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La Cassazione smonta il processo all’accoglienza. Il modello Riace non è un crimine
Osservatorio Repressione - Thursday, February 13, 2025La Cassazione chiude il caso giudiziario Mimmo Lucano e smonta la campagna delle destre. Non c’era truffa nell’accoglienza dei migranti: di una maxi condanna restano le briciole. Resta una condanna per falso ma il “modello” era valido. Il modello Riace non era un crimine, resta l’alternativa alle deportazioni in Albania
di Silvio Messinetti da il manifesto
Dopo quasi 2500 giorni si conclude l’odissea giudiziaria di Mimmo Lucano. La Corte di Cassazione, al termine di cinque ore di camera di consiglio, pronuncia un verdetto solo in apparenza salomonico: rigettati i ricorsi della Pg e della difesa. Perché tra le pieghe del codice penale tutti i reati non hanno evidentemente lo stesso peso. E una truffa aggravata non è equiparabile ad un falso.
Una linea, intanto, i giudici capitolini di piazza Cavour ieri pomeriggio l’hanno tracciata in via definitiva. Il sistema di accoglienza multietnica realizzato in questi ultimi venti anni nella Locride dall’europarlamentare di Avs e attuale sindaco di Riace non era una truffa. Respinto, dunque, in quanto giudicato inammissibile il ricorso della Procura generale di Reggio Calabria che chiedeva l’annullamento con rinvio della sentenza di appello che aveva assolto Lucano e altri 12 imputati dai reati di truffa ai danni dello Stato, abuso di ufficio e falso relativamente a 56 delibere comunali (quest’ultimo crimine ascritto al solo Lucano).
IL MODELLO RIACE non era fraudolento e Lucano non si è arricchito come aveva sentenziato il tribunale di Locri nell’ottobre del 2021, condannandolo a 13 anni di reclusione e un milione di euro di multa. Una tesi demolita 2 anni più tardi dai giudici di seconde cure secondo i quali non si erano realizzata l’associazione a delinquere (la Procura generale, sul punto, non aveva nemmeno impugnato l’assoluzione), non si era verificata alcuna truffa e men che meno c’era stato arricchimento personale degli imputati.
COME NOTO, all’inizio dell’inchiesta, i pm avevano accusato l’ex sindaco di Riace di una truffa «con conseguente ingiusto profitto di 10 milioni di euro». Per il Riesame, invece, la cifra era stata ridimensionata a 343mila euro cioè «la differenza tra quanto ottenuto e le spese realmente effettuate». La Corte d’Appello infine aveva certificato che Lucano non aveva preso nemmeno quelli.
È vero che la Cassazione ha respinto ieri anche il ricorso incidentale presentato dalla difesa, che chiedeva l’annullamento della sentenza di appello per il falso relativo a una determina per un concerto, per la quale Lucano era stato condannato a un anno e mezzo. Ma trattasi di un fatto decontestualizzato dal sistema di accoglienza e che avrebbe avuto un senso processuale solo nel caso in cui fosse stata contestata la continuazione del reato ovvero l’istituto che punisce con un aumento di pena una pluralità di violazioni a seguito di plurime condotte avvinte dal medesimo disegno criminoso. Ma i giudici di piazza Castello, sede della Corte di appello reggina, avevano già espunto tale “continuazione” a differenza degli omologhi locresi.
E IL FALSO per il concerto è rimasto lì. Come un feticcio a cui si aggrappa ora disperatamente la propaganda della destra per dire che “Lucano è stato condannato in giudicato”. Senza considerare peraltro che falsitas quae nemini nocet non punitur, e dunque non dovrebbe essere neanche punibile una falsità che non nuoce a nessuno. La sentenza d’appello, che esce inalterata in toto, aveva accolto praticamente tutti i punti principali sollevati dai difensori, gli avvocati Pisapia e Daqua, e lanciato critiche acuminate alla sentenza di prime cure contestandone la dimensione elefantiaca «che offusca le ragioni della decisione», oltre che «l’integrale ed acritica trascrizione delle prove».
UN APPROCCIO seguito dal collegio d’appello che aveva aperto una distanza abissale con i giudici di Locri a cui era stata contestata una malcelata politicizzazione della decisione a discapito delle tecnicalità giuspenaliste e della solidità dei capi d’imputazione. Nello specifico della truffa, unico reato di peso sindacato in Cassazione dalla Pg, sarebbe mancata «la prova degli elementi costitutivi del reato». Anche perché le intercettazioni, su cui si fondava l’impianto accusatorio, erano state giudicate inammissibili a causa di un utilizzo irrituale delle captazioni (sostenuto su questo giornale da autorevoli giuristi) dovuto al fatto che «esse furono inizialmente richieste ed autorizzate per i reati di cui agli artt. 317, 323 e 640 bis c.p. e sulla scorta della prima relazione ispettiva».
Non era possibile, ovviamente, intercettare per l’ipotesi di abuso d’ufficio (poi tramutato in sentenza addirittura nel reato di truffa, di cui non vi è prova), per cui le captazioni erano state effettuate fuori dai casi previsti dalla legge. Lucano è stato condannato in via definitiva a 18 mesi con pena sospesa vale a dire che non verrà applicata per un determinato periodo di tempo. Al termine del quale il reato si estinguerà.
«Ora Riace diventi un esempio per l’Europa della solidarietà»
«Sono felice. Ho inquadrato questa esperienza sotto la luce della lotta politica. Riguardava me, ma avrebbe potuto riguardare chiunque altro. Per me è stata un’esperienza legata a una militanza che non ho mai smesso di portare avanti». Dopo anni di processi e senso di solitudine, Mimmo Lucano si sente finalmente sollevato.
La Corte di Cassazione ha messo una pietra tombale su un impianto accusatorio che voleva fare di Riace un modello criminale. Assolto per i reati più gravi – resiste all’ultimo grado di giudizio solo la condanna a 18 mesi per falso, con sospensione della pena – l’eurodeputato non perde il sorriso: «Sì, è vero è rimasta la condanna per falso. Però, a dire la verità, non capisco nemmeno la natura di questo reato. È un illecito amministrativo, che non ha alcuna valenza per me».
Che idea si è fatto di ciò che è accaduto in tutti questi anni di processo?
All’inizio non me ne rendevo nemmeno conto, ma a un certo punto ho capito che il potere non poteva permettersi di lasciare indisturbato ciò che stava accadendo a Riace. Riace aveva ribaltato il paradigma della narrazione criminale sulla migrazione anche grazie agli atteggiamenti spontanei della gente del posto, fatti di accoglienza e ospitalità. È un’antropologia che favorisce il senso di solidarietà. Io ho voluto legare tutto ciò a un valore politico: stare dalla parte dei più deboli, dei migranti, di chi vive nel disagio sociale.
Crede ci sia stato un accanimento politico nei suoi confronti?
L’esperienza di Riace è stata una vera e propria rivoluzione. Mi viene subito in mente Dino Frisullo, che mi ha fatto innamorare della questione curda e di quella palestinese. E anche il regista Wim Wenders, che ha parlato di Riace come di un’utopia che non poteva che essere ostacolata. Questa è una battaglia che mette in contrasto i valori della sinistra, basati su uguaglianza e solidarietà, con quelli della destra, che purtroppo parlano un altro linguaggio: quello del razzismo, della violenza, dei lager libici e dei torturatori.
Cosa è rimasto oggi del modello Riace oggi?
Riace oggi è ancora in piedi, nonostante tutte le difficoltà. Abbiamo resistito per cinque anni, anche sotto un’altra amministrazione comunale, ma ora vogliamo guardare al futuro. Non vogliamo che Riace diventi una delle tante realtà segnate dal declino sociale e dall’oblio. L’accoglienza è stata una speranza non solo per i migranti ma anche per le comunità locali: accogliere significa aprire nuove scuole, asili, oratori.
Parlare di accoglienza in epoca di deportazioni a Guantanamo e in Albania?
La questione migratoria è centrale in un dibattito mondiale che va dagli Stati Uniti all’Europa, passando per l’Italia e la Libia. Spesso le soluzioni proposte sono disumane. L’Italia ha contribuito a questa tragedia firmando i memorandum con la Libia nello stesso periodo in cui Riace veniva criminalizzata: non potevano permettere che un piccolo comune raccontasse una storia completamente alternativa.
Cosa si augura per il futuro?
Mi auguro che questa esperienza possa essere un esempio per l’Europa. Non un’Europa dei fili spinati, delle barriere, dei campi di internamento, ma un’Europa della democrazia, dell’accoglienza, della solidarietà. L’Europa deve scegliere: o continua su questa strada, o rinnega se stessa. Con questa sentenza, possiamo dire che il modello Riace non è solo un sogno, ma un futuro possibile. (intervista a cura di Rocco Vazzana per il manifesto)
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