Riceviamo e diffondiamo:
Qui la locandina del corteo del 1° marzo a Venezia:
stampa venezia
Tag - Rompere le righe
Riceviamo e diffondiamo:
IL PESO DELLA SCELTA
Tiziana Lippiello, rettrice di Ca’ Foscari, si fa complice del genocidio del
popolo palestinese rimanendo in Med-Or, l’apparato accademico di Leonardo SPA,
la più grande azienda in Italia a produrre ed esportare armi. I suoi legami con
Israele sono noti, e i suoi affari si gonfiano allo scoppio di ogni guerra o
genocidio. La sua scelta di essere complice non dimettendosi da Med-Or è
pesante, macchiata dal sangue delle più di 50.000 persone uccise durante il
genocidio algoritmico che da oltre un anno ormai viene trasmesso in diretta.
Dimenticarci di questa scelta, e permettere che Lippiello si dimentichi delle
sue conseguenze e del peso morale, vorrebbe dire accettarla, e silenziare l’odio
che provoca in noi una tale infamia.
Non ci piace la politica del dolore e dei numeri, ma oggi, per comprendere la
gravità di quanto sta succedendo, un piccolo sforzo immaginativo può aiutare. Se
Israele avesse usato la sua furia genocidaria contro Venezia, ora non ci sarebbe
nemmeno un abitante, dal momento che son scesi sotto la soglia dei 50.000
qualche anno fa. Se siamo coerenti con quello che vediamo, sappiamo e sentiamo
di fronte all’orrore che Israele ha compiuto e continua a compiere, se diamo
peso alle nostre stesse parole di solidarietà, allora dobbiamo continuare a
mobilitarci, per provare ad inchiodare chi è complice alla sua complicità, chi
collabora al suo collaborazionismo. Se vogliamo capire chi fornisce soldi, armi,
tecnologie e appoggio politico ad Israele, la risposta non è difficile: gli
Stati Uniti e l’intero Occidente. La catena genocidaria passa per aziende
private, enti pubblici e di ricerca, fondazioni accademiche ed università. Gli
anelli più vicini a noi sono l’Università Ca’ Foscari e la stessa Leonardo SPA,
con uno dei suoi stabilimenti a Tessera, dove si produce morte, dietro
l’aeroporto Marco Polo. Se vogliamo dare dei nomi più specifici e meno generici:
“Fondazione per la scuola italiana” e “Fondazione per l’Italia”. Queste due
nuove fondazioni, entrambe con a capo Leonardo SPA, nate a giugno e dicembre
2024, raggruppano le varie aziende che si sono macchiate di complicità e che
hanno tratto profitto dal genocidio, come Fincantieri, Eni e ovviamente Leonardo
SPA. Queste stesse aziende collaborazioniste ora si uniscono in due fondazioni
dando vita ad un complesso
militare-tecnologico-industriale-energetico-accademico per mettersi alla testa
della ricerca universitaria da indirizzare verso il profitto e la guerra. Solo
tornando a mobilitarsi autonomamente nelle università, nei luoghi di lavoro,
nelle strade, sinceramente e radicalmente al fianco del popolo palestinese,
abbiamo una possibilità di arginare la morte che avanza.
Come ha affermato di recente lo scrittore palestinese Abdaljawad Omar, Gaza non
è solo una «rovina apocalittica», ma anche «un deliberato spettacolo di
crudeltà». Per milioni di oppressi, «ogni bambino sepolto, ogni famiglia
cancellata, ogni casa ridotta in macerie diventa un promemoria del loro posto in
un mondo che si rifiuta di fermare il massacro». Qui sta la nostra «bancarotta
morale». A meno di non spezzare la nostra disumana collaborazione. (da un
volantino dell’assemblea in solidarietà alla Palestina di Trento)
IL NEMICO SI AGGIORNA
Come c’era da aspettarsi, in questi mesi di solidarietà al popolo palestinese,
gli amici del genocidio non sono stati fermi. Forse grazie alle mobilitazioni
universitarie che hanno denunciato con precisione il suo ruolo di
collaborazionismo del genocidio, sicuramente per opportunismo e scaltrezza,
Med-Or non esiste più. Ha cambiato nome e struttura; ora si chiama “Fondazione
per l’Italia”, e al suo interno si trovano Cassa depositi e presiti, Enel, Eni,
Fs, Fincantieri, Poste Italiane, Snam e Terna. Il tutto sotto la direzione di
Leonardo SPA, che si è messa a capo anche della “Fondazione per la scuola
italiana”, composta da UniCredit, Banco BPM, Enel e Autostrade per l’Italia.
Il fine di quest’ultima è “raccogliere in sinergia con il Ministero
dell’Istruzione e del Merito 50 milioni di euro – fino al 2029 – da aziende,
privati e bandi” da investire “nei settori produttivi in cui si avverte con
maggiore evidenza il fabbisogno insoddisfatto di competenze professionali”.
Tradotto in lingua umana: aziende private finanziano l’istruzione pubblica per
renderla più competitiva, per poterne determinare l’indirizzo verso i propri
interessi. Vedendo chi compone questa fondazione, è chiaro che gli interessi non
sono altro che di guerra e di profitto.
Similmente la “Fondazione per l’Italia”: “si concentra su progetti che spaziano
da energia, infrastrutture, sicurezza, e alta formazione”, “si pone come punto
di raccordo per unire le competenze e le capacità dell’industria con il mondo
accademico, creando sinergie pubblico-private”, “strumento di studio, ricerca e
soft power italiano su scala internazionale”. A volte dicono tutto “loro”.
In questi ultimi mesi (giugno-dicembre) assistiamo alla costruzione di un
complesso militare-industriale-tecnologico-energetico-accademico, composto dalle
maggiori aziende compartecipate dallo Stato, il cui fine è quello di mettersi a
capo della ricerca accademica, ma non solo, per indirizzarla verso gli interessi
di guerra e capitalistici. Queste due fondazioni, come anche la “Fondazione
Leonardo” sono particolarmente interessate alla ricerca STEM, dal momento che i
nuovi dispositivi di controllo, sterminio, repressione e così via si basano su
un sempre più stretto rapporto tra tecnologie, scienze, ingegneria e matematica.
Chi studia e fa ricerca nel mondo STEM vedrà il proprio futuro accademico
definirsi in base agli interessi di queste aziende private, centrali nella
produzione bellica e nella “transizione ecologica”, il più luccicante modello
estrattivista di oggi: appare infatti evidente l’interesse di Terna ed Eni in
questo ambito. Per concretizzare questi passaggi di fase, basta leggere le
parole di Roberto Cingolani, l’amministratore delegato di Leonardo SPA, in una
recente intervista sul futuro dell’azienda. I due progetti più recenti sono la
costruzione di un nuovo carro armato basato sull’accordo Leonardo-Rheinmetall, e
il caccia stealth di ultima generazione, figlio del “Global Combat Air Program”.
Ed è proprio dalle sue parole che si può comprendere quanto la nascita e il
futuro ruolo di queste due nuove fondazioni è un affare di tutte e tutti. Non
solo per chi studia e lavora nella ricerca accademica e in particolar modo nelle
materie STEM; ma proprio perché questo nascente complesso di governo si vuole
mettere a capo della ricerca e della produzione, riguarda la vita di tutte le
persone.
Senza troppe speculazioni, “Fondazione per l’Italia” e “Fondazione per la Scuola
italiana” si propongono di far collaborare enti pubblici e privati nel campo
della ricerca accademica, della sicurezza e delle infrastrutture, per facilitare
la produzione bellica. Da qui nascono tecnologie volte a rendere la morte più
veloce, calcolata ed efficiente possibile.
Riceviamo da compagne e compagni di Milano e diffondiamo:
È impossibile non vederla intorno a noi: negli schermi di tv e cellulari, nelle
scuole, nei proclami dei governanti, la propaganda bellica si diffonde a macchia
d’olio in maniere più o meno velate.
Abbiamo scritto il testo che segue per tentare di far sentire una voce altra in
mezzo ai roboanti proclami di guerra. Una voce contro la guerra ora più che mai
necessaria.
LA GUERRA CHIAMA… NESSUNO RISPONDA
Qui il testo in pdf:
TESTO IMPAGINATO A4
A partire dal febbraio 2022 la guerra è tornata alle porte dell’Europa. Il
conflitto ancora in corso in Ucraina ha interessato non soltanto quello Stato e
la sua popolazione, ma anche tutti gli altri Stati membri della NATO che hanno
inviato finanziamenti, armi, munizioni e uomini (fino ad ora “solo” incaricati
di addestramento e formazione) al governo di Kiev.
Inoltre la situazione in Medioriente – il genocidio a Gaza, le ostilità fra
Israele e Hezbollah, gli attacchi degli Houti nel Mar Rosso e il riassestamento
politico in Siria – evidenziano quanto gli equilibri fra gli Stati siano sempre
più precari.
In questo scenario di guerra incombente e minacce nucleari, numerosi Stati
europei stanno cambiando le loro politiche militari e di sicurezza prevedendo un
allagamento del fronte del conflitto.
Ogni governo ribadisce la necessità di implementare la propria capacità militare
in termini di uomini e mezzi in vista di una escalation degli attuali conflitti
che potrebbero portare alla guerra guerreggiata in Europa.
Assistiamo quindi ad un incremento delle spese militari dei singoli Stati (anche
per raggiungere la quota del 2% del PIL imposta dalla NATO; l’Italia ad esempio
spenderà nel 2025 oltre 30 miliardi per il settore bellico: il 60% in più
rispetto a 10 anni fa) e della militarizzazione della società con ripristino
della leva militare in Lettonia e, in Germania, con l’introduzione di un
questionario obbligatorio per tutti i maschi diciottenni, in seguito al quale,
ogni anno saranno selezionate 5000 reclute con l’obiettivo di avere un esercito
“in grado di affrontare una guerra entro il 2029”.
Il ministro Crosetto nell’introduzione del Documento programmatico pluriennale
per la Difesa 2023-2025 dichiara che: “l’Italia non può più permettersi il lusso
di utilizzare il suo Strumento Militare prioritariamente nella conduzione di
operazioni e missioni per il mantenimento della pace e della stabilità
internazionale nonché in operazioni di concorso, con le altre amministrazioni
dello Stato, in particolari casi di straordinaria necessità e urgenza”. E indica
la volontà di creare una schiera di soldati riservisti come già esiste in alti
Paesi.
È evidente dunque come queste manovre e discorsi non siano dettati
dall’emergenzialità della situazione attuale, ma rappresentino un chiaro
progetto politico di riarmo e militarizzazione della nostra società.
Per raggiungere questo obiettivo sono necessari onerosi investimenti finanziari
e un’estesa opera di propaganda culturale e politica che orienti le coscienze
verso l’ineluttabilità e la normalizzazione della guerra e che esalti la figura
del militare.
Nessuna parte della società deve rimanere esclusa da questa propaganda,
soprattutto i militari di domani. Negli ultimi anni è dunque aumentata in
maniera massiccia la presenza delle forze armate e di polizia all’interno delle
scuole con lo scopo di reclutare nuovi agenti.
Sempre più numerose sono le gite scolastiche presso caserme, questure, fiere
d’armi e basi militari, da Ghedi (BS) a Sigonella (CT).
In una scuola dell’infanzia palermitana i bambini e le bambine hanno assistito,
in lacrime, ad una simulazione di arresto effettuata dalla Polizia Locale con
tanto di pistola caricata a salve. Giochi Preziosi ha lanciato sul mercato una
linea di materiale scolastico prodotto in collaborazione con l’Esercito (poi
ritirata).
Numerosi progetti di PCTO (percorsi per le competenze trasversali e
l’orientamento) rivolti agli/alle studenti delle scuole superiori sono svolti in
collaborazione con l’Esercito e le forze dell’Ordine. Anche Leonardo S.p.a., la
più importante azienda italiana di armamenti, ha avviato centinaia di
collaborazioni con scuole superiori ed università. A Roma ha anche fondato la
propria scuola, il Liceo Digitale, con “l’obiettivo di favorire il dialogo tra
le materie scientifiche, tecniche e umanistiche, fondamentali per garantire un
futuro sostenibile” in cui i docenti, come nelle università private, sono tutti
esterni e non approvati dal Miur.
All’Expo Training 2024 di Milano, nel completamento del PCTO, erano presenti
numerosi stand delle Forze dell’ordine che insegnavano agli studenti a
“manganellare i comunisti” ed esibivano manette mentre accanto, allo stand della
Polizia Penitenziaria, c’era la riproduzione di una cella in cui gli/le studenti
potevano entrare.
Anche le Università non sono esenti da queste intrusioni, anzi.
Parlando degli atenei milanesi, presso l’università Bicocca troviamo alcuni
corsi dove, nell’ambito dell’aggiornamento professionale, i carabinieri seguono
le lezioni assieme agli/alle studenti; nelle facoltà di scienze politiche della
Statale e della Cattolica l’operazione Mare Aperto in collaborazione con
l’esercito italiano, prevede la presenza di studenti e docenti accompagnatori su
una nave della marina militare in qualità di Legal and Political Advisors cioè
dei “consulenti” legali e politici per le decisioni del comando militare; la
collaborazione del Politecnico con l’aeronautica militare, attraverso PAFAM
(Pianificazione Avanzata della Flotta AM), si “pone l’obiettivo di ottimizzare
le catene logistiche di manutenzione delle linee volo grazie ai più moderni
sistemi di elaborazione e alla piattaforma di super-calcolo dell’Aeronautica
Militare”.
Sempre dal mondo accademico provengono alcuni professionisti facenti parte del
neo-istituito “Comitato per lo sviluppo e la valorizzazione della cultura della
Difesa” in cui si riuniscono mondo giornalistico, militare, accademico ed
industriale per istituire una collaborazione via via crescente fra questi
settori.
La scuola deve preparare una generazione intera per combattere le guerre di
domani e gli sforzi dei governi (soprattutto l’ultimo) in questa direzione sono
notevoli.
Ce ne accorgiamo anche quando utilizziamo i Social Network. Scrollando i reels
su Instagram non è difficile incappare in video pubblicati dalle varie pagine di
polizia o carabinieri che non vengono più mostrati come gli agenti sorridenti e
rassicuranti da fiction italiana che proteggono gli anziani dalle truffe,
salvano gli animali abbandonati in autostrada o riportano un bimbo smarrito alla
sua mamma disperata. Al loro posto ci sono i reparti speciali, armati ed
equipaggiati di tutto punto, impegnati in operazioni spettacolari,
tecnologicamente all’avanguardia, con irruzioni, esplosioni e altri scenari
estremi. Reels realizzati con notevole impegno, pieni di transizioni e con
musica trap in sottofondo.
Questo cambiamento appare come un tentativo di rendersi accattivanti agli occhi
delle generazioni più giovani seguendo i trend dei social e mostrando un
immaginario da gangster.
Lo Stato promuove il proprio braccio armato esaltandone la violenza che è
l’unica legittima e legittimata in questa società.
Se abbiamo voluto in questo testo riportare gli esempi scritti sopra è per
cercare di avere una visione completa delle strategie che lo Stato sta attuando
per abituarci poco a poco ad una militarizzazione sempre maggiore della società
in cui viviamo e perché sappiamo qual è il suo fine.
Infatti se non ci sconvolgeranno più gli annunci radiofonici e televisivi che ci
invitano ad arruolarci in questo o quel corpo di aguzzini, se normalizzeremo la
presenza dei militari o altre forze dell’ordine in ambienti da cui erano
esclusi, se ci faremo abbagliare dalla retorica della Patria e della sua difesa
che infesta le scuole e i giornali; allora domani saremo anche pronti a
combattere per questa patria infame.
Ed è questo che lo Stato sta preparando: una popolazione pronta a dire
“Signorsì”. Eppure, nonostante gli sforzi del Governo per far apparire
inevitabile – o addirittura desiderabile – combattere, sappiamo bene che cosa
significhi la guerra anche se, alle nostre latitudini, in questi tempi, ancora
non l’abbiamo vissuta.
Lo vediamo quotidianamente.
Nelle immagini di città e interi Paesi devastati dai bombardamenti e dalle
carestie e malattie che li seguono.
Nelle liste infinite delle persone morte nei luoghi in cui si combattono le
guerre (si stima che nel solo conflitto russo-ucraino ci siano state circa 1
milione di vittime, nonostante le reticenze di entrambi gli Stati a diffondere
dati ufficiali).
Nelle atrocità commesse dagli eserciti con l’aiuto di armi sempre più “precise”
e “tecnologicamente avanzate”. Quelle che a Gaza, ad esempio, hanno fatto più di
45000 morti, di cui il 70% rappresentato da donne e bambini: la precisione di un
genocidio.
Ci raccontano cos’è la guerra le centinaia di migliaia di disertori che sono
scappati dal fronte in Russia e in Ucraina e le altre migliaia di persone
renitenti alla leva militare che si nascondono per non andare a combattere
perché le sirene dei nazionalismi e delle “guerre giuste” ormai non abbagliano
più nessuno.
E se i Governi vogliono che ce ne dimentichiamo e restiamo obbedienti mentre la
situazione intorno a noi precipita, sappiamo invece quale risposta dare.
Non ci vogliamo abituare a questo clima di controllo e militarizzazione; non
vogliamo andare a combattere le guerre degli Stati, ma gli Stati che le portano
avanti affinché questo mondo infine possa realmente cambiare e le devastazioni
che la guerra porta con sé finire.
Per cui se servirà del sangue ad ogni costo
Andate a dare il vostro,
se vi divertirà.
E dica pure ai suoi se vogliono arrestarmi
che possono spararmi,
io mi difenderò.
Riceviamo e diffondiamo:
È nella continuità tra pace capitalista e guerra guerreggiata che va compresa
l’importanza di difendere la possibilità dell’umano gesto di rifiuto. La guerra
è qui ed è ovunque, non solo perché il treno o la nave di passaggio nei luoghi
in cui viviamo possono trasportare merci tra cui armi e munizioni, la ricerca
scientifica che si produce in Università è al servizio della guerra, ma anche
perché un dispositivo funzionale a profilarci in quanto “consumatori” o
“cittadini”, può servire a sorvegliarci e, all’occorrenza, metterci al bando o
puntarci addosso un missile.
Il rifiuto popolare della guerra, tuttavia, è grande, la forza sta nelle mani e
nel cuore di ciascuno di noi. Per questo gli Stati cercano di serrare i ranghi
della popolazione. Prendendo esempio dalle decine di atti di diserzione e
rivolta che avvengono sul fronte della guerra guerreggiata in Ucraina, che cosa
può significare disertare qui, nelle retrovie, tra noi che non siamo
direttamente chiamati alle armi?
Riceviamo e diffondiamo:
VENEZIA E LA GUERRA
Dall’università Ca Foscari allo stabilimento di Leonardo S.P.A. a Tessera, le
lotte contro la guerra a Venezia.
Ne discutiamo con SUMUD, collettivo universitario attivo a Venezia dal 2022.
Partendo da due opuscoli redatti dal collettivo, discuteremo dei legami tra
università e guerra e di come lottare per fermarli, nella prima smart city
italiana a pagamento.
venerdì 7 febbraio 2025 ore 20,30
Sala civica “Gabriella Malgarini Zenini”, via seminario 39 LECCO
Riceviamo e diffondiamo:
CATANIA- L.U.P.O
SABOTARE/DISERTARE
CONTRO GUERRA E GENOCIDIO COMPLICI CON I DISERTORI DI TUTTO IL MONDO
Cosa fare contro la progressiva militarizzazione delle nostre città?
Cosa fare contro un genocidio avvenuto in diretta social con l’aiuto di tutto
l’Occidente?
Come supportare la diserzione ed entrare in complicità con i disertori di ogni
Paese?
Le forme di governo “democratico” e le basi del diritto internazionale che le
hanno supportate, dal
secondo dopoguerra in occidente, stanno collassando sotto i colpi delle
eccezioni e delle emergenze.
La trasformazione sistemica in atto non sarà silenziosa e indolore, ma si sta
già esprimendo attraverso il crescente bellicismo.
Ne parliamo alla L.U.P.O. insieme a realtà e soggettività che hanno approfondito
le tematiche di guerra, diserzione e militarizzazione dei territori.
Dal ponte sullo Stretto alla Striscia di Gaza, dalla nuova finanziaria al
disegno di legge sicurezza, impossibile ignorare che: LA GUERRA È QUI, IMPARIAMO
A SABOTARLA!
Riceviamo e diffondiamo:
27 GENNAIO, TORINO.
Sulla Mole e sui palazzi limitrofi sono comparse alcune scritte:
AGGIORNIAMO LA MEMORIA – IL GENOCIDIO È ORA – PALESTINA LIBERA
CONTRO LA GUERRA E LO STATO DI POLIZIA – NO DDL SICUREZZA – NO ZONE ROSSE
video qui: https://t.me/campiselvaggi/333
Riceviamo e diffondiamo:
GROSSO GUAIO AL CINEMA L’AQUILA
A distanza di settimane dalle manifestazioni in solidarietà con il popolo
palestinese e la sua resistenza e contro il genocidio attuato da Israele del 5
ottobre e 30 novembre 2024 a Roma, ci prendiamo la briga di documentare e
analizzare l’attività politica che ha fatto da contorno a queste iniziative.
Molte cose sono accadute nelle assemblee organizzative di quelle giornate e non
a tutti sono risultate chiare.
Va però detto che in rete sono apparsi numerosi comunicati e documenti che
chiariscono le vicende a chi volesse farsene un quadro chiaro. A partire da
quegli scritti e dalla nostra partecipazione diretta agli eventi abbiamo scritto
questo testo e lo abbiamo fatto perché riteniamo che non solo sia importante
fare luce su quanto avvenuto, ma soprattutto che quella “querelle” politica avrà
delle ripercussioni in futuro, sia per quanto riguarda la lotta a sostegno della
Palestina, sia per quanto riguarda le dinamiche interne al movimento antagonista
italiano.
Il preludio alle dinamiche politiche palesemente manifestatesi in seguito si è
potuto scorgere fin dagli albori delle iniziative in sostegno alla fase di lotta
apertasi con l’azione della resistenza palestinese del 7 ottobre.
A Roma, dove vanno segnalate alcune manifestazioni ben riuscite per quanto
riguarda la partecipazione, le iniziative – per la maggior parte presidi – sono
state tutte volutamente tenute ad un livello di mera testimonianza pacifica,
evidentemente mai adeguato alla gravità della aggressione contro cui resisteva
la popolazione di Gaza.
Un esempio riguarda il 28 gennaio 2024 a piazza Vittorio, in una giornata in cui
era stato vietato il corteo su pressione della comunità ebraica, e in cui gli
organizzatori si sono opposti a che si tentasse di forzare i blocchi che
circondavano il presidio, come invece i manifestati avevano provato a fare in
una situazione analoga il giorno precedente a Milano.
Un altro esempio riguarda la mobilitazione all’università della Sapienza, in cui
al pari di numerosi altri atenei, gli studenti si sono attivati per bloccare la
ricerca in ambito militare, denunciando la complicità delle istituzioni
universitarie con lo Stato di Israele.
Dopo una prima effervescente fase, una parte degli universitari, ha poso la
questione di come l’intervento del movimento, all’interno dell’assemblea della
Sapienza, abbia avuto “la funzione di recuperare e pacificare, ricomponendo
quell’argine che si era rotto due giorni prima” (Il lato del torto. Sulle
contestazioni alla Sapienza – il Rovescio).
Ma l’esplosione del vero e proprio bubbone politico, di cui si poteva presagire
l’esistenza, è avvenuto a partire dal settembre scorso ed ha avuto come nodo
centrale il corteo del 5 ottobre, la cui chiamata titolava
“PALESTINA LIBERA MANIFESTAZIONE NAZIONALE 5 OTTOBRE PIRAMIDE” ed era promosso
da UDAP, GPI, Api e Comunità Palestinese d’Italia
(https://pungolorosso.com/2024/09/21/5-ottobre-manifestazione-nazionale-per-la-palestina-a-roma-gpi-api-udap-comunita-palestinese-ditalia/).
La chiamata di questo corteo tra i vari punti poneva il “supporto incondizionato
alla resistenza palestinese” e “Palestina libera dal fiume al mare”.
Prima di arrivare a questa giornata di lotta abbiamo notato l’inasprirsi del
dibattito politico, a partire da una serie di polemiche nate all’interno del
coordinamento per la Palestina romano, che successivamente porteranno all’uscita
delle componenti più riformiste. A seguire vi è stata la dissociazione dai
contenuti del corteo da parte di componenti della sinistra istituzionale, con
particolare veemenza AVS.
(https://wwwla7.it/coffee-break/video/manifestaziobe-pro-palestina-angelo-bonelli-avs-non-condivido-quel-piattaforma-inaccettabile-02-10-2024-560505).
A fine settembre, il corteo viene vietato dalla questura di Roma, per l’ennesima
volta su pressione della comunità ebraica, con il pretesto della vicinanza con
l’anniversario del 7 ottobre. A partire da questo divieto la comunità
palestinese di Roma, notoriamente legata all’autorità palestinese (ANP), si
sfila, insieme agli S.P. (Studenti Palestinesi, una neonata realtà) dalla
chiamata del corteo e si accorda con la questura per un altro corteo da tenere
il giorno 12 ottobre. In questa circostanza si crea una prima importante
frattura tra le diverse fazioni palestinesi e i rispettivi sostenitori, in
quanto il corteo del 12 non avrebbe dovuto essere una sostituzione del 5, come
da volontà della questura, ma un passaggio successivo e per questo, secondo gli
accordi, non andava pubblicizzato precedentemente al 5, cosa che invece hanno
fatto gli organizzatori tradendo la fiducia data loro dal movimento.
In questo passaggio si notano le forti fratture presenti tra le diverse
organizzazioni palestinesi: a chi sostiene le scelte della resistenza
palestinese e l’azione del 7 ottobre si contrappone chi vuole assumere una
posizione predominante nella prossima ridefinizione degli assetti palestinesi,
accettando di fatto la funzione di collaborazionista.
Nonostante il divieto di manifestare il 5 ottobre, gli organizzatori del corteo
GPI e UDAP decidono di non sottostare al divieto e mantengono sia la chiamata a
Porta S. Paolo che le parole d’ordine e la piattaforma avanzata che indicava le
responsabilità dirette del governo italiano nel genocidio in Palestina. A
partire da questo si moltiplicano gli appelli a scendere in piazza nonostante i
divieti. La Rete liberi e libere di lottare rilancia, organizzando dei pullman
da tutta Italia: “Contro i divieti lo ribadiamo: libere e liberi di lottare
contro guerra, genocidio, DDL 1660”
(https://pungolorosso.com/2024/09/18/il-5-ottobre-noi-saremo-in-piazza-a-roma-al-fianco-delle-associazioni-palestinesi-rete-liberi-e-di-lottare-fermiamo-insieme-il-ddl-1660/).
Il 5 ottobre la polizia ha completamente circondato la piazza e filtrato i
manifestanti nei pochi varchi lasciati aperti, ma nonostante queste
intimidazioni migliaia di persone sono giunte al concentramento sfidando i
divieti. Lo svolgimento della giornata è noto: c’è stato un coraggioso tentativo
di rompere l’accerchiamento.
Su come una certa sinistra vede la lotta dei palestinesi, è rivelatore un
articolo scritto da Piero Bernocchi portavoce nazionale dei Cobas nell’articolo
del 6 ottobre “I chiarimenti della Comunità Palestinese di Roma” con cui ci
rende noto che “la comunità palestinese, già prima del 5 ottobre, avesse preso
le distanze dagli organizzatori, ovvero da chi vuole, peraltro impossibile visti
i rapporti di forza, la cancellazione/distruzione di Israele e la cacciata degli
ebrei da quei territori”
(https://www.rivoluzioneanarchica.it/i-chiarimenti-della-comunita-palestinese-di-roma-e-lazio-finalmente/).
Dopo il 5 ottobre le questioni in ballo escono ancora di più allo scoperto, la
data del 12 ottobre è un primo spartiacque all’interno del movimento in cui
decidere come posizionarsi.
Successivamente al corteo del 12 si concretizza la fuoriuscita di alcune
componenti dal coordinamento romano per la Palestina, queste saranno tra le
promotrici, insieme all’ARCI, di un’assemblea nazionale al cinema l’Aquila
tenuta il 9 novembre e che ricalca dinamiche già note nel movimento romano.
L’assemblea del cinema l’Aquila viene convocata da uno straripante numero di
sigle e siglette, per la maggior parte legate all’associazionismo di sinistra e
ai circoletti dell’ARCI, riuniti sotto gli slogan:
“costruire una piattaforma comune per rilanciare la mobilitazione contro il
genocidio. Costruire una rete antisionista“
(https://www.arciroma.it/2024/11/9-novembre-assemblea-nazionale-per-fermare-il-genocidio/).
Aderiscono, oltre a Rete dei comunisti, Giuristi Democratici, Assopace
Palestina, Movimento studenti palestinesi in Italia, Associazione dei
palestinesi in Italia/API, Comunità palestinese d’Italia, Mezzaluna Rossa
palestinese, Gaza Freestyle, Gnk, Movimento per il diritto all’abitare,
Collettivo autonomo lavoratori portuali (Calp) Genova, BDS Italia, BDS Roma,
USB, CUB, Asia-Usb, Cobas Scuola Confederazione Nazionale Cobas, Contropiano,
Comunità Curda, Patria Socialista, Rifondazione Comunista, Potere al popolo,
Sanitari per Gaza, Cambiare Rotta, Osa, associazione Multipopolare, etc.
Alcune realtà palestinesi quali UDAP e GPI pubblicano sul loro canale una
lettera di non adesione a quella assemblea: “La lotta palestinese, una lotta
politica e di liberazione non può essere ridotta a un semplice appello alla pace
astratta o alla riconciliazione fine a se stessa. Le adesioni a questa assemblea
includono gruppi che, sotto la retorica della pace, hanno posizioni
normalizzatrici, vicine al sionismo e ai suoi sostenitori. Non a caso troviamo
chi, opponendosi alla manifestazione del 5 ottobre e con la piazza del 12
ottobre a Roma ha provato, fallendo, a dividere il movimento e i palestinesi tra
buoni e cattivi. Peccato che questo gioco non funzioni più. La lotta per la
liberazione della Palestina non ha bisogno di normalizzatori né di intermediari;
non ha bisogno di ONG che spogliano questa lotta della sua essenza politica per
ridurla a una questione umanitaria, neutrale, che può essere autogestita senza
mettere in discussione le fondamenta stesse del problema, cioè il sionismo che
altro non è che una manifestazione dell’imperialismo occidentale. Non possiamo
accettare che il movimento di solidarietà si trasformi in una appendice delle
politiche italiane o europee che intendono disinnescare la resistenza, rendendo
la nostra causa inoffensiva e accettabile per tutti. Non aderiamo all’assemblea
del 9 proprio perché non possiamo accettare che le organizzazioni palestinesi
che fino ad ora hanno messo in campo la linea politica e pratica più coerente e
avanzata, siano relegate al ruolo di ospiti o simboli, in un contesto in cui si
parla di noi senza di noi.”
In questa assemblea viene interrotto l’intervento dei GPI e viene impedito
all’UDAP di parlare.
https://www.youtube.com/live/9WM4b1M6Z14
L’assemblea si conclude con un documento, nel quale si lancia la chiamata di un
nuovo percorso di lotta:
”Proponiamo inoltre una riunione per Domenica 1 Dicembre di bilancio della
manifestazione e per creare una rete antisionista e contro le guerre che
coordini le future iniziative e mobilitazioni a livello nazionale”.
Questa assemblea non rappresenta assolutamente qualcosa di contestualizzato ed
episodico ma il palesarsi di una manovra politica tesa ad utilizzare il
movimento a sostegno della Palestina, come passaggio per costruire l’ennesimo
cartello elettorale della nuova sinistra.
Per rafforzare questa affermazione a questo episodio ne affianchiamo altri,
quali il distacco dell’USB dal resto del sindacalismo di base. USB non ha
partecipato allo sciopero generale contro la guerra del 29 novembre che era in
continuità con le mobilitazioni del 23 e 24 Febbraio 2023, né al blocco ai
varchi del porto il Genova contro il traffico di armi, né aderito all’appello ai
lavoratori a mobilitarsi contro la guerra, l’economia di guerra e il DDL 1660,
ma ha indetto uno sciopero autonomo per il 13 dicembre. Inoltre va segnalata la
fondazione di una piattaforma alternativa alla rete antagonista Liberi e libere
di lottare, la “No ddl”, fatta sempre da USB assieme a CGIL, ANPI e ARCI,
esponenti di AVS, PD, M5S e Rifondazione.
Arrivando alla manifestazione del 30 novembre, constatiamo come l’attività
dell’assemblea 9 novembre consista nell’attuare una serie di manovre tese ad
egemonizzare e controllare l’iniziativa. Lo fa a partire da un’indizione e un
percorso sostitutivi rispetto all’originale fatta da UDAP e GPI intitolata
”Fermiamo il genocidio con la resistenza”, che avrebbe dovuto partire da parco
Schuster. A questo punto Udap e Gpi fanno uscire un testo chiarificatore (È
utile per la Palestina che il 30 novembre ci siano due Manifestazioni Nazionali
a Roma? https://www.instagram.com/udap.it/p/DCYsUgstcyu/?img_index=1).
Testo in cui si esplicita che “alcuni malintenzionati hanno invece scelto fosse
il caso di creare una divisione, sfruttando la narrazione della divisione
“buoni-cattivi” per poter poi imperare sulla conseguente contrapposizione” e che
vi siano “realtà più o meno legate ad aree filo istituzionali del
centrosinistra… semplicemente interessate a intestarsi un anno di mobilitazione,
per capitalizzare, ognuno a modo proprio un lavoro collettivo portato avanti
coralmente in tutta Italia”.
Questi tentativi di egemonizzare e recuperare la lotta hanno cominciato a
scricchiolare a partire dalle critiche e domande di chiarimento che da più parti
del movimento venivano poste rispetto all’ambiguità della situazione, inoltre il
cospicuo cartello di aderenti della chiamata del 9 si assottigliava
costantemente (passando da oltre 200 ad 80 sigle). Per fare fronte a questo
pasticcio l’assemblea del 9 novembre si è vista costretta a convocare una
assemblea riparatrice alla ex occupazione del coordinamento di lotta per la
casa, Porto Fluviale per il 21 novembre.
La sostanza di questa riunione, al di la delle generiche e fumose dichiarazioni,
è stata un richiamo all’unità. La stessa unità che i promotori avevano
scientemente rotto con la precedente assemblea, ma risulta chiaro che se alla
loro chiamata alternativa fossero confluite poche persone la manovra per
dirottare e egemonizzare il movimento sarebbe fallita.
In questa assemblea l’unico che ha detto chiaramente le cose, è stato il
presidente dell’ARCI romana, Vito Scalisi, il quale ha ben chiarito che il
compito della sua organizzazione è quello di estromettere le componenti radicali
e rivoluzionarie dal movimento (https://www.facebook.com/share/w/1BWmJyfwPb/).
Alla fine lo stallo viene risolto dalle organizzazioni palestinesi – supponiamo
dietro indicazioni giunte dalla Palestina – che decidono per un corteo unitario;
viene inoltre concordato che la testa del corteo sarà tenuta dai gruppi
palestinesi con un unico camion e con un nuovo percorso.
In questo passaggio si vede come i rapporti di forza tra le organizzazioni
palestinesi siano attualmente a favore dei gruppi che più si riconoscono nelle
ragioni della resistenza perché sono riusciti a far passare le loro parole
d’ordine
(https://www.radiondadurto.org/2024/11/30/roma-manifestazione-nazionale-unitaria-per-la-palestina-e-contro-il-genocidio-ci-sara-un-solo-corteo/).
Ma le acque tornano ad agitarsi il giorno in cui i compagni palestinesi si
recano in questura per comunicare il cambio del percorso e lì trovano alcuni
esponenti del movimento romano che pretendono di sostituirsi a loro, senza
riuscirci.
La manifestazione del 30 novembre non è di certo stata una manifestazione unita,
lungo lo stesso percorso hanno sfilato due distinti cortei. Tutti quelli che
erano in piazza hanno potuto vedere il tentativo di egemonizzare il corteo da
parte dell’assemblea 9 novembre. I suoi promotori, in barba agli accordi presi
in precedenza, hanno preso la testa del corteo portandosi un loro camion con
l’amplificazione e schierando un servizio d’ordine verso il resto dei
manifestanti mentre i caporioni lanciavano minacce, riproponendo modalità
autoritarie resuscitate da altri tempi. Tra questi Bruno Papale, un volto noto
del movimento di lotta per la casa, nonché uno dei personaggi più attivi in
questo processo di recupero delle lotte.
Non si è arrivati allo scontro solo grazie al buon senso di GPI e UDAP che,
forti di una palese superiorità morale e politica, non hanno reagito alle
esplicite provocazioni lanciate da chi cercava lo scontro.
Come dicevamo, di fatto, ci sono stati due cortei, uno composto in buona parte
da un ceto politico para-istituzionale, con alcuni palestinesi (quelli più
vicini all’ambasciata e quindi all’ANP) e con la presenza di
quell’associazionismo democratico contiguo al PD che sulla Palestina fatica ad
andare oltre ad un atteggiamento umanitarista.
L’altro corteo, molto partecipato, aveva alla testa un nutrito gruppo di arabi e
palestinesi seguito da una numerosa presenza della sinistra antagonista e del
sindacalismo di base “in un corteo eterogeneo, magmatico, prettamente giovanile,
ma al tempo stesso estremamente compatto e combattivo, e capace di collegare
nelle sue rivendicazioni la lotta in Palestina con quella dei subalterni nel
nostro paese. A dimostrazione che la lotta della Resistenza palestinese
rappresenta in questo momento il punto più alto della lotta degli oppressi e
degli sfruttati, anche di quelli che alle nostre latitudini faticano ad arrivare
a fine mese.”
militant-blog.org/palestinesi-e-papestinesi/
Da questo punto di vista il corteo è stato un successo, ma ciò non deve farci
dimenticare le manovre di alcune cariatidi del movimento romano, manovre in
questo caso talmente disgustose e spudorate da non poter fare fesso nessuno che
tale non volesse farsi fare. E infatti non sono neppure riusciti a far schierare
la maggior parte del movimento romano nella prima parte del corteo.
Abbiamo ritenuto sensato fare una cronaca documentata di questi eventi perché,
come anticipato, non si tratta affatto di un episodio circoscritto, ma di una
tendenza in atto all’interno del movimento antagonista italiano tesa a
convogliarlo verso un progetto di palese stampo elettorale.
Noi in quanto rivoluzionari anarchici, anche se estranei a questi giochi
politici, dobbiamo comunque saperli riconoscere per non finire a fare da massa
di manovra per qualche squallida operazione politica. Inoltre riteniamo che la
nascita di questa componente, come ha dimostrato già in questi episodi, cercherà
di mettere i bastoni tra le ruote ai gruppi più radicali, ovvero escludere e
calunniare o reprimere chi proponga di agire in termini di conflitto reale.
Quanto si sta manifestando non riguarda quindi solo la lotta in solidarietà con
i palestinesi ma comprende potenzialmente tutti i settori di lotta.
Ad esempio stiamo notando la sempre più frequente apparizione di servizi
d’ordine ad uso interno.
Quindi consigliamo di aprire gli occhi, alzare le orecchie e organizzarsi di
conseguenza.
L’altro aspetto importante che è emerso riguarda i conflitti intestini ai
movimenti palestinesi.
Dall’inizio di questa fase di lotta l’ANP ha dato corso ad operazioni di polizia
contro la resistenza e la popolazione, tra cui l’attacco sferrato contro il
campo profughi di Jenin, denominato “operazione proteggere la patria” . Il suo
leader Abu Mazen ha dichiarato che l’ANP è in grado mantenere l’autorità nei
territori sotto il suo controllo e di essere “pronta ad assumere la piene
responsabilità nella striscia di Gaza nel dopoguerra”.
Il 4 gennaio viene indetto un presidio sotto la sede dell’ANP a Roma, si tratta
di un iniziativa molto partecipata che ha lo scopo di denunciare come da oltre
un mese sia in corso una campagna dell’autorità palestinese contro la resistenza
e la popolazione che la appoggia, evidentemente finalizzata ad accreditarsi
presso i sionisti come entità in grado di controllare Cisgiordania e Gaza.
Le scontro in atto tra le diverse componenti politiche palestinesi è
fondamentale per capire cosa sta accadendo in quella parte del mondo, ma è anche
comprensibile come queste dinamiche si riproducano ovunque vi sia un movimento
solidale con la causa palestinese. A nostro avviso il conflitto tra resistenza
ed ANP è quindi uno degli elementi principali alla base delle polemiche sorte in
Italia, in particolare rispetto al fatto che le manifestazioni riconoscessero o
meno il ruolo fondamentale della lotta armata come strumento di liberazione
dall’oppressione coloniale.
Anche se è presto per capire come si evolverà questo conflitto interno ci sono
alcune importanti questioni che ci preme segnalare.
La prima riguarda lo scontro per il controllo politico della Palestina, con le
organizzazioni della resistenza che mantengono un forte appoggio popolare e
l’ANP che si pone nel ruolo di collaborazionista del potere israeliano ma anche
statunitense ed europeo (ad esempio i poliziotti dell’ANP sono addestrati dai
carabinieri).
Il secondo riguarda il ruolo della cooperazione umanitaria, quindi dei
finanziamenti e degli aiuti dopo la fine dell’assedio; segnaliamo come tra i
firmatari nell’appello del 9 ottobre vi fossero diverse organizzazioni che si
occupano della gestioni di questi aiuti: dalle associazioni e cooperative di
sinistra, alla Mezzaluna rossa, all’Assopace presieduta da Marisa Morgantini.
Noi riteniamo che l’approccio umanitarista e le ONG siano funzionali a
recuperare i conflitti per l’autodeterminazione dei popoli e a mantenere
l’oppressione occidentale e il neo-colonialismo.
Inoltre è in ballo la questione della liberazione dei prigionieri, vista dalla
popolazione come un elemento centrale della lotta all’oppressione, rispetto a
questa importante partita ogni componente politica, in base ai rapporti di forza
raggiunti, mira a perseguire i propri interessi.
Supportare la resistenza del popolo palestinese, per quanto ci riguarda, non
significa schierarsi in maniera acritica a favore di tutte le ideologie, le
organizzazioni e i progetti politici che agiscono sul campo in Palestina. Non
condividiamo la prospettiva di liberazione nazionale, perché la liberazione
degli sfruttati può avvenire solo nella rivoluzione sociale. Quindi spezzare le
catene del colonialismo, da un punto di vista rivoluzionario non è sufficiente
in quanto non risolve i rapporti di oppressione interni al paese colonizzato,
basti pensare a come l’ANP sia il baluardo a difesa degli interessi della
borghesia palestinese o come Hamas porti in sé l’oppressione insita
nell’integralismo religioso. Vogliamo però ribadire come il 7 ottobre 2024, per
quanto possa spiacere alla buona coscienza occidentale, è stato un Evento dalla
portata rivoluzionaria da tantissimi punti di vista. Dimostrando che il dominio
tecnologico può essere bucato. Che un secolo di oppressione può essere rispedito
al mittente. Nella situazione contingente, ha spazzato via come un’onda con un
castello di sabbia nella spiaggia gli accordi di Abramo, la normalizzazione del
sionismo, il quieto vivere fra le diverse borghesie mediorientali.
L’attuale tregua in corso a Gaza sta dimostrando che Israele può fare un
genocidio, ma non può estirpare la resistenza. Che la popolazione palestinese,
sfinita, terrorizzata, affamata, non abbia denunciato i combattenti in tutti
questi mesi, ma oggi li festeggia nelle strade, dimostra concretamente da che
parte stanno gli oppressi a quelle latitudini. Se non c’è riuscito Israele,
figuriamoci sa saranno i salti in banco della politica nostrana a cancellare la
realtà.
I tre moschettieri
Segnaliamo il primo numero di “Campagna di Sfida”, un agile bollettino con cui
l’Assemblea trentina di solidarietà con la resistenza palestinese accompagna le
diverse iniziative per spezzare le collaborazioni locali con il genocidio e con
la guerra.
CdS #1 MedOr (2)
Riceviamo e diffondiamo: