La parola della settimana. Carne

NapoliMONiTOR - Sunday, February 2, 2025
(disegno di ottoeffe)

Una libbra di carne tolta a un uomo
non vale manco il prezzo od il valore
d’una libbra di carne di montone,
di manzo o di capretto, santo Dio!
Mi allargo a fargli questa offerta amica,
per acquistarmi la sua simpatia.
Se accetta, tanto meglio. Se no, addio!
(shylock, il mercante di venezia)

A parte il piacere di rivedere un po’ di posti e amici, non mi ha messo di grande umore la due giorni a Taranto Vecchia di inizio settimana. A dire il vero Angelo mi aveva preparato a uno scenario un po’ mutato,  ma non ero pronto a questa originale forma di trasformazione urbana che alterna tre palazzi diroccati, due case murate, un bistrot-ristorante gourmet, un deposito di esche abbandonato, un murales contro la polizia, gru e ponteggi per la ricostruzione di edifici “sostenibili”, altri due palazzi distrutti, una colonia di gatti, l’università, un bar vuoto, le case occupate con la biblioteca popolare sgomberate e murate, un bed and breakfast, due palazzi diroccati, tre case murate, una pizzeria chiusa, un wine bar, un cocktail bar, due palazzi con i pilastri, un negozio bio, altri gatti, una sede degli ultras, una “tropical house”, un palazzo crollato…

(credits in nota1)

Gino non lo sa, ma durante i miei soggiorni in Città Vecchia di una decina d’anni fa, quando per motivi che non vale la pena approfondire ero costretto a mangiare poco e con una dozzina di ore di “spacco” tra un pasto e l’altro, le sue bistecche mi hanno salvato la vita. Un pomeriggio mi chiusi in macelleria con lui e mi feci raccontare la sua storia.

Sono nato in Città Vecchia, ma ora abito dall’altro lato, vicino alla concattedrale. Avevo vent’anni quando lasciammo l’isola. Mio padre voleva comprare la casa in città. C’era questo mito di andarsene, che non andava bene vivere qua. […] All’Italsider arrivavano le barche che portavano il materiale. Quando avevano finito facevano la spesa grossa, perché erano almeno venti persone a bordo. […] Qualche giorno fa è venuto un napoletano che sta di bordo, si è preso sette chili di salsicce… le salsicce napoletane, quelle grosse, […] i pugliesi preferiscono quelle sottili che si cucinano subito, si fanno col vitello e col maiale, mentre quella che si fa a Napoli è solo maiale. Viene bene sulla brace, la nostra invece la devi buttare nel sugo, o dentro al panino; d’estate la gente si fa il panino per andare al mare. In Città Vecchia devi sempre avere gli involtini, le polpette, la carne arrosto, le costate di maiale, il capocollo, qua sono tradizionalisti. Sono abituati così, devono fare il sugo. […] Sono rimasto solo io, le altre macellerie hanno chiuso. La Città Vecchia si è fatta piccola, saremo due o tremila persone. Dopo il crollo di vico Reale negli anni Settanta non si è capito più niente, la gente ha cominciato a scappare. Poi i politici ci hanno messo il loro. […] La cosa più faticosa oggi è alzarsi alle cinque tutte le mattine per andare a prendere la carne buona. C’è gente che si affeziona e anche se si allontana dall’isola viene qua una volta al mese. Se una persona fa venti chilometri per venire da te, deve trovare il suo utile: qualità e un po’ di risparmio, i miei clienti sono abituati bene. È mezzo secolo che sto qua, è assai… no? (luigi lanzalonga, detto gino della carneintervista da: riccardo rosa e luca rossomando, timoni al vento. alcune storie della città vecchia raccontate da chi le ha vissute; in: taranto, un anno in città vecchia, un libro di cyop&kaf)

A rasserenare le mie turbe ci ha pensato il cinema. Venerdì ho visto ad AstraDoc Bestiari, erbari, lapidari, una poesia in immagini e suoni di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, un documentario di tre ore e mezza che non sembrano tali, anzi forse sono pure poche considerando il sentiero tra vita, cura e morte su cui ti porta a camminare. Brilla tra i tre il capitolo centrale, dedicato alle piante, una sorta di testamento dell’umanità che ci ricorda che quando noi esseri di carne (uomini e animali) ci saremmo annientati gli uni con gli altri, lasceremo comunque il pianeta in buone mani.

Quando la bomba atomica trasformò
la città di Hiroshima in un deserto annerito,
un vecchio Ginkgo cadde fulminato
vicino al centro dell’esplosione.
L’albero rimase calcinato
come il tempio buddista che proteggeva.
Tre anni dopo qualcuno scoprì
che una lucina verde spuntava nel carbone.
Il Ginkgo aveva buttato fuori un germoglio.
L’albero rinacque, aprì le braccia, fiorì.
Quel superstite della strage è ancora lì.

(eduardo galeano, ginko)

Un po’ di attualità, giusto per rimanere coi piedi per terra:

Fatture false e camorra nel settore della carne: 17 custodie cautelari e trenta milioni di euro sequestrati. Due indagati nel Bolognese (bologna today, 28 gennaio) – si consiglia la lettura di Alfasuin, di Giovanni Iozzoli.

“Ecco cos’ha trovato mia figlia nella carne”. La scoperta choc al McDonald’s (il giornale, 30 gennaio) – spoiler: un dente.

Sono il più famoso street food abruzzese, sì ma come si cuociono? Video sugli arrosticini (cibo today, 30 gennaio)

Parlando di Abbruzzo e di grigliate si dovrebbe aprire il capitolo Roccaraso, ma abbiamo letto talmente tante sciocchezze dai giornali nel merito che sarebbe inutile. L’unica cosa veramente divertente è che una minima eterogeneità della mia bolla social mi ha permesso di entrare in contatto con tutte le opinioni contrastanti sul caso, comunque circoscrivibili in quattro-cinque categorie (tutte le argomentazioni erano ovviamente di una noia e banalità disarmante):

L’ambientalista. Non possiamo permettere che l’antropocene violenti ancora per molto la Terra. E comunque il vero tema è che grazie al cambiamento climatico nemmeno a Roccaraso c’è più la neve.

Il compagno. È sbagliato inquinare la montagna ma bisognerebbe parlare anche della turistificazione a Napoli, che è molto più grave.

Il negro da cortile. È per colpa di questa gente che noi napoletani siamo considerati merda in tutto il mondo. Ce lo meritiamo.

Il giustificazionista. Sono sottoproletari che vogliono passare un giorno nel benessere. Ci riprendiamo tutto quello che è nostro.

Il simpatico. Oh, ti ho mandato un invito su Facebook! (“Vieni a passare una piacevole e rilassante giornata nella natura innevata con la nota influencer Rita De Crescenzo”).

Il neoborbonico. E comunque alla fine il vero dato è che siamo quello che siamo. Questi con cinquanta euro si comprano l’attrezzatura per la neve e ci fanno uscire pure il pic nic. Respect!

Je scrivo ‘o schifo e, si n’capisce, po’ me cumpiatisce.
Tu ca nun sì nisciuno, ca n’te scite, ca nun vire
panne pulite ‘ncopp’ a carne sporca,
‘o contraffatto contro a l’arte pura.
E finché ‘a morte nun me cocca io parlo e penzo crudo.
(co’sang ft. lucariello, ‘o spuorc)

(a cura di riccardo rosa)

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¹ Gli abitanti della Città Vecchia di Taranto, in: Timoni al vento. Diario di bordo dalla Città Vecchia, cyop&kaf (2015)