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Venezia, 16 maggio: Presidio contro guerra e riarmo in occasione della conferenza “Tempo d’Europa”
Riceviamo e diffondiamo: Scarica la chiamata: Il 16 maggio si terrà una giornata dal titolo “Tempo d’Europa” TEMPO D’EUROPA, TEMPO DI GUERRA. Mai come adesso dire Europa significa dire guerra. L’Europa è protagonista nella guerra contro la Russia. Con la scusa della difesa del popolo ucraino, Europa e NATO vogliono espandersi verso est ai danni della Russia per spartirsi quei territori. Questa guerra è una carneficina che va avanti da più di tre anni, che sta uccidendo russi e ucraini per gli interessi espansionistici di Europa, NATO e Russia. L’Europa sostiene Israele nel genocidio del popolo palestinese. In questo anno e mezzo l’Europa non ha fatto nulla per bloccare il progetto di eliminazione totale di Netanyahu, che ora arriva a proporre la soluzione finale (l’annessione totale di Gaza), sapendo che ha le spalle coperte dall’Europa e dall’America. Il genocidio del popolo palestinese è possibile grazie al sostegno incondizionato di Europa ed America, che di conseguenza sono complici di quanto succede. L’Europa vuole mandare i giovani a morire al fronte. Con il piano di riarmo europeo (Rearm Europe) l’Europa vuole dotarsi di un esercito pronto alla difesa contro non si sa bene quale nemico. Questo significa che in caso di guerra i giovani europei sarebbero chiamati alle armi e mandati al fronte a morire per gli interessi economici dell’Europa. Questo piano di riarmo costerà alle popolazioni europee 800 miliardi di euro, che verranno tolti all’istruzione pubblica, alla sanità, ai servizi, andando quindi a peggiorare le condizioni economiche e di vita di chi già è in difficoltà. L’Europa continua a trasformare il Mediterraneo e i confini in cimiteri per migranti. Ogni anno migliaia di persone perdono la vita cercando di arrivare in Europa passando per il Mar Mediterraneo o la rotta balcanica. Vengono uccisi dalle politiche di difesa della “Fortezza Europa” che respinge i migranti nei lager libici, o una volta arrivati qua li rinchiude nei lager nostrani, i CPR (centri di permanenza e rimpatrio) costringendoli a farsi sfruttare per sopravvivere. Il 16 maggio si terrà una giornata dal titolo “Tempo d’Europa” in cui professori universitari, accademici, ricercatori, esperti e figure istituzionali diranno quanto è bella e brava l’Europa a studenti e studentesse di università e scuole superiori, ovvero quelle persone che dovrebbero andare al fronte a morire per l’Europa in caso di guerra! Pensiamo che chi non voglia diventare carne da cannone e uccidere giovani come noi o farsi uccidere per gli interessi di qualche Stato o Alleanza Atlantica, debba disertare la loro propaganda europeista e sabotare la loro retorica bellica, i loro piani di riarmo che sono piani di morte! Il 2 giugno scenderemo in strada per contestare la Festa della Repubblica, che altro non è se non festa delle armi! VENERDI’ 16 MAGGIO DALLE 14 CAMPO SAN SALVADOR PRESIDIO CONTRO IL PIANO DI RIARMO EUROPEO Verso il corteo antimilitarista del 2 giugno da campo san Bortolomio ore 16! Collettivo sumud
Iniziative
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UN SUSSULTO
Riceviamo e diffondiamo: UN SUSSULTO È difficile trovare parole esatte in grado di esprimere con precisione cosa si può provare di fronte all’orrore che ci circonda. Stiamo vedendo l’attuazione della soluzione finale: un piano ben determinato per cancellare un intero popolo dalla terra. Questi mesi di genocidio algoritmico già avevano indicato il vero fine del progetto sionista, che ora nelle parole di Netanyahu si esplicita, forte della copertura incondizionata da parte dell’Occidente. Tutto questo genera in ogni persona ancora in grado di ascoltare il mondo e di ascoltarsi, che non si arrende alla bancarotta morale in diretta, un insieme di sentimenti, tensioni, vibrazioni indescrivibili a parole. Ma chi mantiene la qualità strettamente umana di sentirsi parte nel mondo, quello che non sa esprimere a voce, lo esprime con azioni, seppur piccole ed insufficienti rispetto a quanto ci circonda, ma che quantomeno dimostrano i sussulti etici che non permettono il non agire, che impediscono il silenziamento di quello che proviamo interiormente. Ecco, ieri c’è stato un sussulto. Anche se insufficiente, anche se ancora troppo poco, c’ stato. In un gruppetto ristretto di compagne e di compagni, non più di 15 persone. Per un’ora e passa il Mc Donald di via Torino\corso del popolo a Mestre è stato chiuso in orario di cena. Ci teniamo a condividere quanto fatto per la sua semplicità e riproducibilità. In poche persone, con qualche bandiera della Palestina, uno striscione, un megafono e dei volantini, con un po’ di forza di volontà si riesce ad interrompere il normale funzionamento e flusso capitalistico di aziende complici del genocidio in corso. Non abbastanza, ma un qualcosa. Un qualcosa che ad intermittenza, con poche forze dalla nostra parte, si può ripetere con costanza e imprevidibilità. E dimostra anche a noi che organizzandosi dal basso possiamo esprimere una potenza e danneggiare chi supporta materialmente, ideologicamente e socialmente il genocidio in corso e più in generale l’entità sionista. Di fronte a quanto succede, l’azione continua e costante è l’unica strada per evitare la bancarotta morale. Cortei, interruzioni di eventi militaristi, occupazioni, boicottaggi, assemblee e così via sono le armi etiche che dimostrano, in un mondo in cui la morte e la distruzione vogliono essere la norma, che lottare significa prima di tutto lottare per la vita, ma soprattutto per essere ancora vivi. Per far sì che la morte ci trovi vivi, e che la vita non ci trovi morti.
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Stato di emergenza
Azioni
Nessuna pace a chi lavora per la guerra
Riceviamo e diffondiamo questo testo, letto durante l’interruzione di un’iniziativa all’università veneziana Ca’ Foscari che vedeva la partecipazione dell’ineffabile delinquente e leccaculo Antonio Scurati: NESSUNA PACE A CHI LAVORA PER LA GUERRA «Non siamo gente che invade paesi confinanti, non siamo gente che rade al suolo le città, non massacriamo e torturiamo civili con gusto sadico, non deportiamo bambini per usarli come riscatto. Lo abbiamo fatto, fino a 80 anni fa, ma proprio per questo abbiamo smesso. Noi non siamo gente che deporta clandestini in catene a favore di telecamera, non tagliamo finanziamenti ad associazioni umanitarie». Con queste parole Scurati ha intrattenuto la folla presente alla piazza per il riarmo europeo che si è tenuta il 15 marzo a Roma, e interrompiamo questa iniziativa per ricordare le responsabilità a chi prende parte a queste iniziative guerrafondaie. EPPURE Noi non siamo gente che bombarda e rade al suolo le città, ma non sono passati 80 anni dall’ultima volta in cui l’Italia ha preso parte ad operazioni di bombardamenti a tappeto di aree urbane: è successo nel 1999 a Belgrado con aerei italiani. Noi non massacriamo e torturiamo i civili con gusto sadico, ma rispediamo i torturatori con mandati di cattura internazionali pendenti, come Al Masri, finanziandoli pure per continuare a tenere ‘sicuri’ i nostri di confini e di civili. Noi non sequestriamo i bambini e li deportiamo usandoli come riscatto, ma noi deportiamo i migranti in centri per il rimpatrio in Albania, che poi sono prigioni nelle quali le nostre forze dell’ordine li torturano. Proprio in questi centri un paio di mesi fa il nostro governo Meloni ha mandato anche dei minori. Noi non siamo gente che deporta gli immigrati in catene a favore di telecamera, ma il nostro Stato protegge e favorisce lo sfruttamento dei migranti tramite il caporalato per avere manovalanza a basso costo. Non siamo gente che tagli i finanziamenti pubblici alle associazioni umanitarie, ma l’Italia ha tagliato 555,31 milioni di euro nel 2023 in aiuti ad associazioni umanitarie. In più, criminalizza di continuo attivisti e tutte le forme di dissenso sociale dal basso, spionando grazie ai servizi segreti e spyware israeliani direttori di giornali, attivisti per i diritti umani, compagni che lottano contro le galere e i CPR, e così via. Se anche credessimo alle parole di Scurati, se anche credessimo che noi europei siamo dei santi, basterebbe guardare nelle nostre galere, dove i detenuti si suicidano a decine e decine ogni anno per le condizioni inumane, dove i prigionieri politici vengono torturati legalmente con il 41 bis, cosi come nei centri di permanenza e rimpatrio, dove le persone migranti senza documenti sono rinchiuse senza motivo; nei luoghi di lavoro la strage è continua, così come lo è la violenza della polizia nei confronti di chi sta più in basso. Basterebbe guardarsi dentro di noi per capire che le parole di Scurati sono vuote. Ma si può anche guardare ai nostri amici ed alleati fuori dall’Europa, per capire chi siamo davvero noi europei. Certo, magari non siamo direttamente noi a radere al suolo Gaza, ma da dove arrivano le bombe, le armi, le tecnologie che permettono ad Israele di cancellare il popolo palestinese? Come fa Israele ad esistere, se non grazie al supporto di tutto l’Occidente, Europa ed Italia in primis? Di conseguenza, supportare uno stato genocidario rende complici del genocidio. Il sangue versato in Palestina testimonia che quando l’Occidente parla di giustizia intende oppressione, quando parla di difesa intende guerra, di valori intende collaborazionismo genocida. E quindi possiamo davvero credere alle parole di Scrutati quando dice che noi siamo quelli che non torturano, massacrano e deportano, quando il nostro alleato in Asia Occidentale, ovvero Israele, fa esattamente queste cose qua, con il nostro supporto? A due passi da qua, a Tessera, c’è uno stabilimento della Leonardo SPA, la maggior produttrice ed esportatrice in Italia, azienda partecipata dallo Stato, e profondamente legata ad Israele. I cannoni Oto Melara usati per bombardare Gaza sono stati prodotti qua da noi e venduti ad Israele. Sicuramente non ci siamo noi a sganciare le bombe o a radere al suolo i villaggi palestinesi, ma ci sono le nostre armi e tecnologie che lo fanno al posto nostro. Sono queste bombe e tecnologie di oppressione che dimostrano i veri valori europei. Anche il luogo in cui ci troviamo, ovvero uno spazio universitario, non può non essere considerato complice del genocidio. Ca’ Foscari ha rapporti di vario genere con università israeliane, come la Ben-Gurion University, con la quale costruisce algoritmi di intelligenza artificiale nel campo dell’archeologia, ovvero uno strumento culturale per cancellare la presenza delle popolazioni arabe dai territori interessati dal colonialismo israeliano. Per non parlare della presenza di Tiziana Lippiello in Med-Or/Fondazione per l’Italia, ente accademico di Leonardo SPA. Anche in Ucraina magari non siamo direttamente noi a combattere al fronte, ma come si è arrivati al conflitto attuale se non dopo decenni di provocazioni ed espansionismo NATO ad est contro la Russia? Non vediamo i valori occidentali ad EUROMAIDEN del 2014, al rogo della casa dei sindacati di Odessa? Migliaia di proletari russi e ucraini si stanno ammazzando per gli interessi della NATO e della Russia, e l’Europa propone di armarsi per costruire un esercito europeo per difendersi da non si sa bene quale minaccia. È chiaro che armi ed eserciti servono a difendere gli interessi di Stati e borghesie, e a pagare il prezzo della vita sarà gente come noi, giovani che verranno mandati al fronte ad ammazzare altra gente come noi. Beh, a tutto questo noi magari diciamo anche di no, se a voi piace così tanto l’Europa e la volete difendere, andateci voi al fronte a morire quando sarà necessario, noi impariamo dalla Palestina a resistere contro l’oppressione, e dai proletari russi ed ucraini a disertare le guerre del capitale. Ai conflitti mondiali del secolo scorso non si arrivò solo tramite un riarmo generale, ma anche grazie ad un lavoro di intellettuali, sia di destra che di sinistra, che cercavano di convincere le persone alla giustezza e alla necessità della guerra, convincendole ad andare al fronte a farsi ammazzare per gli interessi degli Stati. Adesso succede la stessa cosa, e Scurati ha una responsabilità ben precisa nel prendere parte ad una piazza, come quella del 15 marzo di Roma, che inventandosi nemici immaginare vuole convincere le persone alla giustezza e alla necessità di un esercito di difesa. Il ruolo degli intellettuali della propaganda bellica non può passare in secondo piano. La guerra non è fatta solo di bombe e proiettili, ma è una forma di governo, un’infrastruttura ideologica che dobbiamo abbattere il prima possibile. Per non parlare del fatto che questi 800 miliardi di euro per il riarmo europeo andranno a pesare sulle persone già in difficoltà economica, tagliando servizi pubblici già martoriati, peggiorando una situazione già insostenibile per sempre più persone. Per concludere, chiunque supporti il riarmo europeo, ha un ruolo molto preciso nell’alimentare i venti di guerra. Nascondersi e appellarsi a valori inesistenti nei fatti, data la complicità europea nel genocidio in corso e nella carneficina tra NATO E RUSSIA, è una scenetta triste e imbarazzante, soprattutto per chi dovrebbe essere un cosiddetto intellettuale. Da parte nostra abbiamo ben poco da dire. Se in guerra volete andarci, andateci voi. Come ci insegnano gli oppressi, russi, ucraini, palestinesi e yemeniti, l’unica risposta alla guerra è la diserzione, l’unica risposta all’oppressione è la resistenza. Son questi i nostri valori, non da europei, ma da persone che odiano questo mondo e la guerra che lo sostiene.
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Stato di emergenza
Campagna di sfida, n. 2 – Spezzare le collaborazioni con il genocidio
Riceviamo e diffondiamo il secondo numero di “Campagna di Sfida”, bollettino dell’omonima campagna, volta a spezzare le collaborazioni tra ateneo trentino e università israeliane, portata avanti a Trento dall’Assemblea in solidarietà alla resistenza palestinese. Il numero è dedicato in particolare alla Fondazione Bruno Kessler. CAMPAGNA DI SFIDA #2 – VERSIONE STAMPA DEFINITIVA Qui il primo numero del bollettino: https://ilrovescio.info/2025/01/20/campgna-di-sfida-un-bollettino-contro-le-collaborazioni-trentine-con-il-genocidio-a-gaza-e-lindustria-bellica/
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Materiali
Al mercato delle riconversioni belliche
Riceviamo e diffondiamo questa utile panoramica delle riconversioni belliche, in Italia e non solo: Anche su  https://piccolifuochivagabondi.noblogs.org/riconversioni-belliche/ AL MERCATO DELLE RICONVERSIONI BELLICHE Nella chiave della competizione inter-imperialistica per il dominio dei mercati e la spartizione delle risorse, in un quadro che vede mutare gli assetti geopolitici globali, si afferma la corsa al riarmo europeo. Mentre si cerca di abituare l’opinione pubblica al fatto compiuto, e cioè che in guerra ci siamo già anche se i missili ancora non esplodono sulle nostre case; mentre gli Stati europei – dai Paesi scandinavi alla Francia – forniscono ai loro cittadini dépliant con le informazioni su cosa fare in caso di conflitto o guerra nucleare; e mentre alcune nazioni stanno pensando di accrescere il numero dei loro riservisti e di ricorrere nuovamente alla leva militare… si sta affermando l’idea che anche le aziende in crisi debbano essere riconvertite alla produzione bellica. Tra le prime, Volkswagen ha mostrato crescente interessamento. Pur riconoscendo che una completa conversione alla produzione bellica richiederà anni, l’azienda tedesca vuol tornare a fornire motori e trasmissioni per veicoli militari collaborando con la conterranea Rheinmetall, come aveva già fatto durante la seconda guerra mondiale quando collaborò coi nazisti. Aziende come Rheinmetall, leader in Europa nella produzione di munizioni e armamenti terrestri tra cui i carri armati Panther, e KNDS Group, joint venture franco-tedesca specializzata in veicoli corazzati ed esplosivi con un fatturato di 3 miliardi di euro, stanno già riconvertendo impianti civili, non solo automobilistici, in linee di produzione bellica. Il CEO di Rheinmetall, Armin Papperger, ha indicato che lo stabilimento di Osnabrück di Volkswagen sarebbe “molto adatto” per la produzione di veicoli blindati Lynx, a condizione di ricevere ordini per almeno 1.000 unità. Proprio Rheinmetall ha realizzato una joint venture con l’italiana Leonardo per fornire 280 nuovi carri armati Panther e oltre mille veicoli blindati Lynx all’Esercito italiano, una commessa da 23,2 miliardi di euro. Metà della produzione sarà fatta da Leonardo in Italia. Parteciperà a questo progetto, con un contratto di fornitura per circa il 15% del valore, anche Iveco Defence Vehicles (IDV) controllata da Exor, la finanziaria olandese della famiglia Agnelli. Leonardo e Rheinmetall vorrebbero partecipare al progetto per il futuro carro armato pesante europeo, detto Mbt o Mgcs, un progetto lanciato da Francia e Germania, che si scontra però con gli interessi anche della franco-tedesca KNDS, holding che unisce la francese Nexter e la tedesca Krauss-Maffei Wegmann. Un’altra società tedesca, la Helsoldt, che si occupa di elettronica per la difesa, di cui è azionista Leonardo con il 22,8%, ha comprato una fabbrica di elettrodomestici Bosch con 400 lavoratori annessi per riconvertirla. La franco-tedesca KNDS, che produce il carro armato Leopard e il veicolo da combattimento Puma, ha recentemente acquisito un’ex fabbrica ferroviaria a Görlitz, in Germania, per espandere la sua capacità produttiva. Anche l’ex insediamento Winchester di Anagni (Frosinone), nella Valle del Sacco in Ciociaria, verrà riconvertita da KNDS Ammo Italy (ex Simmel Difesa) in una fabbrica per produrre nitro-gelatina e polveri di lancio per proiettili. 11 nuovi capannoni su un’area di circa 2500 metri quadri per potenziare la filiera delle armi1. Il paradosso sta che fino ad ora nell’ex stabilimento laziale di Anagni si provvedeva al disinnesco dei proiettili scaduti. Tra Anagni e la vicina Colleferro – dove KNDS possiede già uno dei più importanti stabilimenti per il caricamento, per la produzione e per i test di munizioni e bombe – arriverà a fabbricare fino a 3 tonnellate di esplosivo ogni giorno. Nel 2023 vi era stata la visita del commissario europeo al mercato interno, Thierry Breton, allo stabilimento dei Colleferro, che aveva espressamente richiesto di incrementare la produzione per missili e proiettili con cui riempire gli arsenali europei. La riconversione dello stabilimento di Anagni, che dovrebbe iniziare la produzione a partire dalla primavera 2026, si inserisce pienamente nel quadro del piano “ReArm EU” ma ha anche ricevuto un finanziamento europeo di 41 milioni di euro dopo l’approvazione dell’ASAP (Act Support Ammunition Production)2. L’ASAP è la legge europea, varata nel maggio 2023 e confermata a marzo 2024 con l’impegno di 500 milioni di euro del bilancio UE, per potenziare la produzione di esplosivi, polvere da sparo e munizioni dopo l’invasione russa dell’Ucraina. L’ASAP ha calcolato che entro la fine del 2025 saranno 2 milioni i proiettili che dovranno essere prodotti all’anno dalle industrie europee. 4,300 tonnellate l’anno gli esplosivi. Attraverso l’ASAP la Commissione Europea ha selezionato una trentina di progetti per sostenere l’industria bellica europea della produzione di polveri e munizioni. In un primo tempo il maxiappalto riguardava solo le imprese europee, ma a causa del mancato raggiungimento del numero previsto di munizioni da parte dell’industria europea, ora i fondi UE possono essere usati per comprare munizioni anche da Paesi terzi, con gli Stati Uniti ovviamente a farla da padrone (con la seconda elezione di Trump, gli Stati Uniti non solo pretendono che la UE acquisti il loro gas GNL ma anche le loro armi). I 31 progetti industriali finanziati dall’UE coinvolgono Grecia, Francia, Polonia, Norvegia, Italia, Germania, Finlandia, Slovacchia, Lettonia, Romania, Repubblica Ceca, Spagna e Slovacchia. Oltre la KNDS Ammo Italy, tra questi 31 progetti finanziati dall’UE vi è anche quello presentato dalla bolognese Baschieri&Pellagri, del gruppo della Fiocchi Munizioni Spa di Lecco. Il progetto della Baschieri&Pellagri è stato finanziato con 3,7 milioni di euro e consiste nella produzione di polvere da sparo per i proiettili. Ritornando all’industria dell’automotive, non possiamo non citare il caso dell’italo-olandese Stellantis (ex Fca-Fiat) del presidente John Elkann, della famiglia Agnelli, che vive una crisi acuta, con un forte calo della produzione automobilistica nazionale, e che potrebbe essere interessata da un piano di riconversione sostenuto dai ministeri della Difesa e dell’Economia. Annunciato dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, un piano per rilanciare la filiera dell’auto prevede un finanziamento di 2,5 miliardi di euro con fondi pubblici entro il 2027, con l’obiettivo di diversificare la produzione coinvolgendo il settore auto nel cosiddetto “dual use”, ovvero l’utilizzo delle stesse infrastrutture per scopi civili e militari. Per Stellantis si parla di un ruolo di consulenza ingegneristica, ma forse anche della riconversione di uno o più stabilimenti per la produzione di mezzi militari o componentistica. Fra le ipotesi alla studio, per intercettare la pioggia di miliardi del riarmo UE, c’è la riconversione dello stabilimento di Termini Imerese (Palermo). Per facilitare l’intesa il governo Meloni vuole superare il cosiddetto piano green deal lanciato nel 2019 dalla Commissione europea, almeno per quanto riguarda il settore auto. Le regole europee oggi impongono la riduzione della produzione delle auto a combustione per ridurre le emissioni di gas serra e contenere il riscaldamento globale entro +1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. Il che significa riconvertire il settore auto nell’elettrico, settore nel quale l’Italia (ma anche la stessa Europa) è piuttosto indietro rispetto a Paesi come la Cina. Anche i dazi minacciati da Trump sui prodotti importati dai Paesi europei hanno giocato un ruolo sulla decisione di sospendere le regole europee per il green deal, dato che tra i settori colpiti da questa nuova guerra commerciale c’è senz’altro il mercato dell’automotive. Ma la vera ragione della sospensione del green deal è un’altra. Come ha ricordato molto chiaramente l’ex ministro dell’ambiente e della transizione ecologica nel governo Draghi, Roberto Cingolani, oggi amministratore delegato della più grande società bellica italiana, la Leonardo, società che stima ordini per 118 miliardi fino al 2029 con l’obiettivo di raggiungere ricavi superiori a 26 miliardi entro la fine del decennio, “il Green Deal era importante in tempi di pace, ora ci sono altre priorità”. Ricordiamo, sempre della famiglia Agnelli, anche il ruolo di Iveco Defense. Già pienamente operativa nel settore militare, lo è ancora di più dopo un accordo con Leonardo siglato a novembre 2024. Non sarebbe certo la prima volta che l’industria civile si presta alle esigenze militari. A Bolzano nel 1939 l’allora stabilimento Fiat si convertì alla produzione di autocarri militari. E non è l’unico caso. A ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, i nomi che ritornano sono sempre quelli: Famiglia Agnelli, Volkswagen, Krupp. Le riconversioni verranno giustificate – è la facile previsione – con il pretesto di impedire la chiusura di stabilimenti e la perdita di posti di lavoro. É la giustificazione che è stata usata, per esempio, a castelfranco Veneto (Treviso) per la riconversione in industria bellica della Faber, che ha cominciato a produrre bossoli e ogive, mentre prima produceva bombole d’ossigeno e a gas. A questo punto con buona probabilità anche i sindacati confederali collaboreranno alla militarizzazione del lavoro, cosa che stanno già facendo nel caso proprio della Faber, con la Fim Cisl di Treviso che ha sostenuto apertamente il progetto di riconversione bellica, fino al punto di proporre la riconversione ad uso militare anche delle vicine industrie della Berco, azienda del gruppo tedesco dell’acciaio Thyssenkrupp (quest’ultimo attivo anche nel settore bellico), che produce cingolati per trattori e che vuole ridimensionare, con procedure di licenziamento aperte, le sedi produttive italiane di Castelfranco Veneto, Copparo e Bologna. Secondo i giornali locali veneti gli operai di Castelfranco Veneto, in cassa integrazione da molti mesi, sarebbero persino favorevoli, pur di non perdere il posto di lavoro e mettere un pezzo di pane a tavola. Dai cingolati per i trattori a quelli per i carri armati è un attimo. Tra l’altro gli stabilimenti veneti sia della Berco che della Faber nascono dallo scorporo dell’azienda bellica Simmel Difesa e le macchine per produrre armamenti pare si trovino ancora all’interno degli stabilimenti. Condotte come quelle della Cisl trevigiana non sono casi isolati. Già nel 2021 i responsabili locali della Fiom-Cgil palermitana dichiararono che la costruzione di navi da guerra, motovedette e portaerei nei Cantieri Navali di Fincantieri a Palermo “avrebbe portato ulteriore lavoro, stabilità lavorativa e benefici economici per tutta la città”. Sindacalisti per la guerra. PiccoliFuochiVagabondi -------------------------------------------------------------------------------- 1 www.peacelink.it/disarmo/a/50660.html 2 https://defence-industry-space.ec.europa.eu/eu-defence-industry/asap-boosting-defence-production_en
Approfondimenti
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In primo piano
Il clown e il circo
