
Il clown e il circo
il Rovescio - Saturday, April 19, 2025Riprendiamo da “pungolo rosso”(https://pungolorosso.com/2025/03/29/il-clown-e-il-circo-a-bihr-j-m-heinrich-r-pfefferkorn-y-thanassekos/) e rilanciamo questo interessante dibattito, che fa il punto sulle ragioni della guerra in Ucraina tra NATO e Federazione Russa. Ci pare che le argomentazioni degli autori de “Il clown e il circo” e della redazione del Pungolo si integrino più di quanto si contraddicono: da una parte dei sani giudizi di fatto sulle preponderanti responsabilità occidentali nel provocare la guerra (giudizi di fatto tanto più necessari di fronte a una propaganda che ha compiuto e compie salti mortali per nasconderle); dall’altro la verità di fondo che ogni Stato combatte le guerre per i propri interessi di potenza. Di fronte alle attuali “manovre di pace”, condividiamo in particolare l’idea del Pungolo che “la possibilità di contrastare la tendenza alla guerra con ‘la mobilitazione delle masse in tutta Europa’ deve saper denunciare per tempo le stesse soluzioni diplomatiche, per quanto ‘ragionevoli’ possano apparire, come altrettanti passi verso un nuovo conflitto mondiale.”
Qui il seguito del dibattito: https://pungolorosso.com/2025/04/06/la-replica-di-a-bihr-j-m-heinrich-r-pfefferkorn-e-y-thanassekos-italiano-francais/
[Qui in apertura l’introduzione della redazione di “Pungolo rosso”]
A dispetto del titolo, ironico e scanzonato, l’articolo di Alain Bihr, J.M. Heinrich, R. Pfefferkorn e Y. Thanassekos tratta di una questione molto importante: la guerra NATO/Russia in Ucraina e la sua possibile sospensione. Diciamo “sospensione”, non “pace”, perché quest’ultima, intesa come un’organica conclusione del conflitto, ci sembra largamente irrealistica, se non impossibile. Quello che si va prospettando è dunque un congelamento delle attività belliche, che asseconda gli interessi immediati sia della Russia che, sul versante opposto, degli USA, capofila dello schieramento occidentale.
Il testo collettivo che pubblichiamo ha il pregio di sottolineare alcuni punti importanti, tanto “ragionevoli” quanto mistificati e sommersi dalla martellante propaganda di guerra USA/NATO/UE e dalla russofobia isterica di cui è intrisa: primo fra questi, quello che qualifica la guerra tuttora in corso come un conflitto fra Russia e Nato, e non fra Russia e Ucraina. A seguire, gli autori richiamano alcune delle principali contraddizioni della propaganda occidentale: tale è, ad esempio, la tesi circa la pretesa intenzione di Mosca di invadere i paesi confinanti e addirittura l’Europa occidentale, nonostante, dopo tre anni di guerra, essa sia riuscita a conquistare, con notevoli sforzi, appena un quinto del territorio ucraino. E che dire dello stridente contrasto fra gli strepiti odierni sulla mancanza di sufficienti mezzi militari per contrastare la Russia e la ribadita volontà di sostenere lo sforzo bellico di Kiev affinché riconquisti i territori perduti? Per non parlare, poi, della fulminea decisione di finanziare a debito un gigantesco piano di riarmo, infrangendo il dogma ostile alla spesa in deficit quando essa riguardi salari, pensioni e servizi sociali.
Il lettore troverà dunque in questo breve scritto un utile antidoto alle menzogne sparse a piene mani dai “nostri” governi negli ultimi tre anni. Allo stesso tempo, l’articolo dà un’interpretazione discutibile su molti punti-cardine, che non condividiamo. Ad esempio, nel negare, giustamente, che il conflitto sia limitato all’Ucraina, ma coinvolge invece “l’Occidente globale”, gli autori liquidano il “presunto desiderio [russo] di perpetuare o ricostituire la sua area di influenza nell’Europa centrale e orientale – e anche oltre”. Questa contrapposizione rimane all’interno delle giustificazioni “formali” della guerra, senza coglierne le radici strutturali, che risiedono nella lotta per la difesa dei reciproci interessi di sfruttamento e supremazia sullo scacchiere internazionale. Certo, in questa lotta, Mosca è partita da una situazione di svantaggio, ereditata dallo sfacelo dell’URSS e dalla conseguente espansione della NATO, ma ciò non significa affatto che la sua azione avesse e abbia motivazioni di altro tipo che la difesa della propria sfera di influenza. Anzi, quella ucraina era/è per Mosca una linea rossa non oltrepassabile proprio perché chiama in causa un’area vitale per i propri interessi.
Analogamente, non condividiamo la lettura dei propositi riarmisti dell’UE e dei suoi singoli Stati come una sorta di allucinazione collettiva, il cui rischio consisterebbe nel “dar vita ad una profezia che si autoavvera”. Per quanto le cancellerie del vecchio continente versino in stato confusionale a seguito dell’inversione di rotta della nuova amministrazione USA, va detto che gli stanziamenti per la “difesa”, l’eliminazione del vincolo sul debito da parte della Germania, la decisione di alzare da subito la percentuale del PIL dedicata alle spese militari, la rapida virata verso l’economia di guerra e la conclamata volontà di utilizzare il riarmo come antidoto alla stagnazione e alla crisi economica, non rispondono alla falsa percezione di dover fronteggiare senza l’aiuto di Washington “il grande lupo cattivo russo”. Rispondono invece alla consapevolezza, che si va facendo strada, che, indipendentemente dalla struttura delle alleanze future, ogni Stato, per mantenere il suo posto al sole fra le canaglie del sistema imperialista, deve armarsi, armarsi, armarsi. E, nell’immediato, cercare, con le unghie e coi denti, di esigere la parte “che ci spetta” del bottino ucraino, che rischia di sparire per intero nelle fauci di USA e Russia.
Se, come ipotizzano gli autori, la possibilità di Mosca di vincere la pace, dopo aver vinto la guerra, passa per la convocazione di una conferenza di pace nel quadro dell’OSCE – ad oggi solo una vaga ipotesi – la possibilità di contrastare la tendenza alla guerra con “la mobilitazione delle masse in tutta Europa” deve saper denunciare per tempo le stesse soluzioni diplomatiche, per quanto “ragionevoli” possano apparire, come altrettanti passi verso un nuovo conflitto mondiale. Trasformare le condizioni verso la guerra imperialista in condizioni per la rivoluzione proletaria è l’unica strada per sfuggire davvero all’alternativa “pensioni o munizioni”, un’alternativa che, negli ultimi tempi, ha davvero fatto passi da gigante. (Red.)
Il clown e il circo
“Se eleggi un clown, aspettati un circo”
La guerra in Ucraina sta per finire come è iniziata: come un faccia a faccia tra Stati Uniti e Russia. Con una differenza : che, avendo lo scontro tra i due stati portato alla guerra, si è passati ora alla collaborazione in vista della pace. Il che, tra l’altro, dà ragione a posteriori a tutti coloro, noi compresi, che, contro l’interpretazione dominante di questo conflitto, hanno sostenuto la tesi che si trattasse effettivamente, per l’essenziale, di un conflitto tra l’Occidente globale (sotto la guida statunitense e la bandiera della NATO) e la Russia, per interposta Ucraina, e non di un conflitto tra questi ultimi due paesi generato dal presunto desiderio della Russia di perpetuare o ricostituire la sua zona di influenza nell’Europa orientale e centrale – o anche oltre.
Cerchiamo qui di fare un bilancio di questi tre anni di guerra e dell’inversione di tendenza appena avvenuta, dei guadagni e delle perdite registrate dai vari protagonisti e di discernere, di conseguenza, le possibilità che si aprono a ciascuno di loro.
Ubu alla Casa Bianca
La guerra in Ucraina è nata dalla volontà della NATO, contrariamente agli impegni verbali assunti dopo il crollo del Muro di Berlino, di espandersi nell’Europa centrale e orientale. Perseguita nonostante le sempre più forti proteste russe durante le prime due ondate del 1999 e del 2004, questa espansione ha raggiunto un punto critico nel 2008, quando si è trattato di integrare l’Ucraina e la Georgia nell’Alleanza Atlantica, cosa che avrebbe portato quest’ultima a diretto contatto con la Russia, offrendole per una invasione l’immensa breccia costituita dalla pianura ucraina al di là del Dniepr e minacciando la strategica base navale di Sebastopoli. Una linea rossa per Mosca, che dichiarò allora che sarebbe entrata in guerra se fosse stata oltrepassata. Gli occidentali non ne ha tenuto conto. Nel 2014, durante Euromaidan, hanno contribuito ad insediare a Kiev un governo filo-occidentale e anti-russo : cosa che ha aggravato le tensioni con le popolazioni russofone e russofile degli oblast’ orientali e di Odessa, portando alla guerra civile. Allo stesso tempo, gli occidentali hanno rigiutato sprezzantemente le proposte russe di concludere un accordo nel quadro della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE) finalizzato alla neutralizzazione (“finlandizzazione”) dell’Ucraina. Tutto questo, dopo che gli Stati Uniti si erano ritirati nel 2001 dal Trattato ABM (Anti-Balistic Missile) firmato nel 1972, e nel 2018 dal Trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces) firmato nel 1988. La strada verso la guerra era ormai aperta.
Per tre anni, l’Occidente ha condotto questa guerra contro la Russia, con l’intermediazione dell’Ucraina, con l’obiettivo di imporre con la forza ciò che la Russia aveva ripetutamente dichiarato di non voler accettare. Gli errori di valutazione iniziali durante l’operazione militare russa, la mobilitazione nazionale e lo slancio nazionalista della società ucraina hanno creato l’illusione che la partita potesse essere vinta e che, con il massiccio sostegno dell’Occidente, l’Ucraina potesse cacciare l’aggressore dai suoi confini. Questa illusione è stata rapidamente dissipata quando la controffensiva ucraina del giugno-agosto 2023, con il massiccio sostegno militare e logistico dell’Occidente, è fallita miseramente. Da allora, la situazione in Ucraina ha continuato a deteriorarsi, sia in termini di operazioni militari che di coesione della società ucraina stessa, a dispetto delle decine di miliardi di dollari in aiuti di ogni tipo (armi, munizioni, addestramento delle truppe, assistenza tecnica, intelligence, prestiti, incoraggiamento, ecc.) che l’Occidente ha fornito, per non parlare delle sanzioni commerciali e finanziarie inflitte all’aggressore russo. Qualsiasi osservatore lucido dello sviluppo della situazione negli ultimi mesi ha chiaro che essa non può portare che ad una sconfitta militare ucraina nel più o meno breve termine.
Per evitare un simile esito la nuova amministrazione Trump ha deciso di porre fine a questa guerra concludendo, se non la pace, almeno un accordo con il nemico russo, trasformato di colpo in un avversario con cui è possibile un accordo. La ragione di fondo di questa inversione di rotta degli Stati Uniti è che l’amministrazione Trump, ancor più delle precedenti, ha come priorità delle priorità quella di affrontare la sfida costituita, ai suoi occhi, dall’ascesa della Cina, che minaccia il suo dominio globale. In questo contesto, la vicenda ucraina diventa secondaria, se non addirittura trascurabile, e deve essere liquidata nel modo più rapido ed economico possibile. In questo caso, per gli Stati Uniti si tratta di una riedizione di quanto fatto negli ultimi decenni ogni volta che sono stati tenuti in scacco, come in Vietnam nel 1973, in Iraq nel 2011, ad Haiti nel 1995 e in Afghanistan nel 2021: ritirarsi e lasciare che il caos creato dal loro intervento sia gestito dai loro alleati locali e dai precedenti nemici: in breve, lavarsene le mani.
L’unica differenza è lo stile con cui lo scenario si ripete questa volta. Con l’Ubu (ri)eletto lo scorso novembre, la silenziosa vergogna di un Obama o la contrizione da coccodrillo di un Biden hanno lasciato il posto a una vistosa negazione delle schiaccianti responsabilità americane nella vicenda, con gli Stati Uniti che hanno assunto la vantaggiosa posizione della colomba per far dimenticare il loro ruolo di falco. Il palese fallimento militare ucraino viene imputato a Kiev, che non ha voluto mobilitare la gioventù del Paese per mandarla a farsi sventrare sul campo di battaglia, e ai suoi alleati europei, che non hanno messo mano abbastanza alle loro tasche né per sostenere lo sforzo bellico ucraino, né per garantire la propria difesa. Per non parlare del fatto che, in linea con il suo tropismo e il suo credo super attivistici, Trump intende recuperare la sua quota di sfruttamento del sottosuolo ucraino ricco di terre rare.
Panico a Londra, Parigi, Berlino, Varsavia…
… e in altre capitali europee. Perché, non avendo capito nulla di quello che è successo, stanno inventando un futuro immaginario in cui credono di dover affrontare, ormai da solie, private dell’aiuto dello zio Sam, il lupo cattivo russo. E, poiché ritengono di non avere i mezzi per farlo militarmente, l’unica opzione che prendono in considerazione o almeno favoriscono, stanno lanciando folli programmi di riarmo, buttando centinaia di miliardi di euro che solo il giorno prima affermavano di non avere se si trattava di aumentare gli stipendi, rafforzare i servizi pubblici e le strutture comunitarie, soddisfare i bisogni sociali più elementari, ecc. Tutto ciò fa presagire un nuovo ciclo di austerità crescente per le loro popolazioni, che non offrirà loro altra prospettiva se non quella di stringere la cinghia ancora un po’ per gli anni a venire, prima di “morire per la libertà”, creando fin da ora un’atmosfera da « vigilia di guerra ».
Tuttavia, la natura immaginaria di questo scenario futuro è tradita dalla natura incoerente dei loro propositi. Sono le stesse persone che ora dicono che i russi sono alle nostre porte e che non abbiamo i mezzi per impedirgli di entrare con la forza, e che appena il giorno prima, se non in contemporanea, sostengono che è necessario e giusto aiutare gli ucraini, anche inviando loro delle truppe, perché è possibile sconfiggere il nemico sulle rive del Dniepr o nel Donbass. E allora la Russia cos’è ? Orco insaziabile e assetato di sangue, o colosso dai piedi d’argilla?
Questo scenario è ancora immaginario perché non tiene conto della realtà dei rapporti di forza così come si presenta sul campo. Dopo tre anni di guerra, le truppe russe sono faticosamente e cautamente riuscite a conquistare appena un quinto del territorio ucraino. Una domanda degna di un problema di quinta elementare: di questo passo, quanto ci metteranno i cosacchi ad abbeverare i loro cavalli nei sobborghi di Brest e Lisbona?
Immaginario, infine, perché, come prima del 2022, gli Europei non ascoltano, o non danno credito alle parole dei russi. I russi hanno ripetuto a gran voce che non avrebbero accettato le forze della NATO alle loro porte in Ucraina e che, se avessero persistito nella loro intenzione di farlo, sarebbero entrati in guerra. E così è stato. Quando, al contrario, li abbiamo sentiti dichiarare di avere altre pretese, se non sui loro immediati vicini ? per forza di cose sull’Europa occidentale? Doppiezza da parte loro? Allora perché accusarli contemporaneamente di cinismo?
Il pericolo, tuttavia, è che questo scenario, per quanto immaginario, possa dar luogo a una profezia che si autoavvera. Infatti, rilanciando la corsa agli armamenti in Europa, si crea proprio una situazione favorevole alla guerra. Contrariamente al vecchio adagio romano, quando si prepara la guerra, si ottiene … la guerra! Non lo ha forse dimostrato ancora una volta l’estensione, negli anni ’90, dell’alleanza militare all’Europa centrale e orientale, che avrebbe dovuto garantire la pace?
Intrappolate dalle loro posizioni “campiste” sui conflitti inter-imperialisti e internazionali, la maggior parte delle organizzazioni della sinistra e dell’estrema sinistra sta adottando questo scenario, arrivando a tacciare di filo-russismo o addirittura di filo putinismo qualsiasi presa di distanza critica. Dopo essersi già arruolati nella crociata antirussa sotto la bandiera a stelle e strisce e aver fallito nella loro missione di mobilitare le classi lavoratrici contro la guerra, si preparano a fare lo stesso cadendo nella rete dell’Union sacrée. Permettendo così all’estrema destra, d’un colpo solo, di monopolizzare il discorso contro la guerra, e offrendole un’altra opportunità di essere in consonanza con le preoccupazioni popolari e di aumentare il proprio pubblico e, cosa altrettanto disastrosa, permettendo al blocco politico-mediatico al potere di identificare come di estrema destra qualsiasi critica alle proprie posizioni.
Peggio ancora, queste organizzazioni si impediscono di denunciare e lottare con le classi lavoratrici, non solo contro le molte forme di sfruttamento aggravato (in termini di salari e tasse, attraverso la crescita della disoccupazione e il deterioramento dei servizi pubblici, ecc.) per le quali queste minacce e necessità immaginarie serviranno come legittimazione “incontrovertibile”, ma anche di lottare contro il keynesismo militare, cioè un modo per rilanciare l’economia [attraverso la spesa bellica], e quindi di aumentare ulteriormente i profitti, senza aumentare la domanda di beni di consumo, a favore della sola domanda di beni distruttivi, finanziata da tasse e debito. Va da sé che di questo tipo di stimolo beneficeranno soprattutto gli Stati Uniti, il maggior esportatore mondiale di attrezzature e tecnologie militari, anche se alcuni Paesi europei possono sperare di approfittarne per aumentare la propria produzione e le proprie esportazioni (nell’ordine: Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna).
