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[it, en] “Preferisco morire da leonessa…” Sulla repressione dell’incontro antimilitarista internazionale di Amburgo
Riceviamo e diffondiamo: [it] “Preferisco morire da leonessa piuttosto che vivere come un cane”. Sulla repressione contro il 2° incontro internazionale di Amburgo contro il servizio militare e per il rifiuto di ogni forma di militarismo «Preferirei morire come una leonessa…» Con queste parole, nel 1917, Emma Goldman si oppose al militarismo che si stava diffondendo in tutto il mondo e si schierò contro il servizio militare obbligatorio. A più di un secolo di distanza, ci troviamo di fronte a un altro periodo di massiccia militarizzazione, caratterizzato da nuove e continue guerre e genocidi. Lo scorso fine settimana, dal 14 al 16 novembre 2025, anarchici provenienti da diversi paesi si sono incontrati per la seconda volta in occasione di uno scambio internazionale per analizzare, discutere e approfondire ulteriormente le lotte antimilitariste. Sono stati presentati contributi di compagni provenienti da Gran Bretagna, Grecia, Israele/Palestina, Italia, Francia, Finlandia e Germania, proposti in loco, tramite video o per iscritto. Come facilmente immaginabile, i nemici della libertà e i loro seguaci non sono certamente entusiasti di un momento internazionale come questo. Oltre alla sorveglianza intorno al nostro incontro, desideriamo rendere noto un episodio: La sera di venerdì, un gruppo di cinque compagni anarchici provenienti da Milano è stato fermato dalla polizia federale tedesca all’aeroporto di Amburgo, subito dopo essere sceso dall’aereo. Sono stati sottoposti a controllo e successivamente gli agenti in uniforme hanno cercato di interrogarli, rivolgendo loro domande sull’incontro e, più in generale, sulle loro attività anarchiche. Dopo essersi rassegnati alla mancata collaborazione dei nostri compagni e dopo alcune ore, è diventato chiaro che l’ingresso nel paese sarebbe stato loro negato ai sensi dell’articolo 6. Dopo aver trascorso la notte in una cella della stazione di polizia, la polizia federale ha provveduto a cambiare la loro prenotazione aerea, inserendoli su un volo in partenza la mattina seguente. I loro documenti sono stati consegnati al pilota e sono stati rispediti in Italia, dove sono stati accolti dalla polizia italiana e successivamente rilasciati. Nei documenti consegnati ai nostri compagni, l’incontro dell’anno scorso contro il servizio militare e il rifiuto di ogni forma di militarismo è stato indicato come il motivo di questa azione repressiva. Secondo quanto riportato, durante le giornate dello scorso anno si sarebbe verificata una manifestazione violenta, nel corso della quale sarebbe stato esposto uno striscione con la scritta “Contro il militarismo, no alla Bundeswehr”, distrutto un ufficio della SPD, bloccate le strade, scritti slogan sui muri e aggrediti i poliziotti giunti sul posto. Consideriamo questa repressione come un messaggio rivolto alla nostra iniziativa antimilitarista internazionale e inviamo la nostra solidarietà ai compagni fermati e a cui è stato impedito di partecipare all’incontro. Le nostre lotte non si fermeranno né di fronte alle loro leggi né ai loro confini, né di fronte a chi, in uniforme o meno, difende un sistema che trae profitto dalle guerre e dai genocidi in tutto il mondo. Con le imminenti lotte contro la militarizzazione e la reintroduzione del servizio militare obbligatorio, ci saranno ulteriori interventi repressivi. Siamo già venuti a conoscenza di studenti perseguitati nelle loro scuole per essersi opposti alla propaganda dell’esercito tedesco. Con queste parole, vogliamo esprimere la nostra solidarietà anche al compagno anarchico Stecco in Italia, che ha aderito allo sciopero della fame dell’iniziativa “Prisoners for Palestine”. Libertà per tutti i prigionieri! Contro ogni forma di militarismo! Amburgo, novembre 2025 ——- [de] „Lieber sterbe ich als Löwin, als dass ich ein Leben als Hund führe“. Zur Repression gegen den 2. internationalen Austausch gegen Militärdienst und für die Verweigerung jedes Militarismus in Hamburg „Ich würde lieber als Löwin sterben …“ Mit diesen Worten konfrontierte Emma Goldman 1917 den sich weltweit ausbreitenden Militarismus und sprach sich gegen die Wehrpflicht aus. Mehr als hundert Jahre später stehen wir vor einer weiteren Episode massiver Militarisierung, einhergehend mit neuen und andauernden Kriegen und Genoziden. Am vergangenen Wochenende, vom 14. bis 16. November 2025, trafen sich Anarchist*innen aus verschiedenen Ländern zum zweiten Mal zu einem internationalen Austausch, um antimilitaristische Kämpfe zu analysieren, zu diskutieren und weiterzuentwickeln. Es wurden Beiträge von Mitstreiter*innen aus Großbritannien, Griechenland, Israel/Palästina, Italien, Frankreich, Finnland und Deutschland präsentiert, die vor Ort, per Video oder schriftlich eingereicht wurden. Wie wir uns leicht vorstellen können, sind die Feind*innen der Freiheit und ihre Hunde sicherlich nicht begeistert von einem internationalen Moment wie diesem. Abgesehen von der Überwachung rund um unser Treffen möchten wir einen Vorfall bekannt machen: Am Freitagabend wurde eine Gruppe von fünf anarchistischen Mitstreiter*innen, die aus Mailand (Italien) am Flughafen Hamburg ankam, unmittelbar nach dem Verlassen des Flugzeugs von der deutschen Bundespolizei aufgehalten. Sie wurden kontrolliert und später versuchten die Hunde in Uniform sie zu verhören, indem sie ihnen Fragen über das Treffen und allgemeine Fragen zu ihren anarchistischen Aktivitäten stellten. Nachdem sie die Nichtkooperation unserer Mitstreiter*innen akzeptieren mussten und einige Stunden vergangen waren, wurde klar, dass ihnen die Einreise gemäß § 6 verweigert werden würde. Nach einer Nacht auf der Polizeiwache änderte die Bundespolizei ihre Flugbuchung und buchte sie auf einen Flug am nächsten Morgen um. Ihre Papiere wurden der*dem Pilot*in ausgehändigt und sie wurden nach Italien zurückgeschickt, wo sie von der italienischen Polizei empfangen und anschließend freigelassen wurden. In den Papieren, die unseren Mitstreiter*innen ausgehändigt wurden, wurde der Austausch gegen den Militärdienst und die Verweigerung jedes Militarismus im letzten Jahr als Begründung für die Repression angegeben. Es hieß, dass es während der Tage des letzten Jahres zu einer wilden Demonstration gekommen sei, bei der ein Transparent mit der Aufschrift „Gegen Militarismus, keine Bundeswehr“ getragen, ein Büro der SPD zerstört, die Straße blockiert, Slogans gesprüht und ankommende Polizist*innen angegriffen worden seien. Wir verstehen diese Repression als Botschaft an unsere internationale antimilitaristische Initiative und senden unsere Solidarität an die Mitstreiter*innen, die aufgehalten und an der Teilnahme am Austausch gehindert wurden. Unsere Kämpfe werden weder durch ihre Gesetze und Grenzen gestoppt werden, noch durch diejenigen – ob in Uniform oder ohne Uniform – die ein System verteidigen, das von Kriegen und Genoziden weltweit profitiert. Mit den bevorstehenden Kämpfen gegen die Militarisierung und die Wiedereinführung der Wehrpflicht wird es zu weiterer Repression kommen. Wir haben bereits von Schüler*innen gehört, die wegen ihres Widerstands gegen Bundeswehr-Propaganda in ihren Schulen verfolgt werden. Mit diesen Worten möchten wir auch unsere Solidarität mit dem anarchistischen Mitstreiter Stecco in Italien ausdrücken, der sich dem Hungerstreik der Initiative „Prisoners for Palestine“ angeschlossen hat. Freiheit für alle Gefangenen! Gegen jeden Militarismus! Hamburg, November 2025
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Stato di emergenza
Babele
UniTN-FBK: per la guerra, l’incarcerazione tecnologica della società e a sostegno del regime sionista
Riuniamo in questa pagina i vari contributi usciti sul coinvolgimento dell’università trentina, e della Fondazione Bruno Kessler che ne è il nucleo storico, con il regime sionista, il comparto bellico e il controllo sociale tecnologico: Qui una mappa delle attività di Uni-Tn e FBK: https://ilrovescio.info/2025/11/14/trento-28-novembre-corteo-per-lo-sciopero-generale-con-volantino-mappa-delle-collaborazioni-tra-unitn-fbk-e-industria-bellica/ Qui un contributo di un compagno su FBK: https://ilrovescio.info/2025/05/21/fbk-per-la-guerra-e-lincarcerazione-tecnologica-della-societa/ Qui la vicenda “Truman”, che ha messo pubblicamente l’università di Trento davanti alle sue responsabilità: https://ilrovescio.info/2025/06/17/the-truman-show-luniversita-di-trento-collabora-anche-con-israel-ibm/ Qui i numeri del bollettino “Campagna di sfida”, a cura dell’Assemblea trentina in solidarietà con la resistenza palestinese: https://ilrovescio.info/2025/05/01/campagna-di-sfida-n-2-spezzare-le-collaborazioni-con-il-genocidio/ Qui un contributo studentesco più vecchio: https://ilrovescio.info/wp-content/uploads/2023/11/intervento.pdf Qui un numero del foglio “Dal fronte umano” (del Collettivo Terra e Libertà) in cui si parla anche delle sperimentazioni di controllo tecnologico attuate da FBK nella città di Trento: https://ilrovescio.info/2024/01/08/un-test-chiamato-gaza-dal-fronte-umano-iii/
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Materiali
LA GUERRA È IN CASA NOSTRA
Riceviamo e diffondiamo: UNA STRATEGIA DI LUNGO PERIODO PER LA MILITARIZZAZIONE ECONOMICA Da pochi giorni il Ministero della Difesa ha pubblicato il Documento Programmatico Pluriennale della Difesa 2025-2027. Si tratta in soldoni dell’aspetto programmatico del comparto bellico italiano. La propaganda del Ministero definisce la Difesa come “volano per innovazione e sviluppo”. Dietro il linguaggio tecnico, si nasconde un piano di espansione strutturale dell’apparato militare: il Ministero si presenta come “motore industriale” del Paese, giustificando l’aumento delle spese con ricadute su occupazione e tecnologia. L’Italia ha aderito alla nuova linea NATO, che prevede di raggiungere per tutti gli Stati membri il 5% delle spese militari così spartito: 3,5% del PIL in spese militari propriamente dette e all’1,5% per la sicurezza o le infrastrutture (vedasi Ponte sullo Stretto, che collegherebbe il confine sud della NATO – la Sicilia, il Muos etc – con il continente). Un livello di spesa potenzialmente superiore a quello del periodo della Guerra Fredda. La Legge di Bilancio 2025-2027 prevede 35,094 miliardi di euro in 15 anni per: * 22,5 miliardi dal Fondo investimenti della Difesa; * 12,6 miliardi dal Ministero delle Imprese (MIMIT). Gli investimenti coprono ogni settore: * Terrestre: nuovi mezzi corazzati, artiglieria, droni armati. * Aereo: caccia di sesta generazione, sistemi missilistici, capacità “Extended Strike”. * Navale: navi d’attacco, sommergibili, droni subacquei. * Cyber e spazio: intelligence digitale, satelliti militari, “Space Domain Awareness”. Di più. L’Italia con la Legge di Bilancio 2025 stanzia 50milioni per la ristrutturazione di tre stabilimenti militari situati a Baiano di Spoleto, Fontana Liri e Capua, gestiti direttamente dall’Agenzia Industrie Difesa. L’obiettivo è aumentare la produzione di componenti critici come la nitroglicerina e la nitrocellulosa, necessari per munizioni di medio calibro, riducendo così la dipendenza dalle forniture estere e rafforzando l’autonomia produttiva nazionale. Ancora più forte appare la saldatura tra Università e Guerra con il Piano Nazionale della Ricerca Militare – PNRM. La guerra futura, che intreccia militare, civile ed economia, è in realtà la guerra odierna. L’Italia è attualmente impegnata in 43 missioni militari (nel solo anno 2025), con più di 12mila soldati utilizzati. La guerra odierna è anche – e forse soprattutto – guerra interna. Come diceva Simone Weil: “Il grande errore in cui cadono quasi tutte le analisi riguardanti la guerra […] è di considerare la guerra come un episodio di politica estera, mentre è prima di tutto un fatto di politica interna, e il più atroce di tutti.” Una parte cruciale del DPP è dedicata alla cosiddetta “funzione sicurezza del territorio”, che affida ai Carabinieri un ruolo centrale nel processo di militarizzazione interna. Soldi per nuove assunzioni, soldi per ammodernamento delle caserme, soldi per nuove armi. Tra le misure previste: * Acquisizione di elicotteri, droni e veicoli tattici con uso duale (militare e civile). * Sistemi di sorveglianza digitale e cyber-investigazione (deep web, criptovalute, digital forensics). * Estensione dell’uso del taser e di armi “non letali” a livelli ordinativi sempre più bassi. * Ruolo crescente nello “Stability Policing”: attività di controllo sociale e gestione di crisi anche in territorio nazionale. Questo spostamento funzionale rafforza il ruolo dei Carabinieri come parte integrante della difesa militare, abbattendo ulteriormente il confine tra sicurezza civile e logica bellica. La militarizzazione non si limita più al piano geopolitico, ma penetra nelle città, nei sistemi informativi e nella gestione dell’ordine pubblico, preparando la società a un modello di sicurezza permanente in tempi di guerra totale. https://controguerra.noblogs.org/post/2025/11/12/la-guerra-e-in-casa-nostra/
Contributi
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GRANDE GUERRE, ÉTRANGLEMENTS ET MIROIRS DE FAILLE
“Si vous connaissez votre ennemi et vous-même, votre victoire est assurée. Si vous vous connaissez vous-même mais pas votre ennemi, vos chances de gagner et de perdre sont égales. Si vous ne connaissez ni votre ennemi ni vous-même, vous perdrez chaque bataille.”                                                                                                 Sun Tzu, L’Art de la guerre « C’est le moment de la paix par la force. C’est le moment d’une défense commune. Dans les semaines et les mois à venir, il faudra faire preuve de plus de courage. Et d’autres choix difficiles nous attendent. Le temps des illusions est révolu. » C’est ce qu’a déclaré, le 4 mars dernier, la présidente de la Commission européenne Ursula Von der Leyern en présentant un plan en 5 points pour le réarmement des États membres de l’Union européenne, mobilisant près de 800 milliards d’euros pour les dépenses de défense. Cette annonce précède et s’ajoute au fonds allemand de 500 milliards d’euros que le Bundestag, le parlement allemand, a approuvé le 18 mars avec les votes du SPD, de la CDUCSU et des Verts, ainsi que les modifications constitutionnelles visant à investir dans le réarmement et à surmonter l’« obstacle » de la limite de la dette et des dépenses publiques. L’accord multimillionnaire pour financer la défense allemande donne à son tour une impulsion au plan de réarmement européen. Ce dernier est structuré et articulé autour de 5 points stratégiques. Le premier point du plan « ReArm Europe » prévoit l’activation de la clause de sauvegarde nationale du pacte de stabilité (c’est-à-dire le règlement qui régit les budgets des États membres de l’UE).  Cette mesure permettra aux États membres d’augmenter leurs dépenses d’armement au-delà de la limite de 3 % du déficit sans encourir de procédure d’infraction européenne. En pratique, les gouvernements pourront investir d’avantage dans l’armement sans craindre de sanctions de la part de l’UE (c’est-à-dire faire ce que tous les gouvernements et politiciens, tant de droite que de gauche, disaient impossible pour les dépenses sociales et sanitaires). Le deuxième point prévoit un nouvel instrument financier de 150 milliards d’euros pour des investissements militaires « partagés ». La particularité est que ces investissements militaires concerneront des équipements standardisés entre les armées de différents États, afin de garantir que les systèmes militaires puissent fonctionner ensemble en cas de guerre. Pour mettre en place ce mécanisme, la Commission européenne utilisera l’article 122 du traité de l’Union, qui permet de créer des instruments financiers d’urgence sans l’approbation du parlement des États européens. Le troisième point introduit la possibilité d’utiliser les fonds destinés à la pacification sociale (les « fonds de cohésion » présents dans chaque « plan de résilience » introduit ces dernières années et émanation directe du manifeste de la bourgeoisie et des États européens, à savoir le document Next generation UE) pour des projets de réarmement de guerre. Le quatrième point du plan prévoit la participation de la Banque européenne d’investissement au financement à long terme d’investissements à caractère militaire, tandis que le cinquième et dernier point ordonne la mobilisation générale du capital dit privé, c’est-à-dire le vol des petites économies des classes sociales défavorisées du vieux continent afin de financer la guerre des patrons et des États, en drainant l’argent des petits comptes bancaires pour les transformer en capitaux à risque dans des investissements militaires et dans la réindustrialisation du vieux continent. La mesure proposée par Mario Draghi et Enrico Letta après le succès obtenu ces dernières années au détriment des classes exploitées pour financer les grands travaux dans l’État italien (dans ce cas également, comme pour le « front intérieur » des États articulé autour de mesures répressives, la classe dominante et l’État italien font école dans l’Union européenne). L’idéologie nationaliste sert d’enveloppe et de partie prenante dans le déclenchement de la guerre mondiale, tant dans ses variantes ouvertement réactionnaires (par exemple, tous les partis d’extrême droite demandent une plus grande attention aux différents réarmements nationaux) que dans ses variantes progressistes et de gauche (par exemple sont évidentes, les déclarations en France de certains représentants du Nouveau Front Populaire sur l’urgence de recréer une idéologie patriotique et nationaliste de gauche). Dans ce climat d’union sacrée et de mobilisation des consciences et des corps, déserter (en ce qui nous concerne) le front occidental devient une urgence de plus en plus pressante. Comment faire ? Essayons tout d’abord de photographier les dynamiques et de fixer certaines coordonnées de la « Grande Guerre » qui s’accélère sur la pente qui nous conduit vers l’abîme, en partant du front oriental européen et en tenant fermement entre nos mains le sextant du défaitisme révolutionnaire et de l’internationalisme anti-autoritaire. La victoire de la partie de la classe dominante américaine qui soutient l’administration Trump a accéléré le renforcement de l’interventionnisme des États-Unis sur le continent américain, africain, moyen-oriental et surtout indo-pacifique, tandis que le lancement des pourparlers et des « rencontres de paix » entre les classes dominantes russe et nord-américain met en évidence l’opposition croissante avec les bourgeoisies du vieux continent (il est intéressant de noter que l’une de ces « rencontres de paix » s’est tenue dans la ville de Munich, déjà théâtre de la tristement célèbre conférence de paix de 1938) dans le sillage d’une sorte de Yalta 2.0 qui rappelle bien les déclarations du premier secrétaire général de l’Alliance atlantique, à savoir que l’OTAN sert à « garder les Américains à l’intérieur, les Russes à l’extérieur et les Allemands en dessous ». Cela nous amène à rappeler l’objectif du plus grand acte de guerre commis ces dernières années en Europe au détriment de nos hôtes, à savoir le sabotage du gazoduc Nord Stream. Au cours des derniers mois, le territoire de la région de Koursk, ainsi que les zones frontalières entre la région ukrainienne de Soumy et la région russe de Belgorod, ont été complètement reconquises par les forces militaires russes et nord-coréennes. En ce qui concerne les territoires ukrainiens, la région de Donetsk est sous contrôle russe à plus de 73 %, celle de Kherson à 59 %, et nous assistons à un contrôle total de la Russie sur la région de Lougansk. Actuellement, plus de 21 % du territoire de l’ État ukrainien est sous le contrôle des forces armées de Moscou. Il est évident que les succès remportés ces derniers mois par l’armée russe sur le front oriental ont un impact considérable sur les négociations, étant donné que la bourgeoisie russe est en train de gagner la guerre, et la préoccupation actuelle de nos dirigeants est de mettre rapidement fin à ce conflit avant que l’armée ukrainienne ne s’effondre et que l’armée russe ne se répande. Le risque que les dirigeants des deux camps redoutent le plus est la présence d’un invité de pierre à la table des négociations de paix éventuelles, à savoir le rôle que notre classe sociale joue des deux côtés du front, avec le risque de plus en plus visible d’une augmentation exponentielle des désertions du militarisme russe et ukrainien-OTAN, jusqu’à aboutir – comme l’ont déclaré le mois dernier certains analystes géopolitiques des patronnats occidentaux – à la possibilité d’une mutinerie des troupes ukrainiennes contre le gouvernement de Kiev. Comme nous l’avons toujours soutenu, la guerre en Ukraine est aussi une guerre pour le contrôle des importantes ressources en terres rares indispensables à l’économie de guerre et à la transformation de la société et du mode de production capitaliste vers la phase numérique. Alors que la poursuite éventuelle et de plus en plus précaire de l’aide militaire américaine dépend de l’accord qui place entre les mains du capitalisme américain les ressources minières et les infrastructures ukrainiennes qui, selon certaines sources à Kiev ces derniers mois, auraient déjà été attribuées à l’Empire 2.0 britannique sur la base d’un accord signé lors de la visite du Premier ministre Starmer à Kiev. Lors de la conférence de Munich, il avait déjà été question de la proposition par la délégation du Congrès américain d’un contrat qui aurait accordé aux États-Unis les droits sur 50 % des futures réserves minières ukrainiennes. Les désaccords et les tiraillements avec Trump au sujet des terres rares ces derniers mois sont dus au rôle actif joué dans cette affaire par les classes dirigeantes britanniques qui, selon un accord préliminaire signé par Zelensky et Starmer, l’État ukrainien s’était engagé à transférer tous les ports, les centrales nucléaires, les systèmes de production et de transfert de gaz et les gisements de titane sous le contrôle de Londres. Le gisement de lithium de Shevchenko (Donetsk), reconquis par l’armée russe en janvier dernier, contient environ 13,8 millions de tonnes de minerais de lithium. Ce gisement est le plus grand non seulement d’Ukraine, mais de toute l’Europe. Dès 2021, la société minière du Commonwealth European Lithium avait annoncé qu’elle était en train de sécuriser le site. La perte de ce gisement est un coup dur pour les besoins en lithium des classes dominantes de l’UE, qui auraient de toute façon dû se tourner vers la bourgeoisie britannique. Mais l’agro-industrie (c’est-à-dire l’exploitation intensive des terres et des animaux d’élevage avec l’expulsion des communautés locales) est également partie prenante dans la course des patrons rivaux pour le contrôle des riches ressources de l’ancienne Sarmatie. Par exemple, dès 2013, la société agricole ukrainienne « Ksg Agro » a signé un accord avec le « Xinjiang Production and Construction Corps » de l’État chinois pour la location de terres agricoles dans la région orientale de Dnipropetrovsk. L’accord prévoyait une location initiale de 100 000 hectares, avec la possibilité d’étendre cette superficie à 3 millions d’hectares au fil du temps, soit environ 5 % du territoire ukrainien, dans le but principal de cultiver et d’élever des porcs destinés au marché chinois. Ce projet a aujourd’hui échoué non seulement en raison des événements guerriers, mais aussi à cause de la résistance et des petites luttes des communautés locales. Selon le rapport 2023 de l’« Oakland Institute », plus de 9 millions d’hectares de terres agricoles ukrainiennes sont dominés par la grande bourgeoisie locale et par de grandes entreprises agro-industrielles américaines, européennes et saoudiennes (telles que « NHC Capital » aux États-Unis, « Agrogénération » en France et « KWS » et « Bayer » en Allemagne). Terre frontalière depuis l’époque du Khanat de la Horde d’Or et du grand-duché de Lituanie, tous les exploiteurs et oppresseurs de tous les temps ont toujours cherché à contrôler la partie de la plaine sarmatique caressée par la mer Noire. Le nom même « Ukraine » signifie « près de la frontière », c’est-à-dire la frontière entre des blocs d’ États et des capitalismes opposés et un petit bassin semi-fermé et peu profond : la mer Noire. Le nom de cette dernière n’est toutefois pas lié à la couleur de ses eaux, mais « Kara » (« Noir ») est le nom donné par les Turcs à cette étendue d’eau selon une ancienne association des points cardinaux à des couleurs spécifiques. Mais la morosité liée à cette étendue d’eau étroite est plus ancienne. Au VIIe siècle avant J.-C., les premiers colonisateurs de ses côtes (les Ioniens) l’appelaient « Pontos Axeinos » (« mer inhospitalière »). Les mots ne sont jamais neutres, mais servent les intérêts des différentes classes exploiteuses, tout comme ils peuvent aussi servir les intérêts des exploités en appelant les choses par leur nom, en désignant les responsables de l’oppression et en dépeignant une autre vision du monde et de la vie. Comme son nom l’indique, cette mer n’a jamais été contrôlée par personne. Dans la conjoncture historique actuelle, quatre blocs d’États et de capitalismes principaux se rencontrent et s’affrontent sur les côtes et dans les eaux du Pont-Euséne : celui de la Russie, celui des États-Unis, celui de l’« Europe » et celui du néo-ottomanisme. Une mer fermée caractérisée par un seul accès : celui du Bosphore-Dardanelles contrôlé par l’État turc. Les classes dominantes russes ont toujours considéré cette mer comme stratégique, car elle constitue le seul accès aux mers chaudes et à leurs routes logistiques. Pour le néo-ottomanisme de l’État turc, éloigner les États rivaux de l’Anatolie est un facteur crucial, alors que l’expansionnisme des intérêts du capital turc vers l’Europe, l’Afrique, le Moyen-Orient et l’Asie centrale se poursuit. La nouvelle doctrine militaire de la « Mavi Vatan » (Patrie bleue) reflète pleinement ces objectifs. Entre États et puissances en guerre les uns contre les autres, la diplomatie turque s’efforce d’ouvrir des marges d’influence le long des axes mentionnés précédemment. Par exemple, elle condamne Moscou pour l’invasion de l’Ukraine, mais ne cesse de faire affaire avec le Kremlin. Elle permet aux flottes de la marine militaire russe d’entrer et de sortir du Bosphore, mais oblige les exploitants russes à accepter qu’elle dirige la « Black Sea Grain Initiative », négociée précisément par Ankara pour permettre à la fertile Ukraine d’ exporter des denrées alimentaires, en augmentant bien sûr les tarifs de transit des navires marchands dans la mer de Marmara. Les tentatives sur cette mer par nos dirigeants pour briser l’anoxie causée par l’étranglement des classes dominantes rivales américaines et russes sur l’Europe sont considérables, dans ce qui est manifestement de plus en plus une réaffirmation de l’accord de Yalta, par exemple avec l’ exploitation des fonds marins de ce pélage. L’UE souhaite réaliser un câble internet sous-marin de 1 100 km pour relier les États membres à la Géorgie, avec un investissement d’environ 45 millions d’euros. Le projet vise à réduire « la dépendance de la région à la connectivité par fibre optique terrestre qui transite par la Russie », a déclaré la Commission européenne, comme rapporte le Financial Times. Actuellement, environ 99 % du trafic internet intercontinental est transmis par plus de 400 câbles sous-marins qui s’étendent sur 1,4 million de km. La hiérarchie et le contrôle des routes maritimes, des ports, des transports et de la logistique orientent la circulation des marchandises et des capitaux. Elle exprime depuis toujours la puissance des États, depuis leur naissance, et le développement du capital. La mer, le capitalisme et la guerre déplacent et redéfinissent les rapports de force entre les États et les classes dominantes, dans les deux derniers carnages mondiaux comme aujourd’hui. La Grande Guerre en cours se livre stratégiquement sur les vagues. Au-dessus et en dessous d’elles, entre le contrôle des fonds marins, de la terre, de l’espace orbital et cybernétique jusqu’à la maîtrise des technologies permettant de contrôler l’espace infiniment petit (génétique et nanotechnologique) contracté en une seule dimension. Pour notre classe sociale, tenter de bloquer la logistique qui permet à la mégamachine de la mort de fonctionner est une urgence vitale et nécessaire pour pouvoir déserter leur guerre Je vais maintenant essayer d’introduire deux outils conceptuels pour analyser les mouvements et les positions de notre ennemi de classe et, surtout, pour pouvoir saisir la « fécondité de l’imprévu » (Proudhon) et essayer de lui donner forme dans les territoires où il se présente et se présentera de plus en plus : à savoir le concept des « goulets d’étranglement maritimes » et des possibilités insurrectionnelles et révolutionnaires qui s’ouvrent à nous dans les « miroirs de faille », c’est-à-dire dans ces territoires où s’affrontent les intérêts des États et des blocs opposés. Lorsque nous parlons de contrôle de la mer et de contrôle des espaces (tant physiques que virtuels comme le numérique). Pour nos ennemis de classe, il s’agit du contrôle des terres entourant ces espaces et de la domination sur la logistique qui rend possible l’exploitation et leur monde (des routes commerciales aux infrastructures matérielles telles que les câbles Internet sous-marins, qui permettent la transformation de la société et du mode de production capitaliste vers l’ère numérique). Pour contrôler ces espaces et ces territoires, les États et la classe dominante doivent contrôler les détroits maritimes, également appelés, au niveau mondial, « goulets d’étranglement ». Il s’agit de nœuds naturels et/ou artificiels (comme Panama et Suez) des artères des États et des mécanismes matériels de valorisation et de reproduction du capital, par lesquels transite la quasi-totalité des marchandises et des câbles Internet à l’échelle mondiale. Malacca, Taïwan, Panama, Gibraltar, Otrante, le canal de Sicile, Suez, les Dardanelles, Bab al-Mandab, Ormuz, Béring, le canal entre l’Islande et le Groenland, la mer Égée, le Jutland, etc. Si l’on considère les différents fronts ouverts à l’échelle mondiale depuis la Grande Guerre, nous nous rendons compte que les affrontements et les guerres en cours de nos maîtres tournent autour de la domination de ces goulets d’étranglement car pour les États et les capitalismes, depuis leur naissance, la mer est un passage incontournable dans la course à la puissance d’eux-mêmes et des classes exploiteuses. Celui qui domine ces espaces et donc, en pratique, ces goulets d’étranglement, domine le monde. Autour de ceux-ci s’affrontent et/ou se superposent les différentes « failles » des blocs d’États et de capitalismes qui s’opposent les uns aux autres. En général, dans certains des territoires limitant une ligne de faille, les contradictions sociales et économiques apparaissent plus facilement. Il s’agit de territoires et de sociétés directement disputés ou simplement considérés comme des points faibles par le bloc opposé en raison de leurs caractéristiques historiques, sociales, économiques et culturelles. Par exemple, pour nos maîtres, les territoires et les sociétés d’Europe orientale et d’Europe du Sud sont plus sensibles potentiellement en raison des contradictions qui pourraient déboucher sur des insurrections ou des autogestions généralisées et sur la catharsis révolutionnaire qui pourrait en résulter . Les exemples historiques où nous pouvons utiliser ces deux outils d’ orientation et de navigation pour les possibilités insurrectionnelles sont toutes les grandes révolutions libertaires de l’histoire du XXe siècle (Mandchourie, Ukraine, Cronstadt, Catalogne). Si l’on considère les réflexions et les projets élaborés il y a déjà plusieurs décennies dans le domaine de l’anarchisme d’action concernant les possibilités et les occasions révolutionnaires dans les sociétés du sud de l’Europe et du bassin méditerranéen, je pense qu’ aujourd’hui, parmi les contradictions qui s’ouvrent dans certaines régions avec la Grande Guerre en cours et la restructuration sociale du capitalisme, les analyses et les considérations que nous avons faites il y a plusieurs décennies sont plus que jamais d’actualité et précieuses, et ont confirmé toute leur validité et leur potentiel, en particulier en ce qui concerne les zones rurales, par exemple en Europe du Sud. Des zones rurales où il est possible de coordonner de manière informelle sur le territoire spécifique en question des situations de lutte, d’autonomie matérielle et de culture de résistance ; en substance, mettre en réseau et créer des moments et des situations d’autonomie matérielle, d’une autre vision du monde, de lutte et de travail insurrectionnel, en traçant un horizon politique libertaire et anarchiste. En substance, des CLR (Collectivités Locales de Résistance) où essayer dès maintenant de vivre matériellement et humainement sur des territoires la vie pour laquelle nous nous battons dans la lutte contre la dévastation causée par les États et le capital. Relancer et en même temps « sortir » de cette manière de la simple intervention d’agitation tant théorique que pratique pour entrer dans une perspective de possibilité révolutionnaire et insurrectionnelle. Possibilité, malheureusement, bien connue et présente dans les analyses des États de l’UE et de nos ennemis de classe, puisque dès 2017 , dans un document préparé pour la Commission européenne, déjà cité ces dernières années dans divers articles de la rubrique « Apocalypse ou insurrection », soulignait que dans les zones rurales de l’est et du sud de l’Europe, déjà fertiles pour nous en contradictions intrinsèques, la situation sociale était potentiellement explosive. Savoir saisir et rendre fructueuses les contradictions qui s’ouvrent et qui peuvent s’élargir au moment où nos maîtres et les États de l’UE se trouvent en difficulté et s’affaiblissent face à leurs adversaires dans cette Grande Guerre grande guerre. Pour nous, tout consiste à saisir les possibilités qui s’ouvrent sur certains territoires à partir du moment où nous savons interpréter l’espace-temps en profondeur et en ampleur, en déclinant dans la pratique notre boussole de principes en tirant parti de l’expérience historique des luttes de notre classe sociale, en fixant une ligne de conduite générale et en l’élaborant dans un travail révolutionnaire afin que les courants du devenir convulsif et frénétique de cette période historique ne nous entraînent pas à la dérive. Ce qui est d’autant plus facile c’est que la majeure partie de la classe dominante, surtout occidentale, glisse, au niveau de l’analyse stratégique, vers une démence post-historique et des problèmes mineurs enfermés dans l’illusion d’un présent éternel. Essayons d’examiner les contradictions politico-sociales et économiques qui se sont ouvertes ces derniers temps dans deux zones géographiques situées sur la ligne de faille de l’Europe orientale : la Roumanie et la Moldavie. Que les territoires appartenant à l’État roumain et moldave soient disputés entre deux blocs capitalistes opposés n’est une surprise pour personne. Les événements institutionnels de l’année dernière en Roumanie (comme par exemple le coup d’État pro-UE de décembre 2024) illustrent bien cette situation. Ce n’est pas ici le lieu d’entrer dans le vif du sujet de ces dynamiques. Il est toutefois intéressant, du point de vue de notre classe, de souligner les contradictions sociales qui peuvent en découler. Par exemple, les grèves continues des enseignants pour obtenir une augmentation de salaire, ou les vives protestations des transporteurs et des petits agriculteurs en Roumanie. Bucarest est en ébullition depuis plus d’un an maintenant. « Je raserais notre parlement. Personne ne fait rien pour améliorer la situation économique du pays. Les salaires n’augmentent pas, mais les prix des produits de première nécessité continuent d’augmenter. Nous n’en pouvons plus », commente un chauffeur de taxi de Bucarest. La situation est similaire en Moldavie, région enclavée entre l’Ukraine et la Roumanie et point de friction direct entre les ambitions d’élargissement des États et des capitalismes de l’UE et les factions des classes dominantes locales qui poussent à renforcer les liens avec Moscou. Ces dernières années, les rues de Chisinau ont été le théâtre de manifestations et de mobilisations animées contre la vie chère. Dans notre perspective de classe, anti-autoritaire et de défaite révolutionnaire, il est essentiel de comprendre les difficultés et les problèmes que traverse l’ennemi de chez nous dans le cadre de l’opposition croissante entre les États et les bourgeoisies européennes et la classe dominante américaine. « Avec de tels amis, qui a besoin d’ennemis ? ». Depuis le 24 février 2022, la célèbre phrase de Charlotte Brontë résume parfaitement la situation des patrons et des États de l’UE vis-à-vis de la bourgeoisie américaine. Depuis le sabotage du gazoduc Nord Stream au détriment des patrons allemands au début de la guerre, jusqu’à la guerre commerciale des droits de douane et aux événements de l’année dernière sur la question de l’approvisionnement énergétique. L’arrêt du transit du gaz russe vers l’Europe via les gazoducs ukrainiens à la fin de 2024 a entraîné des difficultés et une augmentation des coûts dans une grande partie du continent, avec des prévisions d’augmentation considérable des factures. L’État slovaque, membre de l’ OTAN et de l’UE, a été le plus touché par la décision prise par Kiev avec le soutien total des États-Unis et, paradoxalement, mais pas tant que cela si l’on tient compte de la position défavorisée des classes sociales du vieux continent, de l’Union européenne. Washington a tout intérêt à imposer son GNL coûteux (soutenu de manière persistante par Obama, Biden et maintenant Trump). L’attaque stratégique contre les gazoducs Nord Stream n’a certainement pas été la dernière bataille de la guerre pour le marché énergétique européen. Le 11 janvier 2025, une attaque (ratée) a été menée avec neuf drones ukrainiens contre la station de compression « Russkaya » du gazoduc « Turkstream », qui traverse les fonds marins de la mer Noire et atteint la Turquie européenne, et qui est le dernier gazoduc encore en service transportant du gaz russe vers des États européens tels que la Serbie et la Hongrie. Les factions de la classe dominante nord-américaine, qui trouve dans le gouvernement républicain au pouvoir le représentant et le promoteur de ses intérêts, accélèrent les pressions pour renforcer le « Yalta 2.0 » contre les maîtres du vieux continent, notamment par le biais d’une sorte de paiement d’« indemnités de guerre », c’est-à-dire en imposant aux États membres de l’UE d’acheter davantage de produits « de défense » fabriqués aux États-Unis s’ils veulent éviter la guerre – encore « non combattue » sur le plan militaire – des droits de douane. Trump a prévu de réduire en quatre ans de 300 milliards sur 900 le budget annuel du Pentagone : le militarisme européen devra s’endetter pour absorber les acquisitions d’ armements auxquelles renonceront les Américains. L’industrie américaine est bien déterminée à occuper le marché européen de la « défense », où les importations en provenance des États-Unis ont augmenté de plus de 30 % depuis 2022. Pour dresser un tableau d’ensemble, au conflit naissant (pour l’instant limité au niveau commercial et politique) entre la bourgeoisie américaine et celle du vieux continent, s’ajoutent les compromis croissants entre les États-Unis et la Russie, notamment dans les domaines économique et énergétique. Le début de la guerre mondiale des droits de douane se caractérise non seulement par le durcissement des accords de Yalta, mais aussi par le renouveau de la doctrine Monroe, qui vise directement les deux États voisins des États-Unis (le Canada et le Mexique), menacés de voir leurs exportations vers Washington affectées. Pour le Canada, les droits de douane représentent également un élément d’une phase expansionniste qui culmine avec la menace d’annexion aux États-Unis. Les revirements constants et l’apaisement des tensions caractérisent l’attitude des classes exploiteuses nord-américaines envers leur véritable ennemi : le patronat mandarin. La classe dirigeante chinoise a obtenu des États-Unis une série de reculs sur les droits de douane, comme le montre le dernier accord conclu en mai avec la suspension temporaire et partielle des droits de douane élevés que les deux États s’étaient imposés mutuellement. En effet, selon les conditions convenues, les États-Unis réduiront de 145 à 30 % les droits de douane sur les marchandises chinoises, tandis que l’État chinois, qui avait imposé des droits de douane spéculaires, les réduira de 125 à 10 %. Pour les patrons américains, il s’agit d’une énième capitulation unilatérale, qui montre l’improvisation de la stratégie des États-Unis, qui, lorsqu’ils imposent des droits de douane, affirment qu’ils serviront à la réindustrialisation et, lorsqu’ils les suppriment, affirment qu’ils serviront à favoriser le commerce. Au cours des derniers mois, aux atrocités indescriptibles qui caractérisent la poursuite du premier génocide automatisé de l’histoire, s’ajoutent les conflits dans les régions qui entourent le détroit d’ Ormuz, comme la micro-guerre menée entre le Pakistan et l’Inde, et la guerre de 12 jours menée par Israël et les États-Unis contre l’Iran. En utilisant l’outil analytique et conceptuel des « goulots d’étranglement », en ce qui concerne par exemple le conflit entre le Pakistan et l’Inde, nous soulignons que, sur fond, se profile le problème du rééquilibrage des relations commerciales entre l’État indien et les États-Unis. La tendance au repositionnement de la bourgeoisie indienne vis-à-vis des États-Unis a bouleversé l’équilibre du sous-continent. Alors que l’État pakistanais a besoin d’une large frontière directe avec le territoire chinois (fondamentale pour un accès direct à l’océan Indien afin de contourner un éventuel blocus naval du détroit de Malacca), la bourgeoisie indienne cherche à tout prix à interrompre ce canal de trafic commercial. Autour des goulets d’étranglement disputés entre blocs d’États et capitalismes rivaux d’Ormuz et de Malacca, des contradictions sociales et de classe significatives sont en train de s’ouvrir. Il suffit de penser aux énormes mobilisations et aux grèves qui se multiplient depuis quelques années. Par exemple en Inde, à commencer par les grandes vagues de grèves qui ont débuté fin 2020 contre l’introduction de nouvelles lois agraires, et où la conjoncture entre la crise climatique et hydrique, le revanchisme de l’idéologie nationaliste indienne et le repositionnement consécutif des classes exploiteuses hindoues sur le plan international de la Grande Guerre, ainsi que la libéralisation du marché du charbon et la suppression de la loi qui contraint l’utilisation des terres au consentement obligatoire des populations locales, provoquent des bouleversements structurels importants et une forte intensification de la lutte des classes. Mais revenons à la situation qui concerne plus directement le territoire où nous vivons et que nous traversons, en nous concentrant sur la situation du Groenland et des routes qui traversent l’océan Arctique. Le Groenland est la nouvelle île au trésor où les bourgeoisies chinoise, américaine, russe et européenne s’affrontent parmi les glaces. Frontière stratégique sur les routes arctiques et riche en terres rares, en gaz et en pétrole, plusieurs raisons ont suscité ces dernières années un intérêt croissant pour cette île, et presque toutes ces raisons sont liées à un facteur : le changement climatique. Le réchauffement climatique provoque la fonte des glaciers dans tout l’ Arctique, modifiant ses contours, ouvrant de potentielles nouvelles routes commerciales et militaires, dévoilant des richesses cachées et des gisements de « terres rares ». En raison de sa position géographique, le Groenland est considéré comme stratégique par le militarisme américain. L’île est entourée par les détroits qui mènent aux passages nord-ouest et nord-est de l’océan Arctique et, avec l’ouverture des routes de plus en plus navigables dans un avenir proche, les États-Unis ne veulent pas que les autres puissances rivales en profitent. La fonte des glaces permettra en outre d’exploiter davantage les ressources minérales présentes sur l’île, riche en minéraux et métaux rares. Une étude réalisée en 2023 a confirmé la présence de 25 des 34 minéraux considérés comme « matières premières critiques » par la Commission européenne, dont le graphite et le lithium. Mais dans le mécanisme des différentes économies de guerre, où la sécurité de l’approvisionnement alimentaire joue un rôle crucial dans le conflit entre capitalismes rivaux (comme c’est le cas en Afrique dans la course à l’accaparement et à la prédation des terres nécessaires à la « souveraineté alimentaire » des différentes puissances en guerre sur l’échiquier mondial), les fonds marins du Groenland sont nécessaires à la pêche, car plusieurs stocks halieutiques se déplacent de plus en plus vers le nord, renforçant ainsi le potentiel du marché de la pêche de Nuuk. La concurrence acharnée pour le contrôle de la plus grande île du monde, de ses détroits et de ses mers (Macron lui-même s’est rendu à Nuuk le 15 juin dernier pour « défendre l’intégrité territoriale » de ce territoire colonisé par le Danemark) attise les contradictions sociales sur l’île : les protestations des communautés Inuit se multiplient en raison de l’accaparement des territoires et des eaux adjacentes à l’île tandis que le taux de chômage et les carences en matière de santé commencent à créer des signes d’insatisfaction dans le pays. La région arctique est en train de devenir une nouvelle frontière de la concurrence stratégique et commerciale. On estime que l’Arctique contient environ 13 % des réserves mondiales de pétrole, 30 % des réserves de gaz et de grandes quantités de ressources halieutiques et minérales rares. Les États chinois et russe étendent leurs opérations dans l’Arctique, impliquant les îles Svalbard et l’Islande. Le contrôle du cyberespace et des fonds océaniques est une base fondamentale pour la guerre et pour la transformation de la société et du mode de production capitaliste vers la phase numérique. Tous ces points sont bien visibles en ce qui concerne l’espace arctique où, compte tenu de l’activité croissante du capitalisme russe et chinois dans le domaine de la logistique numérique via les câbles sous-marins, l’OTAN lance de nouveaux projets qui « visent à rendre internet moins vulnérable au sabotage, en redirigeant le flux de données vers l’espace en cas d’ endommagement des dorsales sous-marines ». L’activité d’extraction en eaux profondes pourrait même commencer dès cette année. Début avril 2024, les membres de l’Autorité internationale des fonds marins (ISA) ont révisé les règles régissant l’exploitation des fonds marins. La nouvelle ruée vers l’or des abysses a commencé l’année dernière avec une loi de l’État norvégien autorisant l’exploitation minière à l’échelle commerciale. L’impact (également) environnemental de ces décisions entraînera la destruction d’habitats entiers, sans compter le fait que 90 % de la chaleur excédentaire due au réchauffement climatique est absorbée par les océans, dévastant ainsi l’équilibre qui soutient la vie sur cette planète. En substance, la guerre contre le vivant se poursuit et se ramifie sous toutes ses formes. La guerre est de plus en plus manifestement au cœur de ce monde sans cœur. Alors que nos maîtres continuent à s’équiper pour la guerre mondiale, la question (banale) que nous posons est la suivante : qui paiera le réarmement des États et des bourgeoisies locales ? Au cours des derniers mois, dans un article au titre qui ne laisse place à aucune ambiguïté : « L’Europe doit réduire son État providence pour construire un État guerrier », le « Financial Times » soutient que l’Europe doit réduire ses dépenses sociales afin de s’assurer la capacité de soutenir un réarmement important. L’accord visant à augmenter les dépenses militaires des États membres de l’OTAN à 5 % du PIB, décidé lors du sommet de La Haye, va pleinement dans ce sens, tout comme l’extraction et le vol des petites économies privées, déjà présents dans les points qui articulent le réarmement européen. Réaffirmant avec force que tant qu’il existera des États et des capitalismes, les espoirs d’une paix durable seront illogiques, car la négation de la guerre implique en premier lieu celle de l’État et du capital, face à ce monde de conflits et de misères généralisées qui court à sa perte et à son autodestruction, la résistance palestinienne (véritable force tellurique qui a redonné espoir aux classes exploitées du monde entier), la révolte de Los Angeles et l’intensification des insurrections, des mobilisations sociales, des luttes et des actes d’insubordination quotidienne dans le monde entier sont comme des éclairs prémonitoires qui déchirent l’Ancien régime, des signes qu’un nouvel assaut prolétarien contre les bastions de l’aliénation et de l’ exploitation pourrait être imminent. Il n’y a pas de nuit assez longue pour empêcher le soleil de se lever. « Selon nous, les rivalités et les haines nationales font partie des moyens dont disposent les classes dominantes pour perpétuer l’esclavage des travailleurs. Quant au droit des petites nationalités de conserver, si elles le souhaitent, leur langue et leurs coutumes, il s’agit simplement d’une question de liberté, qui ne trouvera sa véritable solution finale que lorsque, les États détruits, chaque groupe d’hommes, ou plutôt chaque individu, aura le droit de s’unir à tout autre groupe ou de s’en séparer à sa guise. » (Errico Malatesta).
Approfondimenti
Rompere le righe
Babele
Verso una giornata di lotta. Aggiornamenti di novembre sul processo ad Anan, Alì e Mansour
Riceviamo e diffondiamo: Il settembre scorso Anan Yaesh, prigioniero palestinese, è stato trasferito dal carcere di Terni a quello di Melfi. Dopo quasi due anni di detenzione preventiva questo trasferimento serve a rompere i legami instaurati all’interno delle sezioni di alta sicurezza e la solidarietà portata dall’esterno. Si tratta di una punizione e di una ritorsione, Anan è stato trasferito in un luogo distante e difficile da raggiungere per difensori, parenti e solidali. Ma il tentativo di isolarlo è fallito perché attivisti della Basilicata e delle regioni limitrofe si sono immediatamente attivati, promuovendo in breve tempo due presidi sotto le mura del carcere e costituendo una rete di appoggio locale. Nel frattempo, il processo che avrebbe dovuto concludersi a stretto giro è stato sospeso proprio nel pieno della grande mobilitazione per la Palestina, facendo in modo che, in un periodo in cui in tuta l’Italia ci sono stati cortei e blocchi non si corresse il rischio di avere dei palestinesi condannati per terrorismo al centro dell’attenzione o, in caso di assoluzione, un combattente della resistenza che potesse fare sentire le sue ragioni nelle piazze. Le udienze, alla corte di assise del tribunale dell’Aquila, sono riprese il 31 ottobre e li sono emerse importanti novità. In seguito ad una lettura delle traduzioni dall’ebraico di documenti dell’IDF portati dalla difesa, si è riscontrato che il toponimo Avnei Hefetz, con cui negli atti dell’accusa è nominato un insediamento in Cisgiordania, si riferisce sia ad una colonia israeliana che ad un istallazione militare dell’esercito israeliano. Si tratta di un dettaglio rilevante in quanto la più grave accusa mossa ai tre palestinesi era di avere partecipato dall’Italia alla pianificazione di un attacco all’insediamento civile. Se questa accusa, alla luce del dibattimento, appariva di già assurda (di certo la resistenza palestinese non aspetta per compiere un attacco il via libera da tre amici che stanno cenando convivialmente in Abruzzo) ora viene ulteriormente messa in discussione da questa omonimia. Infatti, mentre l’attacco ai civili è sempre sanzionato dal diritto internazionale, le azioni della resistenza contro i militari occupanti sono considerate legittime. In merito all’aspetto dell’attacco ai civili riteniamo importante rilevare come vi sia comunque un ambiguità nel diritto internazionale che va a sostegno di Israele. Come si può identificare i coloni come comuni civili quando è evidente che si tratta di milizie armate, responsabili di furti, distruzioni e violenze? I coloni non sono civili estranei all’occupazione ma sono la prima linea dell’occupazione militare. Un altra novità, ancora più importante, emersa in questa udienza è che, proprio per chiarire la questione relativa a cosa sia effettivamente l’insediamento di Avnei Hefetz, la corte ha convocato a testimoniare l’ambasciatore israeliano in Italia. Ciò avverrà nella prossima udienza, quella del 21 novembre. Questo fatto è grave, il governo di Israele, che era già stato smascherato come mandante occulto del processo, ora si presenta in Aula. La convocazione dell’ambasciatore israeliano, come testimone dell’accusa ad un processo, mentre il suo paese conduce una guerra di sterminio contro i civili, è l’ennesima dimostrazione dell’asservimento dell’Italia a Israele. La repressione è uno dei diversi settori in cui si manifesta la collaborazione tra Stati Italiano e Israeliano e, a nostro avviso, segue due diverse direttrici. La prima è quella della criminalizzazione dei movimenti che in tutta Europa sostengono la causa palestinese, mentre la seconda è quella dell’attacco ai militanti della diaspora palestinese ed ai membri della resistenza. La prima mira a delegittimare, indebolire e fermare i grandi movimenti a sostegno della Palestina che vengono ovunque attaccati con fanatica determinazione. Segnaliamo l’intolleranza e la violenza della polizia tedesca verso le manifestazioni pacifiche a sostegno della Palestina e l’incarcerazione, avvenuta in Inghilterra, di numerosi militanti con l’accusa di terrorismo. Per quanto riguarda l’Italia tra i diversi casi di fermi e denunce va evidenziato il caso di Tarek Didri, che ha subito in primo grado una pesante condanna a 4 anni e 8 mesi per avere difeso i manifestanti sequestrati all’interno di una piazza ed attaccati dalla polizia il 5 ottobre 2024 a Roma. Il sostegno alla causa palestinese di una parte consistente della popolazione europea, mentre rispettivi governi europei forniscono pieno appoggio ad Israele sono la dimostrazione di una frattura profonda tra la sensibilità di queste popolazioni e le politiche dei loro governi. Nel secondo caso, come ad esempio avviene nel processo dell’Aquila, la persecuzione dei palestinesi incarna la volontà di Israele di mettere in chiaro che la loro vita è in pericolo non solo in Palestina, ma ovunque, perché ovunque la lunga mano dei sionisti ha il potere di colpirli. Per i sionisti i palestinesi non devono avere la possibilità di organizzarsi all’estero perché fino a che esisteranno, in qualsiasi parte del mondo, dei palestinesi fieri coscienti e combattivi, il progetto coloniale di Israele sarà in pericolo. Il processo per procura dell’Aquila è motivato da queste ragioni e rappresenta un pericoloso precedente di criminalizzazione dei militanti palestinesi che va respinto con fermezza. La libertà per i palestinesi non avverrà certo per benevola concessione di chi detiene il potere a livello internazionale, la liberazione si ottiene con la lotta per l’autodeterminazione, lo strumento di questa lotta è la resistenza. Perciò difendere la Palestina ed i palestinesi vuole dire innanzitutto difendere la resistenza ed il processo dell’Aquila è un attacco alla resistenza palestinese. Il processo ai tre palestinesi si avvia alla conclusione. Le prossime udienze si terranno il 21 ed il 28 novembre ed il 19 dicembre, data in cui è possibile si emetta la sentenza. Il 21 novembre verrà convocata all’Aquila una giornata di mobilitazione nazionale. In concomitanza con la convocazione all’udienza dell’ambasciatore dello Stato terrorista di Israele è importante che tutti i solidali convergano nel capoluogo abruzzese. Riteniamo inoltre importante proporre che tutte le prossime iniziative a sostegno degli imputati dell’Aquila o della lotta in Palestina, come cortei, presidi , proiezioni del documentario “colpevoli di Palestina” diventino altrettante occasioni per promuovere la giornata dell’Aquila del 21 novembre. Complici e solidali
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Stato di emergenza
Forlì, 20 e 28 novembre: due iniziative contro la guerra
Riceviamo e diffondiamo: DUE INIZIATIVE CONTRO LA GUERRA A FORLÌ: SERATA DI APPROFONDIMENTO E CORTEO!  GIOVEDÌ 20 NOVEMBRE. Approfondimento ed assemblea aperta sul traffico d’armi globale e gli snodi romagnoli coinvolti. * Ore 19.00 buffet vegan * Ore 20.00 avremo con noi Linda Maggiori (giornalista e attivista) che ci parlerà della filiera della produzione delle armi in Emilia-Romagna, con un occhio particolare al contesto forlivese, dove avanza il progetto della cittadella dell’aerospazio di Thales e Leonardo prevista nel quartiere Ronco. L’iniziativa si terrà al “E’ Circulét” (Circolo Arci Asyoli), in via Garibaldi 280 a Forlì. VENERDÌ 28 NOVEMBRE CORTEO. in occasione del nuovo sciopero generale lanciato dai sindacati di base contro la finanziaria di guerra e in solidarietà con la Palestina, a Forlì ci sarà un CORTEO contro riarmo, guerra e contro il progetto ERiS, ovvero la cittadella dell’aerospazio di Thales-Leonardo prevista nel quartiere Ronco per produrre ed assemblare antenne satellitari dual use (civile e militare). Il concentramento della manifestazione è previsto in piazzale della Vittoria alle ore 9.00 SABOTIAMO LA GUERRA E IL MILITARISMO. CON LA PALESTINA NEL CUORE. Collettivo Samara samara@inventati.org
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Stato di emergenza
Contro ARGOTEC
Riceviamo e diffondiamo: Lo spazio ultraterrestre è fondamentale nella guerra tra le forze che si contendono il controllo del mondo. Lo spazio ha un ruolo centrale nella carneficina in corso in Ucraina, nello sterminio a Gaza e in Cisgiordania, nella guerra contro le persone migranti, nella sorveglianza delle città. ARGOTEC partecipa a questa guerra. ARGOTEC è una piccola azienda “eccellenza” torinese fondata nel 2008 dall’ex parà della folgore David Avino, un’eccellenza che guadagna grazie alla morte, come tutte le aziende che sulla guerra si arricchiscono. ARGOTEC produce microsatelliti e sistemi d’Intelligenza Artificiale per programmi Nasa ed europei, per esempio la costellazione di satelliti “IRIDE” dello stato italiano finanziata con i fondi del PNNR, voluta prima dal governo Draghi e poi da quello Meloni. “IRIDE” serve ad avere dati sempre più precisi per la sorveglianza della terra e si avvale proprio dei microsatelliti ARGOTEC. ARGOTEC vende i suoi prodotti ai padroni delle fabbriche, ai grossi industriali nelle campagne, alle polizie che deportano le persone migranti, alla protezione civile per il governo delle “emergenze”, agli eserciti. ARGOTEC ha contratti di collaborazione con il Ministero della Difesa, per esempio con il progetto “SeQBO” del 2018 per sviluppare un “computer sicuro basato sulla comunicazione quantistica” in supporto a missioni militari. ARGOTEC ha sede in Barriera di Milano, ma nell’ottobre 2024 ha inaugurato grazie a fondi pubblici la sua sede produttiva nelle ex Cartiere Burgo, in via burgo 8, a San Mauro Torinese, nell’area industriale Pescarito. Questo posto si chiama “SpacePark”, un gigantesco snodo per “l’innovazione” aerospaziale dove vengono ospitate anche diverse startup, occupa migliaia di mq ed è alimentato da 400 km di cavi. ARGOTEC negli ultimi due anni ha raddoppiato i profitti con la benedizione del “centrodestra”, il presidente della regione Cirio e del “centrosinistra”, i sindaci di Torino e San Mauro torinese Lousso e Guazzora, tutti presenti a tagliare il nastro dello Space Park. nessuna pace per questa fabbrica di morte che si espande nella nostra città per questo abbiamo deciso di scrivere sui muri “ARGOTEC – MERDA NEI TUOI INGRANAGGI“ buttando un bel po’ di merda, la stessa che si produce lì dentro incatenando i cancelli della sede dirigenziale dell’azienda, in via Cervino 52, a Torino che tutti sappiano dove trovarvi con Gaza con i disertori con le persone migranti nel cuore siamo e saremo sabbia nei vostri ingranaggi di morte azione diretta contro la guerra.
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Stato di emergenza
Azioni
Trieste, 30 ottobre: Presidio solidale con Anan, Alì e Mansour
Riceviamo e diffondiamo: SOLIDARIETÀ PER ANAN YAEESH Anan Yaeesh è un palestinese combattente della Seconda Intifada, prigioniero dal gennaio 2024 dello Stato italiano. Si trova sotto processo per terrorismo internazionale insieme ad Alì Irar e Mansour Doghmosh. Il procedimento è promosso dalla DNAA, Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, un organismo repressivo-carcerario messo in piedi all’inizio degli anni 90 e continuamente perfezionato negli anni seguenti, che funziona non per particolari capacità istruttorie, ma attraverso la figura del “collaboratore di giustizia”. Nel caso di Anan (che, dopo aver trascorso un anno e mezzo nella sezione ad alta sorveglianza del carcere di Terni, è stato trasferito a centinaia di km, a Melfi -PZ-), pretenderebbe da parte sua un pentimento e un’abiura della sua identità di partigiano. Nel contesto di guerra, lo Stato ha la necessità di un consenso totale della società, colpendo le componenti che non si piegano attraverso vari strumenti repressivi, uno dei quali è l’Antimafia. Ora che la mobilitazione per la Resistenza palestinese è diventata un fenomeno di massa le udienze contro Anan, Alì e Mansour sono state rallentate per tentare di smorzare la potenza della nostra protesta. MANTENIAMO VIVA LA NOSTRA SOLIDARIETÀ VERSO ANAN! FACCIAMO SENTIRE IL PESO DELLA NOSTRA PROTESTA, MANIFESTANDO DAVANTI AL TRIBUNALE DI TRIESTE, SEDE DELLA DIREZIONE DISTRETTUALE ANTIMAFIA, IL 30 OTTOBRE 2025 DALLE ORE 10! ASSEMBLEA NO LEONARDO
Iniziative
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