Riceviamo e diffondiamo:
Scarica la chiamata: Il 16 maggio si terrà una giornata dal titolo “Tempo
d’Europa”
TEMPO D’EUROPA, TEMPO DI GUERRA.
Mai come adesso dire Europa significa dire guerra.
L’Europa è protagonista nella guerra contro la Russia. Con la scusa della difesa
del popolo ucraino, Europa e NATO vogliono espandersi verso est ai danni della
Russia per spartirsi quei territori. Questa guerra è una carneficina che va
avanti da più di tre anni, che sta uccidendo russi e ucraini per gli interessi
espansionistici di Europa, NATO e Russia.
L’Europa sostiene Israele nel genocidio del popolo palestinese. In questo anno e
mezzo l’Europa non ha fatto nulla per bloccare il progetto di eliminazione
totale di Netanyahu, che ora arriva a proporre la soluzione finale (l’annessione
totale di Gaza), sapendo che ha le spalle coperte dall’Europa e dall’America. Il
genocidio del popolo palestinese è possibile grazie al sostegno incondizionato
di Europa ed America, che di conseguenza sono complici di quanto succede.
L’Europa vuole mandare i giovani a morire al fronte. Con il piano di riarmo
europeo (Rearm Europe) l’Europa vuole dotarsi di un esercito pronto alla difesa
contro non si sa bene quale nemico. Questo significa che in caso di guerra i
giovani europei sarebbero chiamati alle armi e mandati al fronte a morire per
gli interessi economici dell’Europa. Questo piano di riarmo costerà alle
popolazioni europee 800 miliardi di euro, che verranno tolti all’istruzione
pubblica, alla sanità, ai servizi, andando quindi a peggiorare le condizioni
economiche e di vita di chi già è in difficoltà.
L’Europa continua a trasformare il Mediterraneo e i confini in cimiteri per
migranti. Ogni anno migliaia di persone perdono la vita cercando di arrivare in
Europa passando per il Mar Mediterraneo o la rotta balcanica. Vengono uccisi
dalle politiche di difesa della “Fortezza Europa” che respinge i migranti nei
lager libici, o una volta arrivati qua li rinchiude nei lager nostrani, i CPR
(centri di permanenza e rimpatrio) costringendoli a farsi sfruttare per
sopravvivere.
Il 16 maggio si terrà una giornata dal titolo “Tempo d’Europa” in cui professori
universitari, accademici, ricercatori, esperti e figure istituzionali diranno
quanto è bella e brava l’Europa a studenti e studentesse di università e scuole
superiori, ovvero quelle persone che dovrebbero andare al fronte a morire per
l’Europa in caso di guerra! Pensiamo che chi non voglia diventare carne da
cannone e uccidere giovani come noi o farsi uccidere per gli interessi di
qualche Stato o Alleanza Atlantica, debba disertare la loro propaganda
europeista e sabotare la loro retorica bellica, i loro piani di riarmo che sono
piani di morte! Il 2 giugno scenderemo in strada per contestare la Festa della
Repubblica, che altro non è se non festa delle armi!
VENERDI’ 16 MAGGIO DALLE 14 CAMPO SAN SALVADOR
PRESIDIO CONTRO IL PIANO DI RIARMO EUROPEO
Verso il corteo antimilitarista del 2 giugno da campo san Bortolomio ore 16!
Collettivo sumud
Tag - Rompere le righe
Riceviamo e diffondiamo:
UN SUSSULTO
È difficile trovare parole esatte in grado di esprimere con precisione cosa si
può provare di fronte all’orrore che ci circonda. Stiamo vedendo l’attuazione
della soluzione finale: un piano ben determinato per cancellare un intero popolo
dalla terra. Questi mesi di genocidio algoritmico già avevano indicato il vero
fine del progetto sionista, che ora nelle parole di Netanyahu si esplicita,
forte della copertura incondizionata da parte dell’Occidente. Tutto questo
genera in ogni persona ancora in grado di ascoltare il mondo e di ascoltarsi,
che non si arrende alla bancarotta morale in diretta, un insieme di sentimenti,
tensioni, vibrazioni indescrivibili a parole. Ma chi mantiene la qualità
strettamente umana di sentirsi parte nel mondo, quello che non sa esprimere a
voce, lo esprime con azioni, seppur piccole ed insufficienti rispetto a quanto
ci circonda, ma che quantomeno dimostrano i sussulti etici che non permettono il
non agire, che impediscono il silenziamento di quello che proviamo
interiormente.
Ecco, ieri c’è stato un sussulto. Anche se insufficiente, anche se ancora troppo
poco, c’ stato. In un gruppetto ristretto di compagne e di compagni, non più di
15 persone. Per un’ora e passa il Mc Donald di via Torino\corso del popolo a
Mestre è stato chiuso in orario di cena. Ci teniamo a condividere quanto fatto
per la sua semplicità e riproducibilità. In poche persone, con qualche bandiera
della Palestina, uno striscione, un megafono e dei volantini, con un po’ di
forza di volontà si riesce ad interrompere il normale funzionamento e flusso
capitalistico di aziende complici del genocidio in corso. Non abbastanza, ma un
qualcosa. Un qualcosa che ad intermittenza, con poche forze dalla nostra parte,
si può ripetere con costanza e imprevidibilità. E dimostra anche a noi che
organizzandosi dal basso possiamo esprimere una potenza e danneggiare chi
supporta materialmente, ideologicamente e socialmente il genocidio in corso e
più in generale l’entità sionista.
Di fronte a quanto succede, l’azione continua e costante è l’unica strada per
evitare la bancarotta morale. Cortei, interruzioni di eventi militaristi,
occupazioni, boicottaggi, assemblee e così via sono le armi etiche che
dimostrano, in un mondo in cui la morte e la distruzione vogliono essere la
norma, che lottare significa prima di tutto lottare per la vita, ma soprattutto
per essere ancora vivi. Per far sì che la morte ci trovi vivi, e che la vita non
ci trovi morti.
Riceviamo e diffondiamo:
Riceviamo e diffondiamo:
Scarica la chiamata: OrganizziamociControFestival
Riceviamo e diffondiamo questo testo, letto durante l’interruzione di
un’iniziativa all’università veneziana Ca’ Foscari che vedeva la partecipazione
dell’ineffabile delinquente e leccaculo Antonio Scurati:
NESSUNA PACE A CHI LAVORA PER LA GUERRA
«Non siamo gente che invade paesi confinanti, non siamo gente che rade al suolo
le città, non massacriamo e torturiamo civili con gusto sadico, non deportiamo
bambini per usarli come riscatto. Lo abbiamo fatto, fino a 80 anni fa, ma
proprio per questo abbiamo smesso. Noi non siamo gente che deporta clandestini
in catene a favore di telecamera, non tagliamo finanziamenti ad associazioni
umanitarie».
Con queste parole Scurati ha intrattenuto la folla presente alla piazza per il
riarmo europeo che si è tenuta il 15 marzo a Roma, e interrompiamo questa
iniziativa per ricordare le responsabilità a chi prende parte a queste
iniziative guerrafondaie.
EPPURE
Noi non siamo gente che bombarda e rade al suolo le città, ma non sono passati
80 anni dall’ultima volta in cui l’Italia ha preso parte ad operazioni di
bombardamenti a tappeto di aree urbane: è successo nel 1999 a Belgrado con aerei
italiani.
Noi non massacriamo e torturiamo i civili con gusto sadico, ma rispediamo i
torturatori con mandati di cattura internazionali pendenti, come Al Masri,
finanziandoli pure per continuare a tenere ‘sicuri’ i nostri di confini e di
civili.
Noi non sequestriamo i bambini e li deportiamo usandoli come riscatto, ma noi
deportiamo i migranti in centri per il rimpatrio in Albania, che poi sono
prigioni nelle quali le nostre forze dell’ordine li torturano. Proprio in questi
centri un paio di mesi fa il nostro governo Meloni ha mandato anche dei minori.
Noi non siamo gente che deporta gli immigrati in catene a favore di telecamera,
ma il nostro Stato protegge e favorisce lo sfruttamento dei migranti tramite il
caporalato per avere manovalanza a basso costo.
Non siamo gente che tagli i finanziamenti pubblici alle associazioni umanitarie,
ma l’Italia ha tagliato 555,31 milioni di euro nel 2023 in aiuti ad associazioni
umanitarie. In più, criminalizza di continuo attivisti e tutte le forme di
dissenso sociale dal basso, spionando grazie ai servizi segreti e spyware
israeliani direttori di giornali, attivisti per i diritti umani, compagni che
lottano contro le galere e i CPR, e così via.
Se anche credessimo alle parole di Scurati, se anche credessimo che noi europei
siamo dei santi, basterebbe guardare nelle nostre galere, dove i detenuti si
suicidano a decine e decine ogni anno per le condizioni inumane, dove i
prigionieri politici vengono torturati legalmente con il 41 bis, cosi come nei
centri di permanenza e rimpatrio, dove le persone migranti senza documenti sono
rinchiuse senza motivo; nei luoghi di lavoro la strage è continua, così come lo
è la violenza della polizia nei confronti di chi sta più in basso. Basterebbe
guardarsi dentro di noi per capire che le parole di Scurati sono vuote. Ma si
può anche guardare ai nostri amici ed alleati fuori dall’Europa, per capire chi
siamo davvero noi europei. Certo, magari non siamo direttamente noi a radere al
suolo Gaza, ma da dove arrivano le bombe, le armi, le tecnologie che permettono
ad Israele di cancellare il popolo palestinese? Come fa Israele ad esistere, se
non grazie al supporto di tutto l’Occidente, Europa ed Italia in primis? Di
conseguenza, supportare uno stato genocidario rende complici del genocidio. Il
sangue versato in Palestina testimonia che quando l’Occidente parla di giustizia
intende oppressione, quando parla di difesa intende guerra, di valori intende
collaborazionismo genocida. E quindi possiamo davvero credere alle parole di
Scrutati quando dice che noi siamo quelli che non torturano, massacrano e
deportano, quando il nostro alleato in Asia Occidentale, ovvero Israele, fa
esattamente queste cose qua, con il nostro supporto? A due passi da qua, a
Tessera, c’è uno stabilimento della Leonardo SPA, la maggior produttrice ed
esportatrice in Italia, azienda partecipata dallo Stato, e profondamente legata
ad Israele. I cannoni Oto Melara usati per bombardare Gaza sono stati prodotti
qua da noi e venduti ad Israele. Sicuramente non ci siamo noi a sganciare le
bombe o a radere al suolo i villaggi palestinesi, ma ci sono le nostre armi e
tecnologie che lo fanno al posto nostro. Sono queste bombe e tecnologie di
oppressione che dimostrano i veri valori europei. Anche il luogo in cui ci
troviamo, ovvero uno spazio universitario, non può non essere considerato
complice del genocidio. Ca’ Foscari ha rapporti di vario genere con università
israeliane, come la Ben-Gurion University, con la quale costruisce algoritmi di
intelligenza artificiale nel campo dell’archeologia, ovvero uno strumento
culturale per cancellare la presenza delle popolazioni arabe dai territori
interessati dal colonialismo israeliano. Per non parlare della presenza di
Tiziana Lippiello in Med-Or/Fondazione per l’Italia, ente accademico di Leonardo
SPA.
Anche in Ucraina magari non siamo direttamente noi a combattere al fronte, ma
come si è arrivati al conflitto attuale se non dopo decenni di provocazioni ed
espansionismo NATO ad est contro la Russia? Non vediamo i valori occidentali ad
EUROMAIDEN del 2014, al rogo della casa dei sindacati di Odessa? Migliaia di
proletari russi e ucraini si stanno ammazzando per gli interessi della NATO e
della Russia, e l’Europa propone di armarsi per costruire un esercito europeo
per difendersi da non si sa bene quale minaccia. È chiaro che armi ed eserciti
servono a difendere gli interessi di Stati e borghesie, e a pagare il prezzo
della vita sarà gente come noi, giovani che verranno mandati al fronte ad
ammazzare altra gente come noi. Beh, a tutto questo noi magari diciamo anche di
no, se a voi piace così tanto l’Europa e la volete difendere, andateci voi al
fronte a morire quando sarà necessario, noi impariamo dalla Palestina a
resistere contro l’oppressione, e dai proletari russi ed ucraini a disertare le
guerre del capitale.
Ai conflitti mondiali del secolo scorso non si arrivò solo tramite un riarmo
generale, ma anche grazie ad un lavoro di intellettuali, sia di destra che di
sinistra, che cercavano di convincere le persone alla giustezza e alla necessità
della guerra, convincendole ad andare al fronte a farsi ammazzare per gli
interessi degli Stati. Adesso succede la stessa cosa, e Scurati ha una
responsabilità ben precisa nel prendere parte ad una piazza, come quella del 15
marzo di Roma, che inventandosi nemici immaginare vuole convincere le persone
alla giustezza e alla necessità di un esercito di difesa. Il ruolo degli
intellettuali della propaganda bellica non può passare in secondo piano. La
guerra non è fatta solo di bombe e proiettili, ma è una forma di governo,
un’infrastruttura ideologica che dobbiamo abbattere il prima possibile. Per non
parlare del fatto che questi 800 miliardi di euro per il riarmo europeo andranno
a pesare sulle persone già in difficoltà economica, tagliando servizi pubblici
già martoriati, peggiorando una situazione già insostenibile per sempre più
persone.
Per concludere, chiunque supporti il riarmo europeo, ha un ruolo molto preciso
nell’alimentare i venti di guerra. Nascondersi e appellarsi a valori inesistenti
nei fatti, data la complicità europea nel genocidio in corso e nella carneficina
tra NATO E RUSSIA, è una scenetta triste e imbarazzante, soprattutto per chi
dovrebbe essere un cosiddetto intellettuale. Da parte nostra abbiamo ben poco da
dire. Se in guerra volete andarci, andateci voi. Come ci insegnano gli oppressi,
russi, ucraini, palestinesi e yemeniti, l’unica risposta alla guerra è la
diserzione, l’unica risposta all’oppressione è la resistenza. Son questi i
nostri valori, non da europei, ma da persone che odiano questo mondo e la guerra
che lo sostiene.
Riceviamo e diffondiamo il secondo numero di “Campagna di Sfida”, bollettino
dell’omonima campagna, volta a spezzare le collaborazioni tra ateneo trentino e
università israeliane, portata avanti a Trento dall’Assemblea in solidarietà
alla resistenza palestinese. Il numero è dedicato in particolare alla Fondazione
Bruno Kessler.
CAMPAGNA DI SFIDA #2 – VERSIONE STAMPA DEFINITIVA
Qui il primo numero del bollettino:
https://ilrovescio.info/2025/01/20/campgna-di-sfida-un-bollettino-contro-le-collaborazioni-trentine-con-il-genocidio-a-gaza-e-lindustria-bellica/
Riceviamo e diffondiamo questa utile panoramica delle riconversioni belliche, in
Italia e non solo:
Anche su https://piccolifuochivagabondi.noblogs.org/riconversioni-belliche/
AL MERCATO DELLE RICONVERSIONI BELLICHE
Nella chiave della competizione inter-imperialistica per il dominio dei mercati
e la spartizione delle risorse, in un quadro che vede mutare gli assetti
geopolitici globali, si afferma la corsa al riarmo europeo. Mentre si cerca di
abituare l’opinione pubblica al fatto compiuto, e cioè che in guerra ci siamo
già anche se i missili ancora non esplodono sulle nostre case; mentre gli Stati
europei – dai Paesi scandinavi alla Francia – forniscono ai loro cittadini
dépliant con le informazioni su cosa fare in caso di conflitto o guerra
nucleare; e mentre alcune nazioni stanno pensando di accrescere il numero dei
loro riservisti e di ricorrere nuovamente alla leva militare… si sta affermando
l’idea che anche le aziende in crisi debbano essere riconvertite alla produzione
bellica.
Tra le prime, Volkswagen ha mostrato crescente interessamento. Pur riconoscendo
che una completa conversione alla produzione bellica richiederà anni, l’azienda
tedesca vuol tornare a fornire motori e trasmissioni per veicoli militari
collaborando con la conterranea Rheinmetall, come aveva già fatto durante la
seconda guerra mondiale quando collaborò coi nazisti.
Aziende come Rheinmetall, leader in Europa nella produzione di munizioni e
armamenti terrestri tra cui i carri armati Panther, e KNDS Group, joint venture
franco-tedesca specializzata in veicoli corazzati ed esplosivi con un fatturato
di 3 miliardi di euro, stanno già riconvertendo impianti civili, non solo
automobilistici, in linee di produzione bellica.
Il CEO di Rheinmetall, Armin Papperger, ha indicato che lo stabilimento di
Osnabrück di Volkswagen sarebbe “molto adatto” per la produzione di veicoli
blindati Lynx, a condizione di ricevere ordini per almeno 1.000 unità. Proprio
Rheinmetall ha realizzato una joint venture con l’italiana Leonardo per fornire
280 nuovi carri armati Panther e oltre mille veicoli blindati Lynx all’Esercito
italiano, una commessa da 23,2 miliardi di euro. Metà della produzione sarà
fatta da Leonardo in Italia. Parteciperà a questo progetto, con un contratto di
fornitura per circa il 15% del valore, anche Iveco Defence Vehicles (IDV)
controllata da Exor, la finanziaria olandese della famiglia Agnelli.
Leonardo e Rheinmetall vorrebbero partecipare al progetto per il futuro carro
armato pesante europeo, detto Mbt o Mgcs, un progetto lanciato da Francia e
Germania, che si scontra però con gli interessi anche della franco-tedesca KNDS,
holding che unisce la francese Nexter e la tedesca Krauss-Maffei Wegmann.
Un’altra società tedesca, la Helsoldt, che si occupa di elettronica per la
difesa, di cui è azionista Leonardo con il 22,8%, ha comprato una fabbrica di
elettrodomestici Bosch con 400 lavoratori annessi per riconvertirla.
La franco-tedesca KNDS, che produce il carro armato Leopard e il veicolo da
combattimento Puma, ha recentemente acquisito un’ex fabbrica ferroviaria a
Görlitz, in Germania, per espandere la sua capacità produttiva.
Anche l’ex insediamento Winchester di Anagni (Frosinone), nella Valle del Sacco
in Ciociaria, verrà riconvertita da KNDS Ammo Italy (ex Simmel Difesa) in una
fabbrica per produrre nitro-gelatina e polveri di lancio per proiettili. 11
nuovi capannoni su un’area di circa 2500 metri quadri per potenziare la filiera
delle armi1. Il paradosso sta che fino ad ora nell’ex stabilimento laziale di
Anagni si provvedeva al disinnesco dei proiettili scaduti. Tra Anagni e la
vicina Colleferro – dove KNDS possiede già uno dei più importanti stabilimenti
per il caricamento, per la produzione e per i test di munizioni e bombe –
arriverà a fabbricare fino a 3 tonnellate di esplosivo ogni giorno. Nel 2023 vi
era stata la visita del commissario europeo al mercato interno, Thierry Breton,
allo stabilimento dei Colleferro, che aveva espressamente richiesto di
incrementare la produzione per missili e proiettili con cui riempire gli
arsenali europei. La riconversione dello stabilimento di Anagni, che dovrebbe
iniziare la produzione a partire dalla primavera 2026, si inserisce pienamente
nel quadro del piano “ReArm EU” ma ha anche ricevuto un finanziamento europeo di
41 milioni di euro dopo l’approvazione dell’ASAP (Act Support Ammunition
Production)2. L’ASAP è la legge europea, varata nel maggio 2023 e confermata a
marzo 2024 con l’impegno di 500 milioni di euro del bilancio UE, per potenziare
la produzione di esplosivi, polvere da sparo e munizioni dopo l’invasione russa
dell’Ucraina. L’ASAP ha calcolato che entro la fine del 2025 saranno 2 milioni i
proiettili che dovranno essere prodotti all’anno dalle industrie europee. 4,300
tonnellate l’anno gli esplosivi.
Attraverso l’ASAP la Commissione Europea ha selezionato una trentina di progetti
per sostenere l’industria bellica europea della produzione di polveri e
munizioni. In un primo tempo il maxiappalto riguardava solo le imprese europee,
ma a causa del mancato raggiungimento del numero previsto di munizioni da parte
dell’industria europea, ora i fondi UE possono essere usati per comprare
munizioni anche da Paesi terzi, con gli Stati Uniti ovviamente a farla da
padrone (con la seconda elezione di Trump, gli Stati Uniti non solo pretendono
che la UE acquisti il loro gas GNL ma anche le loro armi).
I 31 progetti industriali finanziati dall’UE coinvolgono Grecia, Francia,
Polonia, Norvegia, Italia, Germania, Finlandia, Slovacchia, Lettonia, Romania,
Repubblica Ceca, Spagna e Slovacchia. Oltre la KNDS Ammo Italy, tra questi 31
progetti finanziati dall’UE vi è anche quello presentato dalla bolognese
Baschieri&Pellagri, del gruppo della Fiocchi Munizioni Spa di Lecco. Il progetto
della Baschieri&Pellagri è stato finanziato con 3,7 milioni di euro e consiste
nella produzione di polvere da sparo per i proiettili.
Ritornando all’industria dell’automotive, non possiamo non citare il caso
dell’italo-olandese Stellantis (ex Fca-Fiat) del presidente John Elkann, della
famiglia Agnelli, che vive una crisi acuta, con un forte calo della produzione
automobilistica nazionale, e che potrebbe essere interessata da un piano di
riconversione sostenuto dai ministeri della Difesa e dell’Economia. Annunciato
dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, un piano per
rilanciare la filiera dell’auto prevede un finanziamento di 2,5 miliardi di euro
con fondi pubblici entro il 2027, con l’obiettivo di diversificare la produzione
coinvolgendo il settore auto nel cosiddetto “dual use”, ovvero l’utilizzo delle
stesse infrastrutture per scopi civili e militari.
Per Stellantis si parla di un ruolo di consulenza ingegneristica, ma forse anche
della riconversione di uno o più stabilimenti per la produzione di mezzi
militari o componentistica. Fra le ipotesi alla studio, per intercettare la
pioggia di miliardi del riarmo UE, c’è la riconversione dello stabilimento di
Termini Imerese (Palermo).
Per facilitare l’intesa il governo Meloni vuole superare il cosiddetto piano
green deal lanciato nel 2019 dalla Commissione europea, almeno per quanto
riguarda il settore auto. Le regole europee oggi impongono la riduzione della
produzione delle auto a combustione per ridurre le emissioni di gas serra e
contenere il riscaldamento globale entro +1,5°C rispetto ai livelli
preindustriali. Il che significa riconvertire il settore auto nell’elettrico,
settore nel quale l’Italia (ma anche la stessa Europa) è piuttosto indietro
rispetto a Paesi come la Cina. Anche i dazi minacciati da Trump sui prodotti
importati dai Paesi europei hanno giocato un ruolo sulla decisione di sospendere
le regole europee per il green deal, dato che tra i settori colpiti da questa
nuova guerra commerciale c’è senz’altro il mercato dell’automotive. Ma la vera
ragione della sospensione del green deal è un’altra. Come ha ricordato molto
chiaramente l’ex ministro dell’ambiente e della transizione ecologica nel
governo Draghi, Roberto Cingolani, oggi amministratore delegato della più grande
società bellica italiana, la Leonardo, società che stima ordini per 118 miliardi
fino al 2029 con l’obiettivo di raggiungere ricavi superiori a 26 miliardi entro
la fine del decennio, “il Green Deal era importante in tempi di pace, ora ci
sono altre priorità”.
Ricordiamo, sempre della famiglia Agnelli, anche il ruolo di Iveco Defense. Già
pienamente operativa nel settore militare, lo è ancora di più dopo un accordo
con Leonardo siglato a novembre 2024.
Non sarebbe certo la prima volta che l’industria civile si presta alle esigenze
militari. A Bolzano nel 1939 l’allora stabilimento Fiat si convertì alla
produzione di autocarri militari. E non è l’unico caso. A ottant’anni dalla fine
della Seconda guerra mondiale, i nomi che ritornano sono sempre quelli: Famiglia
Agnelli, Volkswagen, Krupp.
Le riconversioni verranno giustificate – è la facile previsione – con il
pretesto di impedire la chiusura di stabilimenti e la perdita di posti di
lavoro. É la giustificazione che è stata usata, per esempio, a castelfranco
Veneto (Treviso) per la riconversione in industria bellica della Faber, che ha
cominciato a produrre bossoli e ogive, mentre prima produceva bombole d’ossigeno
e a gas.
A questo punto con buona probabilità anche i sindacati confederali
collaboreranno alla militarizzazione del lavoro, cosa che stanno già facendo nel
caso proprio della Faber, con la Fim Cisl di Treviso che ha sostenuto
apertamente il progetto di riconversione bellica, fino al punto di proporre la
riconversione ad uso militare anche delle vicine industrie della Berco, azienda
del gruppo tedesco dell’acciaio Thyssenkrupp (quest’ultimo attivo anche nel
settore bellico), che produce cingolati per trattori e che vuole ridimensionare,
con procedure di licenziamento aperte, le sedi produttive italiane di
Castelfranco Veneto, Copparo e Bologna. Secondo i giornali locali veneti gli
operai di Castelfranco Veneto, in cassa integrazione da molti mesi, sarebbero
persino favorevoli, pur di non perdere il posto di lavoro e mettere un pezzo di
pane a tavola. Dai cingolati per i trattori a quelli per i carri armati è un
attimo. Tra l’altro gli stabilimenti veneti sia della Berco che della Faber
nascono dallo scorporo dell’azienda bellica Simmel Difesa e le macchine per
produrre armamenti pare si trovino ancora all’interno degli stabilimenti.
Condotte come quelle della Cisl trevigiana non sono casi isolati. Già nel 2021 i
responsabili locali della Fiom-Cgil palermitana dichiararono che la costruzione
di navi da guerra, motovedette e portaerei nei Cantieri Navali di Fincantieri a
Palermo “avrebbe portato ulteriore lavoro, stabilità lavorativa e benefici
economici per tutta la città”. Sindacalisti per la guerra.
PiccoliFuochiVagabondi
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1 www.peacelink.it/disarmo/a/50660.html
2
https://defence-industry-space.ec.europa.eu/eu-defence-industry/asap-boosting-defence-production_en
Riprendiamo da “pungolo
rosso”(https://pungolorosso.com/2025/03/29/il-clown-e-il-circo-a-bihr-j-m-heinrich-r-pfefferkorn-y-thanassekos/)
e rilanciamo questo interessante dibattito, che fa il punto sulle ragioni della
guerra in Ucraina tra NATO e Federazione Russa. Ci pare che le argomentazioni
degli autori de “Il clown e il circo” e della redazione del Pungolo si integrino
più di quanto si contraddicono: da una parte dei sani giudizi di fatto sulle
preponderanti responsabilità occidentali nel provocare la guerra (giudizi di
fatto tanto più necessari di fronte a una propaganda che ha compiuto e compie
salti mortali per nasconderle); dall’altro la verità di fondo che ogni Stato
combatte le guerre per i propri interessi di potenza. Di fronte alle attuali
“manovre di pace”, condividiamo in particolare l’idea del Pungolo che “la
possibilità di contrastare la tendenza alla guerra con ‘la mobilitazione delle
masse in tutta Europa’ deve saper denunciare per tempo le stesse soluzioni
diplomatiche, per quanto ‘ragionevoli’ possano apparire, come altrettanti passi
verso un nuovo conflitto mondiale.”
Qui il seguito del dibattito:
https://pungolorosso.com/2025/04/06/la-replica-di-a-bihr-j-m-heinrich-r-pfefferkorn-e-y-thanassekos-italiano-francais/
[Qui in apertura l’introduzione della redazione di “Pungolo rosso”]
A dispetto del titolo, ironico e scanzonato, l’articolo di Alain Bihr, J.M.
Heinrich, R. Pfefferkorn e Y. Thanassekos tratta di una questione molto
importante: la guerra NATO/Russia in Ucraina e la sua possibile sospensione.
Diciamo “sospensione”, non “pace”, perché quest’ultima, intesa come un’organica
conclusione del conflitto, ci sembra largamente irrealistica, se non
impossibile. Quello che si va prospettando è dunque un congelamento delle
attività belliche, che asseconda gli interessi immediati sia della Russia che,
sul versante opposto, degli USA, capofila dello schieramento occidentale.
Il testo collettivo che pubblichiamo ha il pregio di sottolineare alcuni punti
importanti, tanto “ragionevoli” quanto mistificati e sommersi dalla martellante
propaganda di guerra USA/NATO/UE e dalla russofobia isterica di cui è intrisa:
primo fra questi, quello che qualifica la guerra tuttora in corso come un
conflitto fra Russia e Nato, e non fra Russia e Ucraina. A seguire, gli autori
richiamano alcune delle principali contraddizioni della propaganda occidentale:
tale è, ad esempio, la tesi circa la pretesa intenzione di Mosca di invadere i
paesi confinanti e addirittura l’Europa occidentale, nonostante, dopo tre anni
di guerra, essa sia riuscita a conquistare, con notevoli sforzi, appena un
quinto del territorio ucraino. E che dire dello stridente contrasto fra gli
strepiti odierni sulla mancanza di sufficienti mezzi militari per contrastare la
Russia e la ribadita volontà di sostenere lo sforzo bellico di Kiev affinché
riconquisti i territori perduti? Per non parlare, poi, della fulminea decisione
di finanziare a debito un gigantesco piano di riarmo, infrangendo il dogma
ostile alla spesa in deficit quando essa riguardi salari, pensioni e servizi
sociali.
Il lettore troverà dunque in questo breve scritto un utile antidoto alle
menzogne sparse a piene mani dai “nostri” governi negli ultimi tre anni. Allo
stesso tempo, l’articolo dà un’interpretazione discutibile su molti
punti-cardine, che non condividiamo. Ad esempio, nel negare, giustamente, che il
conflitto sia limitato all’Ucraina, ma coinvolge invece “l’Occidente globale”,
gli autori liquidano il “presunto desiderio [russo] di perpetuare o ricostituire
la sua area di influenza nell’Europa centrale e orientale – e anche oltre”.
Questa contrapposizione rimane all’interno delle giustificazioni “formali” della
guerra, senza coglierne le radici strutturali, che risiedono nella lotta per la
difesa dei reciproci interessi di sfruttamento e supremazia sullo scacchiere
internazionale. Certo, in questa lotta, Mosca è partita da una situazione di
svantaggio, ereditata dallo sfacelo dell’URSS e dalla conseguente espansione
della NATO, ma ciò non significa affatto che la sua azione avesse e abbia
motivazioni di altro tipo che la difesa della propria sfera di influenza. Anzi,
quella ucraina era/è per Mosca una linea rossa non oltrepassabile proprio perché
chiama in causa un’area vitale per i propri interessi.
Analogamente, non condividiamo la lettura dei propositi riarmisti dell’UE e dei
suoi singoli Stati come una sorta di allucinazione collettiva, il cui rischio
consisterebbe nel “dar vita ad una profezia che si autoavvera”. Per quanto le
cancellerie del vecchio continente versino in stato confusionale a seguito
dell’inversione di rotta della nuova amministrazione USA, va detto che gli
stanziamenti per la “difesa”, l’eliminazione del vincolo sul debito da parte
della Germania, la decisione di alzare da subito la percentuale del PIL dedicata
alle spese militari, la rapida virata verso l’economia di guerra e la conclamata
volontà di utilizzare il riarmo come antidoto alla stagnazione e alla crisi
economica, non rispondono alla falsa percezione di dover fronteggiare senza
l’aiuto di Washington “il grande lupo cattivo russo”. Rispondono invece alla
consapevolezza, che si va facendo strada, che, indipendentemente dalla struttura
delle alleanze future, ogni Stato, per mantenere il suo posto al sole fra le
canaglie del sistema imperialista, deve armarsi, armarsi, armarsi. E,
nell’immediato, cercare, con le unghie e coi denti, di esigere la parte “che ci
spetta” del bottino ucraino, che rischia di sparire per intero nelle fauci di
USA e Russia.
Se, come ipotizzano gli autori, la possibilità di Mosca di vincere la pace, dopo
aver vinto la guerra, passa per la convocazione di una conferenza di pace nel
quadro dell’OSCE – ad oggi solo una vaga ipotesi – la possibilità di contrastare
la tendenza alla guerra con “la mobilitazione delle masse in tutta Europa” deve
saper denunciare per tempo le stesse soluzioni diplomatiche, per quanto
“ragionevoli” possano apparire, come altrettanti passi verso un nuovo conflitto
mondiale. Trasformare le condizioni verso la guerra imperialista in condizioni
per la rivoluzione proletaria è l’unica strada per sfuggire davvero
all’alternativa “pensioni o munizioni”, un’alternativa che, negli ultimi tempi,
ha davvero fatto passi da gigante. (Red.)
IL CLOWN E IL CIRCO
“Se eleggi un clown, aspettati un circo”
La guerra in Ucraina sta per finire come è iniziata: come un faccia a faccia tra
Stati Uniti e Russia. Con una differenza : che, avendo lo scontro tra i due
stati portato alla guerra, si è passati ora alla collaborazione in vista della
pace. Il che, tra l’altro, dà ragione a posteriori a tutti coloro, noi compresi,
che, contro l’interpretazione dominante di questo conflitto, hanno sostenuto la
tesi che si trattasse effettivamente, per l’essenziale, di un conflitto tra
l’Occidente globale (sotto la guida statunitense e la bandiera della NATO) e la
Russia, per interposta Ucraina, e non di un conflitto tra questi ultimi due
paesi generato dal presunto desiderio della Russia di perpetuare o ricostituire
la sua zona di influenza nell’Europa orientale e centrale – o anche oltre.
Cerchiamo qui di fare un bilancio di questi tre anni di guerra e dell’inversione
di tendenza appena avvenuta, dei guadagni e delle perdite registrate dai vari
protagonisti e di discernere, di conseguenza, le possibilità che si aprono a
ciascuno di loro.
Ubu alla Casa Bianca
La guerra in Ucraina è nata dalla volontà della NATO, contrariamente agli
impegni verbali assunti dopo il crollo del Muro di Berlino, di espandersi
nell’Europa centrale e orientale. Perseguita nonostante le sempre più forti
proteste russe durante le prime due ondate del 1999 e del 2004, questa
espansione ha raggiunto un punto critico nel 2008, quando si è trattato di
integrare l’Ucraina e la Georgia nell’Alleanza Atlantica, cosa che avrebbe
portato quest’ultima a diretto contatto con la Russia, offrendole per una
invasione l’immensa breccia costituita dalla pianura ucraina al di là del
Dniepr e minacciando la strategica base navale di Sebastopoli. Una linea rossa
per Mosca, che dichiarò allora che sarebbe entrata in guerra se fosse stata
oltrepassata. Gli occidentali non ne ha tenuto conto. Nel 2014, durante
Euromaidan, hanno contribuito ad insediare a Kiev un governo filo-occidentale e
anti-russo : cosa che ha aggravato le tensioni con le popolazioni russofone e
russofile degli oblast’ orientali e di Odessa, portando alla guerra civile. Allo
stesso tempo, gli occidentali hanno rigiutato sprezzantemente le proposte russe
di concludere un accordo nel quadro della Conferenza sulla sicurezza e la
cooperazione in Europa (CSCE) finalizzato alla neutralizzazione
(“finlandizzazione”) dell’Ucraina. Tutto questo, dopo che gli Stati Uniti si
erano ritirati nel 2001 dal Trattato ABM (Anti-Balistic Missile) firmato nel
1972, e nel 2018 dal Trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces) firmato
nel 1988. La strada verso la guerra era ormai aperta.
Per tre anni, l’Occidente ha condotto questa guerra contro la Russia, con
l’intermediazione dell’Ucraina, con l’obiettivo di imporre con la forza ciò che
la Russia aveva ripetutamente dichiarato di non voler accettare. Gli errori di
valutazione iniziali durante l’operazione militare russa, la mobilitazione
nazionale e lo slancio nazionalista della società ucraina hanno creato
l’illusione che la partita potesse essere vinta e che, con il massiccio sostegno
dell’Occidente, l’Ucraina potesse cacciare l’aggressore dai suoi confini. Questa
illusione è stata rapidamente dissipata quando la controffensiva ucraina del
giugno-agosto 2023, con il massiccio sostegno militare e logistico
dell’Occidente, è fallita miseramente. Da allora, la situazione in Ucraina ha
continuato a deteriorarsi, sia in termini di operazioni militari che di coesione
della società ucraina stessa, a dispetto delle decine di miliardi di dollari in
aiuti di ogni tipo (armi, munizioni, addestramento delle truppe, assistenza
tecnica, intelligence, prestiti, incoraggiamento, ecc.) che l’Occidente ha
fornito, per non parlare delle sanzioni commerciali e finanziarie inflitte
all’aggressore russo. Qualsiasi osservatore lucido dello sviluppo della
situazione negli ultimi mesi ha chiaro che essa non può portare che ad una
sconfitta militare ucraina nel più o meno breve termine.
Per evitare un simile esito la nuova amministrazione Trump ha deciso di porre
fine a questa guerra concludendo, se non la pace, almeno un accordo con il
nemico russo, trasformato di colpo in un avversario con cui è possibile un
accordo. La ragione di fondo di questa inversione di rotta degli Stati Uniti è
che l’amministrazione Trump, ancor più delle precedenti, ha come priorità delle
priorità quella di affrontare la sfida costituita, ai suoi occhi, dall’ascesa
della Cina, che minaccia il suo dominio globale. In questo contesto, la vicenda
ucraina diventa secondaria, se non addirittura trascurabile, e deve essere
liquidata nel modo più rapido ed economico possibile. In questo caso, per gli
Stati Uniti si tratta di una riedizione di quanto fatto negli ultimi decenni
ogni volta che sono stati tenuti in scacco, come in Vietnam nel 1973, in Iraq
nel 2011, ad Haiti nel 1995 e in Afghanistan nel 2021: ritirarsi e lasciare che
il caos creato dal loro intervento sia gestito dai loro alleati locali e dai
precedenti nemici: in breve, lavarsene le mani.
L’unica differenza è lo stile con cui lo scenario si ripete questa volta. Con
l’Ubu (ri)eletto lo scorso novembre, la silenziosa vergogna di un Obama o la
contrizione da coccodrillo di un Biden hanno lasciato il posto a una vistosa
negazione delle schiaccianti responsabilità americane nella vicenda, con gli
Stati Uniti che hanno assunto la vantaggiosa posizione della colomba per far
dimenticare il loro ruolo di falco. Il palese fallimento militare ucraino viene
imputato a Kiev, che non ha voluto mobilitare la gioventù del Paese per mandarla
a farsi sventrare sul campo di battaglia, e ai suoi alleati europei, che non
hanno messo mano abbastanza alle loro tasche né per sostenere lo sforzo bellico
ucraino, né per garantire la propria difesa. Per non parlare del fatto che, in
linea con il suo tropismo e il suo credo super attivistici, Trump intende
recuperare la sua quota di sfruttamento del sottosuolo ucraino ricco di terre
rare.
Panico a Londra, Parigi, Berlino, Varsavia…
… e in altre capitali europee. Perché, non avendo capito nulla di quello che è
successo, stanno inventando un futuro immaginario in cui credono di dover
affrontare, ormai da solie, private dell’aiuto dello zio Sam, il lupo cattivo
russo. E, poiché ritengono di non avere i mezzi per farlo militarmente, l’unica
opzione che prendono in considerazione o almeno favoriscono, stanno lanciando
folli programmi di riarmo, buttando centinaia di miliardi di euro che solo il
giorno prima affermavano di non avere se si trattava di aumentare gli stipendi,
rafforzare i servizi pubblici e le strutture comunitarie, soddisfare i bisogni
sociali più elementari, ecc. Tutto ciò fa presagire un nuovo ciclo di austerità
crescente per le loro popolazioni, che non offrirà loro altra prospettiva se non
quella di stringere la cinghia ancora un po’ per gli anni a venire, prima di
“morire per la libertà”, creando fin da ora un’atmosfera da « vigilia di
guerra ».
Tuttavia, la natura immaginaria di questo scenario futuro è tradita dalla natura
incoerente dei loro propositi. Sono le stesse persone che ora dicono che i russi
sono alle nostre porte e che non abbiamo i mezzi per impedirgli di entrare con
la forza, e che appena il giorno prima, se non in contemporanea, sostengono che
è necessario e giusto aiutare gli ucraini, anche inviando loro delle truppe,
perché è possibile sconfiggere il nemico sulle rive del Dniepr o nel Donbass. E
allora la Russia cos’è ? Orco insaziabile e assetato di sangue, o colosso dai
piedi d’argilla?
Questo scenario è ancora immaginario perché non tiene conto della realtà
dei rapporti di forza così come si presenta sul campo. Dopo tre anni di guerra,
le truppe russe sono faticosamente e cautamente riuscite a conquistare appena un
quinto del territorio ucraino. Una domanda degna di un problema di quinta
elementare: di questo passo, quanto ci metteranno i cosacchi ad abbeverare i
loro cavalli nei sobborghi di Brest e Lisbona?
Immaginario, infine, perché, come prima del 2022, gli Europei non ascoltano, o
non danno credito alle parole dei russi. I russi hanno ripetuto a gran voce che
non avrebbero accettato le forze della NATO alle loro porte in Ucraina e che, se
avessero persistito nella loro intenzione di farlo, sarebbero entrati in guerra.
E così è stato. Quando, al contrario, li abbiamo sentiti dichiarare di avere
altre pretese, se non sui loro immediati vicini ? per forza di cose sull’Europa
occidentale? Doppiezza da parte loro? Allora perché accusarli contemporaneamente
di cinismo?
Il pericolo, tuttavia, è che questo scenario, per quanto immaginario, possa dar
luogo a una profezia che si autoavvera. Infatti, rilanciando la corsa agli
armamenti in Europa, si crea proprio una situazione favorevole alla guerra.
Contrariamente al vecchio adagio romano, quando si prepara la guerra, si ottiene
… la guerra! Non lo ha forse dimostrato ancora una volta l’estensione, negli
anni ’90, dell’alleanza militare all’Europa centrale e orientale, che avrebbe
dovuto garantire la pace?
Intrappolate dalle loro posizioni “campiste” sui conflitti inter-imperialisti e
internazionali, la maggior parte delle organizzazioni della sinistra e
dell’estrema sinistra sta adottando questo scenario, arrivando a tacciare di
filo-russismo o addirittura di filo putinismo qualsiasi presa di distanza
critica. Dopo essersi già arruolati nella crociata antirussa sotto la bandiera a
stelle e strisce e aver fallito nella loro missione di mobilitare le classi
lavoratrici contro la guerra, si preparano a fare lo stesso cadendo nella rete
dell’Union sacrée. Permettendo così all’estrema destra, d’un colpo solo, di
monopolizzare il discorso contro la guerra, e offrendole un’altra opportunità di
essere in consonanza con le preoccupazioni popolari e di aumentare il
proprio pubblico e, cosa altrettanto disastrosa, permettendo al blocco
politico-mediatico al potere di identificare come di estrema destra qualsiasi
critica alle proprie posizioni.
Peggio ancora, queste organizzazioni si impediscono di denunciare e lottare con
le classi lavoratrici, non solo contro le molte forme di sfruttamento aggravato
(in termini di salari e tasse, attraverso la crescita della disoccupazione e il
deterioramento dei servizi pubblici, ecc.) per le quali queste minacce e
necessità immaginarie serviranno come legittimazione “incontrovertibile”, ma
anche di lottare contro il keynesismo militare, cioè un modo per rilanciare
l’economia [attraverso la spesa bellica], e quindi di aumentare ulteriormente i
profitti, senza aumentare la domanda di beni di consumo, a favore della sola
domanda di beni distruttivi, finanziata da tasse e debito. Va da sé che di
questo tipo di stimolo beneficeranno soprattutto gli Stati Uniti, il maggior
esportatore mondiale di attrezzature e tecnologie militari, anche se alcuni
Paesi europei possono sperare di approfittarne per aumentare la propria
produzione e le proprie esportazioni (nell’ordine: Francia, Germania, Italia,
Regno Unito e Spagna).
Blues in Kiev
Ma le persone più da compatire sono ovviamente gli ucraini, gli unici che hanno
dovuto entrare nella tana del leone. Sono quelli che hanno pagato il prezzo più
alto, in termini di sfollamento ed esilio di massa della popolazione, di morti e
distruzioni militari e civili, per il cinico gioco dell’Occidente, che ha fatto
precipitare un conflitto che si è svolto sul loro territorio e in cui hanno
occupato gli avamposti, presumibilmente per forzare la mano ai russi e
indebolirli definitivamente. Senza dubbio hanno creduto, e credono tuttora, che
questo fosse l’unico modo per difendere la loro sovranità e integrità
territoriale, anche se era possibile un’altra strada, quella di un compromesso
con la Russia, che avrebbe permesso loro di salvare l’essenziale sotto entrambi
i punti di vista. Una strada che l’Occidente ha vietato loro di percorrere, sia
prima che subito dopo il lancio dell’offensiva russa del 24 febbraio 2022:
mentre alla fine di marzo era in vista un accordo russo-ucraino, è stato
l’Occidente a decidere che gli ucraini dovevano abbandonarlo.
E sono ancora questi ultimi che si preparano a pagare il prezzo più alto quando
arriverà il momento, che non tarderà ad arrivare, di una pace forzata. D’ora in
poi, la pace sarà firmata alle condizioni che i russi, vincitori sul campo,
accetteranno o imporranno. Dopodiché, gli ucraini dovranno ancora pagare
l’enorme debito di guerra accumulato e ricostruire il loro Paese, in parte
devastato dalla guerra, con una popolazione che si è ridotta notevolmente (da 45
milioni nel 2013 a 33 milioni nel 2023). Rimuginando, nel frattempo,
sull’amarezza della sconfitta e del tradimento, sulle cui ragioni avranno tutto
il tempo di riflettere, ricordando il famoso monito: “Dio, proteggimi dai miei
amici, che ai miei nemici ci penso io”.
Il sangue freddo a Mosca
La sobrietà delle ultime dichiarazioni di Mosca contrasta con i deliri
megalomani di Washington, con la febbre angosciosa delle capitali europee e con
l’ostinazione di Zelensky nel suo errore iniziale. Eppure la Russia avrebbe
tutte le ragioni per pavoneggiarsi. Lungi dal crollare sotto l’impatto delle
sanzioni commerciali e finanziarie attuate dagli occidentali, come questi ultimi
avevano annunciato urbi et orbi, essendo riuscita a rimettersi in piedi dopo un
inizio militare fallimentare e avendo dimostrato la solidità delle sue alleanze,
in particolare con la Cina e l’Iran, al momento la Russia sembra essere la
grande vincitrice di questo conflitto, a un passo dall’aver raggiunto gli
obiettivi che si era prefissata.
Senza dubbio sa anche che non basta vincere la guerra, deve vincere anche la
pace. E per farlo, dovrà pagare il prezzo della sua vittoria. Tra questi, il
fatto che l’odiata NATO, pur non riuscendo a stabilirsi in Ucraina, è ora
presente lungo i 1.340 chilometri del confine comune con la Finlandia. A ciò si
aggiungono i massicci programmi di riarmo che gli alleati europei della NATO (o
ciò che ne rimane) stanno pianificando di intraprendere. Per non parlare
dell’odio duraturo che avrà suscitato nella maggior parte della popolazione
ucraina e in coloro che hanno sposato la sua causa.
Se evitare l’instaurarsi di una nuova guerra fredda è nei piani russi, non c’è
altra soluzione che proporre, come hanno continuato a fare dall’inizio della
guerra in Ucraina, la convocazione di una conferenza di pace nel quadro
dell’OSCE. Questo metterà a tacere ogni speculazione sulle loro mire
espansioniste, mire di cui si faticherebbe a trovare tracce nella storia recente
delle relazioni internazionali (quando mai la Russia ha intrapreso operazioni
simili alla doppia invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan ?). Potranno sostenere
di fronte ai nemici occidentali che non si sceglie il proprio nemico, ma è
sempre con lui che si deve firmare la pace.
E noi ?
Di fronte alle politiche di riarmo a tutto vapore, a fronte del clima di guerra
e di « vigilia di guerra » che coltivano i governi bellicisti europei con
l’appoggio della grande maggioranza dei media, la sinistra, e in particolare la
sinistra radicale, deve superare gli errori di ieri e dell’altro ieri. Si deve
chiamare alla mobilitazione delle masse dappertutto in Europa per bloccare una
politica che fa già dire a qualcuno che si deve scegliere fra «pensioni o
munizioni » (w) e pavimenta la via di una possibile discesa negli abissi.
Alain Bihr, Jean-Marie Heinrich
Roland Pfefferkorn, Yannis Thanassekos
(1) https://fr.statista.com/statistiques/688554/population-totale-ukaine/
(2) Dominique Seux, « Pensions ou munitions ? », Les Echos, 5 mars 2025.
Riceviamo e diffondiamo:
La storia non si ripete mai, se non come farsa.
Risulterebbe quindi improprio paragonare questo 2025 a qualche altro periodo
della storia più o meno recente. Tuttavia,non è improprio provare a ragionare
sul periodo attuale, su quali campanelli d’allarme sentiamo chiaramente, su
quali rapide trasformazioni stia prendendo la realtà.
Negli ultimi mesi ne abbiamo sentite di tutte: il partito neonazista AFD che
supera il 20% dei voti in Germania. La striscia di Gaza dipinta sui canali
social del presidente degli Stati Uniti come Miami Beach. Dazi al 125%. Spese
militari al5%.
L’Europa allarmata da questo repentino irrompere della guerra nel discorso
globale si affanna a intraprendere la strada del riarmo, con l’imposizione da
parte di Von der Leyen di una spesa di 800miliardi. Evidentemente lorsignori
preferiscono la guerra alla sanità, all’istruzione, alle pensioni, all’ambiente,
insomma, ai diritti fondamentali delle persone, e investono in armamenti.
In questa cloaca passa quasi sottotono l’approvazione del cosiddetto Dl
sicurezza. Una vera e propria manovra da “guerra interna” con cui si
marginalizzano fasce sempre più ampie di persone e si preclude alle stesse la
possibilità della protesta e del dissenso.
La realtà che abbiamo sotto gli occhi è un mondo apparecchiato per l’accumulo
smodato di ricchezze nelle mani di pochi, pochissimi, a fronte dell’annaspare
dei più.
In questo scenario in rapida evoluzione non possono mancare i nostalgici del
ventennio, che cianciano di interventismo europeo e organizzano ronde contro la
marginalità.
Il discorso securitario a Saronno, in vista delle elezioni, ha preso ancora una
volta il sopravvento.
Oggi la “sicurezza” è priorità di chiunque si presenti alle elezioni, al punto
che una lista civica che guarda all’associazionismo e al volontariato porta il
nome di “Saronno Sicura”, lo stesso di una di destra di quindici anni fa.
Un’insicurezza percepita che è figlia del deserto che è stato creato: telecamere
ovunque e ordinanze liberticide hanno letteralmente dato il colpo finale ad una
libera aggregazione giovanile già fortemente repressa. Adesso gli stessi
benpensanti che si lamentavano del vociare o del chiasso dei ragazzi, si
lamentano di sentirsi insicuri con le strade vuote.
/Ma////come,////nello////stesso////testo////parlate////di////guerra////e////di////telecamere?/
Sì, perché la guerra è un momento di disciplinamento della popolazione, di
restringimento dei margini del consentito, di repressione più feroce.
In questo abissoin cui ci hanno cacciato, le nostre stelle polari rimangono
solidarietà e conflitto. La variante umana è un fattore in grado di inceppare
questa corsa forsennata, come ha dimostrato la resistenza palestinese diffusasi
in tutto il mondo. Nel nostro territorio negli ultimi mesi ci sono state
importanti manifestazioni a Nerviano contro la Leonardo, uno dei principali
produttori bellici del Paese, e a Busto Arsizio contro la base Nato e la guerra.
/Ma////come,////parlate////di////guerra////in////occasione////del////25////aprile?/
Contro l’abisso di allora, contro l’abisso di oggi.
LIBERIAMOCI
Assemblea antifascista saronnese
Riceviamo e diffondiamo. Qui sotto il testo delle iniziative in pdf:
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