Riprendiamo da “pungolo rosso”(https://pungolorosso.com/2025/03/29/il-clown-e-il-circo-a-bihr-j-m-heinrich-r-pfefferkorn-y-thanassekos/) e rilanciamo questo interessante dibattito, che fa il punto sulle ragioni della guerra in Ucraina tra NATO e Federazione Russa. Ci pare che le argomentazioni degli autori de “Il clown e il circo” e della redazione del Pungolo si integrino più di quanto si contraddicono: da una parte dei sani giudizi di fatto sulle preponderanti responsabilità occidentali nel provocare la guerra (giudizi di fatto tanto più necessari di fronte a una propaganda che ha compiuto e compie salti mortali per nasconderle); dall’altro la verità di fondo che ogni Stato combatte le guerre per i propri interessi di potenza. Di fronte alle attuali “manovre di pace”, condividiamo in particolare l’idea del Pungolo che “la possibilità di contrastare la tendenza alla guerra con ‘la mobilitazione delle masse in tutta Europa’ deve saper denunciare per tempo le stesse soluzioni diplomatiche, per quanto ‘ragionevoli’ possano apparire, come altrettanti passi verso un nuovo conflitto mondiale.” Qui il seguito del dibattito: https://pungolorosso.com/2025/04/06/la-replica-di-a-bihr-j-m-heinrich-r-pfefferkorn-e-y-thanassekos-italiano-francais/ [Qui in apertura l’introduzione della redazione di “Pungolo rosso”] A dispetto del titolo, ironico e scanzonato, l’articolo di Alain Bihr, J.M. Heinrich, R. Pfefferkorn e Y. Thanassekos tratta di una questione molto importante: la guerra NATO/Russia in Ucraina e la sua possibile sospensione. Diciamo “sospensione”, non “pace”, perché quest’ultima, intesa come un’organica conclusione del conflitto, ci sembra largamente irrealistica, se non impossibile. Quello che si va prospettando è dunque un congelamento delle attività belliche, che asseconda gli interessi immediati sia della Russia che, sul versante opposto, degli USA, capofila dello schieramento occidentale. Il testo collettivo che pubblichiamo ha il pregio di sottolineare alcuni punti importanti, tanto “ragionevoli” quanto mistificati e sommersi dalla martellante propaganda di guerra USA/NATO/UE e dalla russofobia isterica di cui è intrisa: primo fra questi, quello che qualifica la guerra tuttora in corso come un conflitto fra Russia e Nato, e non fra Russia e Ucraina. A seguire, gli autori richiamano alcune delle principali contraddizioni della propaganda occidentale: tale è, ad esempio, la tesi circa la pretesa intenzione di Mosca di invadere i paesi confinanti e addirittura l’Europa occidentale, nonostante, dopo tre anni di guerra, essa sia riuscita a conquistare, con notevoli sforzi, appena un quinto del territorio ucraino. E che dire dello stridente contrasto fra gli strepiti odierni sulla mancanza di sufficienti mezzi militari per contrastare la Russia e la ribadita volontà di sostenere lo sforzo bellico di Kiev affinché riconquisti i territori perduti? Per non parlare, poi, della fulminea decisione di finanziare a debito un gigantesco piano di riarmo, infrangendo il dogma ostile alla spesa in deficit quando essa riguardi salari, pensioni e servizi sociali. Il lettore troverà dunque in questo breve scritto un utile antidoto alle menzogne sparse a piene mani dai “nostri” governi negli ultimi tre anni. Allo stesso tempo, l’articolo dà un’interpretazione discutibile su molti punti-cardine, che non condividiamo. Ad esempio, nel negare, giustamente, che il conflitto sia limitato all’Ucraina, ma coinvolge invece “l’Occidente globale”, gli autori liquidano il “presunto desiderio [russo] di perpetuare o ricostituire la sua area di influenza nell’Europa centrale e orientale – e anche oltre”. Questa contrapposizione rimane all’interno delle giustificazioni “formali” della guerra, senza coglierne le radici strutturali, che risiedono nella lotta per la difesa dei reciproci interessi di sfruttamento e supremazia sullo scacchiere internazionale. Certo, in questa lotta, Mosca è partita da una situazione di svantaggio, ereditata dallo sfacelo dell’URSS e dalla conseguente espansione della NATO, ma ciò non significa affatto che la sua azione avesse e abbia motivazioni di altro tipo che la difesa della propria sfera di influenza. Anzi, quella ucraina era/è per Mosca una linea rossa non oltrepassabile proprio perché chiama in causa un’area vitale per i propri interessi. Analogamente, non condividiamo la lettura dei propositi riarmisti dell’UE e dei suoi singoli Stati come una sorta di allucinazione collettiva, il cui rischio consisterebbe nel “dar vita ad una profezia che si autoavvera”. Per quanto le cancellerie del vecchio continente versino in stato confusionale a seguito dell’inversione di rotta della nuova amministrazione USA, va detto che gli stanziamenti per la “difesa”, l’eliminazione del vincolo sul debito da parte della Germania, la decisione di alzare da subito la percentuale del PIL dedicata alle spese militari, la rapida virata verso l’economia di guerra e la conclamata volontà di utilizzare il riarmo come antidoto alla stagnazione e alla crisi economica, non rispondono alla falsa percezione di dover fronteggiare senza l’aiuto di Washington “il grande lupo cattivo russo”. Rispondono invece alla consapevolezza, che si va facendo strada, che, indipendentemente dalla struttura delle alleanze future, ogni Stato, per mantenere il suo posto al sole fra le canaglie del sistema imperialista, deve armarsi, armarsi, armarsi. E, nell’immediato, cercare, con le unghie e coi denti, di esigere la parte “che ci spetta” del bottino ucraino, che rischia di sparire per intero  nelle fauci di USA e Russia. Se, come ipotizzano gli autori, la possibilità di Mosca di vincere la pace, dopo aver vinto la guerra, passa per la convocazione di una conferenza di pace nel quadro dell’OSCE – ad oggi solo una vaga ipotesi – la possibilità di contrastare la tendenza alla guerra con “la mobilitazione delle masse in tutta Europa” deve saper denunciare per tempo le stesse soluzioni diplomatiche, per quanto “ragionevoli” possano apparire, come altrettanti passi verso un nuovo conflitto mondiale. Trasformare le condizioni verso la guerra imperialista in condizioni per la rivoluzione proletaria è l’unica strada per sfuggire davvero all’alternativa “pensioni o munizioni”, un’alternativa che, negli ultimi tempi, ha davvero fatto passi da gigante. (Red.) IL CLOWN E IL CIRCO “Se eleggi un clown, aspettati un circo” La guerra in Ucraina sta per finire come è iniziata: come un faccia a faccia tra Stati Uniti e Russia. Con una differenza : che, avendo lo scontro tra i due stati portato alla guerra, si è passati ora alla collaborazione in vista della pace. Il che, tra l’altro, dà ragione a posteriori a tutti