Vuitton) Piante, gabbiani, tartarughe e pontili. Sgomberati, sfollati e lesionati. Affittuari allo stremo, commercianti a basso reddito, attività storiche. Fiori azzurri e tempi grigi. Via di qui. Via via, vieni via di qui. Niente più ti lega a questi luoghi, neanche questi fiori azzurri. Via via, vieni via con me. Neanche questo tempo grigio, pieno di musiche e di uomini che ti son piaciuti. (paolo conte, via con me) Quando ero bambino mio zio portava spesso me e i miei fratelli in giro in macchina per Napoli, a farci vedere le vedute più belle del golfo dalle strade panoramiche. Non di rado si fermava all’improvviso a chiedere, per lo più a persone anziane, indicazioni per strade assurde, tipo “via Gianfranco Zola” o “via vecchia Tom e Jerry”, e giù risate dai sedili posteriori. Oggi che pure c’è Google Maps e la gag ha quindi perso buona parte del suo significato, c’è un ragazzo che fa lo stesso accumulando migliaia di follower sui social, me incluso. Avevo un dubbio a un certo punto su quale parola scegliere per questa settimana, poi, una notte che non dormivo, su Canale21 stavano trasmettendo Delitto in Formula 1 di Corbucci, con Tomas Milian e Bombolo. A un certo punto proprio Bombolo, che interpreta il tuttofare Venticello, deve mettere al sicuro la famiglia dell’ispettore, che lo incarica di portare tutti a Frascati, dalla suocera, la signora Proietti, alla via dei Santissimi Martiri. https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/09/milian.mp4 (credits in nota 1) a cura di riccardo rosa __________________________ * Programma di Risanamento ambientale e Rigenerazione urbana ¹ Tomas Milian e Bombolo in: Delitto in Formula 1, di Bruno Corbucci (1984)
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parola della settimana
La parola della settimana. Carte
(disegno di ottoeffe) All’angolo di via delle Zoccolette, sotto la pioggia, il Riccetto vede un gruppo di persone, e piano piano ci si accosta. In mezzo al gruppo di tredici o quattordici persone e gli ombrelli lucidi, era aperto un ombrello più grande del comune, nero, con sopra messe in fila tre carte, l’asso di denari, l’asso di coppe e un sei. Le mescolava un napoletano e la gente puntava sulle carte cinquecento, mille e anche duemila lire. Il Riccetto se ne rimase lì per una mezz’oretta a guardare. Un signore, che giocava accanito, perdeva a ogni puntata, mentre degli altri, napoletani pure loro, ora perdevano e ora vincevano. Quando quel primo treppio si sciolse, era già verso tardi. Il Riccetto s’accostò al napoletano che stava a mescolare le carte e gli fece: – Aòh, permetti na parola? – Sì. – rispose l’altro allungando la scucchia. – Che sei de Napoli? – Sì. – Sto ggioco ‘o fate a Napoli? – Sì. – E come se fa sto ggioco? – Mbè… è difficile, ma in un po’ de tempo se impara. – ‘O impari pure a mme? – Sì. – fece il napoletano, – ma… Si mise a ridere con l’aria di uno che sta combinando un affare e pensa fra di sè: «Aòh, mettèmise d’accordo, che t’ho da ddì!». S’asciugò la faccia bagnata di pioggia, giovane e tutta rugosa, coi labbroni che gli pendevano a culo di gallina. Guardò il Riccetto negli occhi. – Mbè te lo imparo, come no, – disse lui, visto che l’altro taceva, – ma vojo na ricompenza. – Come no, – rispose serio il Riccetto. Ma intanto intorno all’ombrello stava per formarsi un nuovo gruppo di persone; tra questi c’erano sempre i napoletani di prima. (pier paolo pasolini, ragazzi di vita) Anna Paola Merone è una storica giornalista del Corriere del Mezzogiorno. Si occupa di cronaca, ma soprattutto – parafrasando il titolo di un vecchio rotocalco del Tg2 – di “costume e società” (qui un suo imperdibile ritratto dal sito Iustitia.it): nella storia restano alcune sue rubriche, come quella sugli amori di personaggi influenti della città – per capirne il tenore si possono trovare qui i nomi, anche senza dover leggere gli articoli. (da: corrieredelmezzogiorno.corriere.it) Da un po’ di anni Merone detta le linee di buon gusto e di bon-ton attraverso fulminanti storie su Instagram, esprimendosi lapidaria e frizzante con brevi pillole. “Burraco? No! Ma nemmeno ramino, gin, rubamazzo, scopa o scopone!”. (anna paola merone) Comincia con questa denuncia il breve video pubblicato dalla cronista sul social network, video che lancia il suo articolo su quella che per una parte di Napoli è stata, per tutta la settimana, “la notizia del giorno”: Il circolo Posillipo di Napoli mette al bando le carte. Il verbale dell’ultima riunione del Consiglio […] parla chiaro e con severità stigmatizza e condanna il gioco. È deciso che nei saloni del circolo anche una partitella a carte non sarà tollerata. Una scelta che sorprende, dal momento che i circoli sono, storicamente, luoghi dove i soci si dilettano in sfide che comprendono anche le carte. Non sono certo bische — anche se le cronache cittadine in passato hanno riportato racconti di blasonati sodalizi dove gli equilibri erano scivolati e dove si giocava non per diletto — ma salotti dove si trascorre del tempo anche seduti al tavolo verde. […] La sala attualmente usata dai giocatori sarà svuotata dei tavoli, saranno ritirate dalla segreteria carte da gioco, fiches, blocchetti e ogni materiale legato alle carte. Le alternative di utilizzo dello spazio sono due: renderlo sala Tv e lettura o destinarlo ai servizi di segreteria e amministrazione. […] Tutto a posto dunque? Non esattamente. Si rumoreggia, si protesta, si contesta una decisione che appare paradossale se rapportata a «innocenti evasioni» e, se sono stati ravvisati reati, ingiustamente punitiva per tutti. (anna paola merone, il corriere del mezzogiorno) https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/09/queifdef.mp4 (credits in nota 1) Leggendo sui quotidiani napoletani di questa scottante questione mi sono ricordato che, un po’ di anni fa, sul cartaceo di Monitor pubblicammo un bel reportage con cui Carola Pagani ci faceva entrare nelle sale del Circolo Posillipo, tra milionari novantenni e nuotatori olimpionici. Da accanito giocatore di carte quale ero all’epoca mi spiacque molto che impenetrabile, anche per lei, era rimasta la sala da gioco. Le sale da gioco sono le uniche dove è permesso fumare e quelle dove è più difficile entrare se non sei socio. Ogni tanto ne esce qualcuno con gli occhi rossi e il viso paonazzo, si fa un rapido giro del salone a testa bassa e rientra con foga. Il mercoledì e la domenica pomeriggio il Salone delle feste si riempie di tavoli e i soci con le rispettive consorti si riversano nei tornei di bridge e di burraco. Si incontra spesso, con la moglie, il Professore, ottantadue anni, medico chirurgo di fama adesso in pensione, che è socio del circolo da quarant’anni e proboviro da venti. I probiviri sono una specie di senato del Posillipo e sono eletti fra i soci più anziani. Loro è il compito di regolare l’ammissione dei nuovi soci sostenitori e di vegliare sul rispetto delle regole. […] Il professore lamenta spesso la decadenza dei costumi. Dice che le persone non hanno più il contegno di una volta, che si presentano al circolo senza cravatta e schiamazzano spesso e volentieri. […] L’avvocato Mazzone, consigliere comunale, deputato e poi eurodeputato per l’MSI, confluito in Alleanza Nazionale e presidente del Posillipo per due volte, sostiene che la decadenza dei costumi coinvolge tutta la città e che le classi alte sono ormai rassegnate: «Ai figli ripetono la maledetta frase di Eduardo: fuitevenne ‘a Napule; mentre loro, come me ormai, sopravvivono in quest’oasi di pace senza più la forza di reagire». (carola pagani, posillipo, i lunedì al sole – dal n.30/marzo 2010 di Napoli Monitor) The cabaret was empty now, | Il teatro era vuoto ora, a sign said “Closed for repair”. | un cartello diceva: “Chiuso per ristrutturazione”. Lily had already taken | Lily aveva già tolto all of the dye out of her hair. | tutta la tintura dai suoi capelli. She was thinkin’ ‘bout her father | Pensava a suo padre who she very rarely saw. | che aveva visto molto raramente. Thinkin’ ‘bout Rosemary and thinkin’ about the law. | Pensava a Rosemary e pensava alla legge. But, most of all | Ma, soprattutto she was thinkin’ ‘bout the Jack of Hearts. | pensava al Fante di cuori. (a cura di riccardo rosa)
parola della settimana
La parola della settimana. Paraculo
(disegno di ottoeffe) “Chiediamo che venga ritirato l’invito a partecipare alla Mostra di Venezia a Gerard Butler, Gal Gadot e a qualunque artista e celebrità che sostenga pubblicamente e attivamente il genocidio. E che invece quello spazio venga messo a disposizione di una nostra delegazione che sfili sul red carpet con la bandiera palestinese”. (venice for palestine, 25 agosto 2025) Gal Gadot, l’attrice israeliana famosa per il ruolo di Wonder Woman, ha svolto due anni di leva militare obbligatoria nell’esercito del proprio paese, con la mansione di istruttore atletico nella Idf, le forze di difesa israeliane, dopo essere risultata tra i primi del suo corso d’addestramento. […] Nel 2007, al mensile Maxim, Gadot descriveva così la sua attività quotidiana nell’esercito: “Insegnavo ginnastica e calistenics; ai soldati piacevo perché li mantenevo in forma”. […] In una cover story per Glamour: “Devo dire che nessun paese dovrebbe aver bisogno di un esercito; ma ad ogni modo, per essere un vero israeliano, devi servire lo Stato, e restituirgli quello che ti ha dato. Per due o tre anni, non pensi a te stessa, rinunci alla tua libertà, ma impari la disciplina e il rispetto”. (cinemaserietv.it) (foto da cufi.org) Una serata di gala con celebrità raccoglie trentotto milioni di dollari per l’Idf a Los Angeles. Tra gli ospiti presenti c’erano Julie Bowen, Gerard Butler, Robert De Niro, Joanna Krupa e Arnold Schwarzenegger. L’evento è stato presieduto dall’imprenditore e magnate dei media Haim Saban e da sua moglie Cheryl e ha visto la partecipazione di numerosi personaggi ebrei di spicco. […] “Siamo lieti di vedere che la fondamentale missione dell’esercito israeliano, fornire programmi di benessere e istruzione agli eroici uomini e donne dell’IDF, continua a riscuotere successo nella comunità di Los Angeles”, ha affermato Saban. (cufi.org / traduzione di -rr) Almeno sette persone, fra cui cinque bambini che erano in coda per l’acqua, sono rimaste uccise in un attacco israeliano con droni avvenuto nella zona di al-Mawasi, nel sud di Gaza, vicino Khan Younis. Lo riferisce Al Jazeera citando una fonte dell’ospedale Nasser. L’emittente riporta che il portavoce della Protezione civile di Gaza, Mahmoud Basal, ha pubblicato una foto dei corpi di cinque bambini, insieme a un’immagine della macchia di sangue nel luogo in cui sono stati uccisi. “Erano in fila per riempire delle taniche d’acqua nella zona di al-Mawasi, descritta come ‘sicura’, quando le forze di occupazione li hanno presi direttamente di mira, trasformando la loro ricerca di vita in un nuovo massacro”. (il fatto quotidiano, 2 settembre 2025) Il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto L’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto. (i nomadi, dio è morto) “Se mi si invita a riconoscere che è in corso un genocidio la risposta è assolutamente sì. Questo è uno di quei casi in cui quello che sta succedendo è evidente, non c’è tanto da stare a discutere. Le testimonianze di istituzioni assolutamente affidabili sono riscontrabili. Se invece poi si scivola dentro un’emotività che ti porta a chiedere di censurare o di boicottare, in questo caso faccio un passo indietro e sono meno propenso, anzi non sono per niente propenso a censurare nessuno. Soprattutto in un luogo come questo che deve accogliere chiunque, anche quelli che sostengono le posizioni più scomode e ai nostri occhi irritanti”. (paolo sorrentino) Il paraculo è l’opportunista, quello che, specie in maniera occulta, cerca di volgere una situazione a proprio vantaggio. Il paraculo è levantino, sa navigare nello scorrere degli eventi, sa compiacere e approfittare per il fine ultimo e supremo del proprio tornaconto. Forse l’unico connotato che conserva del suo significato precedente è lo sprezzo – connotato da non disdegnare, nel qualificare l’opportunista: troppo spesso il furbo scafato ha un profilo positivo, profilo invece tendenzialmente escluso dal paraculo. (unaparolaalgiorno.it) “Mi hanno messo in mezzo. Mi ha chiamato Silvia Scola, la figlia di Ettore chiedendomi se volevo firmare un appello contro quello che sta accadendo a Gaza, che va condannato in tutti i modi, nell’ambito della Mostra, manifestando a una platea ampia la sensibilità del cinema, che non è chiuso nell’indifferenza. E ho firmato. In un secondo momento i promotori hanno aggiunto i nomi di quei due attori. Non sono d’accordo nell’escludere gli artisti. Anche all’inizio della guerra in Ucraina ricordo il boicottaggio verso i tennisti russi. Ma cosa c’entravano loro? Sono sportivi, non militari né politici. […] Quei due non sono gente che tira le bombe, sono attori come me”. (carlo verdone) (credits in nota1) “Quando ho firmato l’appello non c’era questa richiesta sull’esclusione di alcuni artisti. Non mi appartiene, non sono d’accordo”. (ferzan ozpetek) “Sono stato tra i firmatari di un documento che chiedeva di accendere una luce più forte su una tragedia immane a cui stiamo assistendo. […] Credo che il risultato al primo giorno di festival sia già ampiamente raggiunto. […] Non condivido per nulla il boicottaggio di artisti israeliani o di qualsiasi altro paese a manifestazioni come la Mostra del cinema o come la Biennale arte. Credo che questi luoghi siano luoghi di accoglienza in cui si invita tutti e poi ci si confronta e si stabilisce civilmente su che posizione si sta, ma non sono luoghi di esclusione. Questo aspetto, ci tengo a dirlo, non lo condivido”. (toni servillo) “Questo boicottaggio non lo condivido. Però, se entriamo nel merito di chi sono questi, se hanno compiuto delle cose che in qualche modo acconsentono, sono favorevoli alla scelta di Netanyahu… Che poi li si debba censurare… la censura è sempre qualche cosa di inaccettabile, che viene dall’alto, dal potere, che schiaccia. Io sono fautore della protesta non violenta” (marco bellocchio) Faccio fa’ le pulizie di casa all’indianino con la go-pro, almeno vedo se pulisce bene o no. E con tutti i soldi che ogni mese je do’ magari ce esce n’artro marò! […] Questo colla vespa nun me vuole fa’ usci’ c’ha pure l’adesivo de Piero Gramscì, madonna ‘sti qui: che radical chic! […] Sostanzianzialmente penso solo ai cazzi miei per ottenere tutto quello che vorrei: troppe domande fossi in te non ne farei. (brusco, paraculo) Il 2020 ha prodotto risultati positivi da parte di attivisti, studenti, difensori dei diritti civili e legislatori per sostenere il diritto di boicottare Israele. […] Ci sono state molte azioni dirette, vittorie in tribunale e appelli a sanzionare Israele per le sue violazioni del diritto internazionale. […] All’inizio dell’anno, le Nazioni Unite hanno pubblicato il tanto atteso elenco di società che traggono profitto dai crimini di guerra di Israele. […] Il rapporto elenca 112 società coinvolte in attività negli insediamenti come la fornitura di attrezzature e materiali per la costruzione o la demolizione di case, sorveglianza e sicurezza, trasporto e manutenzione, inquinamento e scarico di rifiuti e sfruttamento delle risorse naturali, comprese l’acqua e la terra. Il Bnc ha accolto con favore la pubblicazione del rapporto, che è avvenuto “nonostante le intimidazioni da parte di Donald Trump e del governo di estrema destra di Israele”. […] Ad aprile, l’ufficio del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo in Giordania ha annunciato che non rinnoverà il suo contratto con G4S, una società di sicurezza privata con una lunga storia di coinvolgimento nei crimini di Israele. […] La Corte europea dei diritti dell’uomo ha sostenuto il diritto di boicottare Israele quando ha annullato le condanne penali contro undici attivisti per i diritti dei palestinesi in Francia. Ha stabilito all’unanimità che le condanne contro gli attivisti per aver invitato gli acquirenti a boicottare le merci israeliane hanno violato la garanzia di libertà di espressione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. (continua a leggere!) POST SCRIPTUM – Ho letto che quando Boris Pasternak consegnò agli emissari di Giangiacomo Feltrinelli il manoscritto per la pubblicazione italiana ed europea de Il dottor Živago, avendo saputo che il Pcus stava facendo enormi pressioni attraverso il Pci, addirittura trattando l’argomento in diverse sedute del Comitato Centrale del partito sovietico per non farlo pubblicare, Pasternak gli disse più o meno: «Ecco, questo manoscritto vale anche come invito al mio funerale».  (a cura di riccrado rosa) __________________________ ¹ Fabrizio Bracconeri e Carlo Verdone in: Acqua e sapone, Carlo Verdone (1983)
rubriche
parola della settimana
La parola del mese. Confusione
(disegno di ottoeffe) Che confusione, sarà la marijuana! Bevo la birra, tutta la settimana. Stringimi forte e stammi più vicino, e chi non salta: bastardo celerino (coro gap – gruppo anti pelè, lokomotiv flegrea) Mi è capitato, dopo l’ennesimo anniversario della strage di Bologna finito in barzelletta, di vedere una puntata di In Onda, su La7, in cui si parlava dei cosiddetti “anni di piombo” e in cui la confusione regnava totale. Ora, spero di non essere giudicato perché guardo la televisione, e perché mi capita persino di fermarmi – quando voglio studiare i riferimenti culturali più deteriori della borghesia di questo paese – a guardare Telese e Aprile, con l’aggravante che in studio ospite ci fosse pure l’imbalsamato, sempre fastidioso, Paolo Mieli. Il dibattito – di cui segue una clip, che sconsiglio vivamente – è imbarazzante. Quello che colpisce è la pochezza delle argomentazioni degli ospiti (quello di destra era Mieli e quella di sinistra la Botteri…), incapaci di ribattere ognuno alla tesi dell’altro con una considerazione pertinente. In sostanza, Mieli si doleva del fatto che quando si parla delle stragi fasciste ci si sente in dovere di chiamarle “fasciste”, mentre non lo stesso trattamento viene riservato a quelle “comuniste”. Guarda lì, guarda là: che confusione! Guarda lì, guarda là: anche in televisione! (vasco rossi, cosa succede in città) La sensazione è che così come quando agli anziani si fa ripetere l’esame della patente con una certa frequenza, a Mieli andrebbe fatto obbligo di ripetere gli esami di Storia dell’Italia contemporanea (anche un ateneo telematico va bene, ché ci sono ormai tanti docenti più preparati che in quelli pubblici). L’altro tema è che Botteri avrebbe potuto rispondere semplicemente che in Italia, negli anni di piombo (Mieli ha fatto più volte riferimento alle Brigate Rosse), i comunisti non hanno mai fatto stragi, o quantomeno non hanno mai fatto stragi di civili che non c’entravano con i propri obiettivi politici, né ancor meno le hanno fatte per destabilizzare subdolamente il sistema democratico che volevano abbattere in ben altri modi (tipo la rivoluzione); o ancora che i fascisti, per fare queste stragi, hanno ben pensato di allearsi con la mafia, i servizi segreti, l’esercito, la massoneria, cosa che non risulta abbiano mai fatto i comunisti. Mentre Telese e Aprile borbottavano cose senza senso, Botteri ha alimentato la confusione dicendo che: i comunisti armati non erano così tanto comunisti perché uccidevano altri comunisti (resuscita in un colpo solo Telese che bofonchia: «Eh, Guido Rossa…», e Mieli che cita Montanelli); che anche l’elettorato del Pci prendeva in blocco le distanze dalla lotta armata; e che i gruppi neofascisti si richiamavano al fascismo più di quanto non si richiamassero le Brigate Rosse al comunismo. Idiozie a cui anche un bambino di quarta elementare avrebbe potuto controbattere (anche per lei esame da ripetere alla prossima sessione) e infatti Mieli l’ha messa a tacere. Quando mi capita di vedere certi dinosauri in televisione mi viene sempre in mente la signora Coriandoli, meraviglioso personaggio di Maurizio Ferrini che con Mieli ha sicuramente in comune il cinismo (solo che la signora Coriandoli è una macchietta, Mieli no). Tra i tanti danni che ha fatto Fabio Fazio alla televisione italiana, gli va dato merito di aver ripescato dal passato piccole perle, come il personaggio della signora che, a Che tempo che fa, racconta ogni sera una storia d’amore tra due anziani della provincia romagnola. Il canovaccio è sempre lo stesso: uomini ultraottantenni che hanno tirato i remi in barca – «Lui noioso! D’un pigro…!», si lamenta sempre lei – che vengono spinti dalle loro mogli a qualche impresa, e che alla fine ci rimettono le penne proprio con la complicità delle proprie metà. Quando Youtube mi ha proposto una delle storie della signora, quella tra Gina e il suo Tebaldo, mi è venuto di chiedermi se Mieli, che ha resistito agli anni di piombo e a Tangentopoli, al berlusconismo e alla Seconda Repubblica, sarebbe capace di resistere alla signora Gina. C’è una bella parola inglese, mess, che non corrisponde del tutto all’italiano “confusione” (che in inglese è anche confusion, chaos, noise), ma ci parla di disordine, sbando generalizzato (Everybody was well-dressed, and everybody was a mess), di stupidità (He was a mess! Just some nellie old ribbon counter clerk…) e persino della merda dei cani – senza contare il verbo to mess around con i suoi almeno dieci significati. In napoletano c’è invece bordello, dal francese burdel, inteso come casa di appuntamenti. Come e più che in italiano, il vocabolo si è esteso al rumore (famme ridere accussì, pe’ nun senti’ ‘o burdello ca ce sta), alla folla (scinne ampress’ mamma mia, ce sta ‘a manifestazione: ‘o burdello, ‘a polizia, ‘o votta-votta, ‘o curdone), a situazioni pericolose (raggia e tarantelle, chello ca te fa caccia’ ‘o curtiello int’o burdello). A proposito di imprese sportive, anziani iperattivi e bordelli, c’è un passaggio che mi ha molto divertito in un bel romanzo di Steinbeck che ho letto quest’estate. Il libro racconta di una strana e dolce relazione tra un fresco reduce di guerra (Doc) e una impertinente ragazza (Suzy) temporaneamente impiegata come meretrice nel bordello tenuto dalla saggia Fauna, eminenza grigia dell’amore tra i due. Il passaggio ci insegna che non sempre fare del bene è una buona idea e che difficilmente, comunque, ce ne verranno accreditati i meriti. Un filantropo, un certo Deems, fece omaggio alla città di due campi da roque. […] Non si sarebbe mai detto che una cosa del genere facesse riscaldare gli animi, soprattutto perché i giocatori avevano quasi tutti passato la settantina. E invece fu proprio così. […] Due ottuagenari se ne andavano nella foresta e poi li trovavi impegnati