Incuriositi dall’improvvisa discesa in piazza dei bulgari esasperati da
corruzione, raddoppio delle imposte, inflazione al 3,8 per cento, spese militari
spropositate, apprensione per l’ingresso nell’euro – che non porta mai bene ai
cittadini – una classe politica inetta e inamovibile dopo 7 tornate elettorali
in poco più di 3 anni, ci siamo rivolti a Francesco Dall’Aglio, a cui per
abitudine in coda non abbiamo potuto esimerci dal chiedere aggiornamenti dal
fronte ucraino, perché lavora presso l’università di Sofia e conosce
perfettamente lingua, storia e politica del paese balcanico. Come al solito con
Francesco ne è scaturito un quadro preciso e disincantato delle motivazioni e
delle prospettive delle proteste .
Un altro palcoscenico che nella settimana ha presentato una situazione ancora
irrisolta, e piuttosto sulfurea, è la Guinea Bissau, dove si è assistito a uno
strano golpe a ridosso dello scrutinio elettorale, che da subito è parso un
tentativo di Umaro Sissoko Embalò di mantenere il potere nel narcostato, porto
di passaggio della droga sudamericana distribuita in Eurasia. Un nuovo episodio
che si somma ai molti che stanno scuotendo la regione affacciata sul Golfo di
Guinea: jihadismo importato dal Sahel, con il postcolonialismo,
ridimensionamento delle potenze europee e importanza di Cina e Russia, Gen Z
dall’Africa anglofona… problematiche collegate a difficoltà a far decollare
un’economia che non sia di rapina e renda l’Africa un mercato e non un
territorio di saccheggio e transito di beni. Ad approfondire questa analisi si è
prestato Andrea Spinelli Barrile.
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UN PAESE ESASPERATO TESTIMONIA LA SFIDUCIA A UN MESE DALL’EURO
«Il 26 novembre 2025 Sofia ha vissuto la mobilitazione più imponente degli
ultimi anni. Tra le 18.000 e le 22.000 persone hanno riempito il “Triangolo del
Potere”, bloccando il centro della capitale e trasformando il dibattito sul
bilancio 2026 in una critica all’erosione del dialogo sociale, all’inflazione e
al ruolo crescente dei poteri informali nella sfera pubblica»., nell’incipit di
Valerio Evangelista per “EastJournal” è riportato il momento in cui è esplosa la
contestazione che ribolliva da molto tempo e che già si poteva prevedere dopo le
numerose e inutili consultazioni elettorali, che hanno portato a esecutivi
palesemente senza legittimazione, ma che hanno portato a incrementi di spesa,
soprattutto militare; raddoppi di imposte – che si fondano su un sistema di flat
tax al 10 per cento – e di debito pubblico; l’inflazione quasi al 4 per cento;
un governo che comprende il partito filorusso, ma che approva più di 6 miliardi
di spesa per le armi (da rivolgere contro Mosca)… La manovra ha scontentato
tutti, ma stupisce la contestazione da parte dei giovani: non è così scontato
vedere teenagers scendere in piazza contro la legge di bilancio, ma
probabilmente hanno interpretato la protesta contro la manovra finanziaria come
risposta a precarietà, corruzione e soprattutto sfiducia nelle istituzioni,
condivisa con tutto il paese e senza che la mobilitazione tragga linfa da
organizzazioni e partiti o da atteggiamenti ideologici.
Alcuni indicano il vero obiettivo della protesta non nel premier Zhelyazkov,
bensì in Delyan Peevski: oligarca, deputato e co-presidente del Dps, da anni
indicato da ong e istituzioni internazionali come uno dei principali centri di
potere informale del paese. Pur non facendo parte del governo, Peevski influenza
la maggioranza parlamentare e l’agenda legislativa della coalizione di governo,
diventando il bersaglio simbolico del malcontento.
Anche in questo caso, nonostante l’entusiasmo di fronte a lotte sociali
brulicanti in piazza e che il 1° dicembre hanno visto le bandiere di One Piece
puntare direttamente sulle sedi dei partiti di governo e provocando blackout
estesi fino al mattino, con Francesco Dall’Aglio, docente proprio all’Università
di Sofia, cerchiamo di comprendere meglio il fenomeno che difficilmente riuscirà
a ottenere le dimissioni di Rosen Željazkov e tantomeno potrà fermare la
macchina che sostituirà dal 1° gennaio il Lev con l’Euro.
Non poteva mancare in coda un accenno alle dichiarazioni putiniane sulla
“Piccola Russia”.
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NUOVO CAPITOLO DELLE TURBOLENZE IN AFRICA OCCIDENTALE: SCONTRO TRA CARTELLI A
BISSAU
Il piccolo paese da 2 milioni di abitanti era andato alle urne domenica 23
novembre per scegliere il nuovo presidente. I contendenti principali erano
due. Il presidente uscente Umaro Sissoco Embaló e il rappresentante
dell’opposizione Fernando Dias, scelto all’ultimo come sostituto del vero leader
dell’opposizione Domingos Simões Pereira, che era stato escluso per via
giudiziaria.
La Guinea Bissau è un paese povero ma strategicamente rilevante e quindi al
centro delle rotte dei trafficanti di cocaina colombiani verso l’Europa e gli
Stati Uniti . L’esercito e la politica sono infiltrati dal narcotraffico che
determina e condiziona le scelte politiche del paese che fu liberato dalla
dominazione portoghese da Amilcar Cabral. Enormi disuguaglianze, repressione
verso gli oppositori, ingombrante presenza dell’esercito non nuovo a colpi di
stato, condizionamento dei signori della droga fanno della Guinea Bissau un
narcostato senza infrastrutture e con deboili istituzioni.
Con il golpe è stato deposto il presidente uscente Umaro Sissoco Embaló,
sostituito da un generale dell’esercito. Fin da subito però l’opposizione aveva
accusato Embaló di aver orchestrato tutto per non perdere il potere.L’esito
delle elezioni del 23 novembre non potrà essere conosciuto a causa della
distruzione delle schede elettorali da parte dei militari,forse per impedire una
potenziale vittoria dell’opposizione .
Ne parliamo con Andrea Spinelli Barrile giornalista esperto di Afriche.
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