coloro, noi compresi, che, contro l’interpretazione dominante di questo conflitto, hanno sostenuto la tesi che si trattasse effettivamente, per l’essenziale, di un conflitto tra l’Occidente globale (sotto la guida statunitense e la bandiera della NATO) e la Russia, per interposta Ucraina, e non di un conflitto tra questi ultimi due paesi generato dal presunto desiderio della Russia di perpetuare o ricostituire la sua zona di influenza nell’Europa orientale e centrale – o anche oltre. Cerchiamo qui di fare un bilancio di questi tre anni di guerra e dell’inversione di tendenza appena avvenuta, dei guadagni e delle perdite registrate dai vari protagonisti e di discernere, di conseguenza, le possibilità che si aprono a ciascuno di loro. Ubu alla Casa Bianca La guerra in Ucraina è nata dalla volontà della NATO, contrariamente agli impegni verbali assunti dopo il crollo del Muro di Berlino, di espandersi nell’Europa centrale e orientale. Perseguita nonostante le sempre più forti proteste russe durante le prime due ondate del 1999 e del 2004, questa espansione ha raggiunto un punto critico nel 2008, quando si è trattato di integrare l’Ucraina e la Georgia nell’Alleanza Atlantica, cosa che avrebbe portato quest’ultima a diretto contatto con la Russia, offrendole per una invasione l’immensa breccia  costituita dalla pianura ucraina al di là del Dniepr e minacciando la strategica base navale di Sebastopoli. Una linea rossa per Mosca, che dichiarò allora che sarebbe entrata in guerra se fosse stata oltrepassata. Gli occidentali non ne ha tenuto conto. Nel 2014, durante Euromaidan, hanno contribuito ad insediare a Kiev un governo filo-occidentale e anti-russo : cosa che ha aggravato le tensioni con le popolazioni russofone e russofile degli oblast’ orientali e di Odessa, portando alla guerra civile. Allo stesso tempo, gli occidentali hanno rigiutato sprezzantemente le proposte russe di concludere un accordo nel quadro della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE) finalizzato alla neutralizzazione (“finlandizzazione”) dell’Ucraina. Tutto questo, dopo che gli Stati Uniti si erano ritirati nel 2001 dal Trattato ABM (Anti-Balistic Missile) firmato nel 1972, e nel 2018 dal Trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces) firmato nel 1988. La strada verso la guerra era ormai aperta. Per tre anni, l’Occidente ha condotto questa guerra contro la Russia, con l’intermediazione dell’Ucraina, con l’obiettivo di imporre con la forza ciò che la Russia aveva ripetutamente dichiarato di non voler accettare. Gli errori di valutazione iniziali durante l’operazione militare russa, la mobilitazione nazionale e lo slancio nazionalista della società ucraina hanno creato l’illusione che la partita potesse essere vinta e che, con il massiccio sostegno dell’Occidente, l’Ucraina potesse cacciare l’aggressore dai suoi confini. Questa illusione è stata rapidamente dissipata quando la controffensiva ucraina del giugno-agosto 2023, con il massiccio sostegno militare e logistico dell’Occidente, è fallita miseramente. Da allora, la situazione in Ucraina ha continuato a deteriorarsi, sia in termini di operazioni militari che di coesione della società ucraina stessa, a dispetto delle decine di miliardi di dollari in aiuti di ogni tipo (armi, munizioni, addestramento delle truppe, assistenza tecnica, intelligence, prestiti, incoraggiamento, ecc.) che l’Occidente ha fornito, per non parlare delle sanzioni commerciali e finanziarie inflitte all’aggressore russo. Qualsiasi osservatore lucido dello sviluppo della situazione negli ultimi mesi ha chiaro che essa non può portare che ad una sconfitta militare ucraina nel più o meno breve termine. Per evitare un simile esito la nuova amministrazione Trump ha deciso di porre fine a questa guerra concludendo, se non la pace, almeno un accordo con il nemico russo, trasformato di colpo in un avversario con cui è possibile un accordo. La ragione di fondo di questa inversione di rotta degli Stati Uniti è che l’amministrazione Trump, ancor più delle precedenti, ha come priorità delle priorità quella di affrontare la sfida costituita, ai suoi occhi, dall’ascesa della Cina, che minaccia il suo dominio globale. In questo contesto, la vicenda ucraina diventa secondaria, se non addirittura trascurabile, e deve essere liquidata nel modo più rapido ed economico possibile. In questo caso, per gli Stati Uniti si tratta di una riedizione di quanto fatto negli ultimi decenni ogni volta che sono stati tenuti in scacco, come in Vietnam nel 1973, in Iraq nel 2011, ad Haiti nel 1995 e in Afghanistan nel 2021: ritirarsi e lasciare che il caos creato dal loro intervento sia gestito dai loro alleati locali e dai precedenti nemici: in breve, lavarsene le mani. L’unica differenza è lo stile con cui lo scenario si ripete questa volta. Con l’Ubu (ri)eletto lo scorso novembre, la silenziosa vergogna di un Obama o la contrizione da coccodrillo di un Biden hanno lasciato il posto a una vistosa negazione delle schiaccianti responsabilità americane nella vicenda, con gli Stati Uniti che hanno assunto la vantaggiosa posizione della colomba per far dimenticare il loro ruolo di falco. Il palese fallimento militare ucraino viene imputato a Kiev, che non ha voluto mobilitare la gioventù del Paese per mandarla a farsi sventrare sul campo di battaglia, e ai suoi alleati europei, che non hanno messo mano abbastanza alle loro tasche né per sostenere lo sforzo bellico ucraino, né per garantire la propria difesa. Per non parlare del fatto che, in linea con il suo tropismo e il suo credo super attivistici, Trump intende recuperare la sua quota di sfruttamento del sottosuolo ucraino ricco di terre rare. Panico a Londra, Parigi, Berlino, Varsavia… … e in altre capitali europee. Perché, non avendo capito nulla di quello che è successo, stanno inventando un futuro immaginario in cui credono di dover affrontare, ormai da solie, private dell’aiuto dello zio Sam, il lupo cattivo russo. E, poiché ritengono di non avere i mezzi per farlo militarmente, l’unica opzione che prendono in considerazione o almeno favoriscono, stanno lanciando folli programmi di riarmo, buttando centinaia di miliardi di euro che solo il giorno prima affermavano di non avere se si trattava di aumentare gli stipendi, rafforzare i servizi pubblici e le strutture comunitarie, soddisfare i bisogni sociali più elementari, ecc. Tutto ciò fa presagire un nuovo ciclo di austerità crescente per le loro popolazioni, che non offrirà loro altra prospettiva se non quella di stringere la cinghia ancora un po’ per gli anni a venire, prima di “morire per la libertà”, creando fin da ora un’atmosfera da « vigilia di guerra ». Tuttavia, la natura immaginaria di questo scenario futuro è tradita dalla natura incoerente dei loro propositi. Sono le stesse persone che ora dicono che i russi sono alle nostre porte e che non abbiamo i mezzi per impedirgli di entrare con la forza, e che appena il giorno prima, se non in contemporanea, sostengono che è necessario e giusto aiutare gli ucraini, anche inviando loro delle truppe, perché è possibile sconfiggere il nemico sulle rive del Dniepr o nel Donbass. E allora la Russia cos’è ? Orco insaziabile e assetato di sangue, o colosso dai piedi d’argilla? Questo scenario è ancora immaginario perché non tiene conto della realtà dei rapporti di forza così come si presenta sul campo. Dopo tre anni di guerra, le truppe russe sono faticosamente e cautamente riuscite a conquistare appena un quinto del territorio ucraino. Una domanda degna di un problema di quinta elementare: di questo passo, quanto ci metteranno i cosacchi ad abbeverare i loro cavalli nei sobborghi di Brest e Lisbona? Immaginario, infine, perché, come prima del 2022, gli Europei non ascoltano, o non danno credito alle parole dei russi. I russi hanno ripetuto a gran voce che non avrebbero accettato le forze della NATO alle loro porte in Ucraina e che, se avessero persistito nella loro intenzione di farlo, sarebbero entrati in guerra. E così è stato. Quando, al contrario, li abbiamo sentiti dichiarare di avere altre pretese, se non sui loro immediati vicini ? per forza di cose sull’Europa occidentale? Doppiezza da parte loro? Allora perché accusarli contemporaneamente di cinismo? Il pericolo, tuttavia, è che questo scenario, per quanto immaginario, possa dar luogo a una profezia che si autoavvera. Infatti, rilanciando la corsa agli armamenti in Europa, si crea proprio una situazione favorevole alla guerra. Contrariamente al vecchio adagio romano, quando si prepara la guerra, si ottiene … la guerra! Non lo ha forse dimostrato ancora una volta l’estensione, negli anni ’90, dell’alleanza militare all’Europa centrale e orientale, che avrebbe dovuto garantire la pace? Intrappolate dalle loro posizioni “campiste” sui conflitti inter-imperialisti e internazionali, la maggior parte delle organizzazioni della sinistra e dell’estrema sinistra sta adottando questo scenario, arrivando a tacciare di filo-russismo o addirittura di filo putinismo qualsiasi presa di distanza critica. Dopo essersi già arruolati nella crociata antirussa sotto la bandiera a stelle e strisce e aver fallito nella loro missione di mobilitare le classi lavoratrici contro la guerra, si preparano a fare lo stesso cadendo nella rete dell’Union sacrée. Permettendo così all’estrema destra, d’un colpo solo, di monopolizzare il discorso contro la guerra, e offrendole un’altra opportunità di essere in consonanza con le preoccupazioni popolari e di aumentare il proprio pubblico e, cosa altrettanto disastrosa, permettendo al blocco politico-mediatico al potere di identificare come di estrema destra qualsiasi critica alle proprie posizioni. Peggio ancora, queste organizzazioni si impediscono di denunciare e lottare con le classi lavoratrici, non solo contro le molte forme di sfruttamento aggravato (in termini di salari e tasse, attraverso la crescita della disoccupazione e il deterioramento dei servizi pubblici, ecc.) per le quali queste minacce e necessità immaginarie serviranno come legittimazione “incontrovertibile”, ma anche di lottare contro il keynesismo militare, cioè un modo per rilanciare l’economia [attraverso la spesa bellica], e quindi di aumentare ulteriormente i profitti, senza aumentare la domanda di beni di consumo, a favore della sola domanda di beni distruttivi, finanziata da tasse e debito. Va da sé che di questo tipo di stimolo beneficeranno soprattutto gli Stati Uniti, il maggior esportatore mondiale di attrezzature e tecnologie militari, anche se alcuni Paesi europei possono sperare di approfittarne per aumentare la propria produzione e le proprie esportazioni (nell’ordine: Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna). Blues in Kiev Ma le persone più da compatire sono ovviamente gli ucraini, gli unici che hanno dovuto entrare nella tana del leone. Sono quelli che hanno pagato il prezzo più alto, in termini di sfollamento ed esilio di massa della popolazione, di morti e distruzioni militari e civili, per il cinico gioco dell’Occidente, che ha fatto precipitare un conflitto che si è svolto sul loro territorio e in cui hanno occupato gli avamposti, presumibilmente per forzare la mano ai russi e indebolirli definitivamente. Senza dubbio hanno creduto, e credono tuttora, che questo fosse l’unico modo per difendere la loro sovranità e integrità territoriale, anche se era possibile un’altra strada, quella di un compromesso con la Russia, che avrebbe permesso loro di salvare l’essenziale sotto entrambi i punti di vista. Una strada che l’Occidente ha vietato loro di percorrere, sia prima che subito dopo il lancio dell’offensiva russa del 24 febbraio 2022: mentre alla fine di marzo era in vista un accordo russo-ucraino, è stato l’Occidente a decidere che gli ucraini dovevano abbandonarlo. E sono ancora questi ultimi che si preparano a pagare il prezzo più alto quando arriverà il momento, che non tarderà ad arrivare, di una pace forzata. D’ora in poi, la pace sarà firmata alle condizioni che i russi, vincitori sul campo, accetteranno o imporranno. Dopodiché, gli ucraini dovranno ancora pagare l’enorme debito di guerra accumulato e ricostruire il loro Paese, in parte devastato dalla guerra, con una popolazione che si è ridotta notevolmente (da 45 milioni nel 2013 a 33 milioni nel 2023). Rimuginando, nel frattempo, sull’amarezza della sconfitta e del tradimento, sulle cui ragioni avranno tutto il tempo di riflettere, ricordando il famoso monito: “Dio, proteggimi dai miei amici, che ai miei nemici ci penso io”. Il sangue freddo a Mosca La sobrietà delle ultime dichiarazioni di Mosca contrasta con i deliri megalomani di Washington, con la febbre angosciosa delle capitali europee e con l’ostinazione di Zelensky nel suo errore iniziale. Eppure la Russia avrebbe tutte le ragioni per pavoneggiarsi. Lungi dal crollare sotto l’impatto delle sanzioni commerciali e finanziarie attuate dagli occidentali, come questi ultimi avevano annunciato urbi et orbi, essendo riuscita a rimettersi in piedi dopo un inizio militare fallimentare e avendo dimostrato la solidità delle sue alleanze, in particolare con la Cina e l’Iran, al momento la Russia sembra essere la grande vincitrice di questo conflitto, a un passo dall’aver raggiunto gli obiettivi che si era prefissata. Senza dubbio sa anche che non basta vincere la guerra, deve vincere anche la pace. E per farlo, dovrà pagare il prezzo della sua vittoria. Tra questi, il fatto che l’odiata NATO, pur non riuscendo a stabilirsi in Ucraina, è ora presente lungo i 1.340 chilometri del confine comune con la Finlandia. A ciò si aggiungono i massicci programmi di riarmo che gli alleati europei della NATO (o ciò che ne rimane) stanno pianificando di intraprendere. Per non parlare dell’odio duraturo che avrà suscitato nella maggior parte della popolazione ucraina e in coloro che hanno sposato la sua causa. Se evitare l’instaurarsi di una nuova guerra fredda è nei piani russi, non c’è altra soluzione che proporre, come hanno continuato a fare dall’inizio della guerra in Ucraina, la convocazione di una conferenza di pace nel quadro dell’OSCE. Questo metterà a tacere ogni speculazione sulle loro mire espansioniste, mire di cui si faticherebbe a trovare tracce nella storia recente delle relazioni internazionali (quando mai la Russia ha intrapreso operazioni simili alla doppia invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan ?). Potranno sostenere di fronte ai nemici occidentali che non si sceglie il proprio nemico, ma è sempre con lui che si deve firmare la pace. E noi ? Di fronte alle politiche di riarmo a tutto vapore, a fronte del clima di guerra e di « vigilia di guerra » che coltivano i governi bellicisti europei con l’appoggio della grande maggioranza dei media, la sinistra, e in particolare la sinistra radicale, deve superare gli errori di ieri e dell’altro ieri. Si deve chiamare alla mobilitazione delle masse dappertutto in Europa per bloccare una politica che fa già dire a qualcuno che si deve scegliere fra «pensioni o munizioni » (w) e pavimenta la via di una possibile discesa negli abissi. Alain Bihr, Jean-Marie Heinrich Roland Pfefferkorn, Yannis Thanassekos (1) https://fr.statista.com/statistiques/688554/population-totale-ukaine/  (2) Dominique Seux, « Pensions ou munitions ? », Les Echos, 5 mars 2025.
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Saronno, 25 aprile: Resistere all’abisso in cui ci stanno portando
Riceviamo e diffondiamo: La storia non si ripete mai, se non come farsa. Risulterebbe quindi improprio paragonare questo 2025 a qualche altro periodo della storia più o meno recente. Tuttavia,non è improprio provare a ragionare sul periodo attuale, su quali campanelli d’allarme sentiamo chiaramente, su quali rapide trasformazioni stia prendendo la realtà. Negli ultimi mesi ne abbiamo sentite di tutte: il partito neonazista AFD che supera il 20% dei voti in Germania. La striscia di Gaza dipinta sui canali social del presidente degli Stati Uniti come Miami Beach. Dazi al 125%. Spese militari al5%. L’Europa allarmata da questo repentino irrompere della guerra nel discorso globale si affanna a intraprendere la strada del riarmo, con l’imposizione da parte di Von der Leyen di una spesa di 800miliardi. Evidentemente lorsignori preferiscono la guerra alla sanità, all’istruzione, alle pensioni, all’ambiente, insomma, ai diritti fondamentali delle persone, e investono in armamenti. In questa cloaca passa quasi sottotono l’approvazione del cosiddetto Dl sicurezza. Una vera e propria manovra da “guerra interna” con cui si marginalizzano fasce sempre più ampie di persone e si preclude alle stesse la possibilità della protesta e del dissenso. La realtà che abbiamo sotto gli occhi è un mondo apparecchiato per l’accumulo smodato di ricchezze nelle mani di pochi, pochissimi, a fronte dell’annaspare dei più. In questo scenario in rapida evoluzione non possono mancare i nostalgici del ventennio, che cianciano di interventismo europeo e organizzano ronde contro la marginalità. Il discorso securitario a Saronno, in vista delle elezioni, ha preso ancora una volta il sopravvento. Oggi la “sicurezza” è priorità di chiunque si presenti alle elezioni, al punto che una lista civica che guarda all’associazionismo e al volontariato porta il nome di “Saronno Sicura”, lo stesso di una di destra di quindici anni fa. Un’insicurezza percepita che è figlia del deserto che è stato creato: telecamere ovunque e ordinanze liberticide hanno letteralmente dato il colpo finale ad una libera aggregazione giovanile già fortemente repressa. Adesso gli stessi benpensanti che si lamentavano del vociare o del chiasso dei ragazzi, si lamentano di sentirsi insicuri con le strade vuote. /Ma////come,////nello////stesso////testo////parlate////di////guerra////e////di////telecamere?/ Sì, perché la guerra è un momento di disciplinamento della popolazione, di restringimento dei margini del consentito, di repressione più feroce. In questo abissoin cui ci hanno cacciato, le nostre stelle polari rimangono solidarietà e conflitto. La variante umana è un fattore in grado di inceppare questa corsa forsennata, come ha dimostrato la resistenza palestinese diffusasi in tutto il mondo. Nel nostro territorio negli ultimi mesi ci sono state importanti manifestazioni a Nerviano contro la Leonardo, uno dei principali produttori bellici del Paese, e a Busto Arsizio contro la base Nato e la guerra. /Ma////come,////parlate////di////guerra////in////occasione////del////25////aprile?/ Contro l’abisso di allora, contro l’abisso di oggi. LIBERIAMOCI Assemblea antifascista saronnese
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