(disegno di cyop&kaf)
GENNAIO
“Vi dovete integrare!”. Critica dei discorsi conservatori dopo la morte di Ramy
Elgaml
La parola integrazione, infatti, è talmente diffusa che il suo uso è scontato e,
di fatto, normalizzato. Anche in contesti progressisti, dove tutt’al più si
fanno distinguo ma non si mette in discussione l’idea che “ci si debba
integrare”. La mia visione radicalmente critica della parola integrazione è
dovuta al fatto che il suo significato è interpretato in termini
prevalentemente, per non dire esclusivamente, culturalisti. Integrarsi, in
sostanza, equivale a mettere da parte la propria cultura – di base concepita
come “nazionale” – per accettare quella del paese di arrivo. Questioni materiali
come le diseguaglianze economiche e giuridiche – banalmente, la dipendenza da un
permesso di soggiorno per poter vivere in modo stabile in un luogo –, le
asimmetrie di potere, la segregazione occupazionale e abitativa non sono prese
in considerazione o, quantomeno, non sono considerate centrali. La partita
dell’integrazione si gioca al tavolo della cultura. Come se le persone fossero
portatrici di una sorta di abito culturale ben definito e identificabile,
trasmesso loro dalla famiglia di appartenenza, la quale, a sua volta, non
sarebbe altro che l’espressione coerente di valori e comportamenti tipici della
comunità nazionale di provenienza. (leggi l’articolo)
FEBBRAIO
La sentenza sulla Terra dei Fuochi e l’archivio delle lotte ambientali
Tra le calunnie mosse agli attivisti e ai comitati campani dai vari carrozzoni
politici e mediatici che hanno presieduto allo svolgersi di uno dei più grandi
disastri ambientali della storia italiana, le più infamanti erano due: “Siete
manovrati dalla camorra” e “Se vi ammalate è colpa dei vostri stili di vita”.
Noi che ci siamo stati sulle discariche, che abbiamo denunciato la camorra e lo
Stato in ogni sede, noi che abbiamo studiato il problema nelle sue articolazioni
criminali, tossicologiche e sanitarie, sapevamo che erano accuse strumentali.
Erano modi attraverso cui governanti e pseudo-intellettuali scaricavano le
proprie responsabilità, sotterrando la verità della loro complicità o
indifferenza nel vociare della propaganda di regime, legittimando la
repressione. Nei presìdi e alle manifestazioni alle volte eravamo in pochi,
altre in tanti, molti di più di quanto i nostri avversari si aspettassero. In
ogni caso, niente di ciò che è stato fatto al suolo, all’aria e all’acqua di
quella che è diventata tristemente famosa come Terra dei Fuochi, fu ignorato o
non combattuto dalla militanza ecologica degli attivisti campani. Noi sapevamo,
e ve l’abbiamo detto in tutti i modi. (leggi l’articolo)
MARZO
La legge SalvaMilano, la fine della città pubblica e l’autocrazia
Possiamo chiamare il decennio milanese dall’elezione di Pisapia al Covid
(2011-2020) l’epoca d’oro della rigenerazione urbana alla milanese, in cui è
stato progettato e realizzato un modello di crescita urbana profondamente
classista, basato sull’attrazione di fondi finanziari, la “lussificazione” della
città e l’espulsione dei ceti meno agiati, la distruzione sistematica del
welfare urbano e la glorificazione della rendita immobiliare. La città si è
trasformata inseguendo la massima valorizzazione del metro quadro, ed è stata
quindi densificata in barba al consumo di suolo, al rispetto dei vuoti che
garantiscono vivibilità, luce e aria, privatizzando spazi e servizi pubblici.
Per dispiegare indisturbati una tale quantità di violenza urbana e sociale sui
cittadini è stato necessario fare due cose: esercitare un controllo assoluto
sulla comunicazione – affiancando la propaganda alla censura – ed erodere le
leggi urbanistiche che ancora ostacolano l’aggressione degli interessi privati
al tessuto urbano privando gli abitanti del diritto all’abitare e alla stessa
vita civile. (leggi l’articolo)
APRILE
Il bosco tra le piste Porsche è salvo, ma non l’ha salvato la Regione Puglia
Il piano prevedeva l’ampliamento dei circuiti con nuove piste e impianti su
duecento ettari guadagnati distruggendo l’ultimo pezzo di un antico bosco
mediterraneo ed espropriando terreni dei cittadini. Tutto con il consenso
della Regione Puglia e dei comuni di Nardò e Porto Cesareo, che riconoscevano in
questo progetto la pubblica utilità. L’area rientra in un sito di interesse
comunitario e in una riserva regionale, è tutelata dalla normativa comunitaria,
la Direttiva Habitat e la rete Natura 2000 per la salvaguardia della
biodiversità. Normative che sono state aggirate senza il parere della
Commissione europea e senza dibattito pubblico, ignorando numerosi pareri
d’impatto ambientale negativi. Tutto grazie al “rilevante interesse pubblico”
connesso alla salute dell’uomo e alla sicurezza pubblica. Infatti, alla
distruzione del bosco, il progetto affianca la realizzazione di un centro di
elisoccorso attrezzato con eliporto e strutture sanitarie, un centro
polifunzionale e un centro di sicurezza antincendi. Molto è stato detto riguardo
la reale utilità pubblica di queste opere: gli ospedali di Lecce e Brindisi sono
sprovvisti di piste di atterraggio e gli incendi che nei mesi estivi hanno
interessato i terreni limitrofi all’anello di Porsche non hanno visto i soccorsi
di NTC. (leggi l’articolo)
(disegno di leMar)
MAGGIO
Riflessioni sul referendum per la riforma della legge sulla cittadinanza
L’ottenimento della cittadinanza formale non è sufficiente in sé per essere
considerati italiani. Lo racconta bene Salwa, ventitré anni, d’origine egiziana:
«È vero che ho preso la cittadinanza italiana ma mi guardano da straniera, da
terrorista. È vero che lo Stato mi ha riconosciuta come italiana, ma alla fine è
un pezzo di carta, la gente non mi riconosce; quindi, mi sento come se non
valesse. Dal punto di vista burocratico mi ha facilitato un sacco di cose però
non vengo vista come un’italiana quindi è una presa in giro». A causa del colore
della pelle, del nome o del cognome che si ha, della religione che si professa,
degli abiti che si indossano, molte persone, incluso chi nasce e/o cresce in
questo paese, sovente non sono riconosciute come cittadine e cittadini alla
pari, sebbene loro e spesso anche i loro genitori, se non addirittura i loro
nonni, abbiano un passaporto italiano. Una situazione di discriminazione
sostanziale che non permette a tanti e tante di sentirsi pienamente parte di un
paese di cui sono sempre più linfa vitale. (leggi l’articolo)
GIUGNO
L’incubo della sicurezza. Appunti e visioni a Torino
“Blitz” è termine così inflazionato da oscurare la sua provenienza:
abbreviazione di “Blitzkrieg”, guerra lampo. Vedo immagini di un’occupazione in
quartiere – soldati con i fucili automatici in grembo, ronde di polizia e
carabinieri – e ricordo Gerusalemme. Alla Porta di Damasco c’era il presidio
fisso dell’esercito, soldati israeliani controllavano gli snodi principali fra
le vie della città vecchia. Dietro transenne sostavano due soldati, accanto alla
torrefazione fra i banchi del pane e dei pomodori. Le truppe presidiavano le
strade in nome della guerra al terrorismo, ma il terrorismo era una
giustificazione: la guerra era contro chi viveva sotto occupazione, senza
cittadinanza e diritti. (leggi l’articolo)
LUGLIO
Soluzioni semplici: costruire più case per abbassare gli affitti?
Gli inquilini e le inquiline, insomma, avrebbero bisogno di più cemento, non di
leggi che li tutelino. È curioso come un’affermazione così controintuitiva
ancora riesca a trovare spazio nel dibattito pubblico. Perché? Da una parte si
continua ad alimentare l’illusione che gli imprenditori lavorino per la società
e non per il proprio tornaconto, il che permette d’ignorare l’evidenza, per
esempio, che l’enorme aumento di costruzioni degli ultimi anni sia orientato a
favore delle classi medio-alte e al turismo, non certo a risolvere i problemi
abitativi dei ceti impoveriti. Dall’altra, perché persiste il mito della mano
invisibile del “mercato”, che presenta come autoregolato, spontaneo e in qualche
modo magico, il rapporto tra chi compra e chi vende – anche quando è così
evidente, come dimostra proprio il modello Sala, che chi vende o affitta le case
ha il potere, gli appoggi politici, la possibilità di “inventare” e diffondere
una intera retorica, mentre chi le affitta, o prova a comprarle, non ha
strumenti di questo tipo a disposizione. (leggi l’articolo)
AGOSTO
Malinconico agosto
Facce di gente normale che incontri per strada; facce che senza volere
comunicano, parlano, si lamentano o urlano senza aprire bocca; e ti muovono
qualcosa dentro, una sensazione più forte della solita noia o delusione che
questi ritorni mi provocano. Perché colgo un’aura di malinconia che quei volti
emanano – una tristezza profonda, insondabile, eppure evidente, irredimibile.
Naturalmente nessuno evoca esplicitamente questo senso di malinconia, ognuno
tiene coscienziosamente in piedi la rappresentazione della propria vita
agostana, tra spezzoni di vacanze e complicate reunion familiari al capezzale di
vecchi con l’Alzheimer. Ma il messaggio mi arriva dentro, diretto, potente; e mi
sembra inequivocabile – frutto della misteriosa telepatia del quotidiano, quella
per cui basta incrociare uno sguardo per indovinare un dolore o un pezzo di
vita. (leggi l’articolo)
(disegno di federica pagano)
SETTEMBRE
Chiacchiere e detersivo. Manfredi cancella il piano su Bagnoli proprio mentre
dice di applicarlo
Al consiglio comunale è stata presentata una informativa del sindaco sulla
rigenerazione dell’ex area industriale e sull’organizzazione della Coppa
America di vela, che arriverà a Bagnoli nel 2027. Un’iniziativa che pone
innanzitutto una questione di metodo, considerando che da tempo immemore non si
dedicava un consiglio ad hoc a uno dei temi più importanti della città. Il
sindaco e la sua giunta, su questo, almeno non peccano di ipocrisia: su Bagnoli,
infatti, il consiglio comunale è del tutto svuotato dalle sue prerogative, che
sono assegnate al commissario straordinario (lo stesso Manfredi); il quale in
assoluta autonomia, e spalleggiato dal governo, ha fatto scelte dalla portata
storica, che hanno sì “sbloccato” l’impasse dovuta a trent’anni di devastazioni
amministrativo-ambientali, ma a carissimo prezzo per i cittadini. Tra queste
scelte, vale la pena ricordarne un paio: la prima è la cancellazione di uno dei
punti cardine del piano regolatore, ovvero il ripristino della morfologia della
costa con una grande spiaggia libera da Nisida a Pozzuoli; la seconda è la
permanenza e l’utilizzo della colmata per i cosiddetti “grandi eventi”, con
l’inaugurazione di una stagione di frizzi e lazzi che finirà per sottrarre buona
parte di quella linea di costa ai cittadini. (leggi l’articolo)
OTTOBRE
L’inizio di una cosa. Cronache e spunti dai giorni del Blocchiamo tutto
Il movimento è partito dai palestinesi in Italia, e dagli studenti universitari
e medi. È stato alimentato da chi aveva fatto della Palestina la propria causa
ben prima del 7 ottobre, che è riuscito a connettersi con chi, magari, è venuto
al mondo più o meno negli anni in cui nasceva la campagna del Bds. Per mesi lo
hanno tenuto in piedi insegnanti, ricercatori universitari, sanitari. E poi è
salito di livello con il coinvolgimento dei sindacati, con l’avanguardia
rappresentata dai portuali, improvvisamente coperta dai media grazie
alla Flotilla. L’esplosione di quest’ultimo mese si deve, però, anche al fatto
che potentati di ogni genere – dal terzo settore alle gerarchie universitarie,
fino al circo dello star system internazionale – hanno capito che parlare a
favore della Palestina oggi può farti guadagnare terreno nell’opinione pubblica.
Le manifestazioni oceaniche di questi giorni, ma anche l’incertezza radicale
sulla tenuta di questa “intifada”, sono il prodotto di questo miscuglio. La
domanda da porci è: che ruolo abbiamo avuto “noi” fino a questo momento, e che
ruolo possiamo avere d’ora in poi? Ci sarà un seguito che possiamo propiziare,
facilitare, spingere? Che ognuno declini il “noi” come preferisce. (leggi
l’articolo)
NOVEMBRE
Oltre il banco degli imputati. La resistenza palestinese sotto processo a
L’Aquila
Di fronte a noi non si presenta una linea d’accusa chiara, coerente, dotata di
un impianto che si sostenga su basi fattuali. Lascia attoniti il fatto che, a
fronte della detenzione di Anan (da oltre diciannove mesi in regime di alta
sicurezza) e di un’imputazione così pesante, quella di terrorismo internazionale
(articolo 270-bis c. p.), che pesa sulla vita dei tre imputati, non ci sia
ancora un impianto probatorio ben definito. Uno dei vulnus più importanti che ha
segnato tutta la linea accusatoria, fin dalle prime udienze, è stata la totale
mancanza di contesto geopolitico degli elementi portati in aula rispetto a ciò
che accade da anni in Palestina, alla sua lunga storia genocidaria, alla realtà
dei Territori Occupati e alla relativa struttura di apartheid e, soprattutto, al
diritto alla resistenza del popolo palestinese. Eppure, nel frattempo, non
possiamo non dire che fuori da quell’aula di tribunale non sia successo nulla.
Anzi! Sul piano politico, più di un passaggio si è intrecciato direttamente con
la storia stessa di questo processo. (leggi l’articolo)
DICEMBRE
La fiera dell’ipocrisia. Intellettuali progressisti e non violenza
Nonostante il tentativo decoloniale questi intellettuali ricadono nella
contraddizione storica che la caratterizza: nel momento stesso in cui si fanno
portavoce di parole d’ordine rivoluzionarie, partendo dalla cosiddetta
solidarietà alla lotta anticoloniale palestinese, lo fanno, di nuovo, imponendo
le categorie analitiche e discorsive dello stesso sistema che, invece, la
visione rivoluzionaria tenta di trasformare. Si fa un gran parlare, in questi
giorni, in Italia, delle pratiche di dissenso individuate da attivisti di
differenti estrazioni. La linea generale è che ogni protesta è giusta e va
sostenuta fino a quando non sfoci nella violenza. Un coro unanime dei nuovi
volti della solidarietà neoliberale si è alzato per ribadire che la non-violenza
è imprescindibile per farsi ascoltare. Condanne di vario genere e prese di
distanze non richieste si sono affrettate a spiegarci ciò che è giusto o
sbagliato, a definire cosa è violento e cosa no. Ma che cosa è la violenza? Chi
la definisce? Come si stabiliscono i parametri secondo cui giudicare? Qual è il
contesto che definisce un’azione violenta? (leggi l’articolo)