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La parola della settimana. Latino
NapoliMONiTOR - Sunday, February 9, 2025
Che chiagne a fa’, nun ce penza’
pecché ‘o latino ce pò aspetta’.
‘O mare no, l’estate va…
ma che studia’! Chi t’o fa fa’?
(nino d’angelo, arrivederci scuola)
Forse anche quando chiamano qualcuno a fare un laboratorio in una scuola mandano i più bravi nelle scuole “bene” e poi via via gli altri, a scendere. A me capita quasi sempre di andare in scuole sgarrupate, con muri sgarrupati, soffitti sgarrupati e alunni (loro malgrado) sgarrupati, che avrebbero bisogno di ben altra continuità di intervento educativo, nonché, probabilmente, qualità di educatori.
(credits in nota1)
Quest’anno mi è capitato di lavorare in una scuola del mio quartiere che è considerata da sempre di ottimo livello. Fino a qualche anno fa, trattandosi di un quartiere con una precisa storia e identità operaia, nelle assemblee e nei cortili di questa scuola si formavano un discreto numero di giovani attivisti, e a catena nascevano collettivi e laboratori politici. Oggi, a parte qualche eccezione, ci sono semplicemente ragazzi intelligenti, preparati e che prendono buoni voti.
Con alcuni tra questi ragazzi sto ragionando sulla capacità della scuola di riflettere le diseguaglianze del nostro quartiere (e del mondo). Sono ben al corrente, anche loro, dell’esistenza di scuole in cui si riescono a fare riflessioni, che ne so, sulla strumentalizzazione da parte del capitalismo delle battaglie per i diritti civili, e dall’altro lato di istituti in cui non si può non tener conto dei livelli insufficienti di alfabetizzazione di buona parte degli alunni, né dell’apatia spesso frutto della lunga frequentazione di un’istituzione che non gli ha saputo dare risposte (senza contare quelli che fanno il conto alla rovescia verso il sedicesimo compleanno, per abbandonare gli studi).
Con un ragazzo di una scuola sgarrupata abbiamo parlato del fatto che la scuola “dovrebbe abolire i libri” e che “ci vorrebbe una rivoluzione” perché così com’è non serve a niente.
M. non parlava di proiettare film, leggere i testi delle canzoni, o menate del genere, ma proprio di una rivoluzione. Ci ho messo io, vicino alla sua imbeccata, una riflessione su quello che forse è un cambiamento genetico dell’umanità (e quindi, soprattutto, dei giovani) nel corso degli ultimi decenni, in termini di capacità di analizzare un testo scritto, mantenere la concentrazione, memorizzare dati, acquisire conoscenze. Forse varrebbe la pena smettere di rincorrere il mito enciclopedico di una presunta “cultura generale” (sempre più a portata istantanea di click) e dedicare il tempo scolastico – utilizzando la storia, la letteratura e la matematica – allo sviluppo del ragionamento, della capacità critica, dell’abilità a cogliere sfumature e complessità del reale, almeno nelle scuole elementari e medie.
“Verrà anche incoraggiata la lettura di testi dell’epica classica ma anche della Bibbia per rafforzare le conoscenze delle radici della nostra cultura.”, spiega Valditara. Per quanto riguarda il latino, “pensiamo di reintrodurre opzionalmente elementi di latino già dalle medie, dalla seconda per la precisione, per numerose ragioni: apriamo le porte a un vasto patrimonio di civiltà e tradizioni; poi rafforziamo la consapevolezza della relazione che lega la lingua italiana a quella latina. E poi c’è il tema, importantissimo, dell’eredità”. “Adesso si apre un grande dibattito, aperto a tutto il mondo della scuola, ai corpi intermedi, alle associazioni disciplinari. A fine marzo dovremmo essere pronti con gli ultimi ritocchi perché le novità entrino in classe con l’anno scolastico 2026-27”, conclude il ministro. (Scuola, nuovi programmi: latino alle Medie, storia dell’Italia e lettura della Bibbia, il sole 24 ore)
(credits in nota2)
Anche negli Stati Uniti si parla in questi giorni di riforme della scuola, e dell’intenzione manifestata più volte dal presidente Trump di abolire in toto il Dipartimento dell’istruzione, che sarebbe colpevole, a suo avviso, di alimentare e diffondere l’ideologia woke, con l’obiettivo di contrastare ingiustizie sociali, razziali o di genere. Un compito che, considerando come è messa male l’America, forse il Dipartimento non sta svolgendo esattamente alla grande.
I festeggiamenti del primo mattino nel quartiere Little Havana di Miami sono stati di una portata che non si vedeva dalla morte del dittatore cubano Fidel Castro, otto anni prima. Anche nel sobborgo di Westchester, saturo di immigrati, i latinos hanno festeggiato oltre l’alba, quando è stato confermato il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. I festeggiamenti di mercoledì mattina nel sud della Florida hanno rispecchiato la sorprendente vittoria di Trump nella contea di Miami-Dade, a maggioranza ispanica […], che non era stata conquistata da un candidato repubblicano da più di trent’anni. La sua vittoria, alimentata in gran parte dal sostegno degli elettori latini e ispanici, in particolare degli uomini latini, si è ripetuta in una contea dopo l’altra negli stati in bilico. […] In Pennsylvania, orde di portoricani che hanno visto la loro patria definitiva “un’isola galleggiante di spazzatura” durante il comizio di Trump al Madison Square Garden appena una settimana prima, sono accorsi per dargli il loro voto. In Wisconsin, gli exit-poll hanno mostrato un aumento di sei punti rispetto al 2020, con il 43%, del sostegno ispanico a Trump, nonostante la sua condanna di alcuni immigrati come “spacciatori”, “assassini” e “stupratori” e la promessa di condurre il più grande sforzo di deportazione nella storia degli Stati Uniti subito dopo il suo insediamento. (richard luscombe, How Trump won over Latino and Hispanic voters in historic numbers, the guardian – traduzione di -rr)
Tornando alla scuola, c’è una novella di De Amicis che si chiama Latinorum e che racconta la storia del figlio di un ex spaccapietre arricchito, avviato allo studio dal padre, che intende in quel modo contrastare la tradizione e gli ostacoli sociali che frustrano l’esistenza della sua famiglia. L’operazione però non va a buon fine, dal momento che il ragazzo – a dispetto del padre che, per spirito di rivalsa sociale ha una vera e propria venerazione per l’idea del latino – mostra difficoltà a familiarizzare con tutte quelle nozioni che non rispondono a parametri di concretezza e praticità. Il latino diventa così l’emblema della scuola-barriera sociale in cui gli alunni vegetano, con alterne fortune, per un po’ di anni, con una rarissima possibilità, o meglio capacità, di cambiare destini già scritti (De Amicis sembra tuttavia prendere la cosa da un’altra angolazione, del tipo: inutile tenere tra i banchi il figlio di un operaio, anzi siccome comunque diventerà operaio, tanto vale mandarlo in officina da subito).
“Ma mi spieghi una volta cos’è quest’altra formalità che s’ha a fare, come dice; e sarà subito fatta”.
“Sapete voi quanti siano gl’impedimenti dirimenti?”.
“Che vuol ch’io sappia d’impedimenti?”.
“Error, conditio, votum, cognatio, crimen. Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas. Si sis affinis…”, cominciava don Abbondio, contando sulla punta delle dita.
“Si piglia gioco di me?”, interruppe il giovine. “Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?”.
“Dunque, se non sapete le cose, abbiate pazienza, e rimettetevi a chi le sa”.
“Orsù!…”.
“Via, caro Renzo, non andate in collera, che son pronto a fare… tutto quello che dipende da me. Io, io vorrei vedervi contento; vi voglio bene io. Eh!… quando penso che stavate così bene; cosa vi mancava? V’è saltato il grillo di maritarvi…”.
“Che discorsi son questi, signor mio?”, proruppe Renzo con un volto tra l’attonito e l’adirato.
“Dico per dire, abbiate pazienza, dico per dire. Vorrei vedervi contento”.
“In somma…”.
“In somma, figliuol caro, io non ci ho colpa; la legge non l’ho fatta io. E, prima di conchiudere un matrimonio, noi siam proprio obbligati a far molte e molte ricerche, per assicurarci che non ci siano impedimenti”.
“Ma via, mi dica una volta che impedimento è sopravvenuto?”.
“Abbiate pazienza, non son cose da potersi decifrare così su due piedi. Non ci sarà niente, così spero; ma, non ostante, queste ricerche noi le dobbiam fare. Il testo è chiaro e lampante: antequam matrimonium denunciet…”. (conversazione tra renzo tramaglino e don abbondio, i promessi sposi).
(a cura di riccardo rosa)
PS. Approfitto di questo spazio per dedicare un piccolo pensiero a Domenico Cirillo, diciassette anni, finito ieri dopo diversi giorni di limbo tra la vita e la morte. Domenico era stato travolto da un’auto che correva a gran velocità, nella zona degli chalet di Mergellina, mentre attraversava le strisce pedonali. Giovane atleta e appassionato di basket, Domenico frequentava, con ottimi risultati, la scuola di cui ho parlato all’inizio di questa rubrica.
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¹ Gennarino in: Io speriamo che me la cavo, Lina Wertmuller (1992)
² Ecce bombo, Nanni Moretti (1978)