Tag - Rompere le righe

Udine, 18 luglio: “Altro che eccellenza…” Iniziativa contro la fabbrica di morte di Leonardo a Ronchi dei Legionari (in preparazione di una manifestazione per il 13 settembre)
Riceviamo e diffondiamo: Venerdì 18 luglio h 20.30 Spazio autogestito via de Rubeis 43 UDINE presentazione dell’opuscolo Altro che eccellenza… a proposito della fabbrica di droni armati di Ronchi dei Legionari (Gorizia) Leonardo, colosso italiano della difesa, ha recentemente stretto un accordo per una joint-venture con l’equivalente turca Baykar per produrre, nell’immediato, nello stabilimento di Ronchi, droni-caccia per la marina militare turca. A quest’ultimo colpo di scena si affiancano le tradizionali produzioni militari della famiglia Falco e Mirach. Questa fabbrica NON è un’eccellenza locale come ci viene spacciata, ma una realtà dove si progettano e realizzano dispositivi, macchine e algoritmi che servono a ucciderci uno con l’altro, che sanno di morte. Leonardo È stato italiano e per chi come noi crede che lo stato difende gli interessi di chi ci sfrutta, avvelena, affama, questa fabbrica deve essere fermata. Di fronte alle stragi immani che funestano l’umanità, moltiplichiamo i blocchi, gli scioperi, le occupazioni! Non restiamo complici di questi progetti di potere! Assemblea No Leonardo INIZIATIVA DI MOBILITAZIONE IN VISTA DELLA MANIFESTAZIONE DI SABATO 13 SETTEMBRE A RONCHI DEI LEGIONARI CONTRO LA LEONARDO
Iniziative
Rompere le righe
Il loro sangue ricadrà su di voi. Aggiornamento sul processo ad Anan, Alì e Mansour (prossime udienze il 9 e 10 luglio)
Riceviamo e diffondiamo. Di seguito all’aggiornamento un intervento dei Giovani Palestinesi al corteo de L’Aquila dello scorso 25 giugno: Il loro sangue ricadrà su di voi Aggiornamenti di Luglio sul processo ad Anan, Alì e Mansour. I prossimi 9 e 10 luglio si terranno al tribunale dell’Aquila due udienze consecutive del processo ad Anan, Alì e Mansour, accusati di proselitismo e finanziamento del terrorismo. Nel corso di queste udienze verranno ascoltati gli unici tre testimoni accettati, su quarantasette presentati dalla difesa, e gli imputati. Se le intenzioni dei giudici precedentemente erano quelle di chiudere il processo entro l’estate fissando molte udienze a distanza ravvicinata, nei fatti la corte non riuscirà a terminare l’istruttoria nei tempi prefissati e la conclusione del processo è già rimandata a dopo l’estate. Questo processo è sempre stato seguito da un pubblico solidale ed accompagnato da un presidio all’esterno del palazzo di giustizia. In occasione delle tre udienze consecutive del 25, 26 e 27 giugno scorso all’Aquila si sono tenute iniziative informative e mercoledì 25 un corteo vitale ha attraversato le strade della città. La presenza solidale è rinnovata per le prossime udienze. Nelle scorse udienze sono stati ascoltati i testi dell’accusa (agenti e dirigenti di DIGOS, Dipartimento Centrale della Polizia di Prevenzione e Guardia di Finanza). L’ enorme mole di dati presentata dagli inquirenti ci fa supporre che questi vogliano sostituire con la quantità l’assenza di qualità, cioè di contenuti significativi. Effettivamente non abbiamo avuto modo di capire su quali basi si giustifichi tanto questo processo quanto la detenzione di una persona nel carcere speciale di Terni da oltre un anno. Il fatto che i tre simpatizzino per la resistenza palestinese in Cisgiordania, loro terra d’origine, è ovvio. L’ulteriore fatto che uno di loro abbia fatto parte della prima linea della resistenza è dichiarato con orgoglio da lui stesso ed è ritenuto legittimo perfino dal diritto borghese. Invece che i tre abbiano organizzato azioni in Italia è escluso e che abbiano organizzato dall’Italia azioni in Cisgiordania che prendessero di mira cosiddetti civili (cioè coloni) israeliani non è emerso dall’istruttoria, e questi sarebbero stati gli elementi accusatori su i quali sembrava improntato questo processo. Al di fuori del codice penale, di cui ci interessa relativamente,a noi sembra semplicemente disumano e abbietto perseguire delle persone perché sostengono il proprio popolo mentre subisce l’apice di soprusi e violenze che perdurano ininterrottamente dal 1948. La mancanza di argomenti emersa dalle deposizioni dei dirigenti delle forze dell’ordine ha spinto la PM a richiedere l’audizione di un ulteriore testimone, cioè di Vincenzo di Peso dirigente della DCPP, questa testimonianza dovrebbe avere come oggetto annotazioni pervenute al PM di recente dai servizi segreti. Si tratta di una richiesta irrituale e che potrà essere discussa solo alla fine dell’istruttoria. Questa richiesta ci conferma quella che ormai è più di un’ipotesi, cioè che questo processo abbia preso origine da una catena di comando che parte dai servizi segreti israeliani, passa per quelli italiani, per la DCCP ed arriva alla Digos ed alla magistratura antimafia dell’Aquila. Le tracce di questa direttrice emergono dal precedente rifiuto dello Stato Italiano di estradare Anan in Israele, dal tentativo fallito di portare a processo documenti prodotti dallo Shin Bet e che contenevano testimonianze raccolte in centri di detenzione in cui si fa ricorso sistematico alla tortura, dalla vaghezza degli inquirenti sull’origine delle fonti utilizzate. Le relazioni dei servizi potrebbero essere quindi all’origine di questo procedimento. Al loro utilizzo si oppone la difesa in quanto ritiene questi elementi inammissibili per l’impossibilità di verificarne la fonte e considerando che i servizi segreti non svolgono attività di polizia giudiziaria. Capiremo a breve se la corte chiuderà il processo sul nulla probatorio o l’accusa tenterà di condizionare la giuria popolare con qualche sorpresa dell’ultimo minuto. Il tentativo delle autorità israeliane di perseguire noti esponenti della resistenza, quale è Anan Yaeesh che risiede e lavora in Italia da anni e gode di protezione umanitaria, risponde a precisi principi: il popolo palestinese non solo deve essere espulso dai territori controllati dagli israeliani, ma va attaccato e cancellato nella sua stessa esistenza ovunque risieda. Questo perché finché esiste la coscienza dell’esistenza del popolo palestinese – e la resistenza la incarna a pieno – la persistenza dell’entità coloniale di Israele è messa radicalmente in discussione. Ne consegue che la persecuzione della resistenza, della sua memoria e dei suoi simboli è parte integrante del programma di genocidio del popolo palestinese attualmente in corso. Ne consegue ulteriormente che chi collabora con questo programma è esso stesso responsabile del genocidio, lo sono quindi anche le autorità italiane che, in questo come in altri ambiti, ubbidiscono agli ordini dei sionisti. Questo processo ha scopo di disperdere e punire la diaspora palestinese, mandare il messaggio intimidatorio che Israele la può perseguitare in ogni dove e che può costantemente ribaltare la realtà accusando di terrorismo chi ne è vittima. Il sangue dei palestinesi ricadrà su chi sta compiendo, supportando, tollerando questo massacro. Non è possibile voltarsi dall’altra parte per non vedere, chi non vuole essere complice è chiamato da questo sangue a fare sentire la propria voce. complici e solidali Qui il pdf: anan aggiornamenti luglio def. -------------------------------------------------------------------------------- INTERVENTO DI GPI AL MEGAFONO DURANTE IL CORTEO DELL’AQUILA DEL 25 GIUGNO 2025 Anan da gennaio si trova nel carcere di Terni, è detenuto ed è accusato di terrorismo. Adesso voi vi chiederete perché viene arrestato in questa città un palestinese, un palestinese che vive qua, lavora qua, viene arrestato per terrorismo? Voleva fare un attacco terroristico in questa città secondo voi? Questo direbbe la teoria, no? Che all’interno dello Stato italiano, un cittadino che vive nello Stato italiano vuole compiere un attacco, verso magari un bar come questo? Questo direbbe la teoria, ma poi la pratica in realtà è che Anan è stato arrestato in questa città, è sotto processo in questa città, perché quando stava in Palestina, il nostro paese dal quale noi siamo stati cacciati dagli israeliani, lui si è difeso ed ha resistito contro l’occupazione israeliana, ed è per questo motivo che Anan oggi sta in un carcere italiano, perché è arrivata la richiesta di Israele al vostro Stato di arrestare Anan. E a questo punto io vi chiedo, se questo Stato, questo Paese è il vostro Paese? Perché la risposta è che non è neanche il vostro paese, perché è un paese che è servo, che esegue gli ordini di un paese straniero e fa i compiti di un paese straniero qua. Il diritto internazionale dice che la resistenza di un popolo occupato contro il suo occupante non è reato, è legittima, ma questo a quanto pare non vale per Israele, non vale neanche per l’Italia che oggi tiene in carcere un palestinese che è responsabile solamente di aver difeso casa sua e la sua terra. Voi pensate che a noi palestinesi ci piace vivere nella terra di qualcun altro? Ci piace vivere qua in Italia? A noi palestinesi, se la nostra terra non fosse stata distrutta, bruciata, devastata dall’occupazione israeliana saremmo nella nostra terra, a costruire sulla nostra terra e a costruire il nostro futuro sulla nostra terra. E allora do un consiglio anche a tutti coloro ai quali non piacciono gli immigrati…no? Vi do un consiglio, visto che non vi piace che io sto in questo paese, lavorate affinché il vostro paese non sostenga chi la mia terra me l’ha rubata. Lavorate affinché il vostro paese non sia schiavo di un paese straniero… fate i nazionalisti davvero e non fatelo solo quando vi conviene! Anan, Ali e Mansour devono essere liberati, devono essere liberati perché loro non hanno fatto niente contro il popolo italiano, e non hanno fatto niente contro di voi. E allora al processo del 9 e del 10 luglio ci dovete essere tutti. Oggi la Palestina è sulla bocca di tutti, ed è sulla bocca di tutti perché c’è chi non ha accettato di stare con la testa piegata, ha alzato la testa contro l’occupazione e ha sfondato la prigione di Gaza, è uscito fuori ed è tornato sulle nostre terre, le terre che ci sono state rubate. Anan era all’interno delle brigate di resistenza, e come dice lui anche nelle sue dichiarazioni, questo non è un motivo per doversi difendere in un tribunale, perché non si difenderà per quello che ha fatto. Anzi, a testa alta dice: “è un onore essere stati la prima linea di difesa contro l’occupazione”. Libertà per Anan, libertà per Ali, libertà per Mansour. Perché anche chi oggi, come Ali e Mansour, si trova fuori dalla cella di un carcere ma ancora è costretto a venire a vedere, ad assistere allo Stato italiano che prova a condannarlo. Questo è un trauma, questo però è il destino di noi palestinesi e lo conosciamo bene, e sappiamo che per la nostra terra pagheremo e saremo sempre a testa alta e pagheremo con onore. Perciò non diciamo solo libertà per Anan ma diciamo anche libertà per Ali e Mansour che ancora oggi non sanno quale sarà il loro futuro. Mansour giusto per dire alla “madre cristiana”, è padre di famiglia. È stato carcerato ed è stato per dei mesi lontano da sua moglie e dai suoi figli, perché lo Stato italiano non ha una spina dorsale, perché lo Stato italiano è schiavo, perché lo Stato italiano è una colonia. Perciò libertà per Anan, libertà per Ali e libertà per Mansour e una grossa libertà per tutti quanti!
Rompere le righe
Stato di emergenza
TOGLIAMO LE FABBRICHE ALLA GUERRA! Bolzano, 10 luglio: Presidio contro Iveco DV e Leonardo, complici di guerre e genocidi
Riceviamo e diffondiamo: Giovedì 10 luglio dalle ore 16 (fino alle 19 circa) a BOLZANO Presidio contro Iveco DV e Leonardo, complici di guerre e genocidi Contro la corsa al riarmo europeo. Denunciamo le complicità italiane nel genocidio del popolo palestinese   TOGLIAMO LE FABBRICHE ALLA GUERRA   IVECO DV E LEONARDO COMPLICI DI GUERRE E GENOCIDI   Israele sta facendo il lavoro sporco per tutti noi   Friedrich Merz, Cancelliere federale della Germania   Il genocidio del popolo palestinese continua grazie alle armi dell’apparato militare industriale di Stati Uniti e Unione Europea, ma soprattutto grazie alla scorta mediatica che distorce la realtà, giustifica e legittima ogni orrore, se compiuto per difendere gli interessi delle élite occidentali al potere. Da oltre 21 mesi nessuna violenza è risparmiata a Gaza, ormai un campo di sterminio in cui l’uso della fame come arma non può essere compreso se non come parte del più grande esperimento di ingegneria sociale violenta condotto su un intero popolo, attraverso fasi precise e pianificate. In questo scenario, che ricorda il film distopico Hunger Games, la distribuzione degli aiuti è funzionale alle continue stragi di civili palestinesi con l’IDF che spara sulla folla ammassata per qualche chilo di farina. Anche la distruzione degli edifici è appaltata a privati che, con l’appoggio di compagnie di sicurezza, si muovono lungo tutto la Striscia incassando 1500 euro per ogni casa distrutta. Perfino il genocidio è un’occasione per fare business.   In questo quadro l’aggressione sionista-statunitense all’Iran rientra nel progetto colonialista di ridisegnare il Medio Oriente secondo i loro insaziabili interessi, con i popoli dell’area sfruttati e definitivamente schiacciati sotto il loro tallone di ferro. Un’aggressione imperialista che si aggiunge a quelle contro il Libano, lo Yemen, la Siria e alla decennale pulizia etnica della Cisgiordania occupata. Un attacco che, dopo qualche finto tentennamento di fronte all´orrore assoluto di Gaza, ha visto un sostanziale riallineamento di tutta la borghesia occidentale a difesa dell´alleato sionista, unita nel partito unico degli affari e della guerra.   In Europa i venti di guerra soffiano sempre più forte. Dopo oltre tre anni di guerra fra NATO e Russia in Ucraina, con il recente vertice a L’Aja Trump ha raggiunto tutti i suoi obiettivi, ossia far pagare all’UE i costi delle forniture belliche a Kiev, rilanciare il complesso militare industriale statunitense e allo stesso tempo tenere la Russia impegnata in un conflitto senza fine, mentre il Pentagono si prepara alla fase finale della guerra mondiale a pezzi: l’attacco al suo vero rivale strategico, la Cina.   Come tutti i membri della NATO anche il Governo Meloni ha approvato l’impegno a destinare il 5% del PIL alla spesa bellica entro il 2035. Un balzo mostruoso: per l’Italia saranno 400 miliardi in più di oggi nell’arco di 10 anni, 40 miliardi in più l’anno. Una corsa al riarmo costruita su falsità colossali, come la presunta minaccia di un’invasione russa, rafforzata dalle dichiarazioni di Ursula von der Leyen con il programma Rearm Europe/Readiness 2030 che prevede una spesa bellica europea di 800 miliardi di euro.   L’Italia è sempre più la retrovia di un fronte di guerra che va dall’Ucraina al Medio Oriente fino al circolo polare Artico, dove da tempo le grandi potenze stanno affilando i coltelli (da anni in Alto Adige si tengono esercitazioni militari in montagna e nei laboratori del NOI Techpark per simulare la guerra in ambiente artico). Per creare un clima funzionale al riarmo e imporre così ai proletari le deprivazioni di un’economia di guerra, i Governi europei e l´apparato propagandistico rilanciano notizie allarmistiche e pubblicano editoriali in cui giornalisti prezzolati costruiscono nemici immaginari, alimentano la paranoia, denunciano le carenze negli arsenali e nei sistemi di difesa e quindi la necessitá di giustificare spese sempre più ingenti per l´acquisto di armi, carriarmati, cacciabombardieri e missili. Oltre a sottrarre enormi finanziamenti alla spesa per scuola, sanità e servizi sociali, questa produzione dovrà essere “consumata”, altrimenti ingombrerà solo le caserme ed i depositi di armi. Appare chiaro quindi che siamo in un piano inclinato in cui i padroni ci stanno portando al macello, verso la guerra. Il dibattito sul possibile ripristino della leva obbligatoria in Germania, come in Italia e altri paesi europei, lo conferma. Anche il decreto sicurezza approvato dal Governo Meloni si delinea come uno strumento di guerra preventiva sul fronte interno, contro ogni possibile dissenso nei confronti di queste politiche guerrafondaie.   Chi invece gioisce per gli osceni profitti legati a guerre e genocidio del popolo palestinese sono le industrie dell´apparato militare-industriale. I cannoni delle corvette di Israele sono prodotti da Oto Melara, una società controllata da Leonardo e che collabora con Iveco DV. I tentacoli del colosso delle armi Leonardo sono sempre più estesi, anche in Alto Adige: dal 2023 possiede infatti il 10% della Start-up sudtirolese Flyingbasket mentre nel maggio scorso ha presentato, insieme alla tedesca Rheinmetall (anche essa complice del genocidio palestinese e perno del programma di riarmo europeo), un’offerta per acquisire Iveco DV con cui già collaborano per la costruzione di mezzi corazzati da destinare agli Eserciti europei.   Sabbia non olio negli ingranaggi della guerra e del genocidio! La guerra inizia qui! No al riarmo!   Assemblea solidale con il popolo palestinese – Bolzano   freepalestinebz@inventati.org – Telegram “Free Palestine BZ” – Instagram: gazaiscalli
Iniziative
Rompere le righe
Dall’Iran. “Contro i due mostri capitalisti, formare i Consigli operai!”
Mentre quella che già viene chiamata “la guerra dei 12 giorni” è congelata da una fragile tregua, un nostro amico ha scovato in rete la traduzione di questo comunicato di alcuni Lavoratori anticapitalisti iraniani, già apparso su un blog ispanico (https://barbaria.net/2025/06/22/dos-comunicados-internacionalistas-desde-iran-contra-las-guerras-en-oriente-medio-por-la-lucha-de-clases-contra-todos-los-capitalistas/). A questi compagni il nostro augurio di realizzazione dei loro propositi sovversivi, e a tutto il popolo iraniano, e agli sfruttati di tutto il mondo. Solo un’insurrezione operaia anticapitalista, può schiacciare queste due piovre capitaliste assassine e guerrafondaie  1 I lavoratori vengono impiegati in tutti i settori: nelle fabbriche, nelle scuole, negli ospedali, nei servizi comunali, nell’agricoltura, nell’industria, nei trasporti terrestri, marittimi e aerei, nell’energia e nei servizi pubblici, nell’edilizia, nella silvicoltura e altro ancora. Che si sia disoccupati, pensionati o gravati da un lavoro domestico non retribuito, apparteniamo tutti alla stessa classe operaia, unita dalla nostra esistenza sociale e dal nostro sfruttamento. Sopportiamo tutto il peso della dominazione capitalista: schiavitù salariata, repressione, privazione, genocidio, incarcerazione, tortura, violenza di genere, oppressione etnica, distruzione ambientale e tutte le calamità che questo sistema genera. 2 Fino a poco tempo fa, in Iran, questa violenza ci veniva imposta direttamente solo dalla classe capitalista e dal regime islamico. Ora, con la guerra in corso, ci troviamo di fronte a due mostri capitalistici: la borghesia iraniana e il suo regime da un lato, e i governi di Israele, degli Stati Uniti e dell’Unione Europea dall’altro. Nonostante il loro conflitto interno, entrambe le parti impongono la stessa brutalità genocida. Sia dall’alto che dal basso – in quelli che sono tutti gli aspetti della vita – veniamo schiacciati dalla violenta macchina del capitale, che sia iraniano, israeliano, americano o europeo. 3 Questa guerra non viene condotta tra “Stati”, essa viene condotta contro di noi. Decine di milioni di lavoratori ne sopportano il peso: sfollamento, senzatetto, fame, carestia, mancanza di acqua, di medicine, di cure, e morte di massa. Le nostre case vengono bombardate, i nostri cari giacciono insepolti, e il futuro dei nostri figli è incerto. A Teheran, Kermanshah, Isfahan e altrove, il costo della guerra è immenso. Tutte queste condizioni ci impongono di agire collettivamente, a livello nazionale e con un’organizzazione cosciente e consiliare. Questo non è uno slogan. È una questione di sopravvivenza. Dobbiamo unirci dove viviamo e dove lavoriamo – fabbriche, scuole, ospedali, porti, quartieri – per formare consigli. Questi consigli non dovrebbero essere isolati o locali; ma devono crescere in un movimento nazionale, capace di mobilitare tutte le risorse per poter soddisfare i bisogni urgenti: cibo, sicurezza, assistenza sanitaria, alloggio, istruzione. Questi consigli devono riunirsi, evolversi fino a diventare una forza anticapitalista unificata, e strappare  dalle mani della classe capitalista e del suo Stato il controllo della produzione, della ricchezza e delle infrastrutture. Proclamiamo al mondo che: noi vediamo tutte le classi dominanti – israeliane, islamiche, americane, europee – come i nemici genocidi della classe operaia. Chiediamo ai lavoratori di tutto il mondo solidarietà e sostegno.      Lavoratori anticapitalisti (Iran)  17 Giugno 2025
Rompere le righe
Stato di emergenza
Una lettera di Luca sulla resistenza palestinese
Riceviamo e diffondiamo: Per me la resistenza palestinese non ha il solo merito di non demordere anche davanti alla più brutale delle oppressioni, svelandoci la forza di un popolo fiero che si oppone alle cause della sua miseria, ma ha anche quello di aver contagiato centinaia di migliaia di persone in tutto il pianeta, dando vita ad una mobilitazione internazionale dalle varie forme ed espressioni. Per chi, come me, è cresciuto nel nuovo millennio, gli esempi simili scarseggiano. A fianco, una situazione geopolitica angosciante, tra conflitti aperti, continui sconvolgimenti e l’opzione di una guerra nucleare dietro l’angolo. E così inizia a scricchiolare anche il nostro privilegio europeo, gradualmente fiaccato da un costo della vita sempre più proibitivo, mentre ci si consola con l’idea, sbiadita anch’essa, che “tanto qui le bombe non arriveranno mai”. Anche qui, nello Stato italiano (sotto il quale siamo costretti a vivere pur essendo sardi) il quadro non è meno preoccupante. Se da un lato le condizioni della vita peggiorano e i nostri territori sono sempre più esposti alla predazione delle multinazionali (energetiche, di estrazione di materiali e così via) dall’altro le porte del carcere si aprono sempre più facilmente per chi decide di organizzarsi ed opporsi. La Sardegna ne è esempio lampante: alta disoccupazione, stipendi da fame, scarsa assistenza sanitaria. Ad aumentare sono solo i progetti di estrattivismo energetico, gli aerei militari sulle nostre teste e le sezioni speciali nelle prigioni. E non dimentichiamoci che cosa significa, in un periodo di conflitto come quello che stiamo attraversando, vivere circondati da basi militari. Non solo per l’intensificarsi delle attività, e questi ultimi giorni ne sono una conferma, ma anche per la consapevolezza di essere sempre un “buon bersaglio”. Io, che attualmente mi trovo agli arresti domiciliari per aver partecipato ad un corteo a Cagliari in solidarietà al popolo palestinese e contro l’occupazione militare in Sardegna, sono accusato proprio di alcuni dei reati (resistenza, lesioni e minacce a pubblico ufficiale) per i quali il decreto sicurezza prevede un aumento delle pene. Una sorte che temo toccherà a tanti e tante. Una sorte inevitabile per chi decide di non tacere davanti ai soprusi e alle imposizioni. Mando un saluto a Tarek, con il quale ho orgogliosamente condiviso la piazza del 5 ottobre a Roma, ad Anan, Alì e Mansour, che sulla loro pelle pagano il prezzo del servilismo italiano nei confronti dello Stato d’Israele e a tutti i giovani e le giovani che in giro per il mondo rischiano la propria libertà, per la libertà del popolo palestinese e per una vita diversa. E un abbraccio fraterno a Paolo Todde, rinchiuso nel carcere di Uta (Cagliari), in sciopero della fame dall’8 maggio per protestare contro le condizioni detentive.Sempri ainnantis Sardinnia libera Palestina libera Casteddu, 23 giugno 2025 Luca
Carcere
Rompere le righe
Finché ci sarà uno Stato… Presa di posizione sulla guerra Israele-Iran
Riceviamo e diffondiamo: Qui il pdf: iran israele definitivo-1 FIN QUANDO CI SARA’ UNO STATO NON CI SARA’ MAI PACE Presa di posizione dell’assemblea “Sabotiamo la guerra” sulla guerra Israele-Iran L’attacco sferrato da Israele all’Iran la notte tra il 12 e il 13 giugno rappresenta una svolta drammatica verso la mondializzazione della guerra. Dopo oltre tre anni di guerra tra NATO e Federazione Russia in Ucraina, dopo due anni di genocidio in corso a Gaza, le forti tensioni in Asia Occidentale sfociano in una nuova guerra fra potenze regionali, entrambe in possesso di armi altamente tecnologiche, entrambe dotate di una industria nucleare, e che si è immediatamente aperta con uno spregiudicato quanto criminale attacco proprio contro le strutture nucleari iraniane. Da una parte, vi è l’Iran che non dispone di armi atomiche né esistono prove che le stia costruendo e che si sottopone ai controlli delle agenzie internazionali. Dall’altra, Israele, che possiede armi atomiche senza dichiararle, non rispetta trattati né accetta controlli e compie abitualmente attacchi militari senza porsi alcun limite etico. Se il diritto internazionale e le organizzazioni che lo rappresentano hanno avuto la funzione di garantire l’ordine mondiale, cioè precisi rapporti di forza e di dominio tra gli Stati, oggi, il fatto che vengano messi in discussione, in primis da Israele e dagli Stati uniti, è un chiaro segnale della crisi globale, della rottura dei precedenti equilibri e di ritorno alla guerra come mezzo di risoluzione delle rivalità interstatali. L’Iran è stato attaccato poco dopo essersi sottoposto a controlli dei suoi impianti nucleari e durante le trattative con gli Stati Uniti in merito all’arricchimento dell’uranio. Risulta evidente l’intento di Israele di fare fallire le trattative e ogni ipotesi di risoluzione politica dei dissidi. I Paesi alleati hanno immediatamente operato per respingere il contrattacco iraniano, abbattendo decine di razzi e droni, mentre si corre il serio pericolo di una partecipazione diretta dei Paesi occidentali (a partire dagli USA) nei bombardamenti. Il che rappresenterebbe un’ulteriore drammatica precipitazione della crisi. Gli Stati Uniti negli ultimi trent’anni hanno condotto la cosiddetta “guerra infinita”, una serie ininterrotta di guerre, attacchi militari e operazioni di destabilizzazione (dall’attacco all’Iraq al cambio di regime in Siria). Attualmente i loro obiettivi si espandono su diversi fronti: quello Russo, quello dell’intera Asia Occidentale e, in prospettiva, quello dell’Indo-Pacifico. I conflitti in corso si stanno estendendo e ne nascono di nuovi, in una tendenza verso la guerra mondiale che allo stato dell’arte appare inarrestabile. Sullo sfondo si profilano tensioni sia politiche che militari fra gli Stati Uniti e la Cina. Nel mentre, all’interno dei Paesi occidentali e in particolar modo proprio all’interno della potenza dominante nordamericana, sono in corso gravissime crisi sociali che talvolta sembrano assumere i connotati della guerra civile. Sappiamo che storicamente gli Stati risolvono le loro più gravi crisi interne con la guerra. Tornando alle vicende di questi giorni. La responsabilità di questa nuova e gravissima esclation risiede nell’iniziativa criminale dello Stato di Israele. Un’entità fondata sul colonialismo di insediamento, sul suprematismo razzista, sul fanatismo religioso, sulla militarizzazione della società, avanguardia nelle tecnologie di controllo e nella sua sperimentazione sulla popolazione palestinese colonizzata, deportata e sterminata. Nell’azione del 7 ottobre 2023, fra le varie contraddizioni che ha aperto, c’è sicuramente quella di aver smascherato il vero volto di questa entità. Israele sta mettendo in atto un genocidio, ma non riesce a sconfiggere la resistenza di un popolo, contraddizione che prova a sublimare rilanciando con sempre nuove avventure: dall’invasione del Libano alle innumerevoli provocazioni anche a carattere terroristico, fino agli eventi di venerdì notte. Bisogna quindi ribadire con forza che a Gaza è in corso un genocidio: dobbiamo fare in modo che questa nuova guerra non serva a nasconderne il compimento. Israele è, da un lato, la punta di lancia dell’imperialismo occidentale e l’attore che da decenni svolge il lavoro sporco per conto degli Stati Uniti e dell’Europa; contemporaneamente, però, la sua leadership politica fuori controllo è in grado di condizionare a suo vantaggio le politiche delle potenze occidentali. I nostri governanti sono pienamente corresponsabili delle atrocità commesse da Israele, senza il sostegno di queste potenze Israele non potrebbe condurre le proprie avventure militari e forse nemmeno sopravvivere. L’opposizione intransigente al progetto sionista non ci porta però a sostenere la repubblica islamica dell’Iran. Una potenza regionale, con una oligarchia di petrolieri e un’industria, anche militare, molto sviluppata. Non parliamo “semplicemente” di un’odiosa teocrazia, che tortura e impicca gli oppositori e opprime in particolar modo le donne, elemento che ama sottolineare la propaganda liberale occidentale. Parliamo di un regime che mette il suo potere oscurantista al servizio della propria borghesia per reprimere nel terrore le lavoratrici e i lavoratori. Si pensi, per fare un esempio fra i tantissimi che potremmo citare – che in qualche modo ci parla tanto della misoginia quanto del classismo all’interno del regime – al caso della sindacalista Sharifeh Mohammadi, condannata a morte per la sua attività di coordinamento con gli scioperi radicali che sempre più spesso negli ultimi anni hanno attraversato il Paese. Dal 2005 oltre 500 sindacalisti sono stati arrestati, imprigionati, o in alcuni casi condannati a morte ed espulsi per aver creato un’organizzazione sindacale indipendente e per aver svolto attività sindacali nel quadro degli accordi e degli standard internazionali sul lavoro. In una guerra fra tali odiosi regimi, gli unici eroi sono i disertori. Come anarchici e rivoluzionari ci auguriamo la caduta del governo teocratico iraniano, un regime oppressivo che è sorto soffocando nel sangue una generazione di compagni rivoluzionari. Allo stesso tempo sappiamo che un regime deve cadere sotto i colpi dell’insurrezione autenticamente popolare, mentre i cambi di regime progettati e attuati dai capitalisti occidentali, come la storia recente insegna, non fanno che sostituire un oppressore con un oppressore ancora più feroce e asservito alle potenze straniere, trasformando interi paesi in inferni sulla terra. Tenendo presente tutto ciò, invitiamo tutti i rivoluzionari e le persone di buona volontà a guardare con gli occhi ben aperti a un possibile sommovimento in Iran (che è al momento il principale obiettivo strategico di Israele), stando ben attenti a distinguere il grano dal loglio e a non abboccare a quelle false flag che sono da oltre un decennio le principali armi del soft power occidentale per corrompere e cooptare il dissenso, portandolo sul terreno altamente compatibile dei “diritti” liberali. In ogni caso, se anche si producesse un autentico moto di classe (non impossibile in un Paese in cui gli ayatollah sono andati al potere incarcerando e impiccando i rivoluzionari), questo non dovrebbe spostare di un millimetro la nostra opposizione intransigente al Sistema-Israele e a tutto l’imperialismo occidentale che lo nutre. In generale, in una guerra tra Stati, tanto più se questi sono potenze regionali con importanti alleati internazionali, gli oppressi non hanno alleati né amici tra i governanti, ma sono solo carne da cannone per le loro sporche guerre. Convinti che fin quando ci sarà uno Stato non ci sarà mai pace, la nostra posizione rimane quella internazionalista: contro ogni Stato, a partire dal nostro. Quindi, dal nostro lato del fronte, non vogliamo sottacere le responsabilità del governo e dei padroni italiani, che hanno le mani sporche del sangue palestinese. Non possiamo dimenticare che la marina militare italiana dirige l’operazione Aspide, coordinando una coalizione a cui partecipano sette Paesi dell’Unione Europea: il compito di questa missione è contrastare l’azione yemenita che, attaccando le navi, è riuscita a lungo a bloccare un’importante via di comunicazione commerciale e a recare un fortissimo danno all’economia mondiale, mettendo in atto una delle più efficaci forme di sostegno e solidarietà alla popolazione di Gaza. Il governo italiano offre a Israele un appoggio politico incondizionato. L’esercito italiano e quello israeliano sono sempre più integrati, i militari si addestrano reciprocamente, l’industria bellica italiana è il terzo esportatore verso Israele (dopo Stati Uniti e Germania), mentre l’Italia compra dall’alleato sionista sistemi d’arma ad alta tecnologia. Finanche le amenità del Bel Paese sono uno dei luoghi prescelti da Israele per la “decompressione” dei propri militari dopo i combattimenti. I servizi segreti italiani condividono informazioni e tecnologie con gli apparati israeliani, come dimostra da ultimo il caso Paragon. Non dimentichiamo peraltro come la magistratura italiana sia schierata a supporto della repressione israeliana. Come dimostra lo scandaloso processo in corso all’Aquila contro Annan Yaeesh che vorrebbe far passare la resistenza armata palestinese, legittima anche per il diritto internazionale, per terrorismo. L’Italia supporta la logistica militare di Israele, come avviene con l’approdo nei porti italiani, ad esempio delle navi ZIM, e la ricerca tecnologica finalizzata alla supremazia militare, come avviene in numerosi atenei. Ormai nei mezzi di comunicazione di massa italiani è quasi impossibile ricevere informazioni che non siano sfacciata propaganda di guerra. Questi mezzi di comunicazione sono parte integrante della macchina bellica, affermazione che è rafforzata dalla considerazione che nell’attuale strategia di guerra occidentale sempre più frequentemente lo spettacolo determina le scelte sul campo. Nonostante una propaganda martellante gli sfruttati sono generalmente contrari alla guerra, in particolare il genocidio di Gaza ha profondamente scosso l’opinione pubblica; ma non basta una ribellione delle coscienze. Peraltro la classi più povere delle società occidentali stanno già pagando a caro prezzo il costo della guerra: dall’inflazione alla repressione. Di recente, il capo della NATO Rutte ha affermato che se gli europei non vogliono tagliare la loro spesa sanitaria a favore di quella militare (l’obiettivo dichiarato è di raggiungere il 5% del PIL!) allora dovranno imparare a parlare russo. D’altro canto, le politiche repressive sempre più efferate dei nostri governanti, di cui il pacchetto sicurezza di recente approvazione (dove si reprimono i blocchi stradali, i picchetti sindacali, le proteste in carcere, anche in forma pacifica, e si introduce il cosiddetto “terrorismo della parola”) è soltanto il più recente e probabilmente non definitivo approdo, vanno lette a tutti gli effetti come delle vere e proprie politiche di guerra, anche alla luce di quelle tensioni sociali di cui si faceva cenno. Nei prossimi mesi sarà importante per anarchici e solidali saper collegare la resistenza contro questa offensiva (così come la solidarietà con i nostri compagni in varie forme perseguitati) alla lotta complessiva contro la guerra, di cui queste operazioni sono la manifestazione sul fronte interno. La propaganda sempre più faziosa e pervasiva, il cablaggio tecnologico delle facoltà critiche, le sconfitte storiche del movimento operaio, una certa predilezione per l’autoisolamento da parte delle minoranze agenti, al momento pesano sul senso di impotenza e rassegnazione. Lo stesso livello tecnologico della guerra guerreggiata – si pensi al confronto aeronautico e balistico tra Israele e Iran, per non parlare delle tecnologie messe in campo da NATO e Russia in Ucraina – spinge verso un sentimento di ineluttabilità, nell’impossibilità per le umane forze degli sfruttati di fare qualcosa per fermarli. Eppure la variante umana e di classe è determinante. Sono le braccia dei portuali a caricare le armi sulle navi dirette a Israele: quelle braccia, come ci hanno mostrato in Marocco, a Marsiglia, a Genova, possono decidere di fermarsi. Sono i corpi dei proletari russi e ucraini a venire gettati nelle trincee, a massacrarsi vicendevolmente per gli interessi delle classi dirigenti russe e statunitensi (mentre Putin e Trump dialogano amabilmente al telefono); eppure quei corpi possono disertare, e lo fanno a decine di migliaia. La resistenza armata del popolo palestinese, che non ha amici tra le grandi potenze, riesce con la propria volontà e la propria azione ad opporsi ad una delle più terribili e avanzate macchine belliche presenti sula terra. Israele ha un dominio tecnologico esorbitante, eppure vediamo come i combattenti palestinesi riciclano le bombe inesplose del nemico per farne degli ordigni artigianali. La fantasia degli oppressi non conosce confini. E gli oppressi, come diceva Errico Malatesta, sono sempre in condizione di legittima difesa, i mezzi da adoperare, purché coerenti con i fini dell’uguaglianza e della libertà per tutti gli esseri umani, sono solo una questione d’opportunità. Dal nostro lato dei molteplici fronti, lottiamo per la disfatta del nostro campo: per la sconfitta della NATO, per la distruzione del sionismo. Trasformiamo la guerra dei padroni in guerra contro i padroni! Assemblea “Sabotiamo la guerra”
Rompere le righe
In primo piano
The TRUMAN Show. L’università di Trento collabora anche con Israel IBM
Non c’è pace per il rettore dell’Università di Trento, Flavio Deflorian. Dopo che l’Assemblea trentina in solidarietà alla resistenza palestinese è andata a cantargliele chiare sulle sue false dichiarazioni in merito all’interruzione dei rapporti con le università israeliane, una chiara denuncia arriva adesso direttamente da docenti e ricercatori della stessa università: l’ateneo di Trento collabora, all’interno di un progetto chiamato “Truman”, con la divisione israeliana di IBM (IBM! L’azienda che ieri forniva le sue schede perforate per i lager nazisti, e che adesso fornisce i suoi sistemi informatici allo Stato genocida d’Israele!). Qui le puntate precedenti: https://ilrovescio.info/2025/06/04/trento-lo-sciopero-per-la-palestina-stana-il-magnifico-rettore-deflorian/ https://ilrovescio.info/2025/06/11/luniversita-trentina-e-la-guerra-giu-la-maschera-deflorian/ Qui un articolo tratto da un giornale locale su quest’ultima vicenda, contenente svariate informazioni sul ruolo di IBM nell’apartheid e nel genocidio dei palestinesi: https://www.iltquotidiano.it/articoli/nuova-collaborazione-tra-luniversita-di-trento-e-unazienda-israeliana-scoppia-la-polemica/ Qui un testo dell’Assemblea in solidarietà alla resistenza palestinese di Trento, aggiornato a quest’ultima “scoperta”: DEFLORIAN PARLA MA TACE SULLE COLLABORAZIONI IN CORSO A quasi due anni dal suo inizio, l’enormità del genocidio a Gaza è diventata innegabile. In questo frangente rompe il silenzio dietro cui si era trincerato il rettore dell’Università di Trento, Flavio Deflorian. Con un editoriale per il giornale online Unitrento Mag, sulla spinta del