
“Mara gridava ‘Non sparate’”
Osservatorio Repressione - Wednesday, March 12, 2025L’ex brigatista, oggi ottantaduenne, Lauro Azzolini a sorpresa in aula della corte di appello di Alessandria per il processo per i fatti accaduti a Cascina Spiotta 50 anni fà. «Io c’ero fu l’inferno. Curcio e Moretti non sapevano. Mara Cagol aveva le mani in alto e urlava ‘non sparate’»
“Io c’ero quel giorno di 50 anni fa”. È cominciata così in corte d’Assise ad Alessandria la dichiarazione spontanea di Lauro Azzolini, 82 anni, ex militante delle BR, nel processo per la sparatoria di Cascina Spiotta del 1975. Azzolini ha detto che nella sparatoria “morirono due persone che non avrebbero dovuto morire”, il carabiniere Giovanni D’Alfonso (per il quale risponde di omicidio) e la brigatista Mara Cagol, per la quale nessuno è chiamato a rispondere, nonostante quel giorno sia stata di fatto giustiziata. “L’ultima immagine che ho di Mara Cagol e che non dimenticherò mai – ha detto Azzolini – è di lei con entrambe le braccia alzate, disarmata, che urlava di non sparare“. Dopo le dichiarazioni di Azzolini, per i pm rimangono ancora “alcuni coni d’ombra”. Per questo insistono affinché vengano sentiti i coimputati Renato Curcio e Mario Moretti, anche loro ex militanti delle Br, oggi assenti in aula. In una memoria depositata, Curcio (all’epoca dei fatti latitante e spostatosi a Milano) nega ogni coinvolgimento. Per il collegio difensivo, le parole di Azzolini scagionano proprio Curcio, oltre allo stesso Moretti.Su Radio Onda d’Urto la corrispondenza di Paolo Persichetti. Ascolta o scarica
Qui di seguito il testo della lettera presentata da Azzolini
*****
Per la Corte d’Assise di Alessandria
C’ero io quel giorno di 50 anni fa alla Spiotta!
In un minuto breve di 50 anni fa quando tutto precipitò, un inferno che ancora oggi mi costa un tremendo sforzo emotivo rivivere, al termine del quale sono morte due persone che non avrebbero dovuto morire, il padre di Bruno D’Alfonso e Mara.
Mara, una donna eccezionale, una compagna generosa, e la morte di una persona cara è un dolore incancellabile che ti porti dentro per tutta la vita, per tutti e senza distinzioni.
Un giorno maledetto che non dimenticherò mai, ma visto che a distanza di 50 anni si è deciso di portarlo in un processo pubblico, oggi che di anni ne ho 82, e tutto intorno a me è cambiato rispetto a quando ne avevo meno di 30, quando, nel contesto delle lotte di classe, nel duro conflitto sociale, insieme a tanti altri compagni pensavamo di poter fare la rivoluzione, perché allora il mondo che ci circondava era molto diverso da quello di oggi, seppur in questo presente quotidiano assistiamo a violenze, povertà, sfruttamento, milioni di morti in guerre terribili tra poteri, operai uccisi dal lavoro, una umanità dispersa, ho deciso di raccontare quello che quel giorno è successo.
Prima che questo processo abbia inizio, e prima che lo facciano altri, perché io sono l’unico che ha visto quello che quel giorno è davvero successo.
Cioè che quel giorno è successo quello che avevo scritto allora, in quella ricostruzione fatta per tutti gli altri compagni delle BR, trovata dai carabinieri mesi dopo a Milano e che è stata nominata più volte dalla pubblica accusa.
Voi la leggerete, io non ci riesco, neppure a distanza di 50 anni, perché mi fa rivivere i dettagli di una prolungata sofferenza, per cui vi dirò quello che oggi ricordo di quel giorno di così tanti anni fa e che non avrebbe dovuto succedere.
Da pochi mesi ero arrivato a Torino e da operaio mi ero impegnato al lavoro di coordinamento delle avanguardie nelle fabbriche torinesi; dopo l’arresto di due compagni della Colonna torinese entro anch’io nella clandestinità proprio nel momento in cui per necessità di autofinanziamento la Organizzazione decise di sequestrare un ricco imprenditore. Era la prima volta e io vi partecipai, il tutto avrebbe dovuto concludersi in pochi giorni senza conseguenze nè per il sequestrato nè per noi.
Invece già il giorno stesso del sequestro venne arrestato un nostro compagno che si dichiarò ‘prigioniero politico’ e l’indomani successe l’impensabile che stravolse tutto, perchè a causa del fatto e della nostra impreparazione ci facemmo prendere alla sprovvista.
Mara e io avremmo dovuto controllare a turno l’unico viottolo di accesso alla cascina, ma d’improvviso sentimmo dei colpi forti alla porta e guardando dalla finestra ci accorgemmo della presenza di un carabiniere. Ad entrambi ci cadde il mondo addosso e ci prese il panico.
Ho sentito dire che saremmo stati istruiti e addestrati per cosa fare in quei casi e altre cose del genere, ma non è vero, non sapevamo assolutamente cosa fare perché non era mai successo, vi fu una improvvisazione di tutto sul momento, quel che ricordo è che decidemmo di fuggire abbandonando l’ostaggio.
La confusione era assoluta, sapevamo che fuori ad attenderci c’erano i carabinieri. Ne avevamo visti due forse tre ma quanti di preciso fossero non lo sapevamo. Raccogliemmo carte e bagagli frastornati cercando di capire come da lì uscirne.
Si decise di usare le due piccole ‘SRCM’, quelle considerate di addestramento, lanciate senza mira alcuna avrebbero prodotto una esplosione tale da disorientare gli stessi CC e così avere lo spazio necessario per aprirci la fuga verso le nostre due auto che erano appena fuori.
Ma tutto precipitò, sentimmo colpi di arma verso di noi, rispondemmo con qualche colpo nel caos di una frazione di secondi.
Prese le nostre auto pensammo di esserci riusciti, ma la carreggiata era sbarrata dall’auto dei CC, io e Mara ci urtammo finendo la corsa sotto il tiro di un altro carabiniere che era spuntato all’improvviso.
Vi fu la resa nostra. Uscito dall’auto mi affiancai a Mara che era già sul prato. Notai che sanguinava da un braccio, le chiesi se era ferita. Mi disse di sì ma che non era niente e che se c’era la occasione di tentare ancora di fuggire e risposi che avevo ancora una ‘srcm’.
D’accordo, al suo cenno, la lanciai e mi misi a correre verso il bosco, convinto che Mara mi avrebbe seguito. Raggiunto il bosco mi accorsi che lei non c’era e allora guardai verso il prato della cascina e l’ultima immagine che ho di Mara, che non dimenticherò mai, è di lei ancora viva che si era arresa con entrambe le braccia alzate, disarmata, e urlava di non sparare…
Ho continuato a correre a piedi senza guardarmi indietro fino a raggiungere una zona distante, ben oltre il bosco, quando sentii due spari. Continuai a correre per ore cercando un nascondiglio sicuro per aspettare la notte. Ero solo.
Il giorno dopo quando raggiunsi un Paese sulle prime pagine dei giornali seppi di feriti e vidi che Mara era morta distesa su quel prato dove l’avevo lasciata viva.
Lo sconcerto, il dolore mi ha attraversato la carne come una lama.
Poi il bilancio finale: un’altra morte come tragico epilogo di quella giornata.
Con rispetto dovuto, è anche per quei due morti che non avrebbero dovuto esserci che non ho più potuto tornare indietro.
Capisco che OGGI questo sembrerà paradossale, ma ALLORA per la mia coscienza di classe ha significato assumermi la responsabilità della scelta fatta.
Lauro Azzolini
11 marzo 2025
Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi sostenerci donando il tuo 5×1000
News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp