La violazione dei diritti umani del governo Meloni

Osservatorio Repressione - Wednesday, February 12, 2025

L’illegale raid anti-migranti della destra. Tutti i soprusi delle deportazioni in Albania. Dalle procedure accelerate all’esame fulmineo delle domande, il protocollo viola le norme in materia di minori, torturati, donne incinte, ammalati: tutti nei lager senza troppe storie…

di Gianfranco Schiavone da l’Unità

A diversi giorni dalla conclusione della terza missione attuata nell’ambito del Protocollo Italia-Albania, è necessario esaminare alcune problematiche giuridiche molto serie che hanno riguardato quella procedura, e che, comprensibilmente, sono passate un po’ sotto silenzio in quanto assorbite dalla dirimente questione a tutti nota, ovvero la decisione della Corte d’appello di Roma di non procedere alla convalida dei decreti di trattenimento dei 43 richiedenti asilo rinchiusi nella struttura di Gjader ritenendo con ordinanza n. 478/2025 RG che “l’applicazione della procedura accelerata ha determinato una compressione dei diritti del richiedente, al di là della sua situazione soggettiva e, pertanto, si rende necessario verificarne la legittimità anche in ordine alla effettiva sussistenza dei presupposti giustificativi della medesima” e dunque sollevando un rinvio pregiudiziale alla CGUE, in analogia a quanto aveva fatto in precedenza la sezione specializzata del Tribunale di Roma, ora estromessa nelle sue funzioni dalla riforma introdotta con L. 187/2024.

Le questioni su cui richiamo l’attenzione riguardano: a) l’individuazione delle cosiddette situazioni vulnerabili tra i migranti soccorsi che vanno esclusi dall’applicazione della procedura accelerata di frontiera e dal trattenimento nei centri in Albania; b) il fatto che l’esame di tutte le domande di asilo si sia concluso in meno di 24 ore dall’arrivo in Albania degli stessi richiedenti asilo; c) l’effettiva possibilità per i richiedenti asilo trattenuti nel centro di Gjader di accedere ad una tutela legale. Le condizioni di vulnerabilità per le quali la normativa dispone l’esclusione dall’applicazione della procedura di frontiera sono molteplici; si tratta di: minori, minori non accompagnati, disabili, anziani, donne, con priorità per quelle in stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori, vittime della tratta di esseri umani, persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali, persone per le quali è stato accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale o legata all’orientamento sessuale o all’identità di genere, vittime di mutilazioni genitali.

Il riconoscimento dell’esistenza di alcune vulnerabilità può essere agevole e veloce ma in molti casi invece non è affatto immediato ma richiede procedure specifiche e complesse, in particolare nel caso dei minori non accompagnati, dalle vittime di tratta, dalle vittime di tortura o di altri gravi forme di violenza. Nel caso sorgano dubbi fondati in relazione all’età, le procedure di accertamento vanno svolte “in un ambiente idoneo con un approccio multidisciplinare da professionisti adeguatamente formati e, ove necessario, in presenza di un mediatore culturale, utilizzando modalità meno invasive possibili e rispettose dell’età presunta, del sesso e dell’integrità fisica e psichica della persona” (d.lgs 142/2015 art. 19 c.6).

L’accertamento “socio-sanitario è effettuato dalle equipe multidisciplinari e multiprofessionali previste dal Protocollo multidisciplinare per la determinazione dell’età dei minori stranieri non accompagnati, adottato con accordo sancito in sede di Conferenza unificata di cui al d.lgs 281/97 art. 9 c.2 lettera c)”. L’applicazione di procedure derogatorie che prevedono accertamenti dell’età condotti in modo più sommario, anche se previste dalla richiamata normativa (art. 19 c. 6ter) sono di assai dubbia legittimità (specie nel caso, come l’Albania, nel quale i migranti sono condotti forzatamente in quel paese invece che nel territorio nazionale a conclusione dei soccorsi) in ragione della irragionevole disparità di trattamento verso situazioni giuridicamente uguali.

Le Linee guida relative agli interventi di assistenza, riabilitazione e trattamento dei disturbi psichici dei rifugiati e delle persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, attuative del D.Lgs 18/2014 (decreto ministeriale 3.04.2017- Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 95 del 24-4-2017), pertanto fonte secondaria vincolante per l’Amministrazione, evidenziano come “la tortura non è immediatamente e facilmente riconoscibile specie quando, come nella maggior parte dei casi, non ha lasciato esiti visibili sul corpo e per essere individuata necessita di particolari condizioni ambientali e di relazione”; proprio in relazione alle operazioni di soccorso in mare e alle successive operazioni di sbarco le stesse Linee Guida sottolineano in modo esplicito come nei casi di “vittime di tortura o trauma estremo, le vulnerabilità non sono rilevabili durante le procedure di soccorso e identificazione al porto, spesso caratterizzate da tempo limitato e setting inadeguato”.

Nelle Procedure Operative Standard (SOP) diramate dal Ministero dell’Interno e dall’UNHCR nel 2021 e relative alla “Emersione e Referral delle persone sopravvissute a/o a rischio di violenza di genere nel contesto della procedura di asilo” si evidenzia come “L’emersione può avvenire gradualmente e può includere una, più o meno diretta, richiesta di aiuto da parte della persona stessa. L’emersione delle vulnerabilità e dei bisogni particolari delle persone richiedenti asilo è propedeutica alle azioni che devono essere messe in atto per garantire alla persona adeguata tutela, sostegno, protezione e l’accesso a percorsi di supporto”. Si faccia attenzione: i citati documenti non delineano delle generiche raccomandazioni finalizzate a definire dei setting ideali, ma delle precise procedure che vanno rispettate al fine di dare attuazione al dettato normativo che esclude le categorie vulnerabili dall’applicazione dlela procedura di frontiera.

Le operazioni di screening attuate durante le operazioni di trasporto dei migranti con le navi militari e nei centri in Albania avvengono sulla base di indicazioni operative non rese note, il che rende impossibile valutarle appieno, ma da quanto è dato sapere esse non sembrano rispondere ai requisiti minimi necessari. A poco serve sostenere che una procedura di screening propedeutica anche all’individuazione delle situazioni vulnerabili è prevista dal nuovo Reg. (UE) 2024/135 che troverà applicazione nel 2026; invocare tale Regolamento (non applicabile al momento, e altresì molto criticato) non fa che rinforzare la tesi della radicale inadeguatezza delle operazioni attualmente condotte in Albania; oltre a prevedere la presenza di personale qualificato e di procedure definite, il Regolamento prevede l’esistenza di un meccanismo di monitoraggio indipendente (art.10) al quale devono poter avere accesso anche associazioni ed enti di tutela non governativi; ciò è del tutto assente nella procedura in Albania.

Sono dunque certamente fondate le osservazioni contenute in un documento-appello steso dalle equipe mediche di MSF, Emergency, Mediterranea, SIMM, SOS Humanity laddove si evidenzia che “le procedure di screening e i criteri utilizzati per esaminare la vulnerabilità delle persone presentano elementi estremamente gravi e concorrono a determinare un sistema di selezione e deportazione che contraddice i valori deontologici della nostra professione” (Appello per una presa di posizione su criticità medico-sanitarie e rischi di salute per le persone migranti inerenti l’accordo Italia-Albania, 15.11.24). La percentuale di migranti provenienti dalla Libia che vengono sottoposti a tortura, violenze estreme, stupri e a trattamenti inumani e degradanti è elevatissimo, come attestano tutte le fonti internazionali: nel rapporto curato congiuntamente dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), dall’UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati e dal Mixed Migration Centre (MMC), intitolato “In questo viaggio, a nessuno importa se vivi o muori” (2024) emerge come circa il 40% delle persone transitate in Libia sono state vittime di gravi violenza (anni 2020-2023).

Nella relazione di accompagnamento al Rapporto del 2.05.23 della missione d’inchiesta in Libia dell’Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani si sottolinea come “ la Missione ha trovato ragionevoli motivi per credere che il personale di alto livello della Guardia costiera libica, dell’Apparato di sostegno alla stabilità e della Direzione per la lotta alla migrazione illegale abbia collusioni con trafficanti e contrabbandieri” e altresì che “La tratta, la riduzione in schiavitù, il lavoro forzato, la detenzione, l’estorsione e il contrabbando hanno generato entrate significative per individui, gruppi e istituzioni statali” (A/HRC/52/83, paragrafo 44) e infine che “il Rapporto della Missione d’inchiesta solleva inoltre preoccupazioni in merito alle prove di tortura nei centri di detenzione sotto il controllo della Direzione per la lotta alla migrazione illegale (par. 48), nonché alle prove di stupro e schiavitù sessuale (par. 50-52)”.

Nell’agghiacciante rapporto “ State Trafficking” curato da un gruppo di ricercatori internazionali, sostenuto da ASGI e Border Forensics presentato al Parlamento Europeo il 20.01.25 viene descritto in modo dettagliato un esteso fenomeno di vera e propria compravendita di esseri umani tra la Tunisia e la Libia che vede la piena responsabilità delle autorità dei due Paesi. Considerato che il numeroso gruppo di richiedenti asilo oggetto della terza operazione realizzata nell’ambito del protocollo Italia-Albania fosse interamente proveniente dalla Libia, è dunque doveroso chiedersi come mai non è stata individuata pressochè nessuna vittima di tortura o gravi violenze, né in fase di screening, prima delle audizioni da parte della Commissione territoriale per il diritto d’asilo, e neppure durante le audizioni stesse.

È irragionevole pensare che l’intero gruppo di richiedenti fosse composto da persone che, tutte miracolosamente, non avevano subito alcuna grave violenza, né nel paese di origine, né in Libia e negli altri paesi di transito. E se tali gravi violenze sono invece emerse nella forma di testimonianze dei richiedenti, perché, anche nelle more di ulteriori accertamenti, tali richiedenti non sono stati esclusi dalla procedura accelerata di frontiera ? Si tratta di interrogativi la cui non infondatezza è evidente e che gettano un’ ombra molto pesante sull’intera operazione.

FINE PRIMA PARTE (CONTINUA)

 

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