Non odiare in Palestina. I shall not hate

Osservatorio Repressione - Tuesday, March 4, 2025

Dopo aver visto I shall not hate dovrebbe essere sufficiente a far deporre qualsiasi tipo di arma in qualsiasi guerra

di Roberta Cospito da Carmilla

I shall not hate è sia il titolo di un libro di Izzeldin Abuelaish, nato a Gaza e primo medico palestinese a lavorare in un ospedale israeliano, sia del film realizzato dalla documentarista e produttrice franco-americana Tal Barda, nata e cresciuta a Gerusalemme.L’associazione Find the Cure ha presentato la sedicesima edizione di Mondovisioni, una rassegna di documentari curata da CineAgenzia in collaborazione col settimanale Internazionale. Attraverso docufilm selezionati dai maggiori festival internazionali, la rassegna, che ha fatto tappa con il patrocinio del Comune  al cinema Nuovofilmstudio di Savona, porta sul grande schermo storie di attualità – in particolare sui diritti umani – con l’intento di fornire agli spettatori un’informazione chiara, profonda e consapevole su tematiche spesso difficilmente fruibili tramite i media tradizionali.

Izzeldin Abuelaish – uomo straordinario, più volte candidato al Premio Nobel per la pace – crede fermamente nella possibilità di una convivenza tra il popolo palestinese e quello israeliano. Durante la guerra di Gaza, il 16 gennaio 2009, tre delle sue figlie e una nipote vengono uccise dal fuoco israeliano diretto immotivatamente contro la sua abitazione. Questo attacco viene vissuto praticamente in diretta dal pubblico israeliano poiché il medico, appena resosi conto dell’enormità della tragedia, chiama il giornalista televisivo di Channel 10, Shlomi Eldar, il quale risponde al telefono pur essendo in onda e, coraggiosamente, tramite il vivavoce, dà la possibilità al suo pubblico di ascoltare la richiesta di aiuto di Abuelaish. Le urla disperate di un padre – tra l’altro, già vedovo da un anno – che vede i corpi delle sue figlie e della figlia del fratello, dilaniati e sparsi per l’appartamento insieme a resti di mura, calcinacci, giocattoli, libri, vestiti, entrano prepotentemente nelle case di un’intera nazione.

In un momento come questo, in cui il suo credo di pace, la sua etica, vengono messi a dura prova, il medico sorprende tutti e lancia un messaggio pubblico fortissimo: “Non odierò” – I shall not hate, appunto. Non solo: la figlia dodicenne costretta a quattro mesi di ricovero ospedaliero per le gravi ferite alle dita di una mano e all’occhio destro, alla giornalista che le chiede se prova sentimenti di odio risponde con uno spiazzante: “Odiare chi?”, lasciando senza parole l’intervistatrice e noi in sala.

Il messaggio Abuelaish è chiaro: è possibile non odiare, anzi, considerare la pace come unica via percorribile. La migliore alleata per uscire dai conflitti, secondo Abuelaish è l’istruzione, e infatti, per superare il dolore delle perdite subite e i primi momenti di vita in Canada, dove il medico decide di rifugiarsi, le superstiti della famiglia si dedicano allo studio. che viene considerato come un’oasi di pace. Intanto Abuelaish, coerentemente con questa visione, ha creato una fondazione “Figlie per la Vita” in memoria delle sue ragazze uccise, che fornisce borse di studio per aiutare le giovani donne provenienti da Palestina, Israele, Libano, Giordania, Egitto e Siria negli studi universitari in Canada, Stati Uniti e Belgio.

Colpisce la potenza delle immagini del documentario e  resta difficile dimenticare il viso straziato del medico che chiede aiuto per le sue figlie; le interminabili macerie delle case sbriciolate della striscia di Gaza di fronte a un mare di un azzurro impietoso nella sua bellezza; il lento muoversi di un’umanità ferita e sofferente; lo sguardo commosso di una ragazza che racconta il suo passato condiviso con chi ha poi ha perso la vita in modo brutale; l’aspetto fiero di un viso che chiede giustizia per delle vittime innocenti; il corpo di un uomo inginocchiato a terra schiantato dal dolore con i vestiti imbrattati del sangue di sua figlia; l’espressione commossa di chi ricorda un altro modo di vivere; i primi piani di chi, nel raccontare, non lascia spazio alla rassegnazione. E rimangono impressi anche gli innesti animati che, non interrompendo affatto la narrazione, sono capaci di aumentare l’empatia verso i soggetti di queste storie orrende.

Tutto quanto visto I shall not hate e in altre immagini di questo genere dovrebbe essere sufficiente a far deporre qualsiasi tipo di arma in qualsiasi guerra.

Durante una gita al mare la famiglia Abuelaish aveva scattato delle foto e, nel riguardarle anni dopo, si renderà conto che solo le ragazze che hanno perso la vita nella terribile giornata del 16 gennaio 2009, avevano scritto i lori nomi sulla sabbia, come a voler lasciare un ricordo, una traccia evidente del loro passaggio in questo mondo, come se avessero avuto una sorta di presagio di quanto sarebbe poi successo.

Il principio del non odiare espresso dal film trova una bellissima sintesi in quanto scritto da Etty Hillesum – scrittrice ebrea morta nel campo di concentramento di Auschwitz – nel libro Diario (1941-1943): “Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo. È l’unica soluzione possibile”.

Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi sostenerci donando il tuo 5×1000 

News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp