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Al mercato delle riconversioni belliche
Riceviamo e diffondiamo questa utile panoramica delle riconversioni belliche, in Italia e non solo: Anche su  https://piccolifuochivagabondi.noblogs.org/riconversioni-belliche/ AL MERCATO DELLE RICONVERSIONI BELLICHE Nella chiave della competizione inter-imperialistica per il dominio dei mercati e la spartizione delle risorse, in un quadro che vede mutare gli assetti geopolitici globali, si afferma la corsa al riarmo europeo. Mentre si cerca di abituare l’opinione pubblica al fatto compiuto, e cioè che in guerra ci siamo già anche se i missili ancora non esplodono sulle nostre case; mentre gli Stati europei – dai Paesi scandinavi alla Francia – forniscono ai loro cittadini dépliant con le informazioni su cosa fare in caso di conflitto o guerra nucleare; e mentre alcune nazioni stanno pensando di accrescere il numero dei loro riservisti e di ricorrere nuovamente alla leva militare… si sta affermando l’idea che anche le aziende in crisi debbano essere riconvertite alla produzione bellica. Tra le prime, Volkswagen ha mostrato crescente interessamento. Pur riconoscendo che una completa conversione alla produzione bellica richiederà anni, l’azienda tedesca vuol tornare a fornire motori e trasmissioni per veicoli militari collaborando con la conterranea Rheinmetall, come aveva già fatto durante la seconda guerra mondiale quando collaborò coi nazisti. Aziende come Rheinmetall, leader in Europa nella produzione di munizioni e armamenti terrestri tra cui i carri armati Panther, e KNDS Group, joint venture franco-tedesca specializzata in veicoli corazzati ed esplosivi con un fatturato di 3 miliardi di euro, stanno già riconvertendo impianti civili, non solo automobilistici, in linee di produzione bellica. Il CEO di Rheinmetall, Armin Papperger, ha indicato che lo stabilimento di Osnabrück di Volkswagen sarebbe “molto adatto” per la produzione di veicoli blindati Lynx, a condizione di ricevere ordini per almeno 1.000 unità. Proprio Rheinmetall ha realizzato una joint venture con l’italiana Leonardo per fornire 280 nuovi carri armati Panther e oltre mille veicoli blindati Lynx all’Esercito italiano, una commessa da 23,2 miliardi di euro. Metà della produzione sarà fatta da Leonardo in Italia. Parteciperà a questo progetto, con un contratto di fornitura per circa il 15% del valore, anche Iveco Defence Vehicles (IDV) controllata da Exor, la finanziaria olandese della famiglia Agnelli. Leonardo e Rheinmetall vorrebbero partecipare al progetto per il futuro carro armato pesante europeo, detto Mbt o Mgcs, un progetto lanciato da Francia e Germania, che si scontra però con gli interessi anche della franco-tedesca KNDS, holding che unisce la francese Nexter e la tedesca Krauss-Maffei Wegmann. Un’altra società tedesca, la Helsoldt, che si occupa di elettronica per la difesa, di cui è azionista Leonardo con il 22,8%, ha comprato una fabbrica di elettrodomestici Bosch con 400 lavoratori annessi per riconvertirla. La franco-tedesca KNDS, che produce il carro armato Leopard e il veicolo da combattimento Puma, ha recentemente acquisito un’ex fabbrica ferroviaria a Görlitz, in Germania, per espandere la sua capacità produttiva. Anche l’ex insediamento Winchester di Anagni (Frosinone), nella Valle del Sacco in Ciociaria, verrà riconvertita da KNDS Ammo Italy (ex Simmel Difesa) in una fabbrica per produrre nitro-gelatina e polveri di lancio per proiettili. 11 nuovi capannoni su un’area di circa 2500 metri quadri per potenziare la filiera delle armi1. Il paradosso sta che fino ad ora nell’ex stabilimento laziale di Anagni si provvedeva al disinnesco dei proiettili scaduti. Tra Anagni e la vicina Colleferro – dove KNDS possiede già uno dei più importanti stabilimenti per il caricamento, per la produzione e per i test di munizioni e bombe – arriverà a fabbricare fino a 3 tonnellate di esplosivo ogni giorno. Nel 2023 vi era stata la visita del commissario europeo al mercato interno, Thierry Breton, allo stabilimento dei Colleferro, che aveva espressamente richiesto di incrementare la produzione per missili e proiettili con cui riempire gli arsenali europei. La riconversione dello stabilimento di Anagni, che dovrebbe iniziare la produzione a partire dalla primavera 2026, si inserisce pienamente nel quadro del piano “ReArm EU” ma ha anche ricevuto un finanziamento europeo di 41 milioni di euro dopo l’approvazione dell’ASAP (Act Support Ammunition Production)2. L’ASAP è la legge europea, varata nel maggio 2023 e confermata a marzo 2024 con l’impegno di 500 milioni di euro del bilancio UE, per potenziare la produzione di esplosivi, polvere da sparo e munizioni dopo l’invasione russa dell’Ucraina. L’ASAP ha calcolato che entro la fine del 2025 saranno 2 milioni i proiettili che dovranno essere prodotti all’anno dalle industrie europee. 4,300 tonnellate l’anno gli esplosivi. Attraverso l’ASAP la Commissione Europea ha selezionato una trentina di progetti per sostenere l’industria bellica europea della produzione di polveri e munizioni. In un primo tempo il maxiappalto riguardava solo le imprese europee, ma a causa del mancato raggiungimento del numero previsto di munizioni da parte dell’industria europea, ora i fondi UE possono essere usati per comprare munizioni anche da Paesi terzi, con gli Stati Uniti ovviamente a farla da padrone (con la seconda elezione di Trump, gli Stati Uniti non solo pretendono che la UE acquisti il loro gas GNL ma anche le loro armi). I 31 progetti industriali finanziati dall’UE coinvolgono Grecia, Francia, Polonia, Norvegia, Italia, Germania, Finlandia, Slovacchia, Lettonia, Romania, Repubblica Ceca, Spagna e Slovacchia. Oltre la KNDS Ammo Italy, tra questi 31 progetti finanziati dall’UE vi è anche quello presentato dalla bolognese Baschieri&Pellagri, del gruppo della Fiocchi Munizioni Spa di Lecco. Il progetto della Baschieri&Pellagri è stato finanziato con 3,7 milioni di euro e consiste nella produzione di polvere da sparo per i proiettili. Ritornando all’industria dell’automotive, non possiamo non citare il caso dell’italo-olandese Stellantis (ex Fca-Fiat) del presidente John Elkann, della famiglia Agnelli, che vive una crisi acuta, con un forte calo della produzione automobilistica nazionale, e che potrebbe essere interessata da un piano di riconversione sostenuto dai ministeri della Difesa e dell’Economia. Annunciato dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, un piano per rilanciare la filiera dell’auto prevede un finanziamento di 2,5 miliardi di euro con fondi pubblici entro il 2027, con l’obiettivo di diversificare la produzione coinvolgendo il settore auto nel cosiddetto “dual use”, ovvero l’utilizzo delle stesse infrastrutture per scopi civili e militari. Per Stellantis si parla di un ruolo di consulenza ingegneristica, ma forse anche della riconversione di uno o più stabilimenti per la produzione di mezzi militari o componentistica. Fra le ipotesi alla studio, per intercettare la pioggia di miliardi del riarmo UE, c’è la riconversione dello stabilimento di Termini Imerese (Palermo). Per facilitare l’intesa il governo Meloni vuole superare il cosiddetto piano green deal lanciato nel 2019 dalla Commissione europea, almeno per quanto riguarda il settore auto. Le regole europee oggi impongono la riduzione della produzione delle auto a combustione per ridurre le emissioni di gas serra e contenere il riscaldamento globale entro +1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. Il che significa riconvertire il settore auto nell’elettrico, settore nel quale l’Italia (ma anche la stessa Europa) è piuttosto indietro rispetto a Paesi come la Cina. Anche i dazi minacciati da Trump sui prodotti importati dai Paesi europei hanno giocato un ruolo sulla decisione di sospendere le regole europee per il green deal, dato che tra i settori colpiti da questa nuova guerra commerciale c’è senz’altro il mercato dell’automotive. Ma la vera ragione della sospensione del green deal è un’altra. Come ha ricordato molto chiaramente l’ex ministro dell’ambiente e della transizione ecologica nel governo Draghi, Roberto Cingolani, oggi amministratore delegato della più grande società bellica italiana, la Leonardo, società che stima ordini per 118 miliardi fino al 2029 con l’obiettivo di raggiungere ricavi superiori a 26 miliardi entro la fine del decennio, “il Green Deal era importante in tempi di pace, ora ci sono altre priorità”. Ricordiamo, sempre della famiglia Agnelli, anche il ruolo di Iveco Defense. Già pienamente operativa nel settore militare, lo è ancora di più dopo un accordo con Leonardo siglato a novembre 2024. Non sarebbe certo la prima volta che l’industria civile si presta alle esigenze militari. A Bolzano nel 1939 l’allora stabilimento Fiat si convertì alla produzione di autocarri militari. E non è l’unico caso. A ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, i nomi che ritornano sono sempre quelli: Famiglia Agnelli, Volkswagen, Krupp. Le riconversioni verranno giustificate – è la facile previsione – con il pretesto di impedire la chiusura di stabilimenti e la perdita di posti di lavoro. É la giustificazione che è stata usata, per esempio, a castelfranco Veneto (Treviso) per la riconversione in industria bellica della Faber, che ha cominciato a produrre bossoli e ogive, mentre prima produceva bombole d’ossigeno e a gas. A questo punto con buona probabilità anche i sindacati confederali collaboreranno alla militarizzazione del lavoro, cosa che stanno già facendo nel caso proprio della Faber, con la Fim Cisl di Treviso che ha sostenuto apertamente il progetto di riconversione bellica, fino al punto di proporre la riconversione ad uso militare anche delle vicine industrie della Berco, azienda del gruppo tedesco dell’acciaio Thyssenkrupp (quest’ultimo attivo anche nel settore bellico), che produce cingolati per trattori e che vuole ridimensionare, con procedure di licenziamento aperte, le sedi produttive italiane di Castelfranco Veneto, Copparo e Bologna. Secondo i giornali locali veneti gli operai di Castelfranco Veneto, in cassa integrazione da molti mesi, sarebbero persino favorevoli, pur di non perdere il posto di lavoro e mettere un pezzo di pane a tavola. Dai cingolati per i trattori a quelli per i carri armati è un attimo. Tra l’altro gli stabilimenti veneti sia della Berco che della Faber nascono dallo scorporo dell’azienda bellica Simmel Difesa e le macchine per produrre armamenti pare si trovino ancora all’interno degli stabilimenti. Condotte come quelle della Cisl trevigiana non sono casi isolati. Già nel 2021 i responsabili locali della Fiom-Cgil palermitana dichiararono che la costruzione di navi da guerra, motovedette e portaerei nei Cantieri Navali di Fincantieri a Palermo “avrebbe portato ulteriore lavoro, stabilità lavorativa e benefici economici per tutta la città”. Sindacalisti per la guerra. PiccoliFuochiVagabondi -------------------------------------------------------------------------------- 1 www.peacelink.it/disarmo/a/50660.html 2 https://defence-industry-space.ec.europa.eu/eu-defence-industry/asap-boosting-defence-production_en
Approfondimenti
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In primo piano
Il clown e il circo
Riprendiamo da “pungolo rosso”(https://pungolorosso.com/2025/03/29/il-clown-e-il-circo-a-bihr-j-m-heinrich-r-pfefferkorn-y-thanassekos/) e rilanciamo questo interessante dibattito, che fa il punto sulle ragioni della guerra in Ucraina tra NATO e Federazione Russa. Ci pare che le argomentazioni degli autori de “Il clown e il circo” e della redazione del Pungolo si integrino più di quanto si contraddicono: da una parte dei sani giudizi di fatto sulle preponderanti responsabilità occidentali nel provocare la guerra (giudizi di fatto tanto più necessari di fronte a una propaganda che ha compiuto e compie salti mortali per nasconderle); dall’altro la verità di fondo che ogni Stato combatte le guerre per i propri interessi di potenza. Di fronte alle attuali “manovre di pace”, condividiamo in particolare l’idea del Pungolo che “la possibilità di contrastare la tendenza alla guerra con ‘la mobilitazione delle masse in tutta Europa’ deve saper denunciare per tempo le stesse soluzioni diplomatiche, per quanto ‘ragionevoli’ possano apparire, come altrettanti passi verso un nuovo conflitto mondiale.” Qui il seguito del dibattito: https://pungolorosso.com/2025/04/06/la-replica-di-a-bihr-j-m-heinrich-r-pfefferkorn-e-y-thanassekos-italiano-francais/ [Qui in apertura l’introduzione della redazione di “Pungolo rosso”] A dispetto del titolo, ironico e scanzonato, l’articolo di Alain Bihr, J.M. Heinrich, R. Pfefferkorn e Y. Thanassekos tratta di una questione molto importante: la guerra NATO/Russia in Ucraina e la sua possibile sospensione. Diciamo “sospensione”, non “pace”, perché quest’ultima, intesa come un’organica conclusione del conflitto, ci sembra largamente irrealistica, se non impossibile. Quello che si va prospettando