Blues in Kiev
Ma le persone più da compatire sono ovviamente gli ucraini, gli unici che hanno dovuto entrare nella tana del leone. Sono quelli che hanno pagato il prezzo più alto, in termini di sfollamento ed esilio di massa della popolazione, di morti e distruzioni militari e civili, per il cinico gioco dell’Occidente, che ha fatto precipitare un conflitto che si è svolto sul loro territorio e in cui hanno occupato gli avamposti, presumibilmente per forzare la mano ai russi e indebolirli definitivamente. Senza dubbio hanno creduto, e credono tuttora, che questo fosse l’unico modo per difendere la loro sovranità e integrità territoriale, anche se era possibile un’altra strada, quella di un compromesso con la Russia, che avrebbe permesso loro di salvare l’essenziale sotto entrambi i punti di vista. Una strada che l’Occidente ha vietato loro di percorrere, sia prima che subito dopo il lancio dell’offensiva russa del 24 febbraio 2022: mentre alla fine di marzo era in vista un accordo russo-ucraino, è stato l’Occidente a decidere che gli ucraini dovevano abbandonarlo.
E sono ancora questi ultimi che si preparano a pagare il prezzo più alto quando arriverà il momento, che non tarderà ad arrivare, di una pace forzata. D’ora in poi, la pace sarà firmata alle condizioni che i russi, vincitori sul campo, accetteranno o imporranno. Dopodiché, gli ucraini dovranno ancora pagare l’enorme debito di guerra accumulato e ricostruire il loro Paese, in parte devastato dalla guerra, con una popolazione che si è ridotta notevolmente (da 45 milioni nel 2013 a 33 milioni nel 2023). Rimuginando, nel frattempo, sull’amarezza della sconfitta e del tradimento, sulle cui ragioni avranno tutto il tempo di riflettere, ricordando il famoso monito: “Dio, proteggimi dai miei amici, che ai miei nemici ci penso io”.
Il sangue freddo a Mosca
La sobrietà delle ultime dichiarazioni di Mosca contrasta con i deliri megalomani di Washington, con la febbre angosciosa delle capitali europee e con l’ostinazione di Zelensky nel suo errore iniziale. Eppure la Russia avrebbe tutte le ragioni per pavoneggiarsi. Lungi dal crollare sotto l’impatto delle sanzioni commerciali e finanziarie attuate dagli occidentali, come questi ultimi avevano annunciato urbi et orbi, essendo riuscita a rimettersi in piedi dopo un inizio militare fallimentare e avendo dimostrato la solidità delle sue alleanze, in particolare con la Cina e l’Iran, al momento la Russia sembra essere la grande vincitrice di questo conflitto, a un passo dall’aver raggiunto gli obiettivi che si era prefissata.
Senza dubbio sa anche che non basta vincere la guerra, deve vincere anche la pace. E per farlo, dovrà pagare il prezzo della sua vittoria. Tra questi, il fatto che l’odiata NATO, pur non riuscendo a stabilirsi in Ucraina, è ora presente lungo i 1.340 chilometri del confine comune con la Finlandia. A ciò si aggiungono i massicci programmi di riarmo che gli alleati europei della NATO (o ciò che ne rimane) stanno pianificando di intraprendere. Per non parlare dell’odio duraturo che avrà suscitato nella maggior parte della popolazione ucraina e in coloro che hanno sposato la sua causa.
Se evitare l’instaurarsi di una nuova guerra fredda è nei piani russi, non c’è altra soluzione che proporre, come hanno continuato a fare dall’inizio della guerra in Ucraina, la convocazione di una conferenza di pace nel quadro dell’OSCE. Questo metterà a tacere ogni speculazione sulle loro mire espansioniste, mire di cui si faticherebbe a trovare tracce nella storia recente delle relazioni internazionali (quando mai la Russia ha intrapreso operazioni simili alla doppia invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan ?). Potranno sostenere di fronte ai nemici occidentali che non si sceglie il proprio nemico, ma è sempre con lui che si deve firmare la pace.
E noi ?
Di fronte alle politiche di riarmo a tutto vapore, a fronte del clima di guerra e di « vigilia di guerra » che coltivano i governi bellicisti europei con l’appoggio della grande maggioranza dei media, la sinistra, e in particolare la sinistra radicale, deve superare gli errori di ieri e dell’altro ieri. Si deve chiamare alla mobilitazione delle masse dappertutto in Europa per bloccare una politica che fa già dire a qualcuno che si deve scegliere fra «pensioni o munizioni » (w) e pavimenta la via di una possibile discesa negli abissi.
Alain Bihr, Jean-Marie Heinrich
Roland Pfefferkorn, Yannis Thanassekos
(1) https://fr.statista.com/statistiques/688554/population-totale-ukaine/
(2) Dominique Seux, « Pensions ou munitions ? », Les Echos, 5 mars 2025.