(disegno di adriana marineo)
Pubblichiamo qui una voce enciclopedica, la prima di tante. Vogliamo assemblare
un archivio di informazioni sulle modalità di welfare erogato da enti privati o
garantito da una collaborazione fra pubblico e privato. I concetti scelti nel
titolo sono dirimenti: il “terzo settore” descrive la galassia di enti di natura
privata e dotati di finalità di utilità sociale; la “innovazione sociale”
identifica una serie di strategie capaci di portare benefici alla società pur
appartenendo a logiche gestionali private. Come redazione torinese studiamo da
anni associazioni, fondazioni, progetti culturali o sociali che svolgono queste
funzioni. Si tratta di una realtà composita e frastagliata nella quale non è
semplice orientarsi. Ogni voce è allora una mappa a beneficio di chi scrive e di
chi legge.
Lo sguardo, almeno all’inizio, sarà parziale: partiremo dai fenomeni che
conosciamo meglio, ordinando appunti e riflessioni di anni. Speriamo di
aumentare in esaustività nel corso del tempo, allargando la collaborazione a
tutti i complici che vorranno unirsi. Il nostro approccio vuole essere preciso e
documentato, ma certo non neutrale: questa mappatura ha l’ambizione di criticare
il sogno di una virtuosa collaborazione fra pubblico e privato per il
miglioramento della società. Un obiettivo non semplice, perché la filantropia,
per sua natura, tende a sfuggire al pensiero critico. Queste cartografie sono
dunque una sfida lanciata a pratiche ed entità che si rendono sfuggenti e opache
grazie alle buone intenzioni dichiarate. La prima voce riguarda una delle
matrici più rilevanti dei processi di cui scriveremo: la Compagnia di San Paolo,
fondazione di origine bancaria.
* * *
La Compagnia di San Paolo domina le attività culturali e sociali in città. Quasi
non vi è iniziativa, progetto o evento che non mostri il logo della fondazione
bancaria. Essa sostiene, grazie ai suoi finanziamenti, una variegata categoria
di operatori sociali, creativi, artisti, mandarini e imbonitori, imprenditori e
dirigenti di Torino. Lo sguardo dunque incontra i segni della Compagnia in ogni
angolo urbano, eppure non è semplice delineare la storia, la natura, la funzione
e le pratiche della fondazione. Gran parte di questa voce si ispira allora a un
libro recente scritto in modo rigoroso e ben documentato: Élite, filantropia e
trasformazioni dello stato. La Compagnia di San Paolo a Torino di Paola Arrigoni
(il Mulino, 2024).
La Compagnia di San Paolo (CSP, d’ora in poi) è un ente di diritto privato con
finalità di intervento sociale e filantropico nata in seguito alla
privatizzazione del sistema bancario italiano. L’atto originario risale al 1990
con la legge Amato-Carli. Gli istituti bancari pubblici vengono privatizzati, ma
tutte le loro azioni sono affidate a “enti conferenti” che hanno il compito di
venderle sul mercato; viene così separata la funzione di gestione delle banche,
ormai privata, da quella del controllo delle azioni.
Le fondazioni di origine bancaria discendono direttamente da questi enti
conferenti. “L’ente conferente – scrive Arrigoni – oltre al controllo delle
aziende bancarie, ereditava le finalità filantropiche dei vecchi istituti.
Pertanto si sarebbe dovuto occupare, anche, di devolvere in attività di utilità
sociale i dividendi percepiti dalle banche controllate”. Gli enti conferenti,
quindi, sono strumenti neoliberali volti, al contempo, a realizzare il processo
di privatizzazione del sistema bancario e ad affiancare lo stato nella
erogazione di servizi a finalità sociale e culturale. Nel 1998 la legge Ciampi
obbliga le fondazioni a cedere sul mercato gran parte delle azioni delle banche
da cui traggono origine. Inoltre la legge Ciampi stabilisce che i “boards” delle
fondazioni “avrebbero dovuto essere espressione dei principali stakeholders
locali (pubblici e privati, profit e non profit)” e che “circa la metà dei
consiglieri avrebbe dovuto essere espressione della cosiddetta società civile”.
La CSP è dunque l’ente conferente della banca Sanpaolo. Dopo la fusione con
Intesa, la CSP rimane la prima azionista del gruppo Intesa Sanpaolo, detenendo a
oggi il 6,4 % delle azioni.
La fondazione è un ente “geneticamente ibrido” nato in un periodo storico
peculiare: “Dall’Inghilterra – continua Arrigoni – venivano progressivamente
mutuati i principi del NPM (New Public Management), che cambiavano le regole del
gioco riconoscendo all’autorità pubblica il compito di fissare obiettivi di
risultato e parametri di valutazione, delegando la loro attuazione a soggetti
esterni”. La CSP è un ente privato, ma persegue finalità pubbliche e i suoi
vertici sono eletti per cooptazione interna o su suggerimento degli enti
pubblici. La CSP, dunque, è un’entità capace di realizzare politiche pubbliche
senza un diretto controllo democratico del loro operato.
