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Turchia: Arresti e sindaci rimossi
Osservatorio Repressione - Tuesday, February 18, 2025La repressione del governo turco mette a dura prova il tentativo di negoziato con i curdi e il Pkk. Opposizione nel mirino: l’accordo elettorale tra Dem e Chp è tacciato di «terrorismo» Intervista all’avvocato del fondatore del Pkk: «Da ogni processo di dialogo, anche se fallito, il movimento curdo è uscito rafforzato. E a livello internazionale, la causa curda ha consolidato alleanze e collaborazioni»
di Alessandro Tomaselli da il manifesto
Accanto ai negoziati, si intensifica la repressione. «Ma sarebbe proprio sbagliato parlare di negoziati», puntualizza subito Sedat Senoglu, portavoce del Halklarin Demokratik Kongresi (Congresso democratico dei popoli). «Per ora da parte del governo c’è soltanto qualche vaga apertura, ma non si è avviato alcun dialogo vero», afferma ricordando come nell’ultima settimana si è abbattuta sulle opposizioni turche una nuova ondata di misure discriminatorie.
MARTEDÌ SCORSO, per esempio, dieci membri dello stesso Congresso – una piattaforma di elaborazione politica nata nel 2011, che riunisce esponenti della “sinistra diffusa” nel paese, dagli esponenti di partiti ai sindacati fino all’attivismo Lgbt – sono stati arrestati. Si tratta di consiglieri comunali e sindaci eletti nella tornata dell’anno scorso, grazie a una cooperazione fra le forze filocurde Dem e l’opposizione kemalista Chp che si erano accordate per un mutuo appoggio in alcuni distretti.
Ora questo accordo viene definito dal pubblico ministero di Istanbul che ha avviato l’indagine come un’operazione di «terrorismo». Secondo il teorema giudiziario, si tratterebbe di una mossa messa in campo su «direttive del Pkk». «Non è certo la prima volta che subiamo pressioni, ma adesso è diverso – prosegue Senoglu – Ci sembra chiaro che gli ultimi arresti sono legati alla possibile liberazione di Öcalan e all’ipotesi di negoziati. Purtroppo, la strategia del governo non cambia: attraverso le misure discriminatorie, cercano di dividere i partiti d’opposizione e, soprattutto, vogliono colpire noi perché siamo un soggetto che tenta di portare il processo di pace oltre il perimetro della politica rappresentativa».
Secondo il portavoce, infatti, la forza del Congresso sta nella sua capacità di far incontrare diverse componenti della popolazione e, dunque, di inverare «dal basso», dentro il corpo sociale, ciò che nel frattempo avviene a un livello superiore, e più celato al pubblico, con i colloqui tra il fondatore del Pkk e la delegazione del partito Dem che lo sta incontrando dal dicembre scorso nell’isola-carcere di Imrali.
Il problema è che la volontà delle persone si scontra con la continua contestazione da parte governativa dei risultati democratici. A Van, nell’estremo est del paese, questa ha preso le forme di un vero e proprio assedio alla sede del consiglio comunale.
DOPO CHE MARTEDÌ scorso è arrivata una sentenza di condanna per il co-sindaco eletto nelle fila Dem Abdullah Zeydan, sempre con motivazioni legate ad accuse di complicità con il «terrorismo», in città si sono scatenate proteste e cortei.
Esponenti di diversi partiti si sono recati sul posto, per provare a resistere alla sostituzione coatta di rappresentanti regolarmente eletti (dalla tornata del 2024 a oggi, si contano undici sindaci destituiti in favore di funzionari governativi, pratica che soprattutto nelle zone a maggioranza curda è costantemente portata avanti da almeno una decina di anni). Ma, nella notte fra venerdì e sabato, l’amministrazione è stata rimossa con la forza e fra i manifestanti si sono verificati 127 arresti, tra cui anche il co-sindaco di Diyarbakır Dogan Hatun (poi rilasciato).
«Queste repressioni stanno danneggiando il processo di pace», racconta dall’altro capo del paese, a Istanbul, il parlamentare eletto nelle fila Dem Cengiz Çiçek. Non a caso, ormai da anni, fuori dalla sede del partito campeggia uno striscione di protesta proprio contro la rimozione dei sindaci che colpisce numerose città.
Nell’area di Tarlabası, dove si situa l’edificio, è come se la laccatura dei negozi del via centrale di Istiklal venisse “slavata via” per lasciare spazio a strade puntellate di edifici diroccati che digradano verso Kasımpasa, quartiere natio dell’attuale presidente, Erdogan.
«In questo momento c’è effettivamente una contraddizione tra le parole di apertura che arrivano dal governo e il clima politico creato dalle misure discriminatorie che mette in pratica», prosegue Çiçek. «Fa dubitare della sua sincerità nel portare avanti i negoziati e, soprattutto, rende difficile per noi organizzare il sostegno necessario per condurre tali negoziati fra gli elettori».
A MAGGIOR RAGIONE se, nel frattempo, anche il carismatico sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu del Chp, da molti visto come il prossimo sfidante di Erdogan, si trova sotto processo per corruzione e rischia oltre quattro anni di carcere. In questi giorni, si sono svolti alcuni presidi di solidarietà presso il tribunale in cui è imputato. Dunque, per il portavoce del Congresso democratico, è inevitabile che nella società turca alla speranza per i negoziati si accompagnino «ansia» e «cautela» verso il governo.
«La politica del paese è improntata sulle divisioni – conclude Çiçek – Ma la nostra unica “linea rossa” è la promessa fatta ai nostri sostenitori di un futuro di libertà e di pace».
Mahmut Sakar: «In attesa del messaggio di Ocalan, tra i curdi c’è una cauta speranza»
In Turchia, nell’ottobre, 2024, il governo centrale ha avviato un nuovo percorso di dialogo con Abdullah Ocalan. Il primo passo è stato mosso dal principale alleato del partito al governo, Devlet Bahçeli, leader del Partito del movimento nazionalista, Mhp.
L’invito di Bahçeli era rivolto allo storico leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk): gli chiedeva di fare un appello storico con l’obiettivo di sciogliere l’organizzazione che conduce la lotta armata contro lo Stato turco dal 1978.
Ocalan, condannato all’ergastolo e in isolamento nel carcere speciale dell’isola di Imrali dal 1999, dall’ottobre scorso ad oggi ha incontrato una volta suo nipote, nonché parlamentare d’opposizione, Omer Ocalan, e due volte una delegazione composta da due parlamentari appartenenti al secondo partito d’opposizione, il Partito dell’Uguaglianza e della Democrazia dei Popoli (Dem). Nei tre incontri, Ocalan si è detto disponibile a lavorare per avviare un percorso di riconciliazione tra il popolo curdo e quello turco, ma anche per consolidare la pace e la democrazia in Turchia e in Medio Oriente.
In questo periodo sia Ocalan che vari vertici del Pkk presenti in diverse parti del mondo hanno sottolineato come la sua libertà sia fondamentale per creare condizioni negoziali adeguate. In quest’ottica, è importante ricordare che dal 2019 a Ocalan è negato il diritto di incontrare i suoi avvocati.
Mahmut Sakar è uno di loro. Il 15 febbraio ha partecipato a Vienna all’incontro internazionale People’s Platform Europe, iniziativa di tre giorni organizzata dall’Academy of Democratic Modernity con l’obiettivo di discutere , insieme a movimenti, partiti e sindacati, strategie di resistenza ai fascismi globali ispirandosi al progetto curdo del confederalismo democratico. In occasione del 26esimo anniversario della cattura di Abdullah Ocalan, abbiamo intervistato Mahmut Sakar.
Quali sono le condizioni in cui questo nuovo dialogo con la Turchia si sta svolgendo?
L’attuale situazione mi ricorda il complotto del 1999. Anche in quel periodo le condizioni internazionali erano in una fase di evoluzione. Anche oggi possiamo parlare di una serie di cambiamenti straordinari, soprattutto in Medio Oriente. Tuttavia, se nel 1999 Ocalan era da solo, oggi sia lui che i curdi non sono da soli.
I curdi partono oggi da una serie di risultati straordinari, in una condizione decisamente diversa.
L’esperienza del confederalismo democratico in Rojava e i risultati ottenuti sul campo sono una prova di questa idea. Inoltre, oggi possiamo parlare del movimento per la liberazione del popolo curdo come di una realtà più forte ed evoluta. A livello internazionale, la causa curda ha consolidato in tutto questo tempo una serie di alleanze e collaborazioni.
C’è speranza tra i curdi? E che peso hanno i commissariamenti dei comuni guidati dal Dem in Turchia e gli arresti di attivisti e giornalisti?
C’è una positività cauta. Il popolo curdo continua a fidarsi di Ocalan e del risultato che potrebbe ottenere, soprattutto tenendo in considerazione l’esperienza che sia lui che il movimento hanno maturato in questi anni. Tuttavia, la repressione contro gli esponenti parlamentari del partito Dem e contro i diversi strati della società civile continua. Quindi siamo cauti, ma ricordiamo che dopo ogni processo di dialogo e di pace, anche se fallito, il movimento curdo è uscito rafforzato. Per esempio, nel 2015, in uno dei periodi più difficili della storia della Turchia, il partito Hdp (il predecessore del Dem, ndr) aveva superato il grande sbarramento elettorale del 10%.
Che effetto può avere sul futuro del nuovo percorso di dialogo l’eventuale pressione internazionale sul regime turco?
Le forze democratiche e rivoluzionarie presenti in Turchia e in diverse parti del mondo, gli osservatori internazionali e, in particolare, i paesi europei devono sostenere il nuovo percorso per ottenere un successo. In quest’ottica va letto anche un fatto storico importante: secondo la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), Ocalan, 26 anni dopo, avrebbe diritto alla scarcerazione attraverso il meccanismo del «diritto alla speranza». È giunto il momento per la sua libertà, che lo permetterà di lavorare in modo più costruttivo per la pace.
Si riferisce alla serie di decisioni che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha preso in diversi momenti negli ultimi vent’anni e che aprono le porte della scarcerazione anche a persone condannate all’ergastolo per reati gravi.
Nel suo storico appello, anche il leader nazionalista turco Bahçeli, lo scorso autunno, ha aperto all’utilizzo di questo diritto da parte di Ocalan. Aspettiamo con entusiasmo le dichiarazioni di Ocalan (attese per fine mese, ndr). Siamo prudenti ma anche pieni di speranza per il futuro. (intervista a cura di Murat Cinar per il manifesto)
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