Schedatura, selezione all’ingresso, disciplinamento. La gestione di chi non a casa a Torino

NapoliMONiTOR - Thursday, February 6, 2025
(archivio disegni di monitor)

 

Sono stata in via Traves la prima volta nell’inverno di due anni fa, era sera. La via si trova nell’estrema periferia nord-ovest di Torino, in un’area industriale dove un tempo sorgeva il mattatoio delle Vallette. Al numero 7 si incontra un piazzale dominato da un grande cancello che ricorda quello di un carcere. Qui ha sede il sito di accoglienza notturna da anni utilizzato dal comune di Torino per dare riparo a persone senza fissa dimora nei mesi più rigidi. Ogni anno, con l’arrivo del freddo invernale, nelle cronache cittadine arriva il momento di scrivere di via Traves. Il progetto di accoglienza ospita le persone senza fissa dimora in moduli abitativi collocati all’aperto, in un luogo difficile da raggiungere e ben lontano dagli sguardi.

Conservo frammenti di conversazioni che ho avuto nel 2022 con persone senza casa e che vivevano in strada. In merito alla struttura di via Traves raccontavano di giacigli e coperte in cui «non sai chi ha dormito la notte prima» (proprio quell’anno alcune persone si ammalarono di scabbia), dell’assenza di docce per lavarsi e dell’inadeguatezza dei servizi igienici. Questi ultimi, wc chimici dalle dimensioni minime, erano situati nel cortile, al freddo, e insufficienti per il numero di ospiti. I posti previsti per il sito erano settanta, estendibili a centoventi, ma nelle notti più rigide potevano entrare sei, sette persone in più per ciascun modulo e dormivano per terra tra i due letti a castello. Altre voci mi confidavano di voler stare alla larga da via Traves anche per via di furti e disordini causati da persone gravate di malesseri.

In questa stagione il piano per la cosiddetta “emergenza freddo” (che di solito copre i mesi tra novembre e aprile) è stato attivato con estremo ritardo e per l’apertura di via Traves si è dovuto attendere fino al 18 dicembre. Ho parlato con alcuni operatori che lavorano quotidianamente a contatto con persone senza dimora. «È molto grave – mi diceva una di loro – che si sia tardato così tanto. Perché ci sono tante persone malate che non riescono a guarire. Trovano una tregua quando vanno in ospedale, per uno o due giorni, finché non si riprendono un minimo, e poi tornano in strada. Noi vediamo persone sempre più provate e stanche».

Questa incuria da parte delle istituzioni, corredata da poca chiarezza nelle comunicazioni e slittamenti sulle date di apertura inizialmente annunciate, non meraviglia. La novità per il 2024 è però l’investimento di quattrocentomila euro nella struttura di container in periferia: da quest’anno atterrano in via Traves nuovi moduli abitativi e moduli sanitari, finalmente con le docce e con impiantistica rinnovata. Al Tg regionale l’assessore alle politiche sociali Jacopo Rosatelli dichiara che il luogo «può essere efficace, proprio in quanto riqualificato», con «più riservatezza e dignità per le persone». M’inquieta però la notizia che la struttura rinnovata di via Traves, gestita da polizia locale e Croce Rossa, «nei primi giorni accoglierà solo chi sarà inviato dai servizi sociali». Un’accoglienza con selezione all’ingresso. Per comprendere meglio il significato di questa informazione è necessario osservare come funzionano i servizi di ospitalità notturna della città.

ACCOGLIENZA NOTTURNA
Il contesto dei servizi socio-assistenziali del capoluogo piemontese è alquanto complesso, anche per via dell’interazione tra pubblico e privato e del numero di soggetti coinvolti. In città operano decine di servizi di vario genere, in gran parte erogati da associazioni di volontariato o dalla diocesi. Dei servizi pubblici sono titolari il comune o le circoscrizioni, ma la gestione è spesso affidata (come nel caso dei dormitori) alle cooperative sociali. A Torino i servizi pubblici e gli enti privati convenzionati di riferimento per le persone senza dimora rientrano in una gestione centralizzata a cui fa capo il Sad, il servizio per adulti in difficoltà.

Il Sad è un servizio sociale rivolto ai cittadini tra i 18 e i 65 anni che vivono in strada o sono ospiti dei dormitori. La sua funzione è quella di reindirizzare ai servizi sociali competenti per territorio e di coordinare i servizi di accoglienza (notturna o residenziale), occupandosi anche della distribuzione dei buoni doccia per i bagni pubblici della città. Dal Sad dipendono alcuni servizi di assistenza come le due unità di strada della città: un servizio diurno (Eth – Educativa territoriale homeless) e il servizio itinerante notturno (Boa urbana mobile). Le due equipe sono composte rispettivamente di educatori e di operatori sociosanitari che si muovono sul territorio cittadino per intercettare le persone senza fissa dimora e indirizzarle presso i servizi di cura pertinenti. L’hub di riferimento per l’utente è invece uno sportello ad accesso libero che si trova in via Sacchi, vicino alla stazione di Porta Nuova (Servizio Homeless Torino). Qui è presente anche un ambulatorio sociosanitario che fornisce assistenza medica ed eroga servizi legati alla cura dell’igiene personale e alla riduzione del danno. Questi servizi sono gestiti insieme alla cooperativa Valdocco e alla Asl.

Il Sad si occupa inoltre della gestione delle liste di attesa per le case di prima accoglienza notturna (i dormitori pubblici) e per i dormitori privati che possiedono un regime misto (con alcuni posti convenzionati con il comune e altri privati). La centralizzazione è avvenuta con la pandemia, mentre in passato gli enti si autoregolavano sul piano della gestione degli utenti. Un tempo chi aveva bisogno di una sistemazione per la notte si doveva presentare di persona presso i dormitori e chiedere alla struttura la presenza di posti liberi: in caso di rifiuto, che arrivava magari dopo una lunga attesa e in orario serale, bisognava tentare in un altro dormitorio. Oggi, invece, la persona deve recarsi allo sportello in via Sacchi: qui viene quindi registrata in un database e inserita nelle liste di attesa. L’obiettivo del Sad è quello di proporre un progetto personalizzato attraverso la presa in carico dei servizi sociali.

Nel quotidiano gli operatori dei dormitori devono riportare nel sistema Sisacoto (Sistema informativo socio-assistenziale per il comune di Torino) le presenze e le assenze, indicare i posti liberi e anche i casi di abbandono o espulsione. Se un posto in un dormitorio pubblico o convenzionato risulta libero, il Sad si occupa di destinarlo a un altro utente, secondo una graduatoria. Il sistema consente quindi di avere un quadro complessivo sulle strutture, ma anche sui singoli utenti. Inoltre, attraverso tavoli di coordinamento a cui partecipano i rappresentanti dei principali dormitori (e talvolta anche dei servizi di ospitalità privati) il Sad monitora e condivide i casi dei singoli e la loro condizione di difficoltà al fine dichiarato di sviluppare un progetto di riabilitazione condiviso e ottimizzato tra gli enti.

Nei fatti la registrazione nel sistema e i tavoli di coordinamento consentono ai servizi di verificare la condotta dei beneficiari. Se l’accesso diretto alle strutture non era esente da difficoltà e disagi, la selezione centralizzata in via Sacchi comporta la quasi certa esclusione per le persone ai margini o definite problematiche: chi non ha la residenza fittizia a Torino o nei comuni limitrofi; persone irregolari sul territorio, senza permesso di soggiorno o senza documenti; chi ha dipendenze o viene accusato di cattiva condotta. In questo contesto, fino all’anno scorso, l’edificio di via Traves era l’unico servizio di ospitalità notturna realmente ad accesso diretto in tutta la città. Per accedervi, infatti, si doveva giungere nel piazzale nel tardo pomeriggio, e si formava una coda per l’ingresso, fino all’apertura dei cancelli.

I POSTI NON BASTANO
Alcuni operatori mi riferiscono che il cambio delle regole di accesso in via Traves per questo inverno è stato comunicato, dopo una serie di informazioni contraddittorie e confuse, solo qualche giorno prima della data di apertura. Non esiste più l’accesso diretto, le persone non possono fare la fila per accedere al sito di emergenza freddo. «Ho chiesto più volte al Sad per capire cosa dire alle persone che stavano aspettando l’apertura – mi raccontano –, alla fine hanno risposto: se ci sono persone con fragilità conviene contattare la Boa. Inizialmente ci sono trenta, quaranta posti, e poi potrebbero arrivare a settanta, ottanta in futuro». I posti effettivi in via Traves pertanto sono meno dei settanta annunciati sui giornali. Pare, quindi, che una parte di essi sia assegnata al servizio di Boa Notturna e riservata alle persone fragili, anziane, malate, con patologie, mentre i restanti vengono gestiti dalla polizia locale. La nuova logica di accesso sembra funzionale al controllo di alcuni posti per evitare le morti per freddo.

Gli operatori mi raccontano che in alcuni casi lo sportello di via Sacchi non dà nessuna speranza per il dormitorio e non trova alcuna soluzione alternativa. Anche nei dormitori privati è molto difficile entrare: «Le liste di attesa – continuano – sono ovunque al completo. Alcuni dormitori privati fanno il sorteggio quando si libera un posto, quando magari qualcuno non si presenta, ma è raro in inverno. Una persona che seguo è riuscita a entrare così. Però quando chiami le strutture per chiedere un posto, ti dicono che sono pieni fino a febbraio o marzo».

Insomma, i mille posti di accoglienza della città, sbandierati per il 2025 dall’amministrazione cittadina come una conquista, sono insufficienti in una città in cui si contano almeno (è una stima al ribasso) duemila e cinquecento senza fissa dimora. L’unica speranza per chi ancora attende in lista di attesa è che si liberi un posto letto per ragioni straordinarie. Secondo la retorica del discorso pubblico e mediatico, tuttavia, non è sempre facile convincere qualcuno ad accettare di dormire in una delle strutture, oppure è difficile intercettare chi affronta le notti al gelo: queste le letture offerte alla stampa dal responsabile del Sad Massimo De Albertis e dalla dirigente del dipartimento dei servizi sociali Monica Lo Cascio. Eppure la scelta delle amministrazioni è di eliminare del tutto le soluzioni di accoglienza ad accesso diretto.

Ho conosciuto tante persone che due anni fa trovavano in via Traves un misero riparo dal gelo della stagione invernale: erano immigrati irregolari, giovani harraga, soggetti senza la residenza fittizia nel comune di Torino. Non soddisfacevano i requisiti per una presa in carico da parte dei servizi sociali, o erano persone che per le ragioni più diverse (dall’uso di sostanze, a un lavoro in nero con orari non compatibili, alla propria scelta) non riuscivano o non intendevano sottostare alle restrizioni di regole e orari che le case di ospitalità notturna impongono per i loro utenti. Secondo il sistema queste persone sono devianti, non meritevoli, oppure causano problemi. Negli anni passati le forze dell’ordine presidiavano in maniera massiccia gli ingressi di via Traves per reprimere o prevenire i disordini. Nel 2023, per ovviare alle difficoltà riscontrate con la gestione del sito, si decise anche per una chiusura anticipata: “Chiude il dormitorio degli spacciatori” titolava un giornale locale. Ora questa nuova selezione all’ingresso sembra un modo alternativo per garantire l’ordine, mentre resta del tutto assente un’analisi delle condizioni di precarietà e sovraffollamento dei servizi che generano un clima ostile e compromettono la tranquillità delle persone.

Sulle testate cittadine, proprio in queste settimane, si legge invece dell’indignazione per un fuoco appiccato a un cestino nei giardini Madre Teresa di Calcutta, tra il quartiere Aurora e Barriera di Milano. Non posso fare a meno di pensare che i ragazzi che hanno osato deturpare lo spazio pubblico possono averlo fatto per scaldarsi, come farebbero le persone che quest’anno non possono più entrare in via Traves. Sugli stessi giornali leggo anche del salvataggio di alcuni migranti irregolari sulla rotta balcanica, soccorsi nelle foreste bulgare da tre insegnanti torinesi, e in questo caso i toni sono solidali e partecipi. Forse perché si tratta di foreste lontane: qui a Torino i dannati della terra non hanno diritto a nessun riparo. (stefania spinelli)