Tag - parola della settimana

La parola della settimana. Vigile
(disegno di ottoeffe) Ci sono adulti che hanno metodi particolari, talvolta efficaci, talvolta meno, per incoraggiare i giovani a coltivare le proprie ambizioni (sul tema della “motivazione” ci si è già espressi in questa rubrica). Avevamo una scuola di calcio popolare a Bagnoli, e c’era un allenatore che aveva dei metodi educativi interessanti, ma che a volte richiedevano discussioni collettive e, in certi casi, un reindirizzamento. Una volta, per far riflettere sulla sua arroganza un ragazzo che prendeva in giro un paio di compagni non ritenendoli alla sua altezza calcistica, gli fece fare un intero allenamento con un cartello sulla schiena su cui c’era scritto “Io sono di legno”. Un’altra, durante una riunione pre-allenamento in cui si parlava della scelta delle scuole superiori per l’anno successivo («Io voglio fare l’alberghiero, mi piace cucinare»; «A me piacerebbe il liceo classico»), pensò bene di suggerire a un ragazzo che non brillava per impegno scolastico: «Secondo me, Vince’, tu t’e ‘a mettere sulo ‘a marenna sott’o braccio pe’ jì a fatica’!». Avevo poi un professore, alle scuole medie, che in base all’idea che si era fatto dei suoi studenti gli pronosticava un futuro professionale. Tu, Giovanni? Medico! Tu, Ivana? Farai la scrittrice. Per quelli meno volenterosi, o meno svegli, aveva un’unica soluzione: il vigile urbano. https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/02/lascuola.mp4 (credits in nota1) In queste settimane ha molto girato un articolo pubblicato da Osservatorio Repressione sull’approvazione del decreto Milleproroghe da parte del parlamento, che prevede, tra le altre cose, la possibilità di dotare i vigili urbani di tutti i comuni italiani del taser (della situazione napoletana avevamo accennato qui). Negli stessi giorni ventidue avvisi di garanzia sono stati consegnati ad altrettanti dipendenti della polizia municipale di Vico Equense per assenteismo e uso indebito, a fini privati, delle auto di servizio (una efficace analisi del fenomeno è rintracciabile, come direbbero gli accademici, nel lavoro di Fastidio, G., 2013). https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/02/ginof.mp4 Esiste molto materiale cult sul tema della percezione sociale del vigile urbano da parte della popolazione. Fondamentale è la deposizione in tribunale di Andrea Alongi, testimone nel processo per il caso Bonsu, ventiduenne ghanese pestato brutalmente da alcuni agenti della polizia municipale a Parma, nel 2008. https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/02/alongi.mp4 Utile, anche se con risvolti decisamente meno drammatici, la visione del film Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo (scritto da Maccari e Scola, e con un cast di fuoriclasse: Cervi, De Filippo, Fabrizi, Manfredi, Sordi). Alberto Sordi, in particolare, interpreta l’agente Randolfi, uno che “non perdona nessuna infrazione”, appioppando multe alle alte cariche istituzionali, ai pompieri, al passante che non attraversa con la dovuta precisione le strisce pedonali. Alla fine del film Randolfi verrà miseramente bocciato all’esame di francese con cui spera di far decollare la propria carriera e soprattutto, per la sua intransigenza mal digerita, trasferito a Milano”. A proposito di teste senza corpi e passaggi tra la vita e la morte: un centinaio di persone, o forse anche di più, sono state fortunate venerdì a vedere un’azione sonora all’Auditorium Novecento di Napoli. Era There lives what has no name (letteralmente: “Lì vive ciò che non ha nome”), un susseguirsi di ululati, soffi, colpi a fiato e a tamburi, piatti e triangoli per opera di Chris Corsano, Walter Forestiere, Antonio Raia e Makoto Sato, il tutto dentro le fiamme, i lacci, gli spuntoni e gli sputi, i cadaveri, le lingue e le frecce dei personaggi disegnati da Roberto-C. (foto di pazzaglia) Mi è rimasta impressa in particolare – forse è il fatto che in questi giorni il Papa sembra rischiare, come si dice a Napoli molto efficacemente, di “farsi la cartella” – l’immagine del corteo funebre di un cardinale portato in spalla da figuri tormentati mentre i tamburi dettano il passo. Per i latini feretrum non era solo la cassa da morto, ma anche la portatina su cui questa veniva traslata, utilizzata anche per le processioni, il trasporto in gloria delle statue degli dei e dei trofei (e infatti feretrum si traduce anche con “trofeo”). Pietro: Anche se ti sto già osservando da tempo con attenzione, non vedo in te alcuna traccia di santità, ma piuttosto molta empietà. Che significa mai questa compagnia che ti segue, tanto lontana dall’essere pontificia? Porti con te quasi ventimila persone, eppure in questa grande folla non vedo nemmeno uno che mostri un volto cristiano. Vedo una mescolanza orribile di uomini, nulla se non bordelli, vino e polvere da sparo che emana un odore disgustoso. Mi sembrano ladri assoldati, o piuttosto anime dannate che sono risorte dall’inferno per scatenare guerre in cielo. Ora, quanto più ti osservo, tanto meno vedo in te tracce di un uomo apostolico. Prima di tutto, che cos’è questa mostruosità, che mentre indossi l’abito del sacerdote celeste, dentro di te sei armato di armi insanguinate, tremando e facendo rumore? Inoltre, che occhi feroci, che bocca sfrontata, che fronte minacciosa, che sopracciglio altezzoso e arrogante! È davvero vergognoso dirlo e fastidioso anche solo vederlo: non c’è parte del tuo corpo che non sia contaminata dai segni di una lussuria mostruosa e abominevole. Senza parlare del fatto che sembri ancora ruttare e puzzare di vino e liquori, come se stessi per vomitare. Certamente, il tuo corpo appare in tale stato che sembri ridotto non tanto dalla vecchiaia o dalle malattie, ma dalla rovina dovuta alla dissolutezza, alla debolezza e all’abuso di cibo e bevande. (san pietro commenta l’arrivo al paradiso di giuliano della rovere, già papa giulio II, in: erasmo da rotterdam, iulius exclusus e coelis / traduzione – probabilmente discutibile – mia) (a cura di riccardo rosa) _________________________ ¹ Roberto Nobile in: La scuola, Daniele Luchetti (1995)
February 23, 2025 / NapoliMONiTOR
La parola della settimana. Latino
(disegno di ottoeffe) Che chiagne a fa’, nun ce penza’ pecché ‘o latino ce pò aspetta’. ‘O mare no, l’estate va… ma che studia’! Chi t’o fa fa’? (nino d’angelo, arrivederci scuola) Forse anche quando chiamano qualcuno a fare un laboratorio in una scuola mandano i più bravi nelle scuole “bene” e poi via via gli altri, a scendere. A me capita quasi sempre di andare in scuole sgarrupate, con muri sgarrupati, soffitti sgarrupati e alunni (loro malgrado) sgarrupati, che avrebbero bisogno di ben altra continuità di intervento educativo, nonché, probabilmente, qualità di educatori. https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/02/35eb95ea-2382-40d9-b0ce-5d1e228ff60e.mp4 (credits in nota1) Quest’anno mi è capitato di lavorare in una scuola del mio quartiere che è considerata da sempre di ottimo livello. Fino a qualche anno fa, trattandosi di un quartiere con una precisa storia e identità operaia, nelle assemblee e nei cortili di questa scuola si formavano un discreto numero di giovani attivisti, e a catena nascevano collettivi e laboratori politici. Oggi, a parte qualche eccezione, ci sono semplicemente ragazzi intelligenti, preparati e che prendono buoni voti. Con alcuni tra questi ragazzi sto ragionando sulla capacità della scuola di riflettere le diseguaglianze del nostro quartiere (e del mondo). Sono ben al corrente, anche loro, dell’esistenza di scuole in cui si riescono a fare riflessioni, che ne so, sulla strumentalizzazione da parte del capitalismo delle battaglie per i diritti civili, e dall’altro lato di istituti in cui non si può non tener conto dei livelli insufficienti di alfabetizzazione di buona parte degli alunni, né dell’apatia spesso frutto della lunga frequentazione di un’istituzione che non gli ha saputo dare risposte (senza contare quelli che fanno il conto alla rovescia verso il sedicesimo compleanno, per abbandonare gli studi). Con un ragazzo di una scuola sgarrupata abbiamo parlato del fatto che la scuola “dovrebbe abolire i libri” e che “ci vorrebbe una rivoluzione” perché così com’è non serve a niente. M. non parlava di proiettare film, leggere i testi delle canzoni, o menate del genere, ma proprio di una rivoluzione. Ci ho messo io, vicino alla sua imbeccata, una riflessione su quello che forse è un cambiamento genetico dell’umanità (e quindi, soprattutto, dei giovani) nel corso degli ultimi decenni, in termini di capacità di analizzare un testo scritto, mantenere la concentrazione, memorizzare dati, acquisire conoscenze. Forse varrebbe la pena smettere di rincorrere il mito enciclopedico di una presunta “cultura generale” (sempre più a portata istantanea di click) e dedicare il tempo scolastico – utilizzando la storia, la letteratura e la matematica – allo sviluppo del ragionamento, della capacità critica, dell’abilità a cogliere sfumature e complessità del reale, almeno nelle scuole elementari e medie. “Verrà anche incoraggiata la lettura di testi dell’epica classica ma anche della Bibbia per rafforzare le conoscenze delle radici della nostra cultura.”, spiega Valditara. Per quanto riguarda il latino, “pensiamo di reintrodurre opzionalmente elementi di latino già dalle medie, dalla seconda per la precisione, per numerose ragioni: apriamo le porte a un vasto patrimonio di civiltà e tradizioni; poi rafforziamo la consapevolezza della relazione che lega la lingua italiana a quella latina. E poi c’è il tema, importantissimo, dell’eredità”. “Adesso si apre un grande dibattito, aperto a tutto il mondo della scuola, ai corpi intermedi, alle associazioni disciplinari. A fine marzo dovremmo essere pronti con gli ultimi ritocchi perché le novità entrino in classe con l’anno scolastico 2026-27”, conclude il ministro. (Scuola, nuovi programmi: latino alle Medie, storia dell’Italia e lettura della Bibbia, il sole 24 ore) https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/02/149ec866-c901-4963-8a11-b44e058b5e5f.mp4 (credits in nota2) Anche negli Stati Uniti si parla in questi giorni di riforme della scuola, e dell’intenzione manifestata più volte dal presidente Trump di abolire in toto il Dipartimento dell’istruzione, che sarebbe colpevole, a suo avviso, di alimentare e diffondere l’ideologia woke, con l’obiettivo di contrastare ingiustizie sociali, razziali o di genere. Un compito che, considerando come è messa male l’America, forse il Dipartimento non sta svolgendo esattamente alla grande. I festeggiamenti del primo mattino nel quartiere Little Havana di Miami sono stati di una portata che non si vedeva dalla morte del dittatore cubano Fidel Castro, otto anni prima. Anche nel sobborgo di Westchester, saturo di immigrati, i latinos hanno festeggiato oltre l’alba, quando è stato confermato il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. I festeggiamenti di mercoledì mattina nel sud della Florida hanno rispecchiato la sorprendente vittoria di Trump nella contea di Miami-Dade, a maggioranza ispanica […], che non era stata conquistata da un candidato repubblicano da più di trent’anni. La sua vittoria, alimentata in gran parte dal sostegno degli elettori latini e ispanici, in particolare degli uomini latini, si è ripetuta in una contea dopo l’altra negli stati in bilico. […] In Pennsylvania, orde di portoricani che hanno visto la loro patria definitiva “un’isola galleggiante di spazzatura” durante il comizio di Trump al Madison Square Garden appena una settimana prima, sono accorsi per dargli il loro voto. In Wisconsin, gli exit-poll hanno mostrato un aumento di sei punti rispetto al 2020, con il 43%, del sostegno ispanico a Trump, nonostante la sua condanna di alcuni immigrati come “spacciatori”, “assassini” e “stupratori” e la promessa di condurre il più grande sforzo di deportazione nella storia degli Stati Uniti subito dopo il suo insediamento. (richard luscombe, How Trump won over Latino and Hispanic voters in historic numbers, the guardian – traduzione di -rr) Tornando alla scuola, c’è una novella di De Amicis che si chiama Latinorum e che racconta la storia del figlio di un ex spaccapietre arricchito, avviato allo studio dal padre, che intende in quel modo contrastare la tradizione e gli ostacoli sociali che frustrano l’esistenza della sua famiglia. L’operazione però non va a buon fine, dal momento che il ragazzo – a dispetto del padre che, per spirito di rivalsa sociale ha una vera e propria venerazione per l’idea del latino – mostra difficoltà a familiarizzare con tutte quelle nozioni che non rispondono a parametri di concretezza e praticità. Il latino diventa così l’emblema della scuola-barriera sociale in cui gli alunni vegetano, con alterne fortune, per un po’ di anni, con una rarissima possibilità, o meglio capacità, di cambiare destini già scritti (De Amicis sembra tuttavia prendere la cosa da un’altra angolazione, del tipo: inutile tenere tra i banchi il figlio di un operaio, anzi siccome comunque diventerà operaio, tanto vale mandarlo in officina da subito). “Ma mi spieghi una volta cos’è quest’altra formalità che s’ha a fare, come dice; e sarà subito fatta”. “Sapete voi quanti siano gl’impedimenti dirimenti?”. “Che vuol ch’io sappia d’impedimenti?”. “Error, conditio, votum, cognatio, crimen. Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas. Si sis affinis…”, cominciava don Abbondio, contando sulla punta delle dita. “Si piglia gioco di me?”, interruppe il giovine. “Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?”. “Dunque, se non sapete le cose, abbiate pazienza, e rimettetevi a chi le sa”. “Orsù!…”. “Via, caro Renzo, non andate in collera, che son pronto a fare… tutto quello che dipende da me. Io, io vorrei vedervi contento; vi voglio bene io. Eh!… quando penso che stavate così bene; cosa vi mancava? V’è saltato il grillo di maritarvi…”. “Che discorsi son questi, signor mio?”, proruppe Renzo con un volto tra l’attonito e l’adirato. “Dico per dire, abbiate pazienza, dico per dire. Vorrei vedervi contento”. “In somma…”. “In somma, figliuol caro, io non ci ho colpa; la legge non l’ho fatta io. E, prima di conchiudere un matrimonio, noi siam proprio obbligati a far molte e molte ricerche, per assicurarci che non ci siano impedimenti”. “Ma via, mi dica una volta che impedimento è sopravvenuto?”. “Abbiate pazienza, non son cose da potersi decifrare così su due piedi. Non ci sarà niente, così spero; ma, non ostante, queste ricerche noi le dobbiam fare. Il testo è chiaro e lampante: antequam matrimonium denunciet…”. (conversazione tra renzo tramaglino e don abbondio, i promessi sposi). (a cura di riccardo rosa) PS. Approfitto di questo spazio per dedicare un piccolo pensiero a Domenico Cirillo, diciassette anni, finito ieri dopo diversi giorni di limbo tra la vita e la morte. Domenico era stato travolto da un’auto che correva a gran velocità, nella zona degli chalet di Mergellina, mentre attraversava le strisce pedonali. Giovane atleta e appassionato di basket, Domenico frequentava, con ottimi risultati, la scuola di cui ho parlato all’inizio di questa rubrica. _________________________ ¹ Gennarino in: Io speriamo che me la cavo, Lina Wertmuller (1992) ² Ecce bombo, Nanni Moretti (1978)
February 9, 2025 / NapoliMONiTOR
La parola della settimana. Carne
(disegno di ottoeffe) Una libbra di carne tolta a un uomo non vale manco il prezzo od il valore d’una libbra di carne di montone, di manzo o di capretto, santo Dio! Mi allargo a fargli questa offerta amica, per acquistarmi la sua simpatia. Se accetta, tanto meglio. Se no, addio! (shylock, il mercante di venezia) A parte il piacere di rivedere un po’ di posti e amici, non mi ha messo di grande umore la due giorni a Taranto Vecchia di inizio settimana. A dire il vero Angelo mi aveva preparato a uno scenario un po’ mutato,  ma non ero pronto a questa originale forma di trasformazione urbana che alterna tre palazzi diroccati, due case murate, un bistrot-ristorante gourmet, un deposito di esche abbandonato, un murales contro la polizia, gru e ponteggi per la ricostruzione di edifici “sostenibili”, altri due palazzi distrutti, una colonia di gatti, l’università, un bar vuoto, le case occupate con la biblioteca popolare sgomberate e murate, un bed and breakfast, due palazzi diroccati, tre case murate, una pizzeria chiusa, un wine bar, un cocktail bar, due palazzi con i pilastri, un negozio bio, altri gatti, una sede degli ultras, una “tropical house”, un palazzo crollato… https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/02/timoni-VEED.mp4 (credits in nota1) Gino non lo sa, ma durante i miei soggiorni in Città Vecchia di una decina d’anni fa, quando per motivi che non vale la pena approfondire ero costretto a mangiare poco e con una dozzina di ore di “spacco” tra un pasto e l’altro, le sue bistecche mi hanno salvato la vita. Un pomeriggio mi chiusi in macelleria con lui e mi feci raccontare la sua storia. Sono nato in Città Vecchia, ma ora abito dall’altro lato, vicino alla concattedrale. Avevo vent’anni quando lasciammo l’isola. Mio padre voleva comprare la casa in città. C’era questo mito di andarsene, che non andava bene vivere qua. […] All’Italsider arrivavano le barche che portavano il materiale. Quando avevano finito facevano la spesa grossa, perché erano almeno venti persone a bordo. […] Qualche giorno fa è venuto un napoletano che sta di bordo, si è preso sette chili di salsicce… le salsicce napoletane, quelle grosse, […] i pugliesi preferiscono quelle sottili che si cucinano subito, si fanno col vitello e col maiale, mentre quella che si fa a Napoli è solo maiale. Viene bene sulla brace, la nostra invece la devi buttare nel sugo, o dentro al panino; d’estate la gente si fa il panino per andare al mare. In Città Vecchia devi sempre avere gli involtini, le polpette, la carne arrosto, le costate di maiale, il capocollo, qua sono tradizionalisti. Sono abituati così, devono fare il sugo. […] Sono rimasto solo io, le altre macellerie hanno chiuso. La Città Vecchia si è fatta piccola, saremo due o tremila persone. Dopo il crollo di vico Reale negli anni Settanta non si è capito più niente, la gente ha cominciato a scappare. Poi i politici ci hanno messo il loro. […] La cosa più faticosa oggi è alzarsi alle cinque tutte le mattine per andare a prendere la carne buona. C’è gente che si affeziona e anche se si allontana dall’isola viene qua una volta al mese. Se una persona fa venti chilometri per venire da te, deve trovare il suo utile: qualità e un po’ di risparmio, i miei clienti sono abituati bene. È mezzo secolo che sto qua, è assai… no? (luigi lanzalonga, detto gino della carne, intervista da: riccardo rosa e luca rossomando, timoni al vento. alcune storie della città vecchia raccontate da chi le ha vissute; in: taranto, un anno in città vecchia, un libro di cyop&kaf) A rasserenare le mie turbe ci ha pensato il cinema. Venerdì ho visto ad AstraDoc Bestiari, erbari, lapidari, una poesia in immagini e suoni di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, un documentario di tre ore e mezza che non sembrano tali, anzi forse sono pure poche considerando il sentiero tra vita, cura e morte su cui ti porta a camminare. Brilla tra i tre il capitolo centrale, dedicato alle piante, una sorta di testamento dell’umanità che ci ricorda che quando noi esseri di carne (uomini e animali) ci saremmo annientati gli uni con gli altri, lasceremo comunque il pianeta in buone mani. Quando la bomba atomica trasformò la città di Hiroshima in un deserto annerito, un vecchio Ginkgo cadde fulminato vicino al centro dell’esplosione. L’albero rimase calcinato come il tempio buddista che proteggeva. Tre anni dopo qualcuno scoprì che una lucina verde spuntava nel carbone. Il Ginkgo aveva buttato fuori un germoglio. L’albero rinacque, aprì le braccia, fiorì. Quel superstite della strage è ancora lì. (eduardo galeano, ginko) Un po’ di attualità, giusto per rimanere coi piedi per terra: Fatture false e camorra nel settore della carne: 17 custodie cautelari e trenta milioni di euro sequestrati. Due indagati nel Bolognese (bologna today, 28 gennaio) – si consiglia la lettura di Alfasuin, di Giovanni Iozzoli. “Ecco cos’ha trovato mia figlia nella carne”. La scoperta choc al McDonald’s (il giornale, 30 gennaio) – spoiler: un dente. Sono il più famoso street food abruzzese, sì ma come si cuociono? Video sugli arrosticini (cibo today, 30 gennaio) Parlando di Abbruzzo e di grigliate si dovrebbe aprire il capitolo Roccaraso, ma abbiamo letto talmente tante sciocchezze dai giornali nel merito che sarebbe inutile. L’unica cosa veramente divertente è che una minima eterogeneità della mia bolla social mi ha permesso di entrare in contatto con tutte le opinioni contrastanti sul caso, comunque circoscrivibili in quattro-cinque categorie (tutte le argomentazioni erano ovviamente di una noia e banalità disarmante): L’ambientalista. Non possiamo permettere che l’antropocene violenti ancora per molto la Terra. E comunque il vero tema è che grazie al cambiamento climatico nemmeno a Roccaraso c’è più la neve. Il compagno. È sbagliato inquinare la montagna ma bisognerebbe parlare anche della turistificazione a Napoli, che è molto più grave. Il negro da cortile. È per colpa di questa gente che noi napoletani siamo considerati merda in tutto il mondo. Ce lo meritiamo. Il giustificazionista. Sono sottoproletari che vogliono passare un giorno nel benessere. Ci riprendiamo tutto quello che è nostro. Il simpatico. Oh, ti ho mandato un invito su Facebook! (“Vieni a passare una piacevole e rilassante giornata nella natura innevata con la nota influencer Rita De Crescenzo”). Il neoborbonico. E comunque alla fine il vero dato è che siamo quello che siamo. Questi con cinquanta euro si comprano l’attrezzatura per la neve e ci fanno uscire pure il pic nic. Respect! Je scrivo ‘o schifo e, si n’capisce, po’ me cumpiatisce. Tu ca nun sì nisciuno, ca n’te scite, ca nun vire panne pulite ‘ncopp’ a carne sporca, ‘o contraffatto contro a l’arte pura. E finché ‘a morte nun me cocca io parlo e penzo crudo. (co’sang ft. lucariello, ‘o spuorc) (a cura di riccardo rosa) _________________________ ¹ Gli abitanti della Città Vecchia di Taranto, in: Timoni al vento. Diario di bordo dalla Città Vecchia, cyop&kaf (2015)
February 2, 2025 / NapoliMONiTOR
La parola della settimana. Generale
(disegno di ottoeffe) Domenica scorsa a Torino è stato arrestato il generale libico Osama Elmasry Njeem, meglio noto come Almasri. Il mandato della Corte penale internazionale lo accusava – in quanto capo della Special Deterrence Forces di Tripoli – di crimini internazionali ai danni dei detenuti nella prigione di Mitiga, dal 2015 a oggi. Nel carcere in questione, come in altri, vengono rinchiuse, torturate, violentate e talvolta uccise persone arrestate per il proprio credo religioso, per omosessualità e altri reati perseguiti dalla “polizia morale”, per appartenenza a gruppi armati, ma anche a scopo di estorsione. Molti dei detenuti sono migranti in transito. Nonostante le raccomandazioni delle Nazioni Unite e del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, che esortavano i differenti governi a sospendere questa “assistenza”, dal 2017 l’Italia supporta economicamente e logisticamente le autorità libiche per “facilitare l’intercettazione e il rimpatrio” di migliaia di migranti che ogni anno cercano di attraversare il Mediterraneo. Nello stesso periodo l’Unione Europea ha stanziato oltre sessanta milioni di euro per sostenere la guardia costiera libica e le forze dell’ordine, anche attraverso “informazioni di sorveglianza”. Sono più di centoventimila le persone che sono state rimpatriate durante il loro viaggio e, per buona parte incarcerate in Libia, dal 2017 a oggi. Lunedì sera, senza aver avvisato in alcun modo la Corte internazionale, qualcuno ha messo in nome dell’Italia e riportato a casa, su un volo di Stato, il generale Almasri. Grande hype, c’era, e grandi ascolti ci sono stati, per M. Il figlio del secolo, la serie tratta dal romanzo di Scurati che racconta il ventennio fascista come una sorta di House of cards delle camicie nere. Mi è capitato di parlarne negli ultimi giorni con diverse persone (quasi tutte) intelligenti, e ciò che ha più imbarazzato è la macchiettizzazione di molti dei protagonisti, a cominciare dallo stesso Mussolini, che per quanto fosse effettivamente personaggio rozzo e bellamente ignorante, ricorda a tratti, nella serie, quel generale di un vecchio film di Totò che ancora negli anni Sessanta ingaggiava disoccupati e comparse di Cinecittà per riprodurre una Repubblica di Salò in miniatura nella sua villa romana. https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/01/totodiabolicus-online-video-cutter.com_.mp4 (credits in nota1) Questo aspetto è sicuramente uno dei limiti principali di un prodotto tutto sommato discreto, ma che finisce per compromettere la complessità dei personaggi e di alcuni eventi. In un primo momento ho pensato con soddisfazione alla possibilità che la serie potesse arrivare a un pubblico ampio, fornendo elementi che per esempio gli studenti fanno fatica a rintracciare; penso, su tutti, alla scelta operata da Mussolini e il suo cerchio magico nello schierarsi a tutela della grande industria, un posizionamento che le classi dirigenti del paese – al servizio di poteri che sono rimasti gli stessi nel passaggio dalla dittatura alla democrazia – hanno tentato di occultare, cercando di proporre una vulgata, tuttora ahinoi in voga, secondo cui un governo basato su “ordine” e “sicurezza” avrebbe come finalità una qualità della vita più alta per le masse popolari. Qualche giorno dopo sono tornato al mio più consueto pessimismo, dopo essermi chiesto e aver cominciato a chiedere a un po’ di ragazzi se l’avessero vista, la serie. La domanda, a quel punto diventa: ha senso farsi andar bene un prodotto culturale con degli oggettivi limiti, perché almeno mostra al grande pubblico cose che nessun altro prodotto concepito per il grande pubblico mostra? E se sì, ha senso anche quando il grande pubblico (e in particolare i giovani, gli studenti, quelle fasce di popolazione che hanno un bagaglio culturale meno ampio) da quel prodotto comunque non viene raggiunto? Gli italiani (se mai li hanno scoperti) possono oggi riscoprire i libri. Io dunque sfido i dirigenti della televisione a dimostrare la loro buona fede e la loro buona volontà, attraverso un lancio della lettura e dei libri: lancio da non relegare ai programmi culturali e alle trasmissioni privilegiate: ma da organizzare secondo le infallibili regole pubblicitarie che impongono di consumare. […] I Bernabei , i Fabiani, i Romanò, e i loro colleghi che contano, se vogliono possono superare ogni difficoltà burocratica e mettere ogni sera Carosello (?!), e le altre trasmissioni analoghe, abbondantemente a disposizione di questo nuovo compito così nobile, altruistico e scandalosamente contradditorio. (pier paolo pasolini, sfida ai dirigenti della televisione, da: il corriere della sera, 9 dicembre 1973) Dopo aver visto M mi è venuto in mente un libro che non avevo mai letto (a dispetto degli incalzanti suggerimenti della mia compagna), ma che ho finalmente iniziato grazie a questa rubrica. Ha anch’esso come titolo una lettera, ed è anch’esso ambientato durante una dittatura: si tratta, lo avrete capito, di Z, di Vasilis Vasilikos, che racconta le premesse al colpo di stato dei Colonnelli in Grecia, nel 1967, a partire dall’assassinio del deputato ex partigiano e pacifista Grigoris Lambrakis. Le prime pagine del libro raccontano di un intervento pubblico del Generale, comandante della gendarmeria nel nord della Grecia, che davanti ai ministri del governo di destra utilizzan come metafora della minaccia comunista le malattie parassitarie delle piante. Il Generale guardò l’orologio mentre l’oratore più importante della serata, il segretario di Stato all’agricoltura, concludeva la sua conferenza sulle misure da prendere per combattere la peronospora. […] Il pubblico – prefetti e comandanti di gendarmeria – cominciava a sonnecchiare. […] Alla fine si sentirono alcuni timidi applausi e il segretario di Stato scese dal palco. Il Generale si alzò, attese che l’oratore avesse ripreso il suo posto in mezzo al pubblico poi, voltando le spalle al palco, rivolto a tutti quegli uomini di mezza età, per lo più calvi e obesi, che erano prefetti o ufficiali di polizia – suoi subalterni –, disse: “Colgo a mia volta questa occasione per aggiungere qualche parola a quanto vi ha esposto così elegantemente il signor Ministro. Per quel che mi riguarda vi parlerò della nostra peronospora: il comunismo”. […] Uno scroscio di applausi salutò questa perorazione. La riunione era finita. Prefetti, comandanti e direttori di ministeri si alzarono, accesero una sigaretta, si stirarono e si prepararono a uscire al seguito dei rispettivi superiori. (vassilis vassilikos, Z) PS. In questo video Vasco Rossi duetta in [per quello che ho da fare] faccio il militare con Massimo Riva, suo amico fin da bambino, chitarrista storico della sua band e geniale compositore – Non mi va, Vivere una favola, Stupendo, Vivere. Era il 1995 e, dopo un periodo di separazione, il cantante aveva chiesto a Riva di tornare per “Rock sotto l’assedio”, due concerti a San Siro contro la guerra in Jugoslavia, in cui si esibirono ne Gli spari sopra anche gli Sikter, band di Sarajevo fatta uscire clandestinamente dal paese. Rossi e Riva (che in quei concerti suonò insieme a Maurizio Solieri, per la prima volta, la cover di Generale, di De Gregori) avrebbero continuato a lavorare insieme fino alla morte per overdose di eroina del chitarrista, di cui è ricorso il venticinquesimo anniversario lo scorso maggio. (a cura di riccardo rosa) _________________________ ¹ Totò, Antonio La Raina, Luigi Pavese e Mario Castellani, in: Totò Diabolicus, Steno (1962)
January 26, 2025 / NapoliMONiTOR
La parola della settimana. Cippo
(disegno di ottoeffe) Nella notte tra lunedì e martedì sono comparsi a Napoli manifesti funebri che annunciano la fine dell’esperienza artistica di cyop&kaf, che dal 1994 ha dipinto la nostra città e altre in giro per il mondo, ha scritto articoli, diretto film, collaborato con scrittori, teatranti, musicisti, poeti, militanti politici. Nel dare notizia del suo scioglimento, il collettivo ha menzionato “la sopraggiunta mutazione dei contesti nei quali operava, delle persone con le quali interagiva e, non ultima, la sua propria trasformazione”, aprendo il futuro a strade nuove e diverse. Già altre volte in questi anni (per esempio qui e qui) cyop&kaf aveva provato a motivare la sua insofferenza nel rapportarsi, utilizzando gli strumenti che ha maneggiato per trent’anni, a un mondo sempre più preda del servilismo e della stupidità. La prima volta, a memoria, risale a una dozzina d’anni fa: Non fai in tempo a costruire un nuovo alfabeto che arriva la pubblicità a ingoiartelo. […] Probabilmente questa nuova droga del “ti guardo guardarmi guardare” è figlia di quel passaggio rivoluzionario che dalla diga dell’analogico ci ha scaraventati nel mare aperto del digitale. S’incassano colpi che non si riconoscono come tali e per il momento si è rinunciato a governare la nave (ma non all’inchino sottocosta del due punto zero). […] Ora mi pare che l’incendio sia unico e immenso e mi odio, perché l’ho attizzato anch’io, fosse anche solo mancando di quell’intransigenza che tempi come questo richiedevano. (cyop&kaf, se il martello è l’incudine – settembre 2012) Insieme alle figure antropomorfe e ai personaggi che hanno popolato i muri, le saracinesche, le saittelle della città, rimangono nell’immaginario di chi ha osservato questo percorso alcuni momenti significativi (cult fu la mostra Diniego installata in strada alle spalle del Madre, durante la cui inaugurazione il presidente della regione Bassolino si beccò una bella bicchierata di vino rosso sulla camicia bianca da un noto esponente della sinistra antagonista cittadina). Nel 2013, c&k ha girato un film che è fondamentale per capire la tradizione del “cippo di Sant’Antonio”, anzi la condizione dei bambini e degli adolescenti in città, anzi i Quartieri Spagnoli prima della turistificazione, anzi la poesia tribale in una società in cui la barbarie si è fatta progresso. Insomma, ognuno ci veda ciò che ritiene. https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/01/segretolow.mp4 (credits in nota1) Da qualche tempo, nei quartieri popolari, i bambini e i ragazzini napoletani hanno deciso di anticipare di qualche ora – per sfuggire alla violenta repressione poliziesca di cui ogni fiamma che arde è diventata oggetto – l’incendio degli alberi nel giorno del cippo. Invece che la sera del 17 gennaio, gli alberi cominciano ad ardere nelle prime ore del giorno, poco dopo la mezzanotte. Piglia ‘a butteglia ‘e Ferrarelle, va’ addò benzenaro, spienne ‘ddoje lirelle miettece pure ‘na mappina ‘ncopp’ e statt’ accort’ ca nisciuno se l’ammocca. E se pure i fascisti mo’ debbono parlare sai compagno cosa dobbiamo fare? Boccia boccia boccia bam bam: appicciamm’ ‘e fasciste cu tutt’o Quirinal’ (99 posse, s’adda appiccia’) Questa storia di anticipare il fuoco per fregare la polizia a qualcuno non va proprio giù. Questa è una delle macchine dei carabinieri che è stata colpita da una sassaiola delle baby gang criminali che stanno operando durante questa notte. Una notte di follia. Via Salvator Rosa, piazza Mercato, la Sanità, Mergellina, Quartieri Spagnoli, tutti sotto assalto, tutti coordinati tra di loro tra baby gang legate alla criminalità organizzata e figli degli spacciatori, dei camorristi e dei delinquenti che affossano la nostra terra. […] Noi dovevamo prevenire, e dovevamo impedire presentandoci lì in modo blindato, coi carri armati se necessario! Non esiste che le forze dell’ordine debbano arretrare di fronte a questi criminali. […] La guerriglia a Napoli è una vergogna, noi non siamo in guerra, eppure di fatto le baby gang criminali lo stanno facendo assolutamente. […] Hanno preso i sanpietrini, come se fossimo in guerra, hanno tirato bombe carta. […] Ci sono tre quattromila ragazzini solo nella città di Napoli che sono armi pericolosissime, messi assieme, solo alla Sanità erano circa duecento, e noi abbiamo dovuto arretrare. Voce fuori campo: Sta anche Brumotti qua! Ma è mai pensabile che nel 2025 noi come città, come istituzioni, come civiltà veniamo messi sotto scacco da una banda di Unni legati alla criminalità? (francesco emilio borrelli, video pubblicato da napolitoday) https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/01/attila.mp4 (credits in nota2) Oltre al fuoco di Sant’Antonio, con la parola “cippo” a Napoli si fa comunemente riferimento a qualcosa di molto antico. Questo perché nel cuore di Forcella c’è un gruppo di pietre (appunto chiamato “cippo”) che risalgono al secondo o terzo secolo avanti Cristo, e che probabilmente facevano parte di una porta difensiva della città, la Porta Herculanensis, poi nominata Porta Furcibllensis o Porta Furcilla, dalla forma a Y del bivio stradale che conduceva alla stessa. Con i lavori per il Risanamento e lo sventramento della parte bassa di Forcella, nacque in quella zona una piazza, che fu detta inizialmente piazza delle Mura greche, proprio a causa delle scoperte archeologiche fatte. Successivamente fu ribattezzata piazza Vincenzo Calenda, come ancora oggi si chiama l’area antistante il teatro Trianon, dedicato alla memoria di Raffaele Viviani, e a partire dalla quale le guardie hanno dato la caccia ai ragazzini e ai loro alberi anche quest’anno, nella notte tra giovedì e venerdì. ‘E gguardie? Sempe a sfotterle, pe’ ffa’ secutatune; ma ‘e vvote ce afferravano cu schiaffe e scuzzettune. E ‘a casa ce purtavano: “Tu, pate, ll’hê ‘a ‘mpara’!”, ma manco ‘e figlie lloro sapevano educa’. A dudece anne, a tridece, tanta piezz’ ‘e stucchiune ca niente maje capévamo pecché sempe guagliune! (raffaele viviani, guaglione) Fu lo stesso Sant’Antonio d’altronde – va ricordato per chiudere – a rendersi protagonista di un inganno e di un vero furto di fuoco (come i ragazzini gli alberi nei secoli a venire), senza che nessun poliziotto o Borrelli si mettesse tra le scatole. Leggenda vuole infatti che il santo, desideroso di donare un fuoco scaccia-malocchio ai suoi devoti, scese agli inferi per rubarlo al demonio. I diavoli che affollano il sottosuolo però non lo fecero entrare, rubandogli il bastone e scatenando l’ira del maialino che Sant’Antonio portava con sé, il quale cominciò a mettere sottosopra l’Inferno. Sant’Antonio pretese, per placare l’ira del suo animale, la restituzione del bastone, e una volta ottenuto si allontanò col porco al fianco. Non sapevano, i diavoli, che quel legno era ferula dal midollo spugnoso, capace di trattenere viva la scintilla al suo interno senza che nessuno potesse vederlo. Così, una volta fuori, il santo poté liberare la fiamma e donare il fuoco purificatore agli uomini, cantando in segno di benedizione: “Fuoco, fuoco per ogni loco! E per mondo, fuoco giocondo!”. Da quel momento, diventò il nemico numero uno del demonio. (a cura di riccardo rosa) _________________________ ¹ I ragazzi del segreto in: Il segreto, cyop&kaf (2013) ² Diego Abatantuono in: Attila, flagello di Dio, Pipolo e Castellano (1982)
January 19, 2025 / NapoliMONiTOR
La parola della settimana. Polizia
(disegno di ottoeffe) Mercoledì il Tg3 ha mandato in onda un video che mostra il lungo inseguimento al termine del quale è morto Ramy Elgaml, diciannovenne di origini egiziane ammazzato da un carabiniere lo scorso 24 novembre a Milano. Dal video, e soprattutto dagli audio, si capisce bene con quale concitazione e rabbia i carabinieri abbiano cercato di colpire con la loro auto il motorino su cui viaggiavano Ramy e il suo amico Fares. I carabinieri si dicono tra loro che Ramy ha perso il casco, ma nonostante ciò continuano a cercare di speronare il mezzo, fino allo schianto finale contro un palo. Dalle immagini si vede anche il momento in cui due militari si avvicinano a un ragazzo, testimone dell’incidente, per fargli cancellare il video con cui aveva ripreso la scena (circostanza raccontata dallo stesso ragazzo ai magistrati). Ci vorrebbe non un breve articolo ma un libro, per raccontare le storie di tutte le persone che sono state ammazzate nel nostro paese dalle forze di polizia. Un importante sforzo è rappresentato dalle schede costruite nel corso degli anni da Acad – Associazione contro gli abusi in divisa. Mi limito quindi a ricordare solo alcuni tra loro, considerando i recenti o prossimi importanti anniversari dell’assassinio. Lo scorso 5 settembre, per esempio, è ricorso il decimo anniversario della morte di Davide Bifolco, sedicenne ammazzato da un carabiniere in servizio a Napoli, al termine di un inseguimento. Quando è stato sparato, Davide era a terra, disarmato. Il 29 febbraio saranno invece passati cinque anni dalla morte di Ugo Russo, quindici anni, sparato alle spalle da un carabiniere fuori servizio mentre scappava dopo un tentativo fallito di rapina. Sempre a febbraio, il 6 del mese, ma del 2010, moriva invece Aziz Amiri, ucciso da un carabiniere dopo un tentativo di fermo, con una Beretta calibro 9 non in ordinanza all’agente. Sempre quindici anni fa, il 21 settembre 2010, moriva anche Roberto Collina, dopo una colluttazione con due agenti in borghese, fuori servizio, nel comune di Largo Campo, in provincia di Salerno. A settembre, il 25 per la precisione, saranno passati vent’anni dalla morte di Federico Aldrovandi, diciottenne al momento della sua morte, pestato brutalmente con calci, pugni e manganellate da una pattuglia di poliziotti, e poi morto una volta immobilizzato al suolo per “asfissia da posizione”. Luglio 2025: sarà il decimo anniversario della morte di Mauro Guerra, trentatré anni, sparato da un carabiniere in un campo di sterpaglie poco distante da casa sua, a Carmignano di Sant’Urbano (in provincia di Padova), dopo un tentativo di trattamento sanitario obbligatorio. «Mauro era stato bloccato, già gli era stata infilata una delle manette ma il carabiniere lo ha aggredito e lui ha reagito con due o tre pugni. […] È andato via camminando, ma l’agente gli ha sparato alle spalle. E gli altri carabinieri, che erano a cento metri, quando sono arrivati hanno continuato a prenderlo a calci mentre già era a terra», la testimonianza dei familiari. Nell’aprile 2020, cinque anni fa, moriva nel carcere di Santa Maria Capua Vetere Hakimi Lamine, che qualche settimana prima era stato tra i detenuti violentemente pestati nel corso della Mattanza operata dagli agenti di polizia penitenziaria, e non solo. Dopo il pestaggio Hakimi era rimasto fino alla sua morte in isolamento punitivo (qui un diario del processo in corso) Ne approfitto per segnalare che tra gennaio e febbraio ci saranno due iniziative a Napoli, all’università L’Orientale, su questi temi, organizzate da dottorandi e dottorande in Studi Internazionali: il 20 gennaio (ore 10:30, palazzo Giusso, Sala Dottorato) un seminario con Enrico Gargiulo dell’università di Torino, e Gaia Tessitore, avvocato del foro di Napoli); il 3 febbraio una mostra – dalle 10 alle 18, palazzo Giusso, Sala Dottorato – sui familiari dei cittadini uccisi dalle forze dell’ordine (la mostra è promossa da Amnesty International con foto di Antonio De Matteo, che incontrerà gli studenti alle 15 insieme a Francesca Corbo, Luigi Manconi, i familiari di Davide Bifolco e quelli di Ugo Russo). https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/01/polizia-parolasettimana.mp4 (credits in nota1) (a cura di riccardo rosa) __________________________ ¹ Immagini da:  Sulla mia pelle, di Alessio Cremonini (2018) The Sleepers, di Barry Levinson (1996) Blue Bayou, di Junstin Chon (2021) Colorblind, di Mostafa Keshvari (2023) Judas and the Black Messiah, di Shaka King (2021) A Clockwork Orange, di Stanley Kubrick (1971) Hunger, di Steve McQueen (2008)
January 12, 2025 / NapoliMONiTOR
La parola della settimana. Leone
https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/12/verdoneveed.mp4 . Hanno fatto il giro del mondo le immagini di uno spettacolo del circo Orfei andato in scena a Licola il 23 dicembre. È successo che a un certo punto i leoni si sono innervositi e progressivamente si sono ribellati al loro domatori, ruggendo, saltando dappertutto e scuotendo la gabbia (tra il terrore degli spettatori). Per calmarli Sonny Caroli, il domatore, ha dovuto colpirli ripetutamente col frustino e lanciare contro di loro le pedane, alimentando ancora di più la sensazione di pericolo tra il pubblico. Nei giorni successivi sono montate le polemiche. Da un lato chi ritiene che non sia più accettabile utilizzare gli animali per i circhi, dall’altro chi si è schierato con il domatore, difesosi sostenendo che chi lavora e abita nel circo vive in simbiosi con i suoi animali. Mestiere infame, c’è poco da dire, quello di domare. Zenobia: Io a Roberto mio non gli faccio mancare niente! (Allungando la voce verso il marito) Seh, quello chesto vulesse vede’: ca quando tiene appetito non fosse pronto il mangiare… Madonna, me ne potrei fuggire! Bettina: Che? (Come dire: Avete sentito? Ad alta voce, con intenzione) Ce vo’ ‘a furtuna a ‘stu munno… […] Giannina: Sì, ma è troppo ‘na servitù. Zenobia (piccata): E che viene a dire questa “servitù”? È dovere della moglie fare tutto al marito. La moglie lava, stira, cuce, rattoppa… Bettina: E il marito fa il damerino! Roberto: Donna Betti’… Donna Betti’, lasciate sta’ a mia moglie. (Mordendosi a stento) Fatela cucinare! Bettina (sgraziata): Ma chi ‘a sta dicenno niente? […] Carletto (a Bagonghi, che appare mortificato per l’accaduto): Oh, ma comme s’adda fa’ cu ‘a mugliera vosta…? Bagonghi (andando verso Bettina, uscendo fuori dai gangheri): Ma comme, io aggio ammaistrato cane, gatte, surice e pulice, e nun so’ stato bbuono maje a te ‘mpara’ ca nun he ‘arapi’ ‘a vocca? (raffaele viviani, circo equestre sgueglia) Per un periodo ho frequentato sporadicamente Reggio Calabria, città bellissima e dalle devastanti contraddizioni. Mi è capitato una volta di andarci in aereo, di atterrare poco dopo l’alba e di riposarmi su una spiaggia dall’aspetto californiano, una distesa enorme di sabbia poco distante dall’aeroporto, per raggiungere la quale bisognava attraversare una terra abbandonata e occupata da un circo. Ora, non so se sia un’esperienza comune visitare un circo alle sette del mattino, ma a me pareva di essere in un film di Fellini, solo senza la monaca-nana, e con tutti gli altri dormienti, insonni o appena svegli. Una ragazza dalle gambe lunghissime, con una sottoveste anni Sessanta e degli zoccoli in legno dava da mangiare ai cavalli. Una signora dai capelli bianchissimi disponeva biancheria intima su uno stendino malconcio. Un cane spelacchiato si mise a seguirmi per un po’, finché all’improvviso, così com’era comparso, sparì. Mi sembrò che quella scena così poetica e decadente volesse significare qualcosa, ma non riuscii proprio a comprendere cosa e dopo pochi minuti mi addormentai usando la valigia come cuscino e il giubbotto come telo. Positiva la presenza di Nettuno in Ariete, tra aprile e ottobre, che ti spingerà a ricercare significati più spirituali e profondi alla tua esistenza, in poche parole conferirà una dimensione più spirituale alla tua personalità. (manuela livi, oroscopo 2025: leone; da: virgilio.it) Hai l’impressione di aver già vissuto come in un romanzo d’avventura negli ultimi anni e adesso sei pronto a risolvere senza piagnucolare qualsiasi cosa la vita ti metta nel piatto. (ginny chiara viola, oroscopo 2025: leone; da: fanpage.it) Uno dei gruppi ultras più longevi e determinati dello stadio Maradona – nonché, se non sbaglio i conti, l’unico che ancora rinuncia alle trasferte, avendo rifiutato di fare la “tessera del tifoso” – è quello dei Vecchi Lions. Nato nel 1992 dalla scissione dei Blue Lions, il gruppo viene descritto in una delle periodiche informative che la Digos si premura di inviare a tutti i giornali come “composto da circa cento tifosi, soliti posizionarsi nell’anello superiore della Curva A, all’altezza dell’ultimo boccaporto centrale. Gli aderenti provengono da varie aree di Napoli e provincia. […] Si riunisce in piazza Sannazzaro, attesa la mancanza di una propria sede. Non Fidelizzati”. Già negli anni Ottanta, la frangia più radicale dei Blue Lions, quella che poi darà vita ai “vecchi leoni”, si era distinta per alcune azioni rimaste epiche nella narrativa popolare ultras. Su tutte, l’aver sventato un possibile gemellaggio che il Commando Ultrà napoletano, capitanato da Palummella, stava preparando nientedimeno che con le Brigate Gialloblù del Verona, andando a caricare i tifosi veneti al Bentegodi, sotto la loro curva. Dopo quell’evento, tra il 1982 e la fine del 1983 i Blue Lions e i Fedayn arrivarono ripetutamente allo scontro con gli ultras veneti, finché la situazione non degenerò in violenti scontri successivi alla partita, a Verona, del 20 novembre 1983 (1-1, con leggendario gol di capitan Bruscolotti). Sugli spalti, quel giorno, gli ultras locali avevano esposto uno striscione dedicato al loro ex giocatore, il brasiliano Dirceu, appena passato al Napoli: “Ora non sei più straniero: Napoli ti ha accolto nel continente nero”. Vado in Mozambico! Mi sbucciai un dito! Fatta infezione, necessaria amputazione! Dito! Gamba! Vuoi ballare tu la samba? Samba! Samba! Sam-ba! Oh leon, oh leon, questa è la canzon dei vecchi leon! Oh leon, oh leon, questa è la canzon dei vecchi leon! (inno vecchi lions, curva a napoli) A dispetto del suo carattere aperto (per essere un capo militare e un dirigente del CCCP si potrebbe dire che era quasi un viveur), Trotskij fu un bambino solitario, almeno nella sua primissima infanzia. In realtà era accaduto che i genitori del piccolo Lev (Leon, nella traslitterazione anglosassone dal cirillico) l’avevano mandato a una scuola ebraica, dove non riusciva a socializzare con nessuno non parlando una parola di yiddish. Negli anni successivi, quando un parente di sua madre lo portò con sé a Odessa per fargli frequentare la scuola parificata luterana, le cose cambiarono. A dieci anni il ragazzo fu tra i protagonisti di una protesta contro un professore e fu espulso per colpa di altri studenti che lo avevano denunciato al preside. Tempo dopo avrebbe commentato così quell’episodio: “I gruppi sorti in quell’occasione – gli invidiosi e i delatori da una parte, i giovani franchi e valorosi dall’altra, e la massa neutrale, incerta, amorfa nel mezzo – li ho incontrati anche più tardi, nelle più svariate circostanze”. Chissà se immaginava, il giovane Trotskij, che sarebbe morto dall’altra parte del mondo per mano di una spia assoldata dai suoi vecchi compagni di partito: Jaime Ramón Mercader del Río. Gli avvenimenti che hanno portato alla morte di Trotskij sono stati il principale motivo di critica di una serie distribuita da Netflix che ne racconta la vita, un’operazione di propaganda putiniana che lo ritrae come un leader sanguinario e cinico. Quel che conta è che saltellando da un link a un altro sono arrivato a un’altra storia di propaganda, che non conoscevo. Autunno 1943: il ministro della cultura popolare della Repubblica di Salò cerca di assicurarsi, approfittando della distruzione quasi totale di Cinecittà, l’appoggio di una serie di registi e attori famosi, invitandoli a girare dei film “schierati” e ben pagati negli studi della nascente Cineisola, che avrebbe dovuto sorgere in una ex fabbrica di birra della Giudecca (Venezia). Tutti i registi o quasi si rendono irreperibili, qualcuno si sfila in altro modo, tra cui De Sica, che si inventa di essere impegnato a Roma con un film commissionato dal Vaticano. In effetti, quando De Sica interagisce con il ministro Mezzasoma (già vicesegretario del partito fascista, fucilato e poi esposto a piazzale Loreto qualche anno dopo) la lavorazione de La porta del cielo non è ancora partita, e De Sica non è nemmeno il regista designato. Il suo nome viene imposto, con l’obiettivo di sottrarlo alle pressioni repubblichine, dall’attrice protagonista del film, sua amante (sarà poi sua seconda moglie e madre di due dei suoi figli), innescando una serie di avvenimenti per cui la basilica romana dove viene girata la pellicola diventerà un nascondiglio per molti ebrei e antifascisti.  https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/12/desica.mp4 . La protagonista de La porta del cielo si chiamava (è morta nel 2011) María de la Asunción Mercader, ed era la cugina dell’assassino di Trotskij. (a cura di riccardo rosa)
December 29, 2024 / NapoliMONiTOR
La parola della settimana. Bunker
(disegno di ottoeffe) Nel rifugio capitava pure gente avventizia: passanti casuali oppure qualche personaggio senza recapito: accattoni, prostitute da poco prezzo, trafficanti di borsa nera […]. Alcuni di costoro, provenienti da Napoli, raccontavano che la città, dai cento bombardamenti che aveva avuto, era ridotta a un cimitero e un carnaio. Tutti quelli che potevano ne erano fuggiti; e i poveri pezzenti che c’erano rimasti, per ripararsi andavano ogni sera a dormire dentro le grotte, dove avevano portato materassi e coperte (elsa morante, la storia). C’è un posto, nell’università che ho frequentato negli ultimi due anni grazie a una borsa pagata dal Pnrr (vale la pena sottolinearlo perché con la riforma Bernini, e con la fine della sfrenata stagione di ripresa&resilienza, la ricerca accademica si appresta a chiudere definitivamente bottega, il che considerando la situazione attuale potrebbe pure non essere un male), che tutti chiamano “aula bunker”. Si dice fosse il vecchio appartamento di un custode, e in effetti la struttura a stanze e il bagno da casa della nonna lascia pensare che sia così. Non è il massimo del comfort, ma le stufe ci sono, l’affaccio su piazza Banchi Nuovi rende gradevoli le pause, e di recente siamo riusciti ad avere una stampante-fotocopiatrice. Dentro al bunker, in questi due anni, sono confluite un po’ di persone legate in maniera diversa all’università, e confrontandosi hanno pianificato e organizzato iniziative, costruito alleanze dentro e fuori l’università, creato – con alterne fortune – un minimo di conflitto, fatto insomma quello che si dovrebbe fare quando si sta dentro un’istituzione e se ne vedono tutti i limiti: politica. Tra le iniziative organizzate nei prossimi mesi e partite dal bunker ci sono due seminari interessanti: uno a febbraio, con una docente e ricercatrice dell’università dell’East London che racconterà il processo di resistenza degli abitanti di Dalston – a cui ha partecipato con i suoi studenti – contro il tentativo di “rigenerazione urbana” (ovvero “capitalizzazione economica”) del quartiere; l’altro con uno tra i più meticolosi studiosi delle forze di polizia del nostro paese, anche lui docente all’università di Torino. «Presidente, ne approfitto per comunicarvi che l’avvocato Marziale, che difende la posizione della parte civile Fakhri Marouane mi ha appena notiziato […] che il suo assistito purtroppo si è dato fuoco in carcere a Pescara. È in condizioni gravissime, è stato trasportato in eliambulanza sabato a Bari, dove attualmente è ricoverato». Il ragazzo marocchino aveva trent’anni ed è morto dopo due mesi di agonia in quell’ospedale. Era nel gruppo selezionato dei quattordici il giorno della Mattanza; prelevato con la forza dalla sua cella, aveva percorso il “corridoio umano” prendendo diversi pugni e calci. […] Dopo il corridoio, giunto nella saletta della socialità, Fakhri è costretto a inginocchiarsi al cospetto degli agenti e a strisciare fino al muro della stanza; alzarsi in piedi e poi inginocchiarsi di nuovo dinanzi all’altro agente di polizia. (estratti dalla puntata n.7 di Diario dal bunker, una rubrica della redazione di Napoli Monitor sul processo per le violenze della polizia nel carcere di Santa Maria Capua Vetere) Qualche giorno fa il rapper Marracash ha pubblicato un nuovo disco, È finita la pace, suo settimo album. Il pezzo migliore è Factotum: primo perché parla di cose di cui nessuno parla più (i lavoratori, gli operai, gli sfruttati, il lento crepare non solo alla fine, ma anche in mezzo tra il “produci” e il “consuma”) e poi perché mostra che anche se si fa successo si può continuare ad avere contatto con la realtà – rifuggendo per quanto possibile il rifugio – e raccontarla.  Il lavoro debilita l’uomo, non rinuncio la sera all’uscita, vado a letto la notte che muoio e mi sveglio che sono quasi in fin di vita. Oggi in un cantiere io e un eritreo, metto canaline su un piano intero. In pausa stecchiti dormiamo in cartoni imbottiti di lana di vetro. La vita è “produci-consuma-crepa” chiunque di noi prima o poi lo accetta che si crepa già prima di finire sottoterra. Produco il mеno possibile, rubo il rubabile, per ritardare che mi crepi l’anima, poi fuori fa scuro e ognuno va nel formicaio in cui abita. La pace come condizione strutturale non è più un orizzonte, e lo si è capito da un po’. È opinione comune che viviamo tempi cronicamente bellici, dove per guerra è limitante intendere solo le bombe e le granate contro popoli e territori di conquista, ma anche quella quotidiana ai poveri, ai migranti, ai marginali, a chi protesta. Tempo fa lessi che Zuckerberg si stava costruendo un gigantesco bunker antiatomico in Nuova Zelanda. A inizio settimana, più modestamente, ho visto un paginone sul Corriere della Sera in cui si pubblicizzava un kit di difesa ai CBRN (chimici, batteriologici, radiologici, nucleari): mille e duecento euro trasporto e iva inclusi, da febbraio 2025, per proteggersi dagli attacchi nemici. In quei primi anni le strade erano affollate di profughi imbacuccati dalla testa ai piedi. Protetti da maschere e occhialoni, seduti tra gli stracci sul bordo della strada come aviatori in rovina. Carriole piene di cianfrusaglie. Carri e carretti al seguito. Gli occhi spiritati in mezzo al cranio. Gusci di uomini senza fede che avanzavano barcollanti sul selciato come nomadi in una terra febbricitante. La rivelazione finale della fragilità di ogni cosa. Vecchie e spinose questioni si erano risolte in tenebre e nulla. L’ultimo esemplare di una data cosa si porta con sé la categoria. (cormac mccharty, la strada) Una mattina di un bel po’ di anni fa ero in treno con alcuni amici. Era la prima volta che prendevamo un’alta velocità, tutto era nuovo e pulito, e i viaggiatori apparivano molto soddisfatti di poter percorrere il tragitto tra Napoli e Roma in un’ora. Uno tra noi quattro o cinque, credo, non aveva il biglietto. La controllora lo scoprì e, con disgusto, al nostro rifiuto di pagare ci intimò di consegnarle i documenti. Si lasciò scappare, poi, qualcosa sul fatto che su quel tipo di treno, non erano ammessi comportamenti del genere, e che avremmo dovuto vergognarci di un gesto simile. Il mio amico le rispose che quella cosa si chiamava “Repubblica di Weimar” e che “dopo di questo c’è il nazismo”. Lei non colse, ma alla fine non ci fece la multa e neppure lo fece identificare dalle guardie. C’è una scena nella versione televisiva de La paura numero uno (commedia di De Filippo del 1950) in cui Eduardo prova a spiegare a una perplessa Luisa Conte il rapporto tra consumo compulsivo e guerra. https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/12/paura-n1def.mp4 (credits in nota1) Insomma, più la fine è vicina, ci dice anche Pasolini, più l’asticella si alza. E nulla è meglio di una villa a Salò, come bunker. https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/12/salo.mp4 (credits in nota2) Rifugiati in bunker anti-nucleari nuje ce l’ammo guadagnata ‘st’aria: meno uommene, cchiù vuommeche; ‘na sola banca emette carta straccia e nun è manco eletta pe’ suffragio. E a nuje ce spetta ‘e muri’ pe’ ‘na causa pecchè suffri’ vo’ dicere curaggio. (enzo avitabile ft. co’sang, maje ‘cchiù) (a cura di riccardo rosa) _________________________ ¹ Eduardo De Filippo e Luisa Conte in: La paura numero uno, Eduardo De Filippo (1964, versione televisiva) ² Paolo Bonacelli, Uberto Paolo Quintavalle, Hélène Surgère, Sonia Savange in: Salò o le 12o giornate di Sodoma, Pier Paolo Pasolini (1975)
December 21, 2024 / NapoliMONiTOR
La parola della settimana. Motivazione
E se tu la credevi vendetta il fosforo di guardia segnalava la tua urgenza di potere, nentre ti emozionavi nel ruolo più eccitante della legge, quello che non protegge: la parte del boia. (fabrizio de andrè, sogno numero due) I giornali di tutto il mondo si sono arrovellati per giorni perché non riuscivano a cogliere la motivazione più profonda che ha portato il ventiseienne Luigi Mangione ad ammazzare Brian Thompson, amministratore della United Health Care, negli Stati Uniti. Le eventuali motivazioni che lo hanno spinto al gesto estremo dello scorso 4 dicembre saranno presumibilmente principale materia per le indagini. (luca celada, il manifesto) L’insospettabile Mangione vanta un curriculum scolastico specchiato, nessun profilo da killer professionista né da “uomo addestrato” capace di uccidere nonostante la pistola […] si fosse inceppata. Se mai ci dovesse essere un movente omicida va ricercato nella profonda ostilità del ventiseienne nei confronti del sistema capitalistico. (domenico di cesare, rainews.it) There are things police know and things they are still working through, including the motive. (marcia kramer e tim mac nicholas, cbs.news) Devo aver sviluppato nel tempo una certa capacità di leggere nel pensiero delle persone, perché a me queste motivazioni non sembrano così oscure, considerando tra l’altro che Mangione si portava dietro una sorta di “manifesto” in cui erano descritti gli abusi che le compagnie di assicurazioni “continuano a perpetrare a scopo di immenso lucro contro il paese” e che “francamente questi parassiti se lo meritano”. Si deve poi tenere conto del fatto che una buona parte della popolazione americana è letteralmente in ostaggio delle assicurazioni sanitarie, un business da oltre mille e cinquecento miliardi l’anno, e che produce utili di livello mostruoso (solo per la United Healt parliamo di trecentosettanta miliardi nel 2023). Ah, oltre centocinquantamila famiglie americane, ogni anno, non riescono a pagare i debiti contratti con le assicurazionil’anno precedente. La prima cosa che mi è venuta in mente quando ho letto la notizia è quel libro di Don DeLillo in cui si segue il destino di un giovane multimiliardario che, dalla sua limousine rivestita di marmo di Carrara, gestisce faraonici affari, perdendo enormi quantità di soldi giocando in borsa. Intanto, intorno a lui New York va in fiamme, travolta da una rivolta anticapitalista. Non vale questa modesta rubrica lo spoiler di un libro così bello, ma si può almeno dire che Cosmopolis è una delle cose più chiare e feroci scritte contro il capitalismo, e su un futuro in cui “il topo diventerà l’unità monetaria”. https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/12/cosmopolis-copia.mp4 (credits in nota1) I know a mouse, and he hasn’t got a house I don’t know why I call him Gerald. He’s getting rather old, but he’s a good mouse. (pink floyd, bike) In psicologia, “motivazione” è “quanto concorre a determinare il comportamento di un individuo o anche di una collettività”. https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/12/demotivtore.mp4 (credits in nota2) Due brevi storie da raccontare, sebbene note ai più. Storia numerouno. 1975, i Pink Floyd sono ad Abbey Road a registrare alcuni pezzi di quello che sarà Wish you were here. Il gruppo deve fare a meno del genio psichedelico di Syd Barret, uscito nel ’68 perché non riesce nemmeno più a reggersi in piedi sul palco, a causa delle tante e devastanti dipendenze. Barret era un ragazzo bellissimo, ma quel giorno si presenta in studio senza capelli e molto grasso (“Ho un frigo gigante pieno di carne di maiale”, spiegherà), tanto che i suoi amici in un primo momento non lo riconoscono. Dopo qualche minuto gli fanno ascoltare Shine on you crazy diamond, la canzone che hanno appena registrato e che tra l’altro è quella che contiene più riferimenti all’ex chitarrista. Quando gli chiedono un parere, lui fa una smorfia e commenta: “Non mi pare un granché, suona un po’ vecchia”. La sera, prima di andare a una festa insieme al gruppo, Barret se ne va senza salutare né dir niente. Nessuno dei suoi amici lo rivedrà mai più, fatta eccezione per Waters, che lo incontrerà una volta per caso da Harrods. Dopo quell’incontro, però, scriveranno per lui Wish you were here, una delle più belle canzoni della storia della musica. Storia numero due. 1993, dopo un disastroso girone di qualificazione l’Argentina deve affrontare l’Australia in uno spareggio per conquistarsi l’accesso al mondiale. Sarebbe il primo mondiale dal 1978 senza Maradona, squalificato per uso di cocaina nel 1991 e da pochissimo tornato in campo col Siviglia. La Fifa, come sempre, approfitta della situazione, e terrorizzata dal rischio flop del mondiale americano pensa di buttare nella mischia il calciatore più forte e famoso di tutti i tempi. Il presidente Blatter fa un lavoro diplomatico enorme, garantisce che non sarà oggetto del controllo antidoping, e di fatto fa convocare Maradona per la doppia sfida con i canguri. Diego non si tira indietro, è un po’ disgustato ma vuole vincere il mondiale per le sue figlie, che nell’86 non erano ancora nate, e avevano negli occhi solo le lacrime per la finale rubata nel 1990 dalla “mafia federale italiana”. In America Diego sarà scaricato dalla stessa Fifa (lo racconta bene in quest’intervistaquest’intervista rilasciata a Gianni Minà subito dopo la nuova squalifica), ma in quelle due partite fece il suo, servendo l’assist a Balbo per il gol all’andata, e combattendo fino alla fine nell’uno a zero del Monumental. Tutto questo per dire che si avvicina il nuovo anno. La guerra è alle porte, il capitalismo ci sta divorando e il topo non è ancora unità monetaria. Trovatevi qualcuno che vi dia motivazioni come Syd Barret ai Pink Floyd e Diego Maradona ai suoi compagni prima di Argentina-Australia.   https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/12/diego.mp4 . (a cura di riccardo rosa) _________________________ ¹ Cosmopolis (2012), un film di David Cronenberg  ² Toni Bonji nei panni del Demotivatore  
December 15, 2024 / NapoliMONiTOR
La parola della settimana. Serrata
(disegno di ottoeffe) Mille e cinquecento impianti di sorveglianza già esistenti a Napoli e trecentocinquanta nell’area metropolitana. Due milioni messi a disposizione dalla Regione Campania per aumentare le telecamere nelle periferie. Il raddoppio di presidi fissi di soldati e forze dell’ordine nelle piazze napoletane, in particolare a piazza Dante, nell’ambito dell’operazione “Strade Sicure”, di fatto una guerra aperta agli adolescenti della città (per la quale il prefetto Di Bari ha ringraziato “la sensibilità del ministro Piantedosi”). Che non sia questa la soluzione, considerando che tutti si lamentano? E invece i commercianti della zona insistono, e in settimana hanno protestato per chiedere ancora più telecamere, più pattuglie, più sicurezza. Soprattutto, vogliono che i militari non stiano fermi in un posto ma si muovano avanti e indietro nella piazza. Pronti a intervenire contro il nemico minorenne. https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/12/taci.mp4 (credits in nota1) Per evitare la “serrata” dei commercianti, che minacciavano di lasciare le saracinesche abbassate per protesta contro le baby gang e contro lo Stato, il prefetto ha messo su una sorta di consiglio di guerra, convocando il comandante dei carabinieri e il questore, e portandoseli a un incontro con i commercianti di cui sopra (che si sono tranquillizzati e hanno cancellato l’iniziativa). Personalmente ho appreso quest’accezione del termine “serrata” (“sospensione dell’attività lavorativa da parte di piccoli imprenditori, specialmente commercianti e artigiani, consistente nella chiusura dei propri esercizi di vendita e distribuzione, come forma di tutela dei propri interessi”) solo di recente. Più nota mi era quella di “sospensione totale o parziale del lavoro disposta dal datore di lavoro come mezzo di intimidazione, di coercizione e di rivalsa contro i lavoratori, durante vertenze e lotte sindacali; non avendo, come il diritto di sciopero, specifica tutela costituzionale, la serrata va considerata violazione degli obblighi contrattuali del datore di lavoro, e, nei casi più gravi, può configurare una forma di comportamento antisindacale vietato dallo Statuto dei lavoratori”. Il proprietario delle fonderie una serrata aveva ordinato, ma gli operai avevan lottato per difendere il posto di lavor. Il boss fascista Adolfo Orsi e Mario Scelba suo degno compare a sangue freddo fecero sparare su quella folla seminando terror. (bruna montorsi, l’eccidio di modena) Da qualche anno esiste una piattaforma che si chiama “Rilanciare il settore, rilanciare il paese” che di fatto è un’intesa tra organizzazioni datoriali e sindacati confederali (Cgil compresa) perché il comparto delle costruzioni venga sostenuto da investimenti pubblici su infrastrutture e grandi opere. Nel 2019, quando in occasione di un #climastrike il sindacato guidato da Landini chiamò una giornata di mobilitazione dei lavoratori delle costruzioni, richiamando esplicitamente a quella piattaforma e quindi all’intesa con i padroni, in molte città italiane, e in particolare davanti alle sedi dei sindacati, comparvero dei manifesti: (foto da: contropiano.org) Alle due di notte dello scorso 7 ottobre, con l’ausilio di ruspe e lacrimogeni delle forze dell’ordine, un gruppo di militanti No Tav è stato sgomberato da un terreno che il movimento aveva collettivamente acquistato e che era in corso di esproprio (lo sgombero è avvenuto addirittura prima dei termini previsti dalla legge). Il terreno è stato recintato da blocchi di cemento e griglie di ferro protette da filo spinato. Secondo il sito Volere la luna, sul terreno non sarebbero previsti lavori nel breve-medio termine. Il gruppo di proprietari ha avviato un’azione legale contestando le modalità di esproprio dell’area che considera illegittime. Sulla storia del grande inganno Torino-Lione sono stati prodotti decine di reportage, documentari, libri, oltre che materiale che di anno in anno si rinnova e viene presentato nel corso del festival che si tiene ogni estate in Val di Susa. Due tra le cose migliori sono Un viaggio che non promettiamo bene. Venticinque anni di lotte No Tav, di Wu Ming1, e Binario Morto. Alla scoperta del corridoio 5 e dell’Alta velocità che non c’è, autori Andrea Benedetti e il compianto Luca Rastello, di cui ricorrerà quest’estate il decimo anniversario della precoce scomparsa. Poi, magari, ti assale un pensiero: sono gli oggetti che ti sopravviveranno. Un giorno tu sarai morto e nel solito vecchio pettine ci sarà ancora impigliato qualche tuo capello. (luca rastello, piove all’insù) A proposito di scioperi e di Tav, è bene ricordare che l’articolo 15 del Ddl 1660 in corso di approvazione – uno dei motivi per cui si è manifestato negli ultimi due giorni – prevede alcune modifiche all’articolo 583-quater del codice penale “in materia di lesioni personali ai danni di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio”. Una aggravante di nuova formulazione prevede che: all’articolo 339 è aggiunto il seguente comma: “Se la violenza o la minaccia è commessa al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica, la pena è aumentata”. Blocchi, disobbedienza, picchetti. Quanto sembri lontano, millenovecento. https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2024/12/classe-operaia.mp4 (credits in nota2) (a cura di riccardo rosa) _________________________ ¹ Totò e Tina Pica in: Destinazione Piovarolo, Domenico Paolella (1955) ² da: La classe operaia va in Paradiso, Elio Petri (1971)  
December 1, 2024 / NapoliMONiTOR