
Pedagogia sicuritaria e istituzione scolastica
Osservatorio Repressione - Tuesday, April 1, 2025Lo stato della propaganda e la propaganda di stato. Isernia: un caso emblematico
di Alessandro Ugo Imbriglia
Lo scorso 25 marzo, il sindacato autonomo di polizia ha ricevuto, nella città di Isernia, gli studenti dei tre istituti di scuola superiore della città, per celebrare – nei modi in cui si conviene – il suo decimo congresso provinciale. Il quotidiano Primo Piano Molise ha estratto alcune fra le considerazioni più significative dei promotori e degli invitati. Commentiamone alcune. La segretaria provinciale del sindacato autonomo di polizia, Sonia Iacovone, ha affermato:
«Questo incontro è stato fortemente voluto dal Sap. Abbiamo coinvolto i ragazzi per dare una prospettiva diversa a questa giornata. Vogliamo partire dalle loro curiosità, dai loro dubbi, dai loro punti di vista, per capire meglio il concetto di sicurezza, per capire come loro vedano la legalità, ma anche il ruolo delle forze dell’ordine. Insomma, vogliamo riflettere su questi valori, che sono fondamentali per la nostra società».
Dall’estratto emerge un’evidente puntualizzazione, che è probabilmente la più significativa: «vogliamo riflettere su questi valori, che sono fondamentali per la nostra società». Sicurezza e legalità sono dunque annessi al rango di valore, di concetti–valore. Ciò cosa significa? Quando un significante assurge a valore esprime, su un piano semantico, il massimo grado di generalità: poste in questo ordine, legalità e sicurezza devono apparire, in seno alla propaganda, come idee “increate”. Esse sono collocate, all’interno del discorso di stato, per essere recepite come tali, dunque inamovibili, in una posizione che dovrà essere intesa e assimilata come elemento permanente rispetto alle sue modalità di applicazione e agli effetti che ad esse conseguiranno. Un concetto-valore, espresso nei termini succitati, attribuisce a sé stesso una grande forza generativa, poiché compare, anzitutto, come elemento inderivato: prima di esso non v’è nulla, nulla da cui possa dipendere o da cui possa conseguire. Per tal motivo si appone al sostantivo “valore” un attributo ovvio, ad esso implicito, qual è il termine “fondamentale”. La legalità deve essere concepita come fondamento primo, come basamento. È essa stessa a costituire, sia sul piano concettuale, sia sul piano fattuale, la fonte unica e originaria di potenziali effetti, conseguenze e derivazioni. Poste in questi termini, sembra che alla legalità e alla sicurezza non preesista una forza, una fonte che, sul piano anzitutto dell’idea, sia in grado di stabilirne e contenerne la dimensione semantica, la posizione sintattica e la funzione operativa. Ecco che allora “il ruolo delle forze di polizia” assume, nell’ordine del discorso, una configurazione autolegittimante, poiché si manifesta come immediata espressione dei concetti-valore, quali sembrano essere la legalità e la sicurezza. In quest’ottica l’eurodeputato Aldo Patriciello ha espresso le seguenti considerazioni:
«Gli agenti di polizia sono il baluardo della democrazia e soprattutto sono per noi un punto di riferimento per rappresentare la presenza dello stato. Questa iniziativa mira dunque a riconoscere alle forze di polizia e al sindacato di polizia quel lavoro silenzioso, costante che fanno quotidianamente a difesa della democrazia e soprattutto a difesa dei cittadini».
Questa costruzione di significati presenta quantomeno delle aporie: in un’entità statuale, la funzione strategica delle forze polizia consiste – sia sul piano operativo, sia sul piano simbolico – nell’imposizione e nel consolidamento di un principio weberiano: l’utilizzo della forza fisica – l’utilizzo della violenza – è monopolio incondizionato dello stato. Lo stato detiene l’indiscutibile monopolio della forza fisica. Questa è la priorità strategica di un corpo di polizia, in quanto derivazione di uno o più apparati di potere. Essa è tenuta a ribadire e conservare – nella propria funzione simbolica e operativa – tale principio. L’obiettivo delle forze di polizia non consiste certamente nella “difesa della democrazia”, bensì nella tutela di un sistema di apparati – istituzionali, politici ed economici – annessi e connessi allo stato. A riguardo, ciò che è possibile osservare come “difesa dei cittadini” è solo uno dei molteplici effetti – delle funzioni derivate, secondarie – prodotti dal perseguimento dell’obiettivo strategico di cui sopra. In realtà, la “difesa della democrazia” può essere detenuta, e legittimamente ambita, dai cittadini. E sono i cittadini ricompresi in specifiche classi, quelle subalterne, a costituire un elemento nevralgico nella difesa di ciò che intendiamo con il termine democrazia.
Dunque a cosa assistiamo? Il potere, che in tal caso corrisponde immediatamente allo Stato, eleva degli indicatori – dei fattori circoscrivibili e misurabili quali sono la legalità e la sicurezza – al grado di valore-concetto. È un’operazione di astrazione, con la quale si idealizza uno specifico stato delle cose e/o un obiettivo strategico. Tale operazione mira anzitutto a produrre un immaginario o a colonizzarne uno già esistente; il suo fine ultimo, invece, può essere individuato nella costruzione del consenso, o – in maniera più sottile – nella produzione delle condizioni meno favorevoli all’emersione del dissenso. La mistificazione consiste per l’appunto in una sorta di rovesciamento, che è prima sintattico e poi sociologico: in una condizione di effettiva democraticità, legalità e sicurezza sarebbero concepiti e adoperati come due semplici variabili, due categorie descrittive che misurano, in termini qualitativi e quantitativi, un oggetto dell’indagine, uno fra i numerosi oggetti empirici di cui può disporre un campo di ricerca, come la qualità e la quantità di specifiche condotte criminose, o, più precisamente, la corrispondenza fra precise condotte e le tipologie di reato codificate dal diritto. Detto ciò, l’oggetto empirico – l’adozione di una condotta legale o illegale, ad esempio – si conferma, il più delle volte, come un effetto, una conseguenza. Esso ha poco o nulla a che vedere con la valenza “pedagogica” del binomio legalità/sicurezza o con l’adesione a tali concetti-valore. Al contrario, l’adozione di una condotta “illegale” può scaturire dalla convergenza di molteplici fattori, quindi dell’azione, più o meno congiunta, di molteplici fenomeni. Sulla base dell’impatto o dell’andamento che tali fenomeni registrano in un dato contesto sociale potrà derivare, invero, una specifica condizione di legalità/illegalità o sicurezza/insicurezza, né più né meno.
Riflettiamo. In un dato luogo, a partire da specifiche condizioni socio-economiche – tasso di occupazione; livello di produttività; qualità delle condizioni contrattuali etc. – si potrebbe registrare un determinato “grado” di legalità e sicurezza, non certo il contrario. La penuria materiale, il logoramento progressivo e costante delle condizioni di vita possono spingere, o costringere, coloro che versano in tali condizioni ad adottare condotte che violino il principio di legalità. Si tratterebbe, in molti casi, di stratagemmi o espedienti per poter vivere, o sopravvivere, appena al di sopra di quella soglia che separa la dignità dall’indecenza.
Al contempo, nel medesimo luogo, precise condizioni socio-politiche – corruzione della classe politica e dei colletti bianchi; scambio voto/lavoro; privilegi di ceto connessi a specifici esiti elettorali e rapporti economici etc. – potrebbero generare o esacerbare un forte rancore sociale. Tale risentimento, connaturato a una specifica condizione di esclusione sociale, potrebbe registrare, a sua volta, una significativa incidenza sull’emersione di molteplici condotte “devianti”, e dunque sul “grado” di illegalità e insicurezza che caratterizzano il contesto sociale considerato.
In ultimo, specifiche scelte di economia pubblica e welfare – disinvestimento nell’edilizia popolare; espansione della sanità privata a discapito della sanità pubblica; gestione iniqua delle principali fonti di vita (risorse idriche ad esempio) – potrebbero generare o accrescere una concorrenza cinica, spietata, fra coloro che non hanno accesso a un reddito minimo, a una dimora stabile e a prestazioni sanitarie di base o specialistiche. Le penuria e la scarsità delle risorse alimenterebbe conflitti laceranti fra le classi subalterne, fra proletari e sottoproletari. Va da sé che in questa lotta “fratricida” – combattuta, attualmente, in molte periferie delle città italiane – possano emergere condotte criminose.
In definitiva, tutte le variabili e le dinamiche passate in rassegna possono co-determinare specifici livelli di legalità e sicurezza. Legalità e sicurezza sono i risultati, gli effetti, di queste complesse combinazioni. Ridimensionare o escludere dal discorso fondamentali variabili di carattere economico-produttivo, sociopolitico, amministrativo-partitico e imprenditoriale, a favore di un indottrinamento alla legalità e alla sicurezza – intese come a priori, come concetti-valore che, di per sé, possono e devono essere imposti in termini pedagogici e propagandistici – non fa che certificare uno scivolamento autoritario, dalla chiara impronta mistificatoria. Lungo questo crinale si assiste dunque alla imponente e assillante generazione di un feticcio: legalità e sicurezza avrebbero, in sé, un valore intrinseco e inalienabile, in grado di garantire condotte sociali “accettabili”, ergo compatibili con quanto il diritto penale e l’esecuzione penale approvano o, per converso, deplorano. Si tratta, in tal caso, di una mistificazione ideologica, poiché il discorso rovescia, o meglio occulta, l’effettivo nesso tra cause ed effetti, elevando gli effetti – legalità e sicurezza – ad assiomi, a concetti-valore da inculcare. Tale lavorio ideologico misconosce le serie di cause e concause da cui dipendono, nei fatti, specifiche determinazioni storiche e sociali, come la forma e il grado di legalità o sicurezza in un dato luogo e in un dato momento, ad esempio. Il carattere elusivo di questa manipolazione lascia innominati una serie di significanti che uno stato realmente democratico potrebbe, e dovrebbe, elevare a concetti-valore. È il caso dell’equità, ad esempio. L’equità potrebbe essere “idealizzata” e collocata in questa posizione apicale. Un valido corollario dell’equità potrebbe essere composto dalle seguenti categorie concettuali: soddisfazione dei bisogni primari, giustizia sociale e parità dei diritti.
Nel verso opposto, quando al rango di concetti-valore sono collocati la legalità e la sicurezza, giustizia sociale, redistribuzione della ricchezza alla forza-lavoro, riconoscimento dei diritti alle minoranze, accesso alle risorse vitali (acqua, cibo, casa) subiscono, il più delle volte, effetti regressivi. Retrocedendo, divengono fattori opzionali, e in quanto tali sono facilmente eliminabili, giacché l’operazione ideologica dello stato sovrastima, indefinitamente, l’incidenza positiva che i valori-concetto di legalità e sicurezza avranno sulle condotte individuali e collettive. Tale pedagogia è imposta sulla base di una subdola e malcelata consapevolezza: sono specifiche logiche di mercato, condizioni economiche, sociali e politiche che, in verità, producono, in misura differente ma combinata, determinate condotte legali o illegali. In spregio a tali evidenze, legalità e sicurezza sono altresì ricostituite come un valore-concetto dal segno esclusivamente positivo. Ad oggi è altamente improbabile che tale segno possa essere messo in discussione, a meno che non siano le classi subalterne a riqualificare la collocazione, l’incidenza e la funzione dei termini “legalità” e “sicurezza”.
In conclusione, cosa suggerisce tutto ciò? La legalità e la sicurezza dei cittadini vengono prima di ogni altra cosa. È da manuale lo slogan adottato dal sindacato autonomo di polizia e dalla dirigente scolastica dell’Isis Fermi-Mattei di Isernia. È un messaggio che arriva immediatamente alla pancia, che sollecita un primitivo bisogno di autoconservazione. Nel binomio legalità/sicurezza, il primo termine è assorbito dal secondo, in una voragine di pulsione sicuritaria.
Slogan di questo genere sono il peggior veleno per la democrazia, poiché parlano al nostro istinto e dunque trovano una prima, istantanea, accoglienza: tutti siamo spaventati dalla mancanza di sicurezza, e una promessa sicuritaria, istintivamente, ci rassicura. Ma in questo modo il corpo della democrazia assimila gradualmente uno spirito che gli è contrario, e questo spirito, lentamente, la corrompe, la svuota dall’interno, come il più letale dei mali. Non è vero che la legalità e la sicurezza dei cittadini vengono prima di ogni altra cosa. Non è questa la democrazia. Non è questo lo stato di diritto. Se per legalità si intende il rispetto della legge, in un’effettiva democrazia esso non è l’elemento, il valore-concetto, che precede ogni altra cosa: una legge è sempre e solo la volontà espressa dalla maggioranza; la democrazia non dovrebbe essere il regime in cui comanda la maggioranza, ma quello in cui sono tutelate le minoranze. Nel gioco delle parti, la legge è sì espressione della volontà della maggioranza, ma essa non può negare i princìpi della dignità della persona e i suoi corollari, così come fissati nell’assiologia costituzionale. Dunque non è il rispetto della legge – la legalità – a precedere ogni altra cosa, ma il rispetto della dignità dell’uomo e dei suoi diritti fissati in Costituzione.
Quanto all’altro polo dello slogan – la sicurezza –, sì, certo, la sicurezza costituisce una priorità, ma occorre essere cauti: la sicurezza non può essere ridotta alla mera tutela dell’integrità fisica delle persone; quest’ultima dimensione ne costituisce certamente una misura minima, ma non esclusiva. Del resto, tale sicurezza potrebbe essere garantita anche in un regime autoritario, in un regime oppressivo. Si può essere “sicurissimi”, sotto questo punto di vista, anche in un regime di privazione assoluta della libertà. La sicurezza cui mira la nostra democrazia è invece un’altra cosa; essa è la sicurezza sociale a cui si riferisce l’articolo 3, secondo comma, della nostra Costituzione:
«È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese».
E di questa sicurezza chi ne parla più? È forse il caso di sottoporre tale quesito al sindaco di Isernia, Piero Castrataro, così che possa riflettere sull’assennatezza e sulla validità delle proprie riflessioni. Secondo il primo cittadino di Isernia è stata «una scelta vincente quella di coinvolgere gli studenti dei tre istituti superiori della città» nella celebrazione del decimo congresso provinciale del sindacato autonomo di polizia.
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