Riceviamo e diffondiamo:
Venerdì 18 luglio h 20.30
Spazio autogestito
via de Rubeis 43 UDINE
presentazione dell’opuscolo
Altro che eccellenza…
a proposito della fabbrica di droni armati di Ronchi dei Legionari (Gorizia)
Leonardo, colosso italiano della difesa, ha recentemente stretto un accordo per
una joint-venture con l’equivalente turca Baykar per produrre, nell’immediato,
nello stabilimento di Ronchi, droni-caccia per la marina militare turca. A
quest’ultimo colpo di scena si affiancano le tradizionali produzioni militari
della famiglia Falco e Mirach.
Questa fabbrica NON è un’eccellenza locale come ci viene spacciata, ma una
realtà dove si progettano e realizzano dispositivi, macchine e algoritmi che
servono a ucciderci uno con l’altro, che sanno di morte.
Leonardo È stato italiano e per chi come noi crede che lo stato difende gli
interessi di chi ci sfrutta, avvelena, affama, questa fabbrica deve essere
fermata.
Di fronte alle stragi immani che funestano l’umanità, moltiplichiamo i blocchi,
gli scioperi, le occupazioni! Non restiamo complici di questi progetti di
potere!
Assemblea No Leonardo
INIZIATIVA DI MOBILITAZIONE IN VISTA DELLA MANIFESTAZIONE DI SABATO 13 SETTEMBRE
A RONCHI DEI LEGIONARI CONTRO LA LEONARDO
Tag - Rompere le righe
Riceviamo e diffondiamo. Di seguito all’aggiornamento un intervento dei Giovani
Palestinesi al corteo de L’Aquila dello scorso 25 giugno:
Il loro sangue ricadrà su di voi
Aggiornamenti di Luglio sul processo ad Anan, Alì e Mansour.
I prossimi 9 e 10 luglio si terranno al tribunale dell’Aquila due udienze
consecutive del processo ad Anan, Alì e Mansour, accusati di proselitismo e
finanziamento del terrorismo. Nel corso di queste udienze verranno ascoltati gli
unici tre testimoni accettati, su quarantasette presentati dalla difesa, e gli
imputati. Se le intenzioni dei giudici precedentemente erano quelle di chiudere
il processo entro l’estate fissando molte udienze a distanza ravvicinata, nei
fatti la corte non riuscirà a terminare l’istruttoria nei tempi prefissati e la
conclusione del processo è già rimandata a dopo l’estate.
Questo processo è sempre stato seguito da un pubblico solidale ed accompagnato
da un presidio all’esterno del palazzo di giustizia. In occasione delle tre
udienze consecutive del 25, 26 e 27 giugno scorso all’Aquila si sono tenute
iniziative informative e mercoledì 25 un corteo vitale ha attraversato le strade
della città. La presenza solidale è rinnovata per le prossime udienze.
Nelle scorse udienze sono stati ascoltati i testi dell’accusa (agenti e
dirigenti di DIGOS, Dipartimento Centrale della Polizia di Prevenzione e Guardia
di Finanza).
L’ enorme mole di dati presentata dagli inquirenti ci fa supporre che questi
vogliano sostituire con la quantità l’assenza di qualità, cioè di contenuti
significativi. Effettivamente non abbiamo avuto modo di capire su quali basi si
giustifichi tanto questo processo quanto la detenzione di una persona nel
carcere speciale di Terni da oltre un anno.
Il fatto che i tre simpatizzino per la resistenza palestinese in Cisgiordania,
loro terra d’origine, è ovvio. L’ulteriore fatto che uno di loro abbia fatto
parte della prima linea della resistenza è dichiarato con orgoglio da lui stesso
ed è ritenuto legittimo perfino dal diritto borghese.
Invece che i tre abbiano organizzato azioni in Italia è escluso e che abbiano
organizzato dall’Italia azioni in Cisgiordania che prendessero di mira
cosiddetti civili (cioè coloni) israeliani non è emerso dall’istruttoria, e
questi sarebbero stati gli elementi accusatori su i quali sembrava improntato
questo processo.
Al di fuori del codice penale, di cui ci interessa relativamente,a noi sembra
semplicemente disumano e abbietto perseguire delle persone perché sostengono il
proprio popolo mentre subisce l’apice di soprusi e violenze che perdurano
ininterrottamente dal 1948.
La mancanza di argomenti emersa dalle deposizioni dei dirigenti delle forze
dell’ordine ha spinto la PM a richiedere l’audizione di un ulteriore testimone,
cioè di Vincenzo di Peso dirigente della DCPP, questa testimonianza dovrebbe
avere come oggetto annotazioni pervenute al PM di recente dai servizi segreti.
Si tratta di una richiesta irrituale e che potrà essere discussa solo alla fine
dell’istruttoria. Questa richiesta ci conferma quella che ormai è più di
un’ipotesi, cioè che questo processo abbia preso origine da una catena di
comando che parte dai servizi segreti israeliani, passa per quelli italiani, per
la DCCP ed arriva alla Digos ed alla magistratura antimafia dell’Aquila.
Le tracce di questa direttrice emergono dal precedente rifiuto dello Stato
Italiano di estradare Anan in Israele, dal tentativo fallito di portare a
processo documenti prodotti dallo Shin Bet e che contenevano testimonianze
raccolte in centri di detenzione in cui si fa ricorso sistematico alla tortura,
dalla vaghezza degli inquirenti sull’origine delle fonti utilizzate.
Le relazioni dei servizi potrebbero essere quindi all’origine di questo
procedimento. Al loro utilizzo si oppone la difesa in quanto ritiene questi
elementi inammissibili per l’impossibilità di verificarne la fonte e
considerando che i servizi segreti non svolgono attività di polizia giudiziaria.
Capiremo a breve se la corte chiuderà il processo sul nulla probatorio o
l’accusa tenterà di condizionare la giuria popolare con qualche sorpresa
dell’ultimo minuto.
Il tentativo delle autorità israeliane di perseguire noti esponenti della
resistenza, quale è Anan Yaeesh che risiede e lavora in Italia da anni e gode di
protezione umanitaria, risponde a precisi principi: il popolo palestinese non
solo deve essere espulso dai territori controllati dagli israeliani, ma va
attaccato e cancellato nella sua stessa esistenza ovunque risieda. Questo perché
finché esiste la coscienza dell’esistenza del popolo palestinese – e la
resistenza la incarna a pieno – la persistenza dell’entità coloniale di Israele
è messa radicalmente in discussione.
Ne consegue che la persecuzione della resistenza, della sua memoria e dei suoi
simboli è parte integrante del programma di genocidio del popolo palestinese
attualmente in corso. Ne consegue ulteriormente che chi collabora con questo
programma è esso stesso responsabile del genocidio, lo sono quindi anche le
autorità italiane che, in questo come in altri ambiti, ubbidiscono agli ordini
dei sionisti. Questo processo ha scopo di disperdere e punire la diaspora
palestinese, mandare il messaggio intimidatorio che Israele la può perseguitare
in ogni dove e che può costantemente ribaltare la realtà accusando di terrorismo
chi ne è vittima.
Il sangue dei palestinesi ricadrà su chi sta compiendo, supportando, tollerando
questo massacro.
Non è possibile voltarsi dall’altra parte per non vedere, chi non vuole essere
complice è chiamato da questo sangue a fare sentire la propria voce.
complici e solidali
Qui il pdf: anan aggiornamenti luglio def.
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INTERVENTO DI GPI AL MEGAFONO DURANTE IL CORTEO DELL’AQUILA DEL 25 GIUGNO 2025
Anan da gennaio si trova nel carcere di Terni, è detenuto ed è accusato di
terrorismo.
Adesso voi vi chiederete perché viene arrestato in questa città un palestinese,
un palestinese che vive qua, lavora qua, viene arrestato per terrorismo?
Voleva fare un attacco terroristico in questa città secondo voi?
Questo direbbe la teoria, no?
Che all’interno dello Stato italiano, un cittadino che vive nello Stato italiano
vuole compiere un attacco, verso magari un bar come questo?
Questo direbbe la teoria, ma poi la pratica in realtà è che Anan è stato
arrestato in questa città, è sotto processo in questa città, perché quando stava
in Palestina, il nostro paese dal quale noi siamo stati cacciati dagli
israeliani, lui si è difeso ed ha resistito contro l’occupazione israeliana, ed
è per questo motivo che Anan oggi sta in un carcere italiano, perché è arrivata
la richiesta di Israele al vostro Stato di arrestare Anan.
E a questo punto io vi chiedo, se questo Stato, questo Paese è il vostro Paese?
Perché la risposta è che non è neanche il vostro paese, perché è un paese che è
servo, che esegue gli ordini di un paese straniero e fa i compiti di un paese
straniero qua. Il diritto internazionale dice che la resistenza di un popolo
occupato contro il suo occupante non è reato, è legittima, ma questo a quanto
pare non vale per Israele, non vale neanche per l’Italia che oggi tiene in
carcere un palestinese che è responsabile solamente di aver difeso casa sua e la
sua terra. Voi pensate che a noi palestinesi ci piace vivere nella terra di
qualcun altro? Ci piace vivere qua in Italia? A noi palestinesi, se la nostra
terra non fosse stata distrutta, bruciata, devastata dall’occupazione israeliana
saremmo nella nostra terra, a costruire sulla nostra terra e a costruire il
nostro futuro sulla nostra terra.
E allora do un consiglio anche a tutti coloro ai quali non piacciono gli
immigrati…no? Vi do un consiglio, visto che non vi piace che io sto in questo
paese, lavorate affinché il vostro paese non sostenga chi la mia terra me l’ha
rubata. Lavorate affinché il vostro paese non sia schiavo di un paese straniero…
fate i nazionalisti davvero e non fatelo solo quando vi conviene!
Anan, Ali e Mansour devono essere liberati, devono essere liberati perché loro
non hanno fatto niente contro il popolo italiano, e non hanno fatto niente
contro di voi. E allora al processo del 9 e del 10 luglio ci dovete essere
tutti.
Oggi la Palestina è sulla bocca di tutti, ed è sulla bocca di tutti perché c’è
chi non ha accettato di stare con la testa piegata, ha alzato la testa contro
l’occupazione e ha sfondato la prigione di Gaza, è uscito fuori ed è tornato
sulle nostre terre, le terre che ci sono state rubate. Anan era all’interno
delle brigate di resistenza, e come dice lui anche nelle sue dichiarazioni,
questo non è un motivo per doversi difendere in un tribunale, perché non si
difenderà per quello che ha fatto. Anzi, a testa alta dice: “è un onore essere
stati la prima linea di difesa contro l’occupazione”.
Libertà per Anan, libertà per Ali, libertà per Mansour.
Perché anche chi oggi, come Ali e Mansour, si trova fuori dalla cella di un
carcere ma ancora è costretto a venire a vedere, ad assistere allo Stato
italiano che prova a condannarlo.
Questo è un trauma, questo però è il destino di noi palestinesi e lo conosciamo
bene, e sappiamo che per la nostra terra pagheremo e saremo sempre a testa alta
e pagheremo con onore.
Perciò non diciamo solo libertà per Anan ma diciamo anche libertà per Ali e
Mansour che ancora oggi non sanno quale sarà il loro futuro.
Mansour giusto per dire alla “madre cristiana”, è padre di famiglia.
È stato carcerato ed è stato per dei mesi lontano da sua moglie e dai suoi
figli, perché lo Stato italiano non ha una spina dorsale, perché lo Stato
italiano è schiavo, perché lo Stato italiano è una colonia.
Perciò libertà per Anan, libertà per Ali e libertà per Mansour e una grossa
libertà per tutti quanti!
Riceviamo e diffondiamo:
Giovedì 10 luglio dalle ore 16 (fino alle 19 circa) a BOLZANO
Presidio contro Iveco DV e Leonardo, complici di guerre e genocidi
Contro la corsa al riarmo europeo. Denunciamo le complicità italiane nel
genocidio del popolo palestinese
TOGLIAMO LE FABBRICHE ALLA GUERRA
IVECO DV E LEONARDO COMPLICI DI GUERRE E GENOCIDI
Israele sta facendo il lavoro sporco per tutti noi
Friedrich Merz, Cancelliere federale della Germania
Il genocidio del popolo palestinese continua grazie alle armi dell’apparato
militare industriale di Stati Uniti e Unione Europea, ma soprattutto grazie alla
scorta mediatica che distorce la realtà, giustifica e legittima ogni orrore, se
compiuto per difendere gli interessi delle élite occidentali al potere. Da oltre
21 mesi nessuna violenza è risparmiata a Gaza, ormai un campo di sterminio in
cui l’uso della fame come arma non può essere compreso se non come parte del più
grande esperimento di ingegneria sociale violenta condotto su un intero popolo,
attraverso fasi precise e pianificate. In questo scenario, che ricorda il film
distopico Hunger Games, la distribuzione degli aiuti è funzionale alle continue
stragi di civili palestinesi con l’IDF che spara sulla folla ammassata per
qualche chilo di farina. Anche la distruzione degli edifici è appaltata a
privati che, con l’appoggio di compagnie di sicurezza, si muovono lungo tutto la
Striscia incassando 1500 euro per ogni casa distrutta. Perfino il genocidio è
un’occasione per fare business.
In questo quadro l’aggressione sionista-statunitense all’Iran rientra nel
progetto colonialista di ridisegnare il Medio Oriente secondo i loro insaziabili
interessi, con i popoli dell’area sfruttati e definitivamente schiacciati sotto
il loro tallone di ferro. Un’aggressione imperialista che si aggiunge a quelle
contro il Libano, lo Yemen, la Siria e alla decennale pulizia etnica della
Cisgiordania occupata. Un attacco che, dopo qualche finto tentennamento di
fronte all´orrore assoluto di Gaza, ha visto un sostanziale riallineamento di
tutta la borghesia occidentale a difesa dell´alleato sionista, unita nel partito
unico degli affari e della guerra.
In Europa i venti di guerra soffiano sempre più forte. Dopo oltre tre anni di
guerra fra NATO e Russia in Ucraina, con il recente vertice a L’Aja Trump ha
raggiunto tutti i suoi obiettivi, ossia far pagare all’UE i costi delle
forniture belliche a Kiev, rilanciare il complesso militare industriale
statunitense e allo stesso tempo tenere la Russia impegnata in un conflitto
senza fine, mentre il Pentagono si prepara alla fase finale della guerra
mondiale a pezzi: l’attacco al suo vero rivale strategico, la Cina.
Come tutti i membri della NATO anche il Governo Meloni ha approvato l’impegno a
destinare il 5% del PIL alla spesa bellica entro il 2035. Un balzo mostruoso:
per l’Italia saranno 400 miliardi in più di oggi nell’arco di 10 anni, 40
miliardi in più l’anno. Una corsa al riarmo costruita su falsità colossali, come
la presunta minaccia di un’invasione russa, rafforzata dalle dichiarazioni di
Ursula von der Leyen con il programma Rearm Europe/Readiness 2030 che prevede
una spesa bellica europea di 800 miliardi di euro.
L’Italia è sempre più la retrovia di un fronte di guerra che va dall’Ucraina al
Medio Oriente fino al circolo polare Artico, dove da tempo le grandi potenze
stanno affilando i coltelli (da anni in Alto Adige si tengono esercitazioni
militari in montagna e nei laboratori del NOI Techpark per simulare la guerra in
ambiente artico). Per creare un clima funzionale al riarmo e imporre così ai
proletari le deprivazioni di un’economia di guerra, i Governi europei e
l´apparato propagandistico rilanciano notizie allarmistiche e pubblicano
editoriali in cui giornalisti prezzolati costruiscono nemici immaginari,
alimentano la paranoia, denunciano le carenze negli arsenali e nei sistemi di
difesa e quindi la necessitá di giustificare spese sempre più ingenti per
l´acquisto di armi, carriarmati, cacciabombardieri e missili. Oltre a sottrarre
enormi finanziamenti alla spesa per scuola, sanità e servizi sociali, questa
produzione dovrà essere “consumata”, altrimenti ingombrerà solo le caserme ed i
depositi di armi. Appare chiaro quindi che siamo in un piano inclinato in cui i
padroni ci stanno portando al macello, verso la guerra. Il dibattito sul
possibile ripristino della leva obbligatoria in Germania, come in Italia e altri
paesi europei, lo conferma. Anche il decreto sicurezza approvato dal Governo
Meloni si delinea come uno strumento di guerra preventiva sul fronte interno,
contro ogni possibile dissenso nei confronti di queste politiche guerrafondaie.
Chi invece gioisce per gli osceni profitti legati a guerre e genocidio del
popolo palestinese sono le industrie dell´apparato militare-industriale. I
cannoni delle corvette di Israele sono prodotti da Oto Melara, una società
controllata da Leonardo e che collabora con Iveco DV. I tentacoli del colosso
delle armi Leonardo sono sempre più estesi, anche in Alto Adige: dal 2023
possiede infatti il 10% della Start-up sudtirolese Flyingbasket mentre nel
maggio scorso ha presentato, insieme alla tedesca Rheinmetall (anche essa
complice del genocidio palestinese e perno del programma di riarmo europeo),
un’offerta per acquisire Iveco DV con cui già collaborano per la costruzione di
mezzi corazzati da destinare agli Eserciti europei.
Sabbia non olio negli ingranaggi della guerra e del genocidio! La guerra inizia
qui!
No al riarmo!
Assemblea solidale con il popolo palestinese – Bolzano
freepalestinebz@inventati.org – Telegram “Free Palestine BZ” – Instagram:
gazaiscalli
Riceviamo e diffondiamo:
Qui più dettagli sull’iniziativa e sulle
precedenti: https://antifascistecontroilpass.noblogs.org/
Qui il testo di presentazione dell’Assemblea no green pass di Roma: 6 luglio
2025 Palestina vero volto smart city
Mentre quella che già viene chiamata “la guerra dei 12 giorni” è congelata da
una fragile tregua, un nostro amico ha scovato in rete la traduzione di questo
comunicato di alcuni Lavoratori anticapitalisti iraniani, già apparso su un blog
ispanico
(https://barbaria.net/2025/06/22/dos-comunicados-internacionalistas-desde-iran-contra-las-guerras-en-oriente-medio-por-la-lucha-de-clases-contra-todos-los-capitalistas/).
A questi compagni il nostro augurio di realizzazione dei loro propositi
sovversivi, e a tutto il popolo iraniano, e agli sfruttati di tutto il mondo.
Solo un’insurrezione operaia anticapitalista, può schiacciare queste due piovre
capitaliste assassine e guerrafondaie
1 I lavoratori vengono impiegati in tutti i settori: nelle fabbriche, nelle
scuole, negli ospedali, nei servizi comunali, nell’agricoltura, nell’industria,
nei trasporti terrestri, marittimi e aerei, nell’energia e nei servizi pubblici,
nell’edilizia, nella silvicoltura e altro ancora. Che si sia disoccupati,
pensionati o gravati da un lavoro domestico non retribuito, apparteniamo tutti
alla stessa classe operaia, unita dalla nostra esistenza sociale e dal nostro
sfruttamento. Sopportiamo tutto il peso della dominazione capitalista: schiavitù
salariata, repressione, privazione, genocidio, incarcerazione, tortura, violenza
di genere, oppressione etnica, distruzione ambientale e tutte le calamità che
questo sistema genera.
2 Fino a poco tempo fa, in Iran, questa violenza ci veniva imposta direttamente
solo dalla classe capitalista e dal regime islamico. Ora, con la guerra in
corso, ci troviamo di fronte a due mostri capitalistici: la borghesia iraniana e
il suo regime da un lato, e i governi di Israele, degli Stati Uniti e
dell’Unione Europea dall’altro. Nonostante il loro conflitto interno, entrambe
le parti impongono la stessa brutalità genocida. Sia dall’alto che dal basso –
in quelli che sono tutti gli aspetti della vita – veniamo schiacciati dalla
violenta macchina del capitale, che sia iraniano, israeliano, americano o
europeo.
3 Questa guerra non viene condotta tra “Stati”, essa viene condotta contro di
noi. Decine di milioni di lavoratori ne sopportano il peso: sfollamento,
senzatetto, fame, carestia, mancanza di acqua, di medicine, di cure, e morte di
massa. Le nostre case vengono bombardate, i nostri cari giacciono insepolti, e
il futuro dei nostri figli è incerto. A Teheran, Kermanshah, Isfahan e altrove,
il costo della guerra è immenso. Tutte queste condizioni ci impongono di agire
collettivamente, a livello nazionale e con un’organizzazione cosciente e
consiliare. Questo non è uno slogan. È una questione di sopravvivenza. Dobbiamo
unirci dove viviamo e dove lavoriamo – fabbriche, scuole, ospedali, porti,
quartieri – per formare consigli. Questi consigli non dovrebbero essere isolati
o locali; ma devono crescere in un movimento nazionale, capace di mobilitare
tutte le risorse per poter soddisfare i bisogni urgenti: cibo, sicurezza,
assistenza sanitaria, alloggio, istruzione. Questi consigli devono riunirsi,
evolversi fino a diventare una forza anticapitalista unificata, e strappare
dalle mani della classe capitalista e del suo Stato il controllo della
produzione, della ricchezza e delle infrastrutture. Proclamiamo al mondo che:
noi vediamo tutte le classi dominanti – israeliane, islamiche, americane,
europee – come i nemici genocidi della classe operaia. Chiediamo ai lavoratori
di tutto il mondo solidarietà e sostegno.
Lavoratori anticapitalisti (Iran)
17 Giugno 2025
Riceviamo e diffondiamo:
Per me la resistenza palestinese non ha il solo merito di non demordere anche
davanti alla più brutale delle oppressioni, svelandoci la forza di un popolo
fiero che si oppone alle cause della sua miseria, ma ha anche quello di aver
contagiato centinaia di migliaia di persone in tutto il pianeta, dando vita ad
una mobilitazione internazionale dalle varie forme ed espressioni. Per chi, come
me, è cresciuto nel nuovo millennio, gli esempi simili scarseggiano.
A fianco, una situazione geopolitica angosciante, tra conflitti aperti, continui
sconvolgimenti e l’opzione di una guerra nucleare dietro l’angolo.
E così inizia a scricchiolare anche il nostro privilegio europeo, gradualmente
fiaccato da un costo della vita sempre più proibitivo, mentre ci si consola con
l’idea, sbiadita anch’essa, che “tanto qui le bombe non arriveranno mai”.
Anche qui, nello Stato italiano (sotto il quale siamo costretti a vivere pur
essendo sardi) il quadro non è meno preoccupante. Se da un lato le condizioni
della vita peggiorano e i nostri territori sono sempre più esposti alla
predazione delle multinazionali (energetiche, di estrazione di materiali e così
via) dall’altro le porte del carcere si aprono sempre più facilmente per chi
decide di organizzarsi ed opporsi.
La Sardegna ne è esempio lampante: alta disoccupazione, stipendi da fame, scarsa
assistenza sanitaria. Ad aumentare sono solo i progetti di estrattivismo
energetico, gli aerei militari sulle nostre teste e le sezioni speciali nelle
prigioni. E non dimentichiamoci che cosa significa, in un periodo di conflitto
come quello che stiamo attraversando, vivere circondati da basi militari. Non
solo per l’intensificarsi delle attività, e questi ultimi giorni ne sono una
conferma, ma anche per la consapevolezza di essere sempre un “buon bersaglio”.
Io, che attualmente mi trovo agli arresti domiciliari per aver partecipato ad un
corteo a Cagliari in solidarietà al popolo palestinese e contro l’occupazione
militare in Sardegna, sono accusato proprio di alcuni dei reati (resistenza,
lesioni e minacce a pubblico ufficiale) per i quali il decreto sicurezza prevede
un aumento delle pene. Una sorte che temo toccherà a tanti e tante. Una sorte
inevitabile per chi decide di non tacere davanti ai soprusi e alle imposizioni.
Mando un saluto a Tarek, con il quale ho orgogliosamente condiviso la piazza del
5 ottobre a Roma, ad Anan, Alì e Mansour, che sulla loro pelle pagano il prezzo
del servilismo italiano nei confronti dello Stato d’Israele e a tutti i giovani
e le giovani che in giro per il mondo rischiano la propria libertà, per la
libertà del popolo palestinese e per una vita diversa.
E un abbraccio fraterno a Paolo Todde, rinchiuso nel carcere di Uta (Cagliari),
in sciopero della fame dall’8 maggio per protestare contro le condizioni
detentive.Sempri ainnantis
Sardinnia libera
Palestina libera
Casteddu, 23 giugno 2025
Luca
Riceviamo e diffondiamo:
Anan Alì Manosour 25, 26, 27 giugno
Riceviamo e diffondiamo:
Qui il pdf: iran israele definitivo-1
FIN QUANDO CI SARA’ UNO STATO NON CI SARA’ MAI PACE
Presa di posizione dell’assemblea “Sabotiamo la guerra” sulla guerra
Israele-Iran
L’attacco sferrato da Israele all’Iran la notte tra il 12 e il 13 giugno
rappresenta una svolta drammatica verso la mondializzazione della guerra. Dopo
oltre tre anni di guerra tra NATO e Federazione Russia in Ucraina, dopo due anni
di genocidio in corso a Gaza, le forti tensioni in Asia Occidentale sfociano in
una nuova guerra fra potenze regionali, entrambe in possesso di armi altamente
tecnologiche, entrambe dotate di una industria nucleare, e che si è
immediatamente aperta con uno spregiudicato quanto criminale attacco proprio
contro le strutture nucleari iraniane.
Da una parte, vi è l’Iran che non dispone di armi atomiche né esistono prove che
le stia costruendo e che si sottopone ai controlli delle agenzie internazionali.
Dall’altra, Israele, che possiede armi atomiche senza dichiararle, non rispetta
trattati né accetta controlli e compie abitualmente attacchi militari senza
porsi alcun limite etico.
Se il diritto internazionale e le organizzazioni che lo rappresentano hanno
avuto la funzione di garantire l’ordine mondiale, cioè precisi rapporti di forza
e di dominio tra gli Stati, oggi, il fatto che vengano messi in discussione, in
primis da Israele e dagli Stati uniti, è un chiaro segnale della crisi globale,
della rottura dei precedenti equilibri e di ritorno alla guerra come mezzo di
risoluzione delle rivalità interstatali.
L’Iran è stato attaccato poco dopo essersi sottoposto a controlli dei suoi
impianti nucleari e durante le trattative con gli Stati Uniti in merito
all’arricchimento dell’uranio. Risulta evidente l’intento di Israele di fare
fallire le trattative e ogni ipotesi di risoluzione politica dei dissidi.
I Paesi alleati hanno immediatamente operato per respingere il contrattacco
iraniano, abbattendo decine di razzi e droni, mentre si corre il serio pericolo
di una partecipazione diretta dei Paesi occidentali (a partire dagli USA) nei
bombardamenti. Il che rappresenterebbe un’ulteriore drammatica precipitazione
della crisi.
Gli Stati Uniti negli ultimi trent’anni hanno condotto la cosiddetta “guerra
infinita”, una serie ininterrotta di guerre, attacchi militari e operazioni di
destabilizzazione (dall’attacco all’Iraq al cambio di regime in Siria).
Attualmente i loro obiettivi si espandono su diversi fronti: quello Russo,
quello dell’intera Asia Occidentale e, in prospettiva, quello
dell’Indo-Pacifico. I conflitti in corso si stanno estendendo e ne nascono di
nuovi, in una tendenza verso la guerra mondiale che allo stato dell’arte appare
inarrestabile. Sullo sfondo si profilano tensioni sia politiche che militari fra
gli Stati Uniti e la Cina.
Nel mentre, all’interno dei Paesi occidentali e in particolar modo proprio
all’interno della potenza dominante nordamericana, sono in corso gravissime
crisi sociali che talvolta sembrano assumere i connotati della guerra civile.
Sappiamo che storicamente gli Stati risolvono le loro più gravi crisi interne
con la guerra.
Tornando alle vicende di questi giorni. La responsabilità di questa nuova e
gravissima esclation risiede nell’iniziativa criminale dello Stato di Israele.
Un’entità fondata sul colonialismo di insediamento, sul suprematismo razzista,
sul fanatismo religioso, sulla militarizzazione della società, avanguardia nelle
tecnologie di controllo e nella sua sperimentazione sulla popolazione
palestinese colonizzata, deportata e sterminata. Nell’azione del 7 ottobre 2023,
fra le varie contraddizioni che ha aperto, c’è sicuramente quella di aver
smascherato il vero volto di questa entità. Israele sta mettendo in atto un
genocidio, ma non riesce a sconfiggere la resistenza di un popolo,
contraddizione che prova a sublimare rilanciando con sempre nuove avventure:
dall’invasione del Libano alle innumerevoli provocazioni anche a carattere
terroristico, fino agli eventi di venerdì notte.
Bisogna quindi ribadire con forza che a Gaza è in corso un genocidio: dobbiamo
fare in modo che questa nuova guerra non serva a nasconderne il compimento.
Israele è, da un lato, la punta di lancia dell’imperialismo occidentale e
l’attore che da decenni svolge il lavoro sporco per conto degli Stati Uniti e
dell’Europa; contemporaneamente, però, la sua leadership politica fuori
controllo è in grado di condizionare a suo vantaggio le politiche delle potenze
occidentali. I nostri governanti sono pienamente corresponsabili delle atrocità
commesse da Israele, senza il sostegno di queste potenze Israele non potrebbe
condurre le proprie avventure militari e forse nemmeno sopravvivere.
L’opposizione intransigente al progetto sionista non ci porta però a sostenere
la repubblica islamica dell’Iran. Una potenza regionale, con una oligarchia di
petrolieri e un’industria, anche militare, molto sviluppata. Non parliamo
“semplicemente” di un’odiosa teocrazia, che tortura e impicca gli oppositori e
opprime in particolar modo le donne, elemento che ama sottolineare la propaganda
liberale occidentale. Parliamo di un regime che mette il suo potere oscurantista
al servizio della propria borghesia per reprimere nel terrore le lavoratrici e i
lavoratori.
Si pensi, per fare un esempio fra i tantissimi che potremmo citare – che in
qualche modo ci parla tanto della misoginia quanto del classismo all’interno del
regime – al caso della sindacalista Sharifeh Mohammadi, condannata a morte per
la sua attività di coordinamento con gli scioperi radicali che sempre più spesso
negli ultimi anni hanno attraversato il Paese.
Dal 2005 oltre 500 sindacalisti sono stati arrestati, imprigionati, o in alcuni
casi condannati a morte ed espulsi per aver creato un’organizzazione sindacale
indipendente e per aver svolto attività sindacali nel quadro degli accordi e
degli standard internazionali sul lavoro.
In una guerra fra tali odiosi regimi, gli unici eroi sono i disertori.
Come anarchici e rivoluzionari ci auguriamo la caduta del governo teocratico
iraniano, un regime oppressivo che è sorto soffocando nel sangue una generazione
di compagni rivoluzionari. Allo stesso tempo sappiamo che un regime deve cadere
sotto i colpi dell’insurrezione autenticamente popolare, mentre i cambi di
regime progettati e attuati dai capitalisti occidentali, come la storia recente
insegna, non fanno che sostituire un oppressore con un oppressore ancora più
feroce e asservito alle potenze straniere, trasformando interi paesi in inferni
sulla terra. Tenendo presente tutto ciò, invitiamo tutti i rivoluzionari e le
persone di buona volontà a guardare con gli occhi ben aperti a un possibile
sommovimento in Iran (che è al momento il principale obiettivo strategico di
Israele), stando ben attenti a distinguere il grano dal loglio e a non abboccare
a quelle false flag che sono da oltre un decennio le principali armi del soft
power occidentale per corrompere e cooptare il dissenso, portandolo sul terreno
altamente compatibile dei “diritti” liberali. In ogni caso, se anche si
producesse un autentico moto di classe (non impossibile in un Paese in cui gli
ayatollah sono andati al potere incarcerando e impiccando i rivoluzionari),
questo non dovrebbe spostare di un millimetro la nostra opposizione
intransigente al Sistema-Israele e a tutto l’imperialismo occidentale che lo
nutre.
In generale, in una guerra tra Stati, tanto più se questi sono potenze regionali
con importanti alleati internazionali, gli oppressi non hanno alleati né amici
tra i governanti, ma sono solo carne da cannone per le loro sporche guerre.
Convinti che fin quando ci sarà uno Stato non ci sarà mai pace, la nostra
posizione rimane quella internazionalista: contro ogni Stato, a partire dal
nostro. Quindi, dal nostro lato del fronte, non vogliamo sottacere le
responsabilità del governo e dei padroni italiani, che hanno le mani sporche del
sangue palestinese. Non possiamo dimenticare che la marina militare italiana
dirige l’operazione Aspide, coordinando una coalizione a cui partecipano sette
Paesi dell’Unione Europea: il compito di questa missione è contrastare l’azione
yemenita che, attaccando le navi, è riuscita a lungo a bloccare un’importante
via di comunicazione commerciale e a recare un fortissimo danno all’economia
mondiale, mettendo in atto una delle più efficaci forme di sostegno e
solidarietà alla popolazione di Gaza.
Il governo italiano offre a Israele un appoggio politico incondizionato.
L’esercito italiano e quello israeliano sono sempre più integrati, i militari si
addestrano reciprocamente, l’industria bellica italiana è il terzo esportatore
verso Israele (dopo Stati Uniti e Germania), mentre l’Italia compra dall’alleato
sionista sistemi d’arma ad alta tecnologia. Finanche le amenità del Bel Paese
sono uno dei luoghi prescelti da Israele per la “decompressione” dei propri
militari dopo i combattimenti.
I servizi segreti italiani condividono informazioni e tecnologie con gli
apparati israeliani, come dimostra da ultimo il caso Paragon. Non dimentichiamo
peraltro come la magistratura italiana sia schierata a supporto della
repressione israeliana. Come dimostra lo scandaloso processo in corso all’Aquila
contro Annan Yaeesh che vorrebbe far passare la resistenza armata palestinese,
legittima anche per il diritto internazionale, per terrorismo. L’Italia supporta
la logistica militare di Israele, come avviene con l’approdo nei porti italiani,
ad esempio delle navi ZIM, e la ricerca tecnologica finalizzata alla supremazia
militare, come avviene in numerosi atenei.
Ormai nei mezzi di comunicazione di massa italiani è quasi impossibile ricevere
informazioni che non siano sfacciata propaganda di guerra. Questi mezzi di
comunicazione sono parte integrante della macchina bellica, affermazione che è
rafforzata dalla considerazione che nell’attuale strategia di guerra occidentale
sempre più frequentemente lo spettacolo determina le scelte sul campo.
Nonostante una propaganda martellante gli sfruttati sono generalmente contrari
alla guerra, in particolare il genocidio di Gaza ha profondamente scosso
l’opinione pubblica; ma non basta una ribellione delle coscienze. Peraltro la
classi più povere delle società occidentali stanno già pagando a caro prezzo il
costo della guerra: dall’inflazione alla repressione. Di recente, il capo della
NATO Rutte ha affermato che se gli europei non vogliono tagliare la loro spesa
sanitaria a favore di quella militare (l’obiettivo dichiarato è di raggiungere
il 5% del PIL!) allora dovranno imparare a parlare russo. D’altro canto, le
politiche repressive sempre più efferate dei nostri governanti, di cui il
pacchetto sicurezza di recente approvazione (dove si reprimono i blocchi
stradali, i picchetti sindacali, le proteste in carcere, anche in forma
pacifica, e si introduce il cosiddetto “terrorismo della parola”) è soltanto il
più recente e probabilmente non definitivo approdo, vanno lette a tutti gli
effetti come delle vere e proprie politiche di guerra, anche alla luce di quelle
tensioni sociali di cui si faceva cenno.
Nei prossimi mesi sarà importante per anarchici e solidali saper collegare la
resistenza contro questa offensiva (così come la solidarietà con i nostri
compagni in varie forme perseguitati) alla lotta complessiva contro la guerra,
di cui queste operazioni sono la manifestazione sul fronte interno.
La propaganda sempre più faziosa e pervasiva, il cablaggio tecnologico delle
facoltà critiche, le sconfitte storiche del movimento operaio, una certa
predilezione per l’autoisolamento da parte delle minoranze agenti, al momento
pesano sul senso di impotenza e rassegnazione. Lo stesso livello tecnologico
della guerra guerreggiata – si pensi al confronto aeronautico e balistico tra
Israele e Iran, per non parlare delle tecnologie messe in campo da NATO e Russia
in Ucraina – spinge verso un sentimento di ineluttabilità, nell’impossibilità
per le umane forze degli sfruttati di fare qualcosa per fermarli. Eppure la
variante umana e di classe è determinante.
Sono le braccia dei portuali a caricare le armi sulle navi dirette a Israele:
quelle braccia, come ci hanno mostrato in Marocco, a Marsiglia, a Genova,
possono decidere di fermarsi. Sono i corpi dei proletari russi e ucraini a
venire gettati nelle trincee, a massacrarsi vicendevolmente per gli interessi
delle classi dirigenti russe e statunitensi (mentre Putin e Trump dialogano
amabilmente al telefono); eppure quei corpi possono disertare, e lo fanno a
decine di migliaia.
La resistenza armata del popolo palestinese, che non ha amici tra le grandi
potenze, riesce con la propria volontà e la propria azione ad opporsi ad una
delle più terribili e avanzate macchine belliche presenti sula terra. Israele ha
un dominio tecnologico esorbitante, eppure vediamo come i combattenti
palestinesi riciclano le bombe inesplose del nemico per farne degli ordigni
artigianali. La fantasia degli oppressi non conosce confini. E gli oppressi,
come diceva Errico Malatesta, sono sempre in condizione di legittima difesa, i
mezzi da adoperare, purché coerenti con i fini dell’uguaglianza e della libertà
per tutti gli esseri umani, sono solo una questione d’opportunità.
Dal nostro lato dei molteplici fronti, lottiamo per la disfatta del nostro
campo: per la sconfitta della NATO, per la distruzione del sionismo.
Trasformiamo la guerra dei padroni in guerra contro i padroni!
Assemblea “Sabotiamo la guerra”
Non c’è pace per il rettore dell’Università di Trento, Flavio Deflorian. Dopo
che l’Assemblea trentina in solidarietà alla resistenza palestinese è andata a
cantargliele chiare sulle sue false dichiarazioni in merito all’interruzione dei
rapporti con le università israeliane, una chiara denuncia arriva adesso
direttamente da docenti e ricercatori della stessa università: l’ateneo di
Trento collabora, all’interno di un progetto chiamato “Truman”, con la divisione
israeliana di IBM (IBM! L’azienda che ieri forniva le sue schede perforate per i
lager nazisti, e che adesso fornisce i suoi sistemi informatici allo Stato
genocida d’Israele!).
Qui le puntate precedenti:
https://ilrovescio.info/2025/06/04/trento-lo-sciopero-per-la-palestina-stana-il-magnifico-rettore-deflorian/
https://ilrovescio.info/2025/06/11/luniversita-trentina-e-la-guerra-giu-la-maschera-deflorian/
Qui un articolo tratto da un giornale locale su quest’ultima vicenda, contenente
svariate informazioni sul ruolo di IBM nell’apartheid e nel genocidio dei
palestinesi:
https://www.iltquotidiano.it/articoli/nuova-collaborazione-tra-luniversita-di-trento-e-unazienda-israeliana-scoppia-la-polemica/
Qui un testo dell’Assemblea in solidarietà alla resistenza palestinese di
Trento, aggiornato a quest’ultima “scoperta”:
DEFLORIAN PARLA MA TACE SULLE COLLABORAZIONI IN CORSO
A quasi due anni dal suo inizio, l’enormità del genocidio a Gaza è diventata
innegabile.
In questo frangente rompe il silenzio dietro cui si era trincerato il rettore
dell’Università di Trento, Flavio Deflorian.
Con un editoriale per il giornale online Unitrento Mag, sulla spinta del
partecipato corteo arrivato sotto al Rettorato il 30 aprile in occasione dello
sciopero provinciale contro il genocidio, Deflorian smentisce categoricamente le
accuse mosse a lui e all’Ateneo di complicità col genocidio («aberranti
calunnie»).
Al contrario ci informa che l’Ateneo è «per la Palestina» e che «ha cercato di
sostenere concretamente il popolo palestinese».
In che modo? Fornendo «supporto alla didattica universitaria da remoto»,
ovviamente «finché è stato possibile», istituendo un dottorato sui “Peace
Studies” e promuovendo «incontri sul tema della pace».
Le collaborazioni con le «istituzioni di ricerca e formazione israeliane»,
continua Deflorian, sono al momento inattive, anche se lui spera di «poter[le]
riprendere in futuro».
E in ogni caso ci rassicura, si è sempre trattato di «collaborazione culturale e
scientifica su temi di pace».
Probabilmente Deflorian, così preso dagli impegni del suo ruolo, saranno
sfuggite alcune di queste collaborazioni.
Facile scordarsi di un progetto dal nome “Safe U-Comm”, per lo sviluppo di
comunicazioni subacque in ambito militare, portato avanti da ricercatori Italia,
Canada, Regno Unito e per l’appunto Israele, con il supporto della NATO.
Un progetto che ha visto coinvolto per Trento il Manta Lab del Disi
(Dipartimento di Ingegneria e Scienze dell’Informazione) e che si è concluso nel
2024, nel pieno dei bombardamenti su Gaza.
Uno dei sei progetti che vedono coinvolte istituzioni trentine di cui si trova
traccia nel portale dell’Università di Haifa.
Ma si potrebbe dire che il passato è passato, bisogna guardare all’oggi e al
futuro.
E guarda un po’, oggi il professor Paolo Casari del Disi che si occupava di
“Safe-U-Comm” dirige un altro progetto, SHIELD, sempre sulla sicurezza militare
delle comunicazioni sottomarine, sempre coi finanziamenti NATO, questa volta con
la partecipazione di cinque paesi: Italia, Canada, Regno Unito, Croazia e…
Israele!
Un progetto quello di SHIELD iniziato a marzo 2025 e che si concluderà nel
febbraio 2028 (un informazione visibile ad oggi sul sito del Manta Lab).
Mentre inizierà il 1° luglio un altro progetto che coinvolge il Disi: TRUMAN,
legato allo sviluppo dell’IA, di cui è responsabile Fausto Giunchiglia e che ha
tra i partner IBM Israel.
La presenza di IBM Israel, che fornisce tecnologie di schedatura funzionali al
controllo dei palestinesi e collabora attraverso una sussidiaria con l’esercito
israeliano, ha fatto sì che stia circolando tra i dipendenti di Unitn una
raccolta firme per chiedere lo stop al progetto.
Deflorian lo ha detto anche a Casari e a Giunchiglia che non ci sono
collaborazioni tra Unitn e l’accademia israeliana?
Anche questi progetti rientrano nei «temi di pace» di cui scrive Deflorian?
Ma, lasciando stare i singoli progetti – di cui evidentemente il rettore non è
informato – ci sono vari dati di fatto che consolidano l’immagine
dell’Università come “luogo di guerra”, su cui Deflorian elegantemente sorvola
nel suo editoriale.
Non solamente la sua personale partecipazione a MedOr, fondazione “culturale” di
Leonardo, da cui è uscito in sordina proprio dopo le proteste.
Si tratta più in generale della presenza dentro l’Ateneo di Leonardo stessa e di
altre aziende belliche (Iveco Defence, Fincantieri…). Aziende che finanziano e
partecipano ai programmi di dottorato, che presenziano agli eventi di
orientamento post-laurea come il Career Fair, che sponsorizzano il Festival
dell’Economia co-organizzato da Unitn.
Contro questa presenza ci sono stati negli ultimi anni presidii, cortei,
scioperi e anche due occupazioni dell’università.
Un’opposizione portata avanti da più realtà, da tutti e tutte coloro che non
hanno voluto restare testimoni passivi di un genocidio e che come gesto concreto
hanno deciso di andare a puntare il dito sulle collaborazioni tra Occidente e
colonialismo d’insediamento israeliano.
Troppo comodo, come fa nel suo testo Deflorian, dire che lui e l’Ateneo sono
colpevoli al pari di tutti delle «tragedia» in atto: in questi due anni c’è
stata certamente «l’ignavia» di chi non ha fatto niente, ma soprattutto l’aperta
di complicità di chi ha continuato a fare quello che faceva prima e ha
ostacolato chi cercava invece di fare qualcosa.
Le istituzioni europee, italiane e trentine sono attori di questa tragedia nella
misura in cui hanno instaurato legami e continuano ad averne con il colonialismo
d’insediamento israeliano.
Se Unitn appende teli bianchi per coprire le proprie responsabilità, bisogna
invece continuare a scrivere nero su bianco sugli striscioni che Unitn continua
a essere complice di genocidio e un ateneo che va alla guerra.
Deflorian vuole che si smetta di associare il suo nome e quello dell’Università
di Trento al genocidio e alla guerra? Si adoperi allora per la cessazione
immediata di tutti i progetti e le collaborazioni tra Unitn e Israele, nonché
per l’uscita di tutte le aziende belliche dai dipartimenti, fornendone prove ben
più solide delle sue fumose dichiarazioni.
Mentre lo Stato israeliano annega nel sangue che ha versato e, attaccando
l’Iran, si adopera per arrivare a una guerra mondiale, riprendiamo con forza
l’opposizione alle collaborazioni trentine col genocidio e colla guerra, come
forma concreta di solidarietà alla resistenza palestinese e come opposizione al
riarmo!
16 giugno 2025
Assemblea di solidarietà con la resistenza palestinese
In pdf: Risposta a Deflorian RIVISTO
Riceviamo e diffondiamo:
Ieri, 10 giugno alcune persone sono entrate al rettorato dell’Università di
Trento, dove si stava svolgendo la riunione della Consulta d’Ateneo. Alla
presenza del rettore Deflorian e dei direttori di dipartimento è stato
letto il testo seguente:
Le relazioni tra UniTn e guerra