Nei decenni la Compagnia di San Paolo ha erogato sussidi per la cultura, i
servizi sanitari, l’istruzione e l’assistenza sociale. Quest’ultima voce di
spesa ha visto aumentare in modo considerevole la percentuale di capitali
impiegati: mentre il pubblico taglia le spese al welfare, è la CSP a sostenere
la fragile tenuta dei servizi sociali in città. Inoltre dal 2016, con la prima
presidenza di Francesco Profumo, la Compagnia s’impegna nel sostegno della
finanza a impatto sociale, ovvero nella promozione di investimenti capaci di
generare effetti misurabili e di garantire un ritorno economico per gli
investitori. L’aumento notevole dei capitali devoluti in progetti di housing
sociale è un sintomo evidente di questa tendenza. Sembra che ogni esigenza
dell’uomo possa essere esaudita da servizi erogati da enti che promettono un
profitto.
Un’altra linea di investimento recente converge sulle fondazioni di comunità,
enti filantropici territoriali capaci di declinare in aree peculiari le
politiche di innovazione sociale volute da CSP. In sintesi si può notare
un’evoluzione: la Compagnia non si limita a erogare capitali a fondo perduto, ma
seleziona progetti e entità capaci di generare strategie di impresa e profitti
grazie alle relative attività filantropiche. In questo senso CSP appare come un
soggetto di governo, capace di intervenire in modo diretto nello spazio pubblico
e modulare una precisa idea di società.
Sin dalla sua origine la CSP è controllata da un Consiglio Generale che a sua
volta nomina un Consiglio di Gestione composto da cinque membri, fra cui il
Presidente della fondazione. L’incarico dei consiglieri e del Presidente ha
durata quadriennale. I consiglieri sono nominati su indicazione di enti pubblici
strategici come il Comune di Torino, la Regione, la Camera di Commercio di
Torino, le accademie della città, oppure entrano in fondazione per cooptazione
interna. Ai vertici di CSP si sono avvicendate negli anni classi dirigenti
provenienti dalla banca di riferimento, dalle università della città, dalla
Camera di Commercio, dal mondo della cultura e dalla ristretta cerchia di classi
dirigenti che amministrano le sorti di Torino. Le aree di intervento sono divise
in tre grandi obiettivi: Obiettivo Persone, Obiettivo Cultura, Obiettivo
Pianeta. Il primo copre le politiche abitative, educative e i servizi sociali;
il secondo orienta il lavoro culturale in città; il terzo invece riguarda
l’innovazione tecnologica, la ricerca e le politiche dedicate a realizzare la
transizione energetica.
La vocazione umanitaria e filantropica della CSP rende questo ente in apparenza
incontestabile. Se non ci fosse la Compagnia, direbbe un dirigente della
fondazione, Torino e il suo intero sistema metropolitano collasserebbero. Eppure
bisogna indagare le origini di questo assunto. La Città eroga sempre meno
servizi perché ha un debito considerevole: a fine 2020, prima di un ingente
sussidio statale, ammontava a più di tre miliardi di euro, rendendo Torino la
città con il maggiore debito pubblico pro capite in Italia. Ogni anno la Città
spende circa il dieci per cento del suo bilancio soltanto per pagare gli
interessi sul debito. Uno dei principali creditori è proprio Intesa Sanpaolo, di
cui CSP detiene ancora la quota principale di azioni. Gli utili della banca
verso cui la Città è debitrice sono dunque distribuiti dalla Compagnia per
supplire ai tagli al welfare causati proprio dal debito e dalla ingente spesa
sui relativi interessi. Un circolo vizioso nascosto dal velo illusorio della
filantropia.
E poi, nel concreto, sono validi i progetti sostenuti dalla Compagnia di San
Paolo? A un primo sguardo pullulano in città iniziative insulse, vuote e
autoreferenziali, partecipate soltanto dalle classi dirigenti dominanti e dalle
relative cerchie di sodali. Le attività sono accompagnate da un linguaggio
omologato, melenso e ipocrita che contribuisce ad abbassare il livello della
riflessione. Ancora, gran parte delle energie critiche sono cooptate dalla
fondazione bancaria e costrette in un languido silenzio o in inefficaci
pantomime. Si respira in città un’aria dolce e soporifera di ottundimento delle
coscienze. Le affermazioni di questo ultimo paragrafo, tuttavia, possono
apparire sommarie o poco documentate. Compito dell’intera mappatura è quello di
esplorare nel dettaglio le sorti e i risultati della innovazione sociale a
Torino. (voce a cura di francesco migliaccio)
Tag - torino
TREGUA PER CHI? PALESTINA TRA SILENZIO MEDIATICO E GENOCIDIO
Campus Luigi Einaudi - Lungo D'ora Siena, 100, Torino
(giovedì, 20 febbraio 17:30)
La notizia del cessate al fuoco a Gaza, siglato il 15 gennaio, ha posto sulla
regione il silenzio tombale della stampa italiana. Silenzio che non corrispende
alla realtà sia di ciò che sta accadendo, sia della moltitudine di affermazioni
e volontà poste verso la Palestina in questo momento. Da un lato abbiamo la
precarietà dell’accordo, minacciata dalle volontà sioniste e dalle continue
incursioni e bombardamenti che procedono incessantemente in Cisgiordania, dove
hanno provocato più di 40mila sfollati. Dall’altro, sentiamo ogni giorno una
nuova dichiarazione di Trump sulle volontà colonizzatrici e di pulizia etnica
verso i palestinesi che vivono nella Striscia di Gaza, che solo in queste
settimane, dopo 15 mesi di genocidio, stanno finalmente facendo ritorno nelle
loro case.
Per seguire con attenzione i passaggi di ciò che sta accadendo e comprenderne
meglio le dinamiche è fondamentale tenerci informati e smantellare il silenzio
occidentale, complice della propaganda sionista e collaborazionista
dell’occupazione e del colonialismo.
Ne parliamo con:
CHIARA CRUCIATI, giornalista del Manifesto
SAMIRA JARRAR, dottoranda a Aix en Provence
DAWOOD AL TAAMARI, militante dei Giovani Palestinesi D’Italia
🔻20 FEBBRAIO 2025
🔻H17.30
🔻CAMPUS LUIGI EINAUDI
SEMPRE AL FIANCO DELLA RESISTENZA PALESTINESE, FINO ALLA VITTORIA E ALLA FINE
DEL COLONIALISMO OCCIDENTALE! 🇵🇸
GIORNATA DI LOTTA ANTIMILITARISTA. COON I DISERTORI RUSSI E UCRAINI PER UN MONDO
SENZA FRONTIERE
Balon - via Vittorio Andreis, 10152 Torino TO, Italia
(sabato, 22 febbraio 11:00)
Con i disertori russi ed ucraini, per un mondo senza frontiere ed eserciti
Sabato 22 febbraio
giornata di lotta antimilitarista!
Ore 11 presidio al Balon
Fermiamo la guerra dall'Ucraina a Gaza, dal Sudan al Kurdistan, dallo Yemen al
Congo…
Sono passati tre anni dall’invasione russa dell’Ucraina e il conflitto si
inasprisce sempre di più.
Le guerre insanguinano vaste aree del pianeta in una spirale che sembra non aver
fine. Con la terribile guerra in Medio Oriente, il conflitto nel Mar Rosso, il
moltiplicarsi degli attacchi turchi in Rojava, le tensioni per Taiwan, il
perdurare dei conflitti per il controllo delle risorse nel continente africano,
il rischio di una guerra, anche nucleare, su scala planetaria è una possibilità
reale.
Opporsi concretamente è un’urgenza ineludibile.
La guerra in Ucraina ha nel proprio DNA uno scontro interimperialistico di
enorme portata.
Il prezzo di questa guerra lo pagano le popolazioni ucraine e russe.
Lo pagano oppositori, sabotatori, obiettori e disertori che subiscono pestaggi,
processi e carcere.
Lo paghiamo noi tutti stretti nella spirale dell’inflazione, tra salari e
pensioni da fame e fitti e bollette in costante aumento.
Il governo italiano si è schierato in questa guerra inviando armi, arrivando a
schierare 3.500 militari nelle missioni in ambito NATO nell’est europeo e nel
Mar Nero.
L’Italia è impegnata in ben 43 missioni militari all’estero, in buona parte in
Africa, dove le truppe tricolori fanno la guerra ai migranti e difendono gli
interessi di colossi come l’ENI.
L’Italia vende armi a tutti i paesi in guerra, contribuendo direttamente alle
guerre di ogni dove.
Torino punta tutto sull’industria bellica per il rilancio dell’economia.
Un’economia di morte.
La nostra città è uno dei maggiori poli dell’industria bellica aerospaziale.
Ed è a Torino che sorgerà la Città dell’Aerospazio, un centro di eccellenza per
l’industria bellica aerospaziale promosso dal colosso armiero Leonardo e dal
Politecnico subalpino. La Città dell’Aerospazio ospiterà un acceleratore
d’innovazione nel campo della Difesa, uno dei nove nodi europei del Defence
Innovation Accelerator for the North Atlantic (D.I.A.N.A), una struttura della
NATO.
Progetti di morte che è impegno di tutt* inceppare.
Occorre capovolgere la logica perversa che vede nell’industria bellica il motore
che renderà più prospera la nostra città. Un’economia di guerra produce solo
altra guerra.
Provate ad immaginare quante scuole, ospedali, trasporti pubblici di prossimità
si potrebbero finanziare se la ricerca e la produzione venissero usate per la
vita di noi tutti, per la cura invece che per la guerra.
La guerra è anche interna.
Il governo risponde alla povertà trattando le questioni sociali in termini di
ordine pubblico: i militari dell’operazione “strade sicure” li trovate nelle
periferie povere, nei CPR, nelle stazioni, sui confini.
Il comitato per l’ordine e la sicurezza ha dichiarato zone a sorveglianza
rinforzata Barriera, Aurora, San Salvario, il centro cittadino.
Come se non bastasse il ministro della Difesa ha annunciato la costituzione di
una “riserva”, un corpo di 10.000 militari volontari in addestramento perenne
che possono essere richiamati per far fronte a qualsiasi “emergenza” interna.
Il governo di estrema destra alimenta la retorica identitaria, i “sacri”
confini, l’esaltazione della guerra. Le scuole e le università sono divenute
terreno di conquista per l’arruolamento dei corpi e delle coscienze.
In Russia e in Ucraina c’è chi lotta perché le frontiere siano aperte per chi si
oppone alla guerra.
Noi facciamo nostra questa lotta contro le frontiere, per l’accoglienza di
obiettor, renitent, disertor* da entrambi i paesi.
Noi non ci arruoliamo né con la NATO, né con la Russia. Rigettiamo i vergognosi
giochini di Trump, Putin e dell’UE sulla pelle di popolazioni stremate dalla
guerra, messe a tacere da regimi, che in Russia come in Ucraina, gettano in
galera chi vi si oppone concretamente.
Solo un’umanità internazionale potrà gettare le fondamenta di quel mondo di
libere ed uguali che può porre fine alle guerre.
Oggi ci vorrebbero tutti arruolati.
Noi disertiamo.
Noi non ci arruoliamo a fianco di questo o quello stato imperialista. Rifiutiamo
la retorica patriottica come elemento di legittimazione degli Stati e delle loro
pretese espansionistiche. In ogni dove. Non ci sono nazionalismi buoni.
Noi siamo al fianco di chi, in ogni angolo della terra, diserta la guerra.
Vogliamo un mondo senza frontiere, eserciti, oppressione, sfruttamento e guerra.
Coordinamento contro la guerra e chi la arma
antimilitarista.to@gmail.com
Con i disertori russi ed ucraini, per un mondo senza frontiere ed eserciti
Sabato 22 febbraio
giornata di lotta antimilitarista!
Ore 11 presidio al Balon
Fermiamo la guerra dall’Ucraina a Gaza, dal Sudan al Kurdistan, dallo Yemen al
Congo…
Sono passati tre anni dall’invasione russa dell’Ucraina e il conflitto si
inasprisce sempre di più.
Le guerre insanguinano vaste aree del pianeta in una spirale che sembra non aver
fine. Con la terribile guerra in Medio Oriente, il conflitto nel Mar Rosso, il
moltiplicarsi degli attacchi turchi in Rojava, le tensioni per Taiwan, il
perdurare dei conflitti per il controllo delle risorse nel continente africano,
il rischio di una guerra, anche nucleare, su scala planetaria è una possibilità
reale.
Opporsi concretamente è un’urgenza ineludibile.
La guerra in Ucraina ha nel proprio DNA uno scontro interimperialistico di
enorme portata.
Il prezzo di questa guerra lo pagano le popolazioni ucraine e russe.
Lo pagano oppositori, sabotatori, obiettori e disertori che subiscono pestaggi,
processi e carcere.
Lo paghiamo noi tutti stretti nella spirale dell’inflazione, tra salari e
pensioni da fame e fitti e bollette in costante aumento.
Il governo italiano si è schierato in questa guerra inviando armi, arrivando a
schierare 3.500 militari nelle missioni in ambito NATO nell’est europeo e nel
Mar Nero.
L’Italia è impegnata in ben 43 missioni militari all’estero, in buona parte in
Africa, dove le truppe tricolori fanno la guerra ai migranti e difendono gli
interessi di colossi come l’ENI.
L’Italia vende armi a tutti i paesi in guerra, contribuendo direttamente alle
guerre di ogni dove.
Torino punta tutto sull’industria bellica per il rilancio dell’economia.
Un’economia di morte.
La nostra città è uno dei maggiori poli dell’industria bellica aerospaziale.
Ed è a Torino che sorgerà la Città dell’Aerospazio, un centro di eccellenza per
l’industria bellica aerospaziale promosso dal colosso armiero Leonardo e dal
Politecnico subalpino. La Città dell’Aerospazio ospiterà un acceleratore
d’innovazione nel campo della Difesa, uno dei nove nodi europei del Defence
Innovation Accelerator for the North Atlantic (D.I.A.N.A), una struttura della
NATO.
Progetti di morte che è impegno di tutt* inceppare.
Occorre capovolgere la logica perversa che vede nell’industria bellica il motore
che renderà più prospera la nostra città. Un’economia di guerra produce solo
altra guerra.
Provate ad immaginare quante scuole, ospedali, trasporti pubblici di prossimità
si potrebbero finanziare se la ricerca e la produzione venissero usate per la
vita di noi tutti, per la cura invece che per la guerra.
La guerra è anche interna.
Il governo risponde alla povertà trattando le questioni sociali in termini di
ordine pubblico: i militari dell’operazione “strade sicure” li trovate nelle
periferie povere, nei CPR, nelle stazioni, sui confini.
Il comitato per l’ordine e la sicurezza ha dichiarato zone a sorveglianza
rinforzata Barriera, Aurora, San Salvario, il centro cittadino.
Come se non bastasse il ministro della Difesa ha annunciato la costituzione di
una “riserva”, un corpo di 10.000 militari volontari in addestramento perenne
che possono essere richiamati per far fronte a qualsiasi “emergenza” interna.
Il governo di estrema destra alimenta la retorica identitaria, i “sacri”
confini, l’esaltazione della guerra. Le scuole e le università sono divenute
terreno di conquista per l’arruolamento dei corpi e delle coscienze.
In Russia e in Ucraina c’è chi lotta perché le frontiere siano aperte per chi si
oppone alla guerra.
Noi facciamo nostra questa lotta contro le frontiere, per l’accoglienza di
obiettor, renitent, disertor* da entrambi i paesi.
Noi non ci arruoliamo né con la NATO, né con la Russia. Rigettiamo i vergognosi
giochini di Trump, Putin e dell’UE sulla pelle di popolazioni stremate dalla
guerra, messe a tacere da regimi, che in Russia come in Ucraina, gettano in
galera chi vi si oppone concretamente.
Solo un’umanità internazionale potrà gettare le fondamenta di quel mondo di
libere ed uguali che può porre fine alle guerre.
Oggi ci vorrebbero tutti arruolati.
Noi disertiamo.
Noi non ci arruoliamo a fianco di questo o quello stato imperialista. Rifiutiamo
la retorica patriottica come elemento di legittimazione degli Stati e delle loro
pretese espansionistiche. In ogni dove. Non ci sono nazionalismi buoni.
Noi siamo al fianco di chi, in ogni angolo della terra, diserta la guerra.
Vogliamo un mondo senza frontiere, eserciti, oppressione, sfruttamento e guerra.
EAT YOUR BRAIN
El Paso Occupato - Via Passo Buole, 47, Torino
(sabato, 22 febbraio 22:00)
Torino, 12 febbraio 2025. Oggi comincia a Torino il processo per la morte di
Moussa Balde.
Moussa aveva 23 anni. Nella notte tra il 23 e il 24 maggio 2021, è morto nel CPR
di Torino.
Il 9 maggio era a Ventimiglia, fuori da un supermercato dove cercava di
racimolare qualche soldo. Tre uomini lo assalirono a calci, pugni e sprangate.
Qualcuno fa un video: Moussa è a terra, rannicchiato mentre i tre infieriscono
su di lui.
Una vicenda di violenza razzista come tante: solo la diffusione delle immagini
impedisce che il silenzio cali sulla sua storia, perché quelli come Moussa
raramente hanno la possibilità di raccontare ed essere creduti.
Quello stesso giorno Moussa viene portato in ospedale: viene dimesso il giorno
stesso, senza che gli vengano consegnati i fogli con la diagnosi. Trascorre la
notte in cella di sicurezza. Il mattino successivo viene portato a Torino, dove,
dopo l’udienza di convalida, viene rinchiuso al CPR di corso Brunelleschi.
Tra i tanti fogli che gli fanno firmare non c’è nulla sul pestaggio subito.
Finisce presto in isolamento, nel famigerato “ospedaletto”, un’area del CPR a
ridosso del muro dove c’erano celle singole simili a pollai. Niente a che fare
con un ospedale. Nonostante le vistose ferite al volto, Moussa non viene mai
visitato.
Lì, in quella gabbia isolata, Moussa è stato trovato impiccato.
La grande indignazione per la sua morte fece chiudere l’Ospedaletto.
Due anni fa, in febbraio, il fuoco delle rivolte distrusse il CPR, che da allora
è chiuso. Presto riaprirà senza che nulla sia cambiato per chi vi verrà recluso.
Alla sbarra, accusati di omicidio colposo, oggi vanno Annalisa Spataro,
direttrice del Cpr per conto della società Gepsa che all’epoca aveva l’appalto e
Fulvio Pitanti, il medico della struttura che visitò Balde e lo confinò in
isolamento. Sotto accusa c’era anche un poliziotto, Fabio Fierro, accusato di
aver modificato le relazioni di servizio, che però ha chiuso la sua posizione
patteggiando un anno.
Restano fuori dal processo i mandanti: la Prefettura e tutta la macchina che
imprigiona, tortura e uccide i senza documenti.
L’inchiesta, partita dopo la morte di Moussa, un vero suicidio di Stato, si
incardina intorno alla questione “ospedaletto”, una struttura di isolamento,
ulteriormente afflittiva rispetto alla detenzione amministrativa. In base alla
legge la detenzione amministrativa è ammessa, ma non forme di isolamento e
punizione. Se qualcuno, per i più diversi motivi, è incompatibile con la
prigione, può e dovrebbe essere liberato o ricoverato, non rinchiuso in una
cella di isolamento.
In discussione, oltre a quello di Moussa, i casi di altre persone fragili, messe
in isolamento, senza cure né assistenza.
Oggi in aula ci saranno anche il fratello e la mamma di Moussa Balde e la
sorella di Osmane Sylla, morto un anno fa nel CPR di Ponte Galeria a Roma.
Vogliono giustizia, una merce rara nei tribunali, vogliono soprattutto che non
capiti più. Mai più.
Mercoledì 12 febbraio ore 9 presidio al Tribunale di Torino – corso Vittorio 130
Per saperne di più ascolta la diretta fatta ieri dall’info di radio Black-out
con Gianluca Vitale, l’avvocato che aveva assistito Moussa e che oggi
rappresenta la sua famiglia:
> Moussa Balde. Processo al CPR
MARTINGALA
Barocchio Squat - Strada del Barocchio 27 - Grugliasco (TO)
(venerdì, 14 febbraio 20:30)
In omaggio a Gianni Milano verrà letta una selezione delle sue poesie
GLI ANARCHICI NELLA RIVOLUZIONE RUSSA
Federazione Anarchica Torinese - corso Palermo 46
(giovedì, 20 febbraio 21:00)
La rivoluzione sconosciuta. Il movimento anarchico nelle lotte per
l’emancipazione sociale in Russia 1917-1921 di Volin
Enzo Papa, traduttore e curatore dell’edizione italiana, presenta il libro edito
da Zero in Condotta. Il testo, oltre che alle presentazioni, può essere
richiesto a http://www.zeroincondotta.org/
Il teorico e rivoluzionario anarchico, Vsevolod Michajlovič Eichenbaum, detto
Volin, racconta la storia della Rivoluzione russa dal 1825 al 1939, con i suoi
due sommovimenti del 1905 e del 1917, che egli ha vissuto come militante
attivamente impegnato negli eventi. Potendo disporre di documenti e
testimonianze di prima mano, Volin descrive, dal punto di vista anarchico – con
lucidità e con rara finezza d’analisi -, tutto il processo del movimento
rivoluzionario russo, dalla nascita dei Soviet all’annientamento del movimento
anarchico da parte dello stalinismo passando per l’ascesa al potere dei
bolscevichi, la rivolta dei marinai di Kronstadt o ancora l’epopea
insurrezionale di Nestor Machno.
Reggio Emilia
Mercoledì 19 febbraio
ore 20 cena
ore 21 presentazione
al Circolo Berneri
via Dom Minzoni 1D
Torino
Giovedì 20 febbraio
ore 21
alla Fat
corso Palermo 46
Milano
Venerdì 21 febbraio
ore 19
all'Ateneo Libertario
viale Monza 255 (fermata MM1 Precotto)
Pordenone
Sabato 22 febbraio
ore 17.40
Circolo Libertario E. Zapata
via Ungaresca 3B
(archivio disegni di monitor)
Sono stata in via Traves la prima volta nell’inverno di due anni fa, era sera.
La via si trova nell’estrema periferia nord-ovest di Torino, in un’area
industriale dove un tempo sorgeva il mattatoio delle Vallette. Al numero 7 si
incontra un piazzale dominato da un grande cancello che ricorda quello di un
carcere. Qui ha sede il sito di accoglienza notturna da anni utilizzato dal
comune di Torino per dare riparo a persone senza fissa dimora nei mesi più
rigidi. Ogni anno, con l’arrivo del freddo invernale, nelle cronache cittadine
arriva il momento di scrivere di via Traves. Il progetto di accoglienza ospita
le persone senza fissa dimora in moduli abitativi collocati all’aperto, in un
luogo difficile da raggiungere e ben lontano dagli sguardi.
Conservo frammenti di conversazioni che ho avuto nel 2022 con persone senza casa
e che vivevano in strada. In merito alla struttura di via Traves raccontavano di
giacigli e coperte in cui «non sai chi ha dormito la notte prima» (proprio
quell’anno alcune persone si ammalarono di scabbia), dell’assenza di docce per
lavarsi e dell’inadeguatezza dei servizi igienici. Questi ultimi, wc chimici
dalle dimensioni minime, erano situati nel cortile, al freddo, e insufficienti
per il numero di ospiti. I posti previsti per il sito erano settanta,
estendibili a centoventi, ma nelle notti più rigide potevano entrare sei, sette
persone in più per ciascun modulo e dormivano per terra tra i due letti a
castello. Altre voci mi confidavano di voler stare alla larga da via Traves
anche per via di furti e disordini causati da persone gravate di malesseri.
In questa stagione il piano per la cosiddetta “emergenza freddo” (che di solito
copre i mesi tra novembre e aprile) è stato attivato con estremo ritardo e per
l’apertura di via Traves si è dovuto attendere fino al 18 dicembre. Ho parlato
con alcuni operatori che lavorano quotidianamente a contatto con persone senza
dimora. «È molto grave – mi diceva una di loro – che si sia tardato così tanto.
Perché ci sono tante persone malate che non riescono a guarire. Trovano una
tregua quando vanno in ospedale, per uno o due giorni, finché non si riprendono
un minimo, e poi tornano in strada. Noi vediamo persone sempre più provate e
stanche».
Questa incuria da parte delle istituzioni, corredata da poca chiarezza nelle
comunicazioni e slittamenti sulle date di apertura inizialmente annunciate, non
meraviglia. La novità per il 2024 è però l’investimento di quattrocentomila euro
nella struttura di container in periferia: da quest’anno atterrano in via Traves
nuovi moduli abitativi e moduli sanitari, finalmente con le docce e con
impiantistica rinnovata. Al Tg regionale l’assessore alle politiche sociali
Jacopo Rosatelli dichiara che il luogo «può essere efficace, proprio in quanto
riqualificato», con «più riservatezza e dignità per le persone». M’inquieta però
la notizia che la struttura rinnovata di via Traves, gestita da polizia locale e
Croce Rossa, «nei primi giorni accoglierà solo chi sarà inviato dai servizi
sociali». Un’accoglienza con selezione all’ingresso. Per comprendere meglio il
significato di questa informazione è necessario osservare come funzionano i
servizi di ospitalità notturna della città.
ACCOGLIENZA NOTTURNA
Il contesto dei servizi socio-assistenziali del capoluogo piemontese è alquanto
complesso, anche per via dell’interazione tra pubblico e privato e del numero di
soggetti coinvolti. In città operano decine di servizi di vario genere, in gran
parte erogati da associazioni di volontariato o dalla diocesi. Dei servizi
pubblici sono titolari il comune o le circoscrizioni, ma la gestione è spesso
affidata (come nel caso dei dormitori) alle cooperative sociali. A Torino i
servizi pubblici e gli enti privati convenzionati di riferimento per le persone
senza dimora rientrano in una gestione centralizzata a cui fa capo il Sad, il
servizio per adulti in difficoltà.
Il Sad è un servizio sociale rivolto ai cittadini tra i 18 e i 65 anni che
vivono in strada o sono ospiti dei dormitori. La sua funzione è quella di
reindirizzare ai servizi sociali competenti per territorio e di coordinare i
servizi di accoglienza (notturna o residenziale), occupandosi anche della
distribuzione dei buoni doccia per i bagni pubblici della città. Dal Sad
dipendono alcuni servizi di assistenza come le due unità di strada della città:
un servizio diurno (Eth – Educativa territoriale homeless) e il servizio
itinerante notturno (Boa urbana mobile). Le due equipe sono composte
rispettivamente di educatori e di operatori sociosanitari che si muovono sul
territorio cittadino per intercettare le persone senza fissa dimora e
indirizzarle presso i servizi di cura pertinenti. L’hub di riferimento per
l’utente è invece uno sportello ad accesso libero che si trova in via Sacchi,
vicino alla stazione di Porta Nuova (Servizio Homeless Torino). Qui è presente
anche un ambulatorio sociosanitario che fornisce assistenza medica ed eroga
servizi legati alla cura dell’igiene personale e alla riduzione del danno.
Questi servizi sono gestiti insieme alla cooperativa Valdocco e alla Asl.
Il Sad si occupa inoltre della gestione delle liste di attesa per le case di
prima accoglienza notturna (i dormitori pubblici) e per i dormitori privati che
possiedono un regime misto (con alcuni posti convenzionati con il comune e altri
privati). La centralizzazione è avvenuta con la pandemia, mentre in passato gli
enti si autoregolavano sul piano della gestione degli utenti. Un tempo chi aveva
bisogno di una sistemazione per la notte si doveva presentare di persona presso
i dormitori e chiedere alla struttura la presenza di posti liberi: in caso di
rifiuto, che arrivava magari dopo una lunga attesa e in orario serale, bisognava
tentare in un altro dormitorio. Oggi, invece, la persona deve recarsi allo
sportello in via Sacchi: qui viene quindi registrata in un database e inserita
nelle liste di attesa. L’obiettivo del Sad è quello di proporre un progetto
personalizzato attraverso la presa in carico dei servizi sociali.
Nel quotidiano gli operatori dei dormitori devono riportare nel sistema Sisacoto
(Sistema informativo socio-assistenziale per il comune di Torino) le presenze e
le assenze, indicare i posti liberi e anche i casi di abbandono o espulsione. Se
un posto in un dormitorio pubblico o convenzionato risulta libero, il Sad si
occupa di destinarlo a un altro utente, secondo una graduatoria. Il sistema
consente quindi di avere un quadro complessivo sulle strutture, ma anche sui
singoli utenti. Inoltre, attraverso tavoli di coordinamento a cui partecipano i
rappresentanti dei principali dormitori (e talvolta anche dei servizi di
ospitalità privati) il Sad monitora e condivide i casi dei singoli e la loro
condizione di difficoltà al fine dichiarato di sviluppare un progetto di
riabilitazione condiviso e ottimizzato tra gli enti.
Nei fatti la registrazione nel sistema e i tavoli di coordinamento consentono ai
servizi di verificare la condotta dei beneficiari. Se l’accesso diretto alle
strutture non era esente da difficoltà e disagi, la selezione centralizzata in
via Sacchi comporta la quasi certa esclusione per le persone ai margini o
definite problematiche: chi non ha la residenza fittizia a Torino o nei comuni
limitrofi; persone irregolari sul territorio, senza permesso di soggiorno o
senza documenti; chi ha dipendenze o viene accusato di cattiva condotta. In
questo contesto, fino all’anno scorso, l’edificio di via Traves era l’unico
servizio di ospitalità notturna realmente ad accesso diretto in tutta la città.
Per accedervi, infatti, si doveva giungere nel piazzale nel tardo pomeriggio, e
si formava una coda per l’ingresso, fino all’apertura dei cancelli.
I POSTI NON BASTANO
Alcuni operatori mi riferiscono che il cambio delle regole di accesso in via
Traves per questo inverno è stato comunicato, dopo una serie di informazioni
contraddittorie e confuse, solo qualche giorno prima della data di apertura. Non
esiste più l’accesso diretto, le persone non possono fare la fila per accedere
al sito di emergenza freddo. «Ho chiesto più volte al Sad per capire cosa dire
alle persone che stavano aspettando l’apertura – mi raccontano –, alla fine
hanno risposto: se ci sono persone con fragilità conviene contattare la Boa.
Inizialmente ci sono trenta, quaranta posti, e poi potrebbero arrivare a
settanta, ottanta in futuro». I posti effettivi in via Traves pertanto sono meno
dei settanta annunciati sui giornali. Pare, quindi, che una parte di essi sia
assegnata al servizio di Boa Notturna e riservata alle persone fragili, anziane,
malate, con patologie, mentre i restanti vengono gestiti dalla polizia locale.
La nuova logica di accesso sembra funzionale al controllo di alcuni posti per
evitare le morti per freddo.
Gli operatori mi raccontano che in alcuni casi lo sportello di via Sacchi non dà
nessuna speranza per il dormitorio e non trova alcuna soluzione alternativa.
Anche nei dormitori privati è molto difficile entrare: «Le liste di attesa –
continuano – sono ovunque al completo. Alcuni dormitori privati fanno il
sorteggio quando si libera un posto, quando magari qualcuno non si presenta, ma
è raro in inverno. Una persona che seguo è riuscita a entrare così. Però quando
chiami le strutture per chiedere un posto, ti dicono che sono pieni fino a
febbraio o marzo».
Insomma, i mille posti di accoglienza della città, sbandierati per il 2025
dall’amministrazione cittadina come una conquista, sono insufficienti in una
città in cui si contano almeno (è una stima al ribasso) duemila e cinquecento
senza fissa dimora. L’unica speranza per chi ancora attende in lista di attesa è
che si liberi un posto letto per ragioni straordinarie. Secondo la retorica del
discorso pubblico e mediatico, tuttavia, non è sempre facile convincere qualcuno
ad accettare di dormire in una delle strutture, oppure è difficile intercettare
chi affronta le notti al gelo: queste le letture offerte alla stampa dal
responsabile del Sad Massimo De Albertis e dalla dirigente del dipartimento dei
servizi sociali Monica Lo Cascio. Eppure la scelta delle amministrazioni è di
eliminare del tutto le soluzioni di accoglienza ad accesso diretto.
Ho conosciuto tante persone che due anni fa trovavano in via Traves un misero
riparo dal gelo della stagione invernale: erano immigrati irregolari, giovani
harraga, soggetti senza la residenza fittizia nel comune di Torino. Non
soddisfacevano i requisiti per una presa in carico da parte dei servizi sociali,
o erano persone che per le ragioni più diverse (dall’uso di sostanze, a un
lavoro in nero con orari non compatibili, alla propria scelta) non riuscivano o
non intendevano sottostare alle restrizioni di regole e orari che le case di
ospitalità notturna impongono per i loro utenti. Secondo il sistema queste
persone sono devianti, non meritevoli, oppure causano problemi. Negli anni
passati le forze dell’ordine presidiavano in maniera massiccia gli ingressi di
via Traves per reprimere o prevenire i disordini. Nel 2023, per ovviare alle
difficoltà riscontrate con la gestione del sito, si decise anche per una
chiusura anticipata: “Chiude il dormitorio degli spacciatori” titolava un
giornale locale. Ora questa nuova selezione all’ingresso sembra un modo
alternativo per garantire l’ordine, mentre resta del tutto assente un’analisi
delle condizioni di precarietà e sovraffollamento dei servizi che generano un
clima ostile e compromettono la tranquillità delle persone.
Sulle testate cittadine, proprio in queste settimane, si legge invece
dell’indignazione per un fuoco appiccato a un cestino nei giardini Madre Teresa
di Calcutta, tra il quartiere Aurora e Barriera di Milano. Non posso fare a meno
di pensare che i ragazzi che hanno osato deturpare lo spazio pubblico possono
averlo fatto per scaldarsi, come farebbero le persone che quest’anno non possono
più entrare in via Traves. Sugli stessi giornali leggo anche del salvataggio di
alcuni migranti irregolari sulla rotta balcanica, soccorsi nelle foreste bulgare
da tre insegnanti torinesi, e in questo caso i toni sono solidali e partecipi.
Forse perché si tratta di foreste lontane: qui a Torino i dannati della terra
non hanno diritto a nessun riparo. (stefania spinelli)
AGGIORNAMENTI DALLA DIGA DI TISHREEN (ROJAVA) CON PRESENTAZIONE DELLA RIVISTA
LEGERIN E CENA BENEFIT PER MEZZALUNA ROSSA KURDISTAN
Kontiki - Via Cigliano, 7 - Torino
(venerdì, 31 gennaio 18:00)
La situazione sulla diga di Tishreen (Siria del Nord Est, DAANES) si sta sempre
più aggravando: quotidianamente vi sono morti e feriti perché lo stato turco
colpisce con droni i pressi della diga, dove da settimane vi è un presidio
popolare pacifico di protesta contro la guerra. Il danneggiamento della diga di
Tishreen, una delle tre dighe sul fiume Eufrate, rappresenterebbe un disastro
economico ed ecologico, poiché costituisce la più importante risorsa di acqua ed
energia per l'intera regione. L'esercito turco vuole neutralizzare le resistenze
sulla diga per poter aprire la strada alla conquista di Kobanê, città simbolo
della lotta contro l'ISIS, e per questo non si fa problemi a bombardare
direttamente su civili, anche quando questi stanno ballando o sono trasportati
in ambulanza.
Per fare fronte a questa crisi umanitaria e informare sulla situazione abbiamo
organizzato per venerdì sera al Kontiki (via Cigliano 7):
🌱 alle 18 presentazione del nuovo numero di Lêgerîn, rivista della gioventù
internazionalista, che tratta proprio del tema dell'ecologia sociale
⭐ alle 20 cena benefit per l'organizzazione di Mezzaluna Rossa Kurdistan, menù
vegano, puoi prenotare al 3345783133
Ci vediamo venerdì!