in un combattimento mortale. […] Un Azzurro ebbe la casa bruciata, e un Verde fu trovato nella foresta bastonato a sangue con un bastone da roque. […] I vecchi cominciarono ad andare in giro con i mazzuoli legati al polso, come scuri in battaglia. La città era in preda a una confusione spaventosa. Le cose si erano talmente aggravate che il 30 giugno, giorno della gara, la gente se ne andava in giro con la pistola. […] Così, la notte del 29 luglio Mr. Deems mando in città una macchina escavatrice. La mattina dopo, dove prima c’erano i campi c’era solo un’enorme buca profonda. […] Lo espulsero a furor di popolo dalla città. Gli avrebbero fatto la cura del dottor Catrame e del dottor Piuma se avessero potuto mettergli le mani addosso, ma lui se ne rimase a Monterey. […] Ogni 30 luglio, ancora oggi, la cittadinanza si riunisce e brucia Mr. Deems in effigie. È una festa vera e propria, fanno un fantoccio di grandezza naturale e lo impiccano a un pino. Poi gli danno fuoco, marciano sotto l’albero con torce e la povera effigie inerme di Mr. Deems va in fumo. C’è gente che dirà che questo racconto è inventato di sana pianta, ma una cosa non è necessariamente una bugia, anche se non è necessariamente accaduta. (john steinbeck, quel fantastico giovedì) a cura di riccardo rosa PS: Per scongiurare ulteriore confusione, una precisazione: un paio di giorni dopo, sempre a In Onda, ho assistito a un penoso agguato a Rula Jebreal – altro soggetto su cui ci sarebbe da ridire, che però dal 2023 almeno dice le cose come stanno sulla barbarie israeliana in Palestina. Con quell’agguato, capitanato dalla figlia di Pino Aprile e da una storica molto in voga in televisione – tale Ponzani, una che ha fatto una tesi di dottorato dal titolo L’eredità della Resistenza nell’Italia repubblicana tra retorica celebrativa e contestazione di legittimità, e che non contenta ha pure fatto un film con Veltroni –, si accusava Jebreal di lesa maestà nei confronti di Liliana Segre, perché se lei, ebrea e sopravvissuta al genocidio nazista, dice che quello in atto in Palestina non si deve chiamare genocidio, non la si può pensare diversamente (racconto quest’episodio solo per dire che, dopo questa doppietta, io e g. – come me appassionata del middle-class watching – ci siamo imposti di non guardare mai più questa indecente trasmissione, nemmeno se ci serve come rumore bianco mentre apparecchiamo la tavola).
parola della settimana
La parola della settimana. Accattone
(disegno di ottoeffe) Voglio mori’ co tutto l’oro addosso, come i faraoni (vittorio cataldi detto “accattone”, in accattone di pier paolo pasolini) (credits in nota1) Sul termine “accattone”, la maggior parte dei dizionari si esprime in maniera chiara:  è tale chi va elemosinando, spesso senza effettivo bisogno, più per vizio che per necessità. Si parla, negli atti, di “eversive degenerazioni in cui opera la Commissione per il paesaggio” con una “strumentalizzazione che ne fa la parte politica, principalmente l’assessore Tancredi, in sintonia con il sindaco Sala e il direttore generale Malangone (servendosi del faccendiere Marinoni), per portare avanti relazioni private con gruppi della finanza immobiliare attivi a Milano e la soddisfazione dei loro interessi”. Questo “nella cornice di un’azione amministrativa viziata da una corruzione circolare, edulcorata all’esterno”. […] Il sistema “deviato” si sarebbe basato su “varianti” ai piani regolatori, camuffate, secondo i pm, con l’interesse pubblico con richiami “all’edilizia residenziale sociale”, per aumentare volumetrie e altezze a vantaggio delle imprese. […] Tancredi sarebbe stato la “copertura” politica di Marinoni, nel “patto corruttivo”, per realizzare questo “Piano di governo del territorio (Pgt) ombra”. E quest’ultimo avrebbe incassato, coinvolgendo nel meccanismo società immobiliari e studi, “alte parcelle” dalla J+S di Pella. Scandurra sarebbe arrivato a prendere anche fino a 2,5 milioni di euro. (urbanistica di milano sotto accusa: indagato anche sala, chiesti sei arresti, ansa.it) Un po’ più a sud della capitale morale, intanto, Matteo Ricci, europarlamentare del Partito democratico ed ex sindaco di Pesaro, sembra prossimo a ritirare la sua candidatura alla presidenza della regione Marche. È indagato per corruzione per atti contrari a doveri d’ufficio. Secondo gli inquirenti avrebbe affidato indebitamente opere di manutenzione dal 2019 al 2024 per finanziare “interventi spot”. Tra questi l’installazione di un casco gigante di Valentino Rossi in piazza D’Annunzio, murales in onore delle vittime del Covid, o un altro dedicato a Liliana Segre, contabilizzato alla voce “manutenzione idrica”. Debiti al comune di Avellino, commissario chiede il cinque per mille ai cittadini: “Altrimenti servizi a rischio”. (repubblica.it, 23 luglio) Mazzetta da seimila euro, arrestato il sindaco di Sorrento. Massimo Coppola è stato sorpreso mentre intascava una sospetta tangente da seimila euro durante una cena con un imprenditore. (tg3, 21 maggio) Un imprenditore della provincia di Belluno è finito al centro di un’indagine […] per presunta malversazione ai danni dello Stato. […] L’inchiesta è partita da un’analisi sulle erogazioni pubbliche destinate a sostenere l’innovazione nel settore delle energie rinnovabili. I militari […] hanno ricostruito il percorso di un finanziamento da un milione di euro, concesso da Banca Progetto S.p.A. e garantito da Mediocredito Centrale – Banca del Mezzogiorno S.p.A., individuando un’anomalia significativa: circa 250 mila euro sarebbero stati distratti e utilizzati per fini personali, del tutto estranei agli obiettivi del progetto. Il finanziamento era stato concesso per realizzare un impianto di pirogassificazione – un sistema innovativo per produrre energia rinnovabile a partire da scarti agricoli e forestali. (lapiazzaweb.it, 16 luglio) Antonio Mancini è un noto personaggio della malavita romana. Ex membro della Banda della Magliana, poi collaboratore di giustizia dopo vent’anni di carcere, oggi è accompagnatore per persone con disabilità a Jesi. Accattone (era questo il suo soprannome) ha ricominciato da qualche tempo a parlare – l’ha fatto di recente in una puntata dell’insopportabile podcast condotto da Fedez e Mister Marra – dei suoi trascorsi criminali e, ovviamente, della scomparsa di Emanuela Orlandi.⁠ Ben pratico dello sport preferito da decine di altri accattoni, ovvero quello di millantare la conoscenza di elementi sensazionali sulla sparizione della Orlandi, alla fine Mancini non dice niente di concreto, né tantomeno, naturalmente, fa nulla per agevolare l’avanzamento sulla ricerca della verità; gli riesce benissimo invece riaprire ferite mai sanate a una famiglia distrutta da un intrigo più grande di lei, che ha coinvolto Stato, Vaticano, servizi segreti e chissà chi altri (approfondimento buono per neofiti della materia è Vatican Girl, documentario del 2022 che pure non sfugge a tentazioni voyer-complottistiche, ma ha almeno il merito di fare una onesta ricognizione di tutto quanto successo in questi anni). Dei tanti “misteri italiani” (svariate seconde serate della mia adolescenza sono state segnate dalla voce di Carlo Lucarelli) era grande appassionato un tizio che avevo conosciuto all’università nei miei primi anni all’Orientale, e che ho poi perso di vista da quando è andato a lavorare in una fabbrica, mi pare, in Veneto. Aveva una bizzarra teoria, vagamente latouchiana, sull’accumulazione dei beni, che francamente ho dimenticato. Ricordo bene invece che disprezzava gli scrocconi e propagandava la retorica secondo cui se non vuoi pagare due euro per andare a sentire un concerto in un centro sociale, ma ne hai in tasca dieci di fumo e cinque di sigarette, “puoi anche andartene a bere una Best Bräu da sessantasei a piazza San Domenico”. È il caso del minor riconoscimento assegnato dagli intervistati al danaro. Innanzitutto, il danaro è considerato “molto importante” dal 33,3 per cento degli operai e dal 17 per cento degli impiegati. Questi ultimi salgono al 61,4 (48,6 per cento gli operai) nella considerazione di un’importanza “media”, mentre rispettivamente il 16,4 per cento di operai e il 21,6 per cento di impiegati attribuisce “poca importanza” al danaro. […] Per gli operai la disponibilità è minore rispetto agli impiegati e quindi maggiormente ne sottolineano la rilevanza. Si consideri a riguardo che l’88,3 per cento del campione non supera la retribuzione mensile di un milione e mezzo e che la maggioranza (70 per cento circa) degli intervistati è costituita da operai. […] Resta comunque il fatto che la bassa posizionalità assunta dal danaro nella gerarchia dei valori espressi dal campione spinge ad affermare che il valore del danaro è più associato alla sua funzione estrinseca (il valore d’uso) che al suo carattere specificamente teleologico. (m. conte, g. di gennaro, d. pizzuti, l’acciaio dei caschi gialli. lavoro, conflitto, modelli culturali: il caso italsider di bagnoli) a cura di riccardo rosa  ___________________________ ¹ da: Sinite Parvulos, Nanni Loy; in: Signore e signori, buonanotte (1976) Nota a margine: con questa puntata la rubrica va in ferie, ci rileggiamo a fine agosto.
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parola della settimana
La parola della settimana. Ricordo
(disegno di ottoeffe) Remember when you were young / Ricorda quando eri giovane how the hero was never hung, / come l’eroe non finiva mai impiccato, always got away. / sempre riusciva a scappare. (john lennon, remember) Se n’è andato all’alba di venerdì, a ottantotto anni, Goffredo Fofi, “il Vecchio”, come lo chiamavano affettuosamente i miei amici più grandi, con alcuni dei quali pure negli anni se ne era detto di tutti i colori. Lucido, corrosivo, impietoso narratore e analista del mondo che ci circonda, è stato instancabile agitatore culturale e riferimento per quei pochi scrittori, autori cinematografici e teatrali, giornalisti e tutto il resto, che ancora possono più o meno dirsi degni di appartenere a queste categorie. Tutte le persone che valeva la pena conoscere, il Vecchio le conosceva e le metteva in contatto, e molte tra queste (e anche non tra queste) in questi giorni lo hanno celebrato sui giornali e sui social network. Parecchi ricordi si concludevano con aneddoti autoreferenziali del tipo “apprezzò molto il mio lavoro su…” o “avevamo spesso parlato di”. Io invece ricordo che nel 2020, dopo una presentazione di Baby Gang a cui partecipò, e a sua domanda sui miei progetti futuri, gli parlai con entusiasmo di un romanzo sulla città postindustriale a cui stavo lavorando, romanzo che forse anche grazie a lui non scriverò mai. Mi ascoltò con attenzione, mi diede un buffetto sul viso e lapidario mi disse: «Sarà sicuramente una cacata…» (qualche anno dopo, durante un pranzo con altre persone, all’improvviso mi guardò, e stupendomi perché si ricordava di quella conversazione mi disse, provocatorio: «Allora, l’hai scritto questo grande romanzo?»). Ma il bambino nel cortile si è fermato, si è stancato di seguire aquiloni. Si è seduto tra i ricordi vicini, i rumori lontani, guarda il muro e si guarda le mani. (fabrizio de andrè, le storie di ieri) In questi giorni si è molto parlato di alcuni studenti che, una volta raggiunto il punteggio minimo per superare l’esame di maturità, si sono rifiutati di sostenere il colloquio orale avendo già ufficialmente ottenuto la promozione grazie alla somma tra i crediti formativi ottenuti durante i cinque anni e i “punti” accumulati con le prove scritte. Gli studenti coinvolti hanno spiegato che la scelta è stata presa per protestare “contro i meccanismi di valutazione scolastici, l’eccessiva competitività, la mancanza di empatia del corpo docente” (il virgolettato è di Maddalena Bianchi, diciannove anni, di Belluno). Gli adulti ovviamente si sono rizelati e in molti (soprattutto docenti e dirigenti scolastici) hanno iniziato ad attaccare pubblicamente questi studenti, come se una scelta del genere non fosse coerente reazione al modello di formazione che loro stessi hanno creato, fatto di punteggi, crediti formativi, valutazioni aritmetiche per ogni scorreggia fatta dagli studenti e dalle studentesse. Raggiungo il punteggio? Sono “dentro”, arrivederci e grazie. Dio cane, dio cane, cominciava a fare quello, che era un torinese. Si chiamano barott, sono quelli della cintura torinese, dei contadini sono. Sono tuttora dei contadini, che c’hanno la terra e la moglie la lavora. Sono i pendolari, gente durissima, ottusi, senza un po’ di fantasia, pericolosi. Mica fascisti, ottusi proprio. PCI erano, pane e lavoro. […] Stavano qua a lavorare per anni, per tre anni, per dieci anni. Che uno invecchia subito e muore presto. Per quei quattro soldi che non ti bastano mai è solo un ottuso, un servo che può farlo. Restare per anni in questa prigione di merda e fare un lavoro che annienta la vita. Comunque questo qua ha il sospetto che voglio fargli il culo e allora abbandona il posto e ferma la linea. Arrivano i capi. Quando si ferma una linea si accende il rosso dove è stata fermata la linea e arrivano tutti i capi lí. Che succede? C’è questo che non vuole lavorare. Ma stai dicendo un’infamia, perché io sto lavorando, non ci riesco perché sto imparando. Mica sono intelligente come te, tu ci stai da dieci anni qua dentro è chiaro che uno come te impara tutto subito. […] Allora il capo mi dice: Senta a me sembra che lei vuole fare un po’ il lavativo. Invece deve mettersi in mente che alla Fiat si deve lavorare, non si deve fare il lavativo. Se vuole fare il lavativo vada a via Roma lí dove ci stanno gli amici suoi. Gli dico: Guardi io non lo so se a via Roma c’ho degli amici. Comunque io vengo qua perché c’ho bisogno dei soldi. Sto lavorando, non ho imparato ancora e quando imparo lavoro. Mi volete dare sei giorni di prova o no? Ma come sei giorni di prova, dice il capo, lei già sta da un mese qua. Sí, da un mese, ma stavo a quel posto là, non a questo qua. Adesso devo avere altri sei giorni di prova e lui il fuorilinea per sei giorni deve stare qua con me. Se no non faccio un cazzo. (nanni balestrini, vogliamo tutto) Al ministro Valditara, che annuncia una riforma perché questa contestazione non possa più ripetersi, verrebbe da dire che chi semina Invalsi raccoglie boicottaggi, e che siamo noi a non meritarci ragazzi che pensano con la loro testa e che si sottraggono al dogma della produttività in nome del minimo risultato utile. Personalmente, delle mie scuole superiori ho un ricordo pessimo: un edificio che assomigliava a un carcere, professori ignoranti come e più degli studenti (salvando la buona pace di un paio tra loro), competitività che fuoriusciva da ogni senga delle porte di legno scricchiolanti, incapacità dell’istituzione di fornire risposte adeguate a una platea molto eterogenea. Alla maturità presi 94/100 e se non mi venne in mente di non presentarmi all’orale è solo perché per prepararlo mi impegnai veramente poco, concentrandomi sul mio futuro. Chillu criaturo all’erta a destra, ‘o taglio a spazzolina: Vittorio Alfieri, terza C, foto ingiallita, tute d’a Lotto tutt’e juorne, niente Tod’s e Paciotti, Air Force 180 nera e blu cobalto, ‘o baffo bianco, ‘a scritta rossa ‘ncopp’o strappo identica e precisa ‘a scena ‘e Get rich or die trying, e io annanz’ ‘e vetrine ‘e Simon a Marano. ‘E 125 erano ‘a marce, sunnavo al massimo ‘a Leovinci sott’o motorino e ‘o gruppo Polini. “Chill’e Mani Pulite erano cchiù politici”, ma quanno maje nuje simm’ stati uniti… ‘E Stati Uniti e Porto Rico, è chello che vulesse ‘a Lega Nord: scennere ‘cca ‘a stagione, e sparagna’ ‘na cosa ‘e sorde. (patto mc ft. co’sang, da venti anni a mo’) (a cura di riccardo rosa)
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La parola della settimana. Paternalismo
(disegno di ottoeffe) Giovedì il consiglio comunale di Napoli ha approvato una mozione che lo impegna alla rescissione di una serie di accordi con lo stato di Israele, nonché ad aprire una discussione con le università della città affinché anche i rapporti accademici tra gli atenei napoletani e quelli israeliani vengano interrotti. La mozione è stata approvata faticosamente dopo le pressioni della Rete Napoli per la Palestina, che aveva ottenuto la convocazione di un consiglio sul genocidio in corso, salvo poi scoprire che la seduta avrebbe avuto come oggetto una generica “crisi umanitaria a Gaza”. Ho trovato fastidioso il paternalismo con cui i giornali, ma anche le persone sui social, persino attivisti e militanti di vari gruppi, hanno commentato il discorso di G., una compagna del Centro culturale Handala Ali che ha fatto un ottimo intervento davanti al consiglio, simile alle dichiarazioni che si fanno in parlamento per spingere i membri dell’assemblea a un voto giusto. La cosa più rilevante è stata la capacità di G. di ri-bilanciare il rapporto tra la comunità cittadina – che aveva chiesto azioni concrete al Comune – e i suoi rappresentanti, a cui ha ricordato che se la città gli chiede di fare qualcosa, loro sono tenuti a (e pagati per) farlo. E invece è stato tutto un magnificare quanto questa ragazza fosse stata grintosa, decisa, chiara, “immensa”, “fantastica” e così via, tutti scioccati probabilmente dal fatto che G. sia giovane – ma nemmeno tanto: a cinque anni Mozart aveva già scritto il Minuetto e alla stessa età Torquato Tasso scriveva perfettamente in latino –, lucida, poco emozionata, e magari anche che parlasse bene l’italiano per quanto mezza palestinese (andrebbe spiegato che G. è palestinese ma anche napoletana, che fa già politica da un bel po’ di anni, è abituata a parlare in pubblico, a scrivere, e si fa un cu…ore così in giro per l’Italia per sostenere la Resistenza del suo popolo). Quando Macciocchi scrive il suo diario di campo, la rivolta delle nuove generazioni è in corso da mesi. Sulle bocche degli studenti sono rinate parole scomparse dal lessico del partito: rivoluzione, borghesia, proletariato. I giovani discutono della rivoluzione culturale cinese, di Che Guevara, del Vietnam, ma nel partito sono guardati con sospetto. […] I giovani rompono la burocratizzazione, le liturgie interne, i metodi antidemocratici. Se ne infischiano delle elezioni e della composizione delle liste. Per metterli in disparte si dice che sono immaturi, che devono fare esperienza. In federazione o nelle sezioni Macciocchi incontra ragazzi incuriositi da una donna che “parla come un uomo” e che rompe il vecchio schema della subordinazione femminile. Molte sezioni di periferia, annota Macciocchi, registrano in quei mesi una “secessione cinese”. Il partito si trincera dietro formule vuote – “la gioventù non è un fatto anagrafico”, “ci si trasforma restando uguali”, “rinnovamento nella continuità” –, slogan che rivelano solo una tenace resistenza al mutamento. (luca rossomando, le fragili alleanze) Alcuni tra quelli che posso considerare dei “maestri” mi hanno insegnato tempo fa, senza proclami ma facendomelo vedere giorno per giorno, che il modo migliore per non scivolare sulla buccia di banana del paternalismo è trattare alla pari il proprio interlocutore, indipendentemente dalla sua età, la sua condizione sociale, e tutto il resto. (credits in nota1) Quando ero alle medie, invece, avevo letto due o tre libri di Dickens. Mi erano piaciuti molto (mi piacciono tuttora) ma sentivo che c’era qualcosa che non andava e non riuscivo a capire. Anni dopo lessi un altro libro, di Orwell, che mi fece notare che il problema del paternalismo di Dickens nei confronti dei suoi personaggi poveri e sfruttati stava nel messaggio di fondo: tutti possono crescere e migliorare, anche (oppure solo?) da soli, comprendendo errori, modificando condotte, insomma dandosi da fare per uscire dalla propria condizione senza necessariamente sovvertire l’ordine delle cose. Ho discusso di Dickens in termini del suo “messaggio”, tenendo da parte le sue qualità letterarie. Ma ogni scrittore, soprattutto ogni romanziere, ha un “messaggio”, lo ammetta o no, e i più piccoli dettagli della sua opera ne sono influenzati. Tutta l’arte è propaganda. Né lo stesso Dickens né la maggior parte dei romanzieri vittoriani avrebbero pensato di negarlo. […] Ci viene detto che nella nostra epoca qualsiasi libro che abbia un genuino merito letterario avrà anche una tendenza più o meno “progressista”. Ciò ignora il fatto che nel corso della storia è stata infuriata una lotta tra progresso e reazione, e che i migliori libri di ogni epoca sono sempre stati scritti da diversi punti di vista, alcuni dei quali palesemente più falsi di altri. Nella misura in cui uno scrittore è un propagandista, il massimo che si può chiedere da lui è che creda sinceramente in ciò che dice, e che non sia qualcosa di incredibilmente sciocco. (george orwell, letteratura palestra di libertà) Il paternalismo di un uomo maturo che cerca di non farsi sedurre da una giovane di lui invaghita è un topos ricorrente della musica napoletana. Una bella canzone, seppur impregnata di questo paternalismo tendente a sminuire il sentimento (femminile), è Nun t’annammura’, cantata da Natale Galletta ed Emiliana Cantone: EC: Dimme pecché me ne cacce, pecché nun vuo’ chesti braccia… Nun me chiamma’ guagliuncella io so femmena già! […] NG: No, tu nun t’e ‘a ‘nnammura’ è colpa dell’età è solo n’attrazione che col tempo passerà…  L’ho riascoltata qualche giorno fa mentre ero al mare e pensavo a cosa scrivere in questa rubrica. L’algoritmo a quel punto si è attivato e mi ha proposto alcuni tra i pezzi cult della musica cittadina tra gli anni Novanta e Duemila. Mentre pensavo alla rubrica, però, pensavo anche, insieme ad alcuni colleghi dottorandi e dottorande, al testo di una dura mail che abbiamo poi scritto all’Orientale lamentando che per l’ennesima volta il bonifico con i soldi della borsa di ricerca che abbiamo vinto tre anni fa fosse in grosso ritardo. Pensavo, ascoltavo e mi appisolavo, e non so se sia stato sogno o realtà, mi sono trovato davanti il rettore Tottoli in costume da bagno, che mi dava una pacca sulla spalla canticchiando una vecchia canzone di Finizio che racconta di quanto all’amore faccia bene essere poveri (spoiler: non fa bene affatto). E chistu suonno t’o giuro m’ha fatto riflettere ca senza sorde l’ammore cchiù bello ‘o può vivere. Sulo ‘na sera te prego vestimmece a povere e senza machina a per’ te porto cu me: ‘na cammenata a Mergellina ‘nzieme a te senza nemmeno mille lire p’o cafè, dint’o pacchetto sulamente n’ati tre e me spartevo dint’ e vase ‘nzieme a te. (gigi finizio, ‘na cammenata a mergellina) a cura di riccardo rosa __________________________ ¹ Vittorio De Sica e Pierino Bilancione in: I giocatori / L’oro di Napoli, di Vittorio De Sica (1954)
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