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A zonzo nella noia
Osservatorio Repressione - Monday, February 3, 2025Mi stupisce sempre come sfugga ai più la potenza sovversiva racchiusa nel gesto di non consumare e che la noia non è un guaio
di Marco Sommariva*
Forse qualcuno di voi ricorderà che l’edizione 2024 del Festival della canzone italiana, è stata vinta da Angelina Mango con il brano intitolato La noia.
Son dell’idea – non troppo arguta, lo ammetto – che quando un argomento viene trattato dalle canzonette, così come le definiva Edoardo Bennato, è perché è commestibile per la massa; ergo, è attuale e adatto per un pubblico numeroso, e quando si parla di Sanremo le cifre sono a sei zeri: l’anno scorso ci son state punte d’ascolto che hanno sfiorato i diciassette milioni di telespettatori, quasi un italiano su tre. Quindi, definirei la noia un soggetto divenuto, ormai, quasi una chiacchiera da bar.
A un certo punto, il testo de La noia recita così: “Quindi faccio una festa/faccio una festa/perché è l’unico modo per fermare, per fermare, per fermare/la noia”.
Pare davvero che l’unico modo che sembri essere in grado di stoppare la noia, sia la festa; detto che le modalità che rendono festoso il tempo sono diverse a seconda del soggetto – annoiato e non –, è comunque quasi sempre necessario avere del denaro da spendere se si ha intenzione di cancellare, spazzare via la monotonia, il tedio e quella tristezza che spesso si porta dietro. E se non si ha del denaro per procurarsi il piacere della festa, può succedere che si prenda con la forza, il potere, la prepotenza, la necessaria “materia prima”; per esempio, potremmo scoprire che, per noia, degli adolescenti violentano delle scolare. In Ragazzi di zinco di Svetlana Aleksievic, un libro dove l’autrice fa parlare alcuni dei protagonisti dell’invasione sovietica dell’Afghanistan, di un conflitto che – nell’arco di dieci anni (1979-1989) – provocò mezzo milione di vittime afghane e almeno quattordicimila sovietici rimpatriati chiusi in casse di zinco, leggiamo: “Siamo rientrati da un combattimento con delle perdite: morti e feriti gravi… e abbiamo acceso il televisore per pensare ad altro, per sentire le ultime novità dall’Urss. In Siberia era stato costruito un nuovo megastabilimento… La regina d’Inghilterra aveva dato un pranzo di gala in onore di un ospite illustre… A Voronez degli adolescenti avevano violentato due scolare: per noia… In Africa avevano ammazzato un principe… Ci siamo all’improvviso resi conto che nessuno aveva bisogno di noi, che il paese era affaccendato in altre cose…”.
Alcune settimane fa, nell’ufficio dove lavoro non c’era un granché da fare, a volte capita: dopo un’oretta di silenzio in cui tutti i colleghi parevano impegnati in chissà quale mansione al computer, due di loro – prima uno, poi l’altro in scia al primo – confessano d’aver acquistato su internet oggetti non propriamente inutili ma che, per loro stessa ammissione, non useranno mai: il primo aveva acquistato attrezzi agricoli per il giardino di casa, il secondo un accessorio per la moto. Entrambi più che cinquantenni, ammettono d’aver fatto acquisti perché si stavano annoiando a stare davanti al pc ad aspettare mail di lavoro che, quel giorno, non si decidevano ad arrivare. A mia precisa domanda, tutti e due hanno sostenuto d’aver avuto un’infanzia felice e, così, penso che questo potrebbe essere un problema, ricordando un passaggio di Todo modo di Leonardo Sciascia, un romanzo giallo pubblicato nel 1974 che denuncia la corruzione del potere, lo stretto legame che intercorre tra mafia e politica in Italia: “Come è stata la sua infanzia? Felice, infelice? Spero per lei che sia stata infelice, le infanzie felici germinano noia, tristezza, nequizia…”.
Anni fa, invece, facendo volontariato in un carcere, sono venuto a sapere da alcuni detenuti che il denaro per procurarsi ciò che, secondo loro, poteva combattere la noia – sesso a pagamento, droga, scarpe e abiti firmati, play station e i-phone, rolex, collane e bracciali d’oro, alberghi di lusso, eccetera – se lo sono procurato in modi tali da farli finire in galera. Per nulla pentiti, sostenevano che avrebbero rifatto tutto da capo, nonostante la noia procurata dallo stare dietro le sbarre. Di certo una noia condivisa coi secondini, letto quanto scriveva Paul Nizan in Aden Arabia pubblicato nel 1931: “I guardiani di prigione conoscono un tipo di noia quasi egualmente grande quanto quella dei prigionieri, e i sottufficiali non sono molto più felici dei loro uomini. Senonché hanno delle maschere quando si guardano negli specchi e non riconoscono la loro brutta cera dietro la cartapesta dorata”.
Su quanto riportato sopra, mi piacerebbe conoscere l’opinione del buon George Orwell, visto che nella sua opera prima pubblicata nel 1933 – Senza un soldo a Parigi e a Londra –, un racconto lucido e spietato sulla condizione dei poveri e degli emarginati che ha come sfondo le due capitali europee, scriveva: “Quando si è prossimi alla completa miseria, si fa una scoperta di fronte alla quale altre hanno meno importanza. Si scoprono la noia, e le meschine complicazioni e i primi morsi della fame, ma si scopre anche la grande capacità di redenzione della miseria: il fatto che essa annulla il futuro. Entro certi limiti è proprio vero che meno denaro si ha, meno ci si preoccupa. Quando si hanno cento franchi, si è soggetti ai più vili timori. Quando se ne hanno solo tre si è del tutto indifferenti, perché tre franchi vi nutriranno fino a domani, e col pensiero non riuscite ad andare oltre. Siete preda della noia, ma non della paura. Pensate vagamente: “Fra un paio di giorni morirò di fame; terribile, non è vero?”. E poi la vostra mente se ne va altrove. Una dieta a pane e margarina, entro certi limiti, è di per se stessa un calmante”.
Quindi, potrebbe essere che si è preda della noia quando si ha poco denaro in tasca, talmente poco da non riuscire a pensare a qualcosa che vada oltre l’indomani.
Eppure conosco tanta gente che non fa alcuna fatica ad arrivare a fine mese, anzi, e che si annoia tremendamente durante i suo riti consumistici, tipo inanellare una crociera dietro l’altra a un ritmo tale da non ricordare neppure se in Grecia ci sono mai stati e se quella volta, a Barcellona, erano poi scesi a visitare la città; facendo la tara del tipo che avevo davanti mentre si vantava dell’ennesima settimana trascorsa sul Mediterraneo, ho chiesto a questo turista seriale se era mai stato con la nave in Umbria e, dopo averci pensato un po’ su, mi ha risposto serio che gli sembrava di no, ma che avrebbe seguito il mio consiglio visto che gli avevo parlato del porto di Perugia come qualcosa d’imperdibile: beata ignoranza!
Secondo me, combattere l’ignoranza potrebbe essere un ottimo aiuto a combattere la noia.
Noia che – su questo non credo ci siano grossi dubbi – a volte rovina l’esistenza, accorcia la vita: “Quel che aveva sperato per lo Stormo, se lo godeva adesso da sé solo. Egli imparò a volare, e non si rammaricava per il prezzo che aveva dovuto pagare. Scoprì ch’erano la noia e la paura e la rabbia a render così breve la vita d’un gabbiano. Ma, con l’animo sgombro da esse, lui, per lui, visse contento, e visse molto a lungo”. Questo lo scrive Richard Bach, nel celebre romanzo breve Il gabbiano Jonathan Livingston pubblicato nel 1970: la storia di un gabbiano che abbandona la massa dei suoi compagni di stormo per i quali volare non è che un semplice mezzo per procurarsi il cibo, e che impara a eseguire il volo come atto di intelligenza, fonte di gioia.
Questa idea di abbandonare la massa non mi è mai spiaciuta.
La noia non produce solo furti e stupri, ma anche altri generi di violenze: “Un veicolo veniva verso di noi. “La Ronda Barbuta” mormorò Farid. Era la prima volta che vedevo i talebani dal vivo. Li avevo visti alla TV, su internet, sui giornali. Ma adesso ero a pochi metri da loro, e sentivo uno strano sapore in bocca. Cercai di convincermi che non fosse paura. Si stavano avvicinando. In tutto il loro splendore. Il Toyota rosso procedeva lentamente. Nel cassone erano accovacciati alcuni giovani dal volto duro con il kalashnikov sulle spalle. Tutti avevano la barba e indossavano un turbante nero. […] “Vanno in giro a controllare, nella speranza che qualcuno li provochi. Prima o poi qualcuno ci casca. Allora i cani sono contenti, perché così finalmente interrompono la noia della giornata e tutti acclamano: ‘Allah-u-akbar!’. E quando nessuno commette infrazioni, ci sono comunque violenze del tutto gratuite.” […] “Si guardi i piedi quando ci sono dei talebani”. Ecco il messaggio che in qualche modo arriva da Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini, quando siamo avvicinati da gente annoiata: guardarci i piedi. E non è forse quello che facciamo quando assecondiamo, non riusciamo a reagire a chi abbiamo accanto che decide anche per noi di fare shopping, magari all’outlet? “Non vorrai mica stare tutta la domenica sul divano a leggere, eh?!”
Mi stupisce sempre come sfugga ai più la potenza sovversiva racchiusa nel gesto di non uscire nei giorni festivi per consumare a comando scegliendo, invece, di trascorrere il proprio preziosissimo tempo libero leggendo, rileggendo, sottolineando, annotando, elucubrando e, magari, nel caso si avesse una persona accanto in sintonia con questa filosofia, sviscerando, analizzando quanto letto. O magari, sempre restando su quello stesso divano, facendo l’amore, del bel sano e appagante sesso: “Quelli che parlano di rivoluzione e di lotta di classe senza riferirsi esplicitamente alla vita quotidiana, senza comprendere ciò che c’è di sovversivo nell’amore e di positivo nel rifiuto delle costrizioni, costoro si riempiono la bocca di un cadavere”. L’importanza del Trattato del saper vivere (1999) di Raoul Vaneigem – filosofo di origine belga, figura chiave del situazionismo assieme a Debord – da cui ho estratto il passaggio precedente, sta nella spietata attualità della sua critica alla società dei consumi e del controllo mediatico, e qualcosa da dire sulla noia lo si trova anche in questo libro: “Noi non vogliamo un mondo dove la garanzia di non morire di fame si scambia contro il rischio di morire di noia”.
La noia è talmente pericolosa che la si usa come sinonimo di guai: ricordate il “Non voglio noie nel mio locale” di Nicola Arigliano nel programma Non stop? Nel caso non ricordaste l’ammonimento del cantante jazz, leggete cosa scriveva Jack Kerouac nel 1951 su On the road, a proposito di noie, storie, sospetti: “Di tanto in tanto una luce fioca lampeggiava in paese, e si trattava dello sceriffo che faceva la sua ronda con una debole torcia elettrica e borbottava da solo nella notte della giungla. Poi vidi la luce zigzagare verso di noi e sentii i suoi passi giungere attutiti sul tappeto di sabbia e di vegetazione. Si fermò e investì di luce la macchina. Io mi rizzai a sedere e lo guardai. Con voce tremolante, quasi querula ed estremamente intenerita disse: “Dormiendo?” indicando Dean sulla strada. Sapevo che questo voleva dire “dormire”. […] “Bueno, bueno” disse come fra sé e si voltò pieno di riluttanza e di tristezza per tornare alla sua ronda solitaria. Dei poliziotti così adorabili Dio mai ha creato in America. Nessun sospetto, nessuna storia, nessuna noia: egli era il custode del paese addormentato, punto e basta”.
Sia chiaro, anche la letteratura sa essere noiosa: “Le descrizioni dell’atto sessuale sono noiose come le descrizioni di un paesaggio visto dall’aria – e altrettanto piatte […]” – Che ci faccio qui? di Bruce Chatwin.
E visto che anch’io so essere noioso con certi miei articoli, vedo di chiudere questo il più velocemente possibile; quindi, aggiungo un’ultima cosa: non ricordo una canzone che m’abbia annoiato così tanto già al primo ascolto come La noia di Angelina Mango.
*scrittore sul sito www.marcosommariva.com tutte le sue pubblicazioni