partecipato corteo arrivato sotto al Rettorato il 30 aprile in occasione dello sciopero provinciale contro il genocidio, Deflorian smentisce categoricamente le accuse mosse a lui e all’Ateneo di complicità col genocidio («aberranti calunnie»). Al contrario ci informa che l’Ateneo è «per la Palestina» e che «ha cercato di sostenere concretamente il popolo palestinese». In che modo? Fornendo «supporto alla didattica universitaria da remoto», ovviamente «finché è stato possibile», istituendo un dottorato sui “Peace Studies” e promuovendo «incontri sul tema della pace». Le collaborazioni con le «istituzioni di ricerca e formazione israeliane», continua Deflorian, sono al momento inattive, anche se lui spera di «poter[le] riprendere in futuro». E in ogni caso ci rassicura, si è sempre trattato di «collaborazione culturale e scientifica su temi di pace». Probabilmente Deflorian, così preso dagli impegni del suo ruolo, saranno sfuggite alcune di queste collaborazioni. Facile scordarsi di un progetto dal nome “Safe U-Comm”, per lo sviluppo di comunicazioni subacque in ambito militare, portato avanti da ricercatori Italia, Canada, Regno Unito e per l’appunto Israele, con il supporto della NATO. Un progetto che ha visto coinvolto per Trento il Manta Lab del Disi (Dipartimento di Ingegneria e Scienze dell’Informazione) e che si è concluso nel 2024, nel pieno dei bombardamenti su Gaza. Uno dei sei progetti che vedono coinvolte istituzioni trentine di cui si trova traccia nel portale dell’Università di Haifa. Ma si potrebbe dire che il passato è passato, bisogna guardare all’oggi e al futuro. E guarda un po’, oggi il professor Paolo Casari del Disi che si occupava di “Safe-U-Comm” dirige un altro progetto, SHIELD, sempre sulla sicurezza militare delle comunicazioni sottomarine, sempre coi finanziamenti NATO, questa volta con la partecipazione di cinque paesi: Italia, Canada, Regno Unito, Croazia e… Israele! Un progetto quello di SHIELD iniziato a marzo 2025 e che si concluderà nel febbraio 2028 (un informazione visibile ad oggi sul sito del Manta Lab). Mentre inizierà il 1° luglio un altro progetto che coinvolge il Disi: TRUMAN, legato allo sviluppo dell’IA, di cui è responsabile Fausto Giunchiglia e che ha tra i partner IBM Israel. La presenza di IBM Israel, che fornisce tecnologie di schedatura funzionali al controllo dei palestinesi e collabora attraverso una sussidiaria con l’esercito israeliano, ha fatto sì che stia circolando tra i dipendenti di Unitn una raccolta firme per chiedere lo stop al progetto. Deflorian lo ha detto anche a Casari e a Giunchiglia che non ci sono collaborazioni tra Unitn e l’accademia israeliana? Anche questi progetti rientrano nei «temi di pace» di cui scrive Deflorian? Ma, lasciando stare i singoli progetti – di cui evidentemente il rettore non è informato – ci sono vari dati di fatto che consolidano l’immagine dell’Università come “luogo di guerra”, su cui Deflorian elegantemente sorvola nel suo editoriale. Non solamente la sua personale partecipazione a MedOr, fondazione “culturale” di Leonardo, da cui è uscito in sordina proprio dopo le proteste. Si tratta più in generale della presenza dentro l’Ateneo di Leonardo stessa e di altre aziende belliche (Iveco Defence, Fincantieri…). Aziende che finanziano e partecipano ai programmi di dottorato, che presenziano agli eventi di orientamento post-laurea come il Career Fair, che sponsorizzano il Festival dell’Economia co-organizzato da Unitn. Contro questa presenza ci sono stati negli ultimi anni presidii, cortei, scioperi e anche due occupazioni dell’università. Un’opposizione portata avanti da più realtà, da tutti e tutte coloro che non hanno voluto restare testimoni passivi di un genocidio e che come gesto concreto hanno deciso di andare a puntare il dito sulle collaborazioni tra Occidente e colonialismo d’insediamento israeliano. Troppo comodo, come fa nel suo testo Deflorian, dire che lui e l’Ateneo sono colpevoli al pari di tutti delle «tragedia» in atto: in questi due anni c’è stata certamente «l’ignavia» di chi non ha fatto niente, ma soprattutto l’aperta di complicità di chi ha continuato a fare quello che faceva prima e ha ostacolato chi cercava invece di fare qualcosa. Le istituzioni europee, italiane e trentine sono attori di questa tragedia nella misura in cui hanno instaurato legami e continuano ad averne con il colonialismo d’insediamento israeliano. Se Unitn appende teli bianchi per coprire le proprie responsabilità, bisogna invece continuare a scrivere nero su bianco sugli striscioni che Unitn continua a essere complice di genocidio e un ateneo che va alla guerra. Deflorian vuole che si smetta di associare il suo nome e quello dell’Università di Trento al genocidio e alla guerra? Si adoperi allora per la cessazione immediata di tutti i progetti e le collaborazioni tra Unitn e Israele, nonché per l’uscita di tutte le aziende belliche dai dipartimenti, fornendone prove ben più solide delle sue fumose dichiarazioni. Mentre lo Stato israeliano annega nel sangue che ha versato e, attaccando l’Iran, si adopera per arrivare a una guerra mondiale, riprendiamo con forza l’opposizione alle collaborazioni trentine col genocidio e colla guerra, come forma concreta di solidarietà alla resistenza palestinese e come opposizione al riarmo! 16 giugno 2025 Assemblea di solidarietà con la resistenza palestinese In pdf: Risposta a Deflorian RIVISTO  
Rompere le righe
Stato di emergenza