Carcere di Reggio Emilia: «Percosse» sul detenuto incappucciato. Condanne a 10 poliziotti

Osservatorio Repressione - Tuesday, February 18, 2025

Il Gup riqualifica i reati e ammorbidisce le pene per i dieci agenti che avevano picchiato un detenuto tunisino nel carcere di Reggio Emilia. Condanne dai 4 mesi ai 2 anni di carcere. «Attonito» il legale di parte civile. Condannati per falso altri tre poliziotti penitenziari

di Eleonora Martini da il manifesto

La testa chiusa in una federa stretta al collo, trasportato di peso nudo dalla cintola in giù, i colpi inferti «dall’alto verso il basso», dove il detenuto già versava dopo lo sgambetto che lo avrebbe fatto crollare. Calpestato, secondo le immagini registrate dalle telecamere interne di videosorveglianza.

Tutto questonon fu tortura, ma «abuso di autorità in concorso». Non furono lesioni ma percosse aggravate. Il processo in primo grado, con rito abbreviato, ai dieci poliziotti penitenziari del carcere di Reggio Emilia che erano stati accusati a vario titolo di tortura, lesioni e falso in relazione al pestaggio di un detenuto tunisino avvenuto il 3 aprile 2023, si è chiuso così, ieri, con pene molto più basse di quelle richieste dalla procura e con la riqualificazione dei reati a loro ascritti. Dopo quasi quattro ore di camera di consiglio, la Giudice per le udienze preliminare reggiana, Silvia Guareschi, ha riconosciuto gli imputati rei di aver usato violenza nei confronti del detenuto ma ha negato che fosse tortura e ha comminato loro condanne che vanno dai due anni ai quattro mesi di reclusione, respingendo così le accuse del Pubblico ministero Maria Rita Pantani che aveva richiesto pene fino a cinque anni e otto mesi di carcere per un imputato in particolare, e cinque anni per altri sette agenti. Confermato, invece, il reato di falso per i tre imputati a cui era contestato.

La vittima, un quarantenne di origine tunisina, è ancora rinchiuso nel carcere di Reggio Emilia per scontare gli ultimi mesi di pena dei tre anni di reclusione ai quali è stato condannato per reati legati allo spaccio. Quel giorno di quasi due anni fa, sul detenuto che, secondo gli agenti, stava facendo resistenza al trasferimento in isolamento si sono scagliati in tanti: secondo la ricostruzione della procura che ha mostrati i filmati della videosorveglianza annessi agli atti del processo, l’uomo fu incappucciato e brutalmente malmenato, anche quando era riverso a terra. Durante il rito abbreviato voluto dagli imputati, tutti gli agenti hanno chiesto scusa al detenuto che si è costituito parte civile. Otto di loro hanno anche versato mille euro ciascuno come gesto riparatorio. Ma prima del processo i poliziotti penitenziari che intervennero il 3 aprile 2023 (tra loro un vice ispettore, tutti ancora sospesi dal servizio) riferirono che il detenuto avesse sputato loro addosso e fosse armato di lamette da barba. Secondo la vittima, invece, le violenze continuarono anche quando venne trasferito in isolamento e lui dovette ferirsi con dei frammenti di un lavandino per richiamare l’attenzione del medico. Il quale gli venne in soccorso, trovandolo in una pozza di sangue.

La sentenza, pronunciata in un’aula riempita dai parenti, dai colleghi e dagli amici degli imputati, è stata accolta dall’avvocato Luca Sebastiani, legale di parte civile per il detenuto, con stupore: «Sono perplesso e attonito – ha detto – leggeremo le motivazioni che hanno portato alla riqualificazione del reato di tortura che è ciò che più ci interessava. Al di là della pena, che non ci interessa in alcun modo, e del risarcimento che ci interessa in maniera incidentale – ha sottolineato l’avvocato – L’incappucciamento e il denudamento in quelle modalità, il pestaggio che c’è stato, come si vede dalle immagini di videosorveglianza, erano chiare e non a caso il Gip e il Riesame avevano confermato quella qualifica, la tortura. Ad oggi il quadro è cambiato, valuteremo le opportune mosse una volta lette le motivazioni».

Se non altro, il dispositivo emesso ieri, in primo grado, spazzerà via una certa vulgata cara alle destre secondo la quale la legge sulla tortura interferisce con il lavoro (sano) delle forze dell’ordine.

L’associazione Yairaiha Onlus che da sempre si batte per il diritto dei detenuti vede il bicchiere mezzo pieno. Ritiene che la decisione rappresenta un passo importante nella lotta contro gli abusi e la violenza all’interno delle strutture detentive, riaffermando il principio che nessuno, neanche in stato di detenzione, può essere privato della propria dignità e sottoposto a trattamenti disumani e degradanti.
Il video agli atti dell’inchiesta ha mostrato immagini inaccettabili: un uomo incappucciato con una federa stretta al collo, denudato, sgambettato e ripetutamente colpito con calci e pugni, anche quando era già a terra, per poi essere nuovamente picchiato e lasciato nudo dalla cintola in giù per oltre un’ora. Un comportamento che non solo viola i diritti fondamentali della persona, ma getta un’ombra sulle istituzioni che dovrebbero garantire la legalità e la sicurezza per tutti, detenuti e operatori.

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