è dunque un congelamento delle attività belliche, che asseconda gli interessi immediati sia della Russia che, sul versante opposto, degli USA, capofila dello schieramento occidentale. Il testo collettivo che pubblichiamo ha il pregio di sottolineare alcuni punti importanti, tanto “ragionevoli” quanto mistificati e sommersi dalla martellante propaganda di guerra USA/NATO/UE e dalla russofobia isterica di cui è intrisa: primo fra questi, quello che qualifica la guerra tuttora in corso come un conflitto fra Russia e Nato, e non fra Russia e Ucraina. A seguire, gli autori richiamano alcune delle principali contraddizioni della propaganda occidentale: tale è, ad esempio, la tesi circa la pretesa intenzione di Mosca di invadere i paesi confinanti e addirittura l’Europa occidentale, nonostante, dopo tre anni di guerra, essa sia riuscita a conquistare, con notevoli sforzi, appena un quinto del territorio ucraino. E che dire dello stridente contrasto fra gli strepiti odierni sulla mancanza di sufficienti mezzi militari per contrastare la Russia e la ribadita volontà di sostenere lo sforzo bellico di Kiev affinché riconquisti i territori perduti? Per non parlare, poi, della fulminea decisione di finanziare a debito un gigantesco piano di riarmo, infrangendo il dogma ostile alla spesa in deficit quando essa riguardi salari, pensioni e servizi sociali. Il lettore troverà dunque in questo breve scritto un utile antidoto alle menzogne sparse a piene mani dai “nostri” governi negli ultimi tre anni. Allo stesso tempo, l’articolo dà un’interpretazione discutibile su molti punti-cardine, che non condividiamo. Ad esempio, nel negare, giustamente, che il conflitto sia limitato all’Ucraina, ma coinvolge invece “l’Occidente globale”, gli autori liquidano il “presunto desiderio [russo] di perpetuare o ricostituire la sua area di influenza nell’Europa centrale e orientale – e anche oltre”. Questa contrapposizione rimane all’interno delle giustificazioni “formali” della guerra, senza coglierne le radici strutturali, che risiedono nella lotta per la difesa dei reciproci interessi di sfruttamento e supremazia sullo scacchiere internazionale. Certo, in questa lotta, Mosca è partita da una situazione di svantaggio, ereditata dallo sfacelo dell’URSS e dalla conseguente espansione della NATO, ma ciò non significa affatto che la sua azione avesse e abbia motivazioni di altro tipo che la difesa della propria sfera di influenza. Anzi, quella ucraina era/è per Mosca una linea rossa non oltrepassabile proprio perché chiama in causa un’area vitale per i propri interessi. Analogamente, non condividiamo la lettura dei propositi riarmisti dell’UE e dei suoi singoli Stati come una sorta di allucinazione collettiva, il cui rischio consisterebbe nel “dar vita ad una profezia che si autoavvera”. Per quanto le cancellerie del vecchio continente versino in stato confusionale a seguito dell’inversione di rotta della nuova amministrazione USA, va detto che gli stanziamenti per la “difesa”, l’eliminazione del vincolo sul debito da parte della Germania, la decisione di alzare da subito la percentuale del PIL dedicata alle spese militari, la rapida virata verso l’economia di guerra e la conclamata volontà di utilizzare il riarmo come antidoto alla stagnazione e alla crisi economica, non rispondono alla falsa percezione di dover fronteggiare senza l’aiuto di Washington “il grande lupo cattivo russo”. Rispondono invece alla consapevolezza, che si va facendo strada, che, indipendentemente dalla struttura delle alleanze future, ogni Stato, per mantenere il suo posto al sole fra le canaglie del sistema imperialista, deve armarsi, armarsi, armarsi. E, nell’immediato, cercare, con le unghie e coi denti, di esigere la parte “che ci spetta” del bottino ucraino, che rischia di sparire per intero  nelle fauci di USA e Russia. Se, come ipotizzano gli autori, la possibilità di Mosca di vincere la pace, dopo aver vinto la guerra, passa per la convocazione di una conferenza di pace nel quadro dell’OSCE – ad oggi solo una vaga ipotesi – la possibilità di contrastare la tendenza alla guerra con “la mobilitazione delle masse in tutta Europa” deve saper denunciare per tempo le stesse soluzioni diplomatiche, per quanto “ragionevoli” possano apparire, come altrettanti passi verso un nuovo conflitto mondiale. Trasformare le condizioni verso la guerra imperialista in condizioni per la rivoluzione proletaria è l’unica strada per sfuggire davvero all’alternativa “pensioni o munizioni”, un’alternativa che, negli ultimi tempi, ha davvero fatto passi da gigante. (Red.) IL CLOWN E IL CIRCO “Se eleggi un clown, aspettati un circo” La guerra in Ucraina sta per finire come è iniziata: come un faccia a faccia tra Stati Uniti e Russia. Con una differenza : che, avendo lo scontro tra i due stati portato alla guerra, si è passati ora alla collaborazione in vista della pace. Il che, tra l’altro, dà ragione a posteriori a tutti coloro, noi compresi, che, contro l’interpretazione dominante di questo conflitto, hanno sostenuto la tesi che si trattasse effettivamente, per l’essenziale, di un conflitto tra l’Occidente globale (sotto la guida statunitense e la bandiera della NATO) e la Russia, per interposta Ucraina, e non di un conflitto tra questi ultimi due paesi generato dal presunto desiderio della Russia di perpetuare o ricostituire la sua zona di influenza nell’Europa orientale e centrale – o anche oltre. Cerchiamo qui di fare un bilancio di questi tre anni di guerra e dell’inversione di tendenza appena avvenuta, dei guadagni e delle perdite registrate dai vari protagonisti e di discernere, di conseguenza, le possibilità che si aprono a ciascuno di loro. Ubu alla Casa Bianca La guerra in Ucraina è nata dalla volontà della NATO, contrariamente agli impegni verbali assunti dopo il crollo del Muro di Berlino, di espandersi nell’Europa centrale e orientale. Perseguita nonostante le sempre più forti proteste russe durante le prime due ondate del 1999 e del 2004, questa espansione ha raggiunto un punto critico nel 2008, quando si è trattato di integrare l’Ucraina e la Georgia nell’Alleanza Atlantica, cosa che avrebbe portato quest’ultima a diretto contatto con la Russia, offrendole per una invasione l’immensa breccia  costituita dalla pianura ucraina al di là del Dniepr e minacciando la strategica base navale di Sebastopoli. Una linea rossa per Mosca, che dichiarò allora che sarebbe entrata in guerra se fosse stata oltrepassata. Gli occidentali non ne ha tenuto conto. Nel 2014, durante Euromaidan, hanno contribuito ad insediare a Kiev un governo filo-occidentale e anti-russo : cosa che ha aggravato le tensioni con le popolazioni russofone e russofile degli oblast’ orientali e di Odessa, portando alla guerra civile. Allo stesso tempo, gli occidentali hanno rigiutato sprezzantemente le proposte russe di concludere un accordo nel quadro della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE) finalizzato alla neutralizzazione (“finlandizzazione”) dell’Ucraina. Tutto questo, dopo che gli Stati Uniti si erano ritirati nel 2001 dal Trattato ABM (Anti-Balistic Missile) firmato nel 1972, e nel 2018 dal Trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces) firmato nel 1988. La strada verso la guerra era ormai aperta. Per tre anni, l’Occidente ha condotto questa guerra contro la Russia, con l’intermediazione dell’Ucraina, con l’obiettivo di imporre con la forza ciò che la Russia aveva ripetutamente dichiarato di non voler accettare. Gli errori di valutazione iniziali durante l’operazione militare russa, la mobilitazione nazionale e lo slancio nazionalista della società ucraina hanno creato l’illusione che la partita potesse essere vinta e che, con il massiccio sostegno dell’Occidente, l’Ucraina potesse cacciare l’aggressore dai suoi confini. Questa illusione è stata rapidamente dissipata quando la controffensiva ucraina del giugno-agosto 2023, con il massiccio sostegno militare e logistico dell’Occidente, è fallita miseramente. Da allora, la situazione in Ucraina ha continuato a deteriorarsi, sia in termini di operazioni militari che di coesione della società ucraina stessa, a dispetto delle decine di miliardi di dollari in aiuti di ogni tipo (armi, munizioni, addestramento delle truppe, assistenza tecnica, intelligence, prestiti, incoraggiamento, ecc.) che l’Occidente ha fornito, per non parlare delle sanzioni commerciali e finanziarie inflitte all’aggressore russo. Qualsiasi osservatore lucido dello sviluppo della situazione negli ultimi mesi ha chiaro che essa non può portare che ad una sconfitta militare ucraina nel più o meno breve termine. Per evitare un simile esito la nuova amministrazione Trump ha deciso di porre fine a questa guerra concludendo, se non la pace, almeno un accordo con il nemico russo, trasformato di colpo in un avversario con cui è possibile un accordo. La ragione di fondo di questa inversione di rotta degli Stati Uniti è che l’amministrazione Trump, ancor più delle precedenti, ha come priorità delle priorità quella di affrontare la sfida costituita, ai suoi occhi, dall’ascesa della Cina, che minaccia il suo dominio globale. In questo contesto, la vicenda ucraina diventa secondaria, se non addirittura trascurabile, e deve essere liquidata nel modo più rapido ed economico possibile. In questo caso, per gli Stati Uniti si tratta di una riedizione di quanto fatto negli ultimi decenni ogni volta che sono stati tenuti in scacco, come in Vietnam nel 1973, in Iraq nel 2011, ad Haiti nel 1995 e in Afghanistan nel 2021: ritirarsi e lasciare che il caos creato dal loro intervento sia gestito dai loro alleati locali e dai precedenti nemici: in breve, lavarsene le mani. L’unica differenza è lo stile con cui lo scenario si ripete questa volta. Con l’Ubu (ri)eletto lo scorso novembre, la silenziosa vergogna di un Obama o la contrizione da coccodrillo di un Biden hanno lasciato il posto a una vistosa negazione delle schiaccianti responsabilità americane nella vicenda, con gli Stati Uniti che hanno assunto la vantaggiosa posizione della colomba per far dimenticare il loro ruolo di falco. Il palese fallimento militare ucraino viene imputato a Kiev, che non ha voluto mobilitare la gioventù del Paese per mandarla a farsi sventrare sul campo di battaglia, e ai suoi alleati europei, che non hanno messo mano abbastanza alle loro tasche né per sostenere lo sforzo bellico ucraino, né per garantire la propria difesa. Per non parlare del fatto che, in linea con il suo tropismo e il suo credo super attivistici, Trump intende recuperare la sua quota di sfruttamento del sottosuolo ucraino ricco di terre rare. Panico a Londra, Parigi, Berlino, Varsavia… … e in altre capitali europee. Perché, non avendo capito nulla di quello che è successo, stanno inventando un futuro immaginario in cui credono di dover affrontare, ormai da solie, private dell’aiuto dello zio Sam, il lupo cattivo russo. E, poiché ritengono di non avere i mezzi per farlo militarmente, l’unica opzione che prendono in considerazione o almeno favoriscono, stanno lanciando folli programmi di riarmo, buttando centinaia di miliardi di euro che solo il giorno prima affermavano di non avere se si trattava di aumentare gli stipendi, rafforzare i servizi pubblici e le strutture comunitarie, soddisfare i bisogni sociali più elementari, ecc. Tutto ciò fa presagire un nuovo ciclo di austerità crescente per le loro popolazioni, che non offrirà loro altra prospettiva se non quella di stringere la cinghia ancora un po’ per gli anni a venire, prima di “morire per la libertà”, creando fin da ora un’atmosfera da « vigilia di guerra ». Tuttavia, la natura immaginaria di questo scenario futuro è tradita dalla natura incoerente dei loro propositi. Sono le stesse persone che ora dicono che i russi sono alle nostre porte e che non abbiamo i mezzi per impedirgli di entrare con la forza, e che appena il giorno prima, se non in contemporanea, sostengono che è necessario e giusto aiutare gli ucraini, anche inviando loro delle truppe, perché è possibile sconfiggere il nemico sulle rive del Dniepr o nel Donbass. E allora la Russia cos’è ? Orco insaziabile e assetato di sangue, o colosso dai piedi d’argilla? Questo scenario è ancora immaginario perché non tiene conto della realtà dei rapporti di forza così come si presenta sul campo. Dopo tre anni di guerra, le truppe russe sono faticosamente e cautamente riuscite a conquistare appena un quinto del territorio ucraino. Una domanda degna di un problema di quinta elementare: di questo passo, quanto ci metteranno i cosacchi ad abbeverare i loro cavalli nei sobborghi di Brest e Lisbona? Immaginario, infine, perché, come prima del 2022, gli Europei non ascoltano, o non danno credito alle parole dei russi. I russi hanno ripetuto a gran voce che non avrebbero accettato le forze della NATO alle loro porte in Ucraina e che, se avessero persistito nella loro intenzione di farlo, sarebbero entrati in guerra. E così è stato. Quando, al contrario, li abbiamo sentiti dichiarare di avere altre pretese, se non sui loro immediati vicini ? per forza di cose sull’Europa occidentale? Doppiezza da parte loro? Allora perché accusarli contemporaneamente di cinismo? Il pericolo, tuttavia, è che questo scenario, per quanto immaginario, possa dar luogo a una profezia che si autoavvera. Infatti, rilanciando la corsa agli armamenti in Europa, si crea proprio una situazione favorevole alla guerra. Contrariamente al vecchio adagio romano, quando si prepara la guerra, si ottiene … la guerra! Non lo ha forse dimostrato ancora una volta l’estensione, negli anni ’90, dell’alleanza militare all’Europa centrale e orientale, che avrebbe dovuto garantire la pace? Intrappolate dalle loro posizioni “campiste” sui conflitti inter-imperialisti e internazionali, la maggior parte delle organizzazioni della sinistra e dell’estrema sinistra sta adottando questo scenario, arrivando a tacciare di filo-russismo o addirittura di filo putinismo qualsiasi presa di distanza critica. Dopo essersi già arruolati nella crociata antirussa sotto la bandiera a stelle e strisce e aver fallito nella loro missione di mobilitare le classi lavoratrici contro la guerra, si preparano a fare lo stesso cadendo nella rete dell’Union sacrée. Permettendo così all’estrema destra, d’un colpo solo, di monopolizzare il discorso contro la guerra, e offrendole un’altra opportunità di essere in consonanza con le preoccupazioni popolari e di aumentare il proprio pubblico e, cosa altrettanto disastrosa, permettendo al blocco politico-mediatico al potere di identificare come di estrema destra qualsiasi critica alle proprie posizioni. Peggio ancora, queste organizzazioni si impediscono di denunciare e lottare con le classi lavoratrici, non solo contro le molte forme di sfruttamento aggravato (in termini di salari e tasse, attraverso la crescita della disoccupazione e il deterioramento dei servizi pubblici, ecc.) per le quali queste minacce e necessità immaginarie serviranno come legittimazione “incontrovertibile”, ma anche di lottare contro il keynesismo militare, cioè un modo per rilanciare l’economia [attraverso la spesa bellica], e quindi di aumentare ulteriormente i profitti, senza aumentare la domanda di beni di consumo, a favore della sola domanda di beni distruttivi, finanziata da tasse e debito. Va da sé che di questo tipo di stimolo beneficeranno soprattutto gli Stati Uniti, il maggior esportatore mondiale di attrezzature e tecnologie militari, anche se alcuni Paesi europei possono sperare di approfittarne per aumentare la propria produzione e le proprie esportazioni (nell’ordine: Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna). Blues in Kiev Ma le persone più da compatire sono ovviamente gli ucraini, gli unici che hanno dovuto entrare nella tana del leone. Sono quelli che hanno pagato il prezzo più alto, in termini di sfollamento ed esilio di massa della popolazione, di morti e distruzioni militari e civili, per il cinico gioco dell’Occidente, che ha fatto precipitare un conflitto che si è svolto sul loro territorio e in cui hanno occupato gli avamposti, presumibilmente per forzare la mano ai russi e indebolirli definitivamente. Senza dubbio hanno creduto, e credono tuttora, che questo fosse l’unico modo per difendere la loro sovranità e integrità territoriale, anche se era possibile un’altra strada, quella di un compromesso con la Russia, che avrebbe permesso loro di salvare l’essenziale sotto entrambi i punti di vista. Una strada che l’Occidente ha vietato loro di percorrere, sia prima che subito dopo il lancio dell’offensiva russa del 24 febbraio 2022: mentre alla fine di marzo era in vista un accordo russo-ucraino, è stato l’Occidente a decidere che gli ucraini dovevano abbandonarlo. E sono ancora questi ultimi che si preparano a pagare il prezzo più alto quando arriverà il momento, che non tarderà ad arrivare, di una pace forzata. D’ora in poi, la pace sarà firmata alle condizioni che i russi, vincitori sul campo, accetteranno o imporranno. Dopodiché, gli ucraini dovranno ancora pagare l’enorme debito di guerra accumulato e ricostruire il loro Paese, in parte devastato dalla guerra, con una popolazione che si è ridotta notevolmente (da 45 milioni nel 2013 a 33 milioni nel 2023). Rimuginando, nel frattempo, sull’amarezza della sconfitta e del tradimento, sulle cui ragioni avranno tutto il tempo di riflettere, ricordando il famoso monito: “Dio, proteggimi dai miei amici, che ai miei nemici ci penso io”. Il sangue freddo a Mosca La sobrietà delle ultime dichiarazioni di Mosca contrasta con i deliri megalomani di Washington, con la febbre angosciosa delle capitali europee e con l’ostinazione di Zelensky nel suo errore iniziale. Eppure la Russia avrebbe tutte le ragioni per pavoneggiarsi. Lungi dal crollare sotto l’impatto delle sanzioni commerciali e finanziarie attuate dagli occidentali, come questi ultimi avevano annunciato urbi et orbi, essendo riuscita a rimettersi in piedi dopo un inizio militare fallimentare e avendo dimostrato la solidità delle sue alleanze, in particolare con la Cina e l’Iran, al momento la Russia sembra essere la grande vincitrice di questo conflitto, a un passo dall’aver raggiunto gli obiettivi che si era prefissata. Senza dubbio sa anche che non basta vincere la guerra, deve vincere anche la pace. E per farlo, dovrà pagare il prezzo della sua vittoria. Tra questi, il fatto che l’odiata NATO, pur non riuscendo a stabilirsi in Ucraina, è ora presente lungo i 1.340 chilometri del confine comune con la Finlandia. A ciò si aggiungono i massicci programmi di riarmo che gli alleati europei della NATO (o ciò che ne rimane) stanno pianificando di intraprendere. Per non parlare dell’odio duraturo che avrà suscitato nella maggior parte della popolazione ucraina e in coloro che hanno sposato la sua causa. Se evitare l’instaurarsi di una nuova guerra fredda è nei piani russi, non c’è altra soluzione che proporre, come hanno continuato a fare dall’inizio della guerra in Ucraina, la convocazione di una conferenza di pace nel quadro dell’OSCE. Questo metterà a tacere ogni speculazione sulle loro mire espansioniste, mire di cui si faticherebbe a trovare tracce nella storia recente delle relazioni internazionali (quando mai la Russia ha intrapreso operazioni simili alla doppia invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan ?). Potranno sostenere di fronte ai nemici occidentali che non si sceglie il proprio nemico, ma è sempre con lui che si deve firmare la pace. E noi ? Di fronte alle politiche di riarmo a tutto vapore, a fronte del clima di guerra e di « vigilia di guerra » che coltivano i governi bellicisti europei con l’appoggio della grande maggioranza dei media, la sinistra, e in particolare la sinistra radicale, deve superare gli errori di ieri e dell’altro ieri. Si deve chiamare alla mobilitazione delle masse dappertutto in Europa per bloccare una politica che fa già dire a qualcuno che si deve scegliere fra «pensioni o munizioni » (w) e pavimenta la via di una possibile discesa negli abissi. Alain Bihr, Jean-Marie Heinrich Roland Pfefferkorn, Yannis Thanassekos (1) https://fr.statista.com/statistiques/688554/population-totale-ukaine/  (2) Dominique Seux, « Pensions ou munitions ? », Les Echos, 5 mars 2025.
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Saronno, 25 aprile: Resistere all’abisso in cui ci stanno portando
Riceviamo e diffondiamo: La storia non si ripete mai, se non come farsa. Risulterebbe quindi improprio paragonare questo 2025 a qualche altro periodo della storia più o meno recente. Tuttavia,non è improprio provare a ragionare sul periodo attuale, su quali campanelli d’allarme sentiamo chiaramente, su quali rapide trasformazioni stia prendendo la realtà. Negli ultimi mesi ne abbiamo sentite di tutte: il partito neonazista AFD che supera il 20% dei voti in Germania. La striscia di Gaza dipinta sui canali social del presidente degli Stati Uniti come Miami Beach. Dazi al 125%. Spese militari al5%. L’Europa allarmata da questo repentino irrompere della guerra nel discorso globale si affanna a intraprendere la strada del riarmo, con l’imposizione da parte di Von der Leyen di una spesa di 800miliardi. Evidentemente lorsignori preferiscono la guerra alla sanità, all’istruzione, alle pensioni, all’ambiente, insomma, ai diritti fondamentali delle persone, e investono in armamenti. In questa cloaca passa quasi sottotono l’approvazione del cosiddetto Dl sicurezza. Una vera e propria manovra da “guerra interna” con cui si marginalizzano fasce sempre più ampie di persone e si preclude alle stesse la possibilità della protesta e del dissenso. La realtà che abbiamo sotto gli occhi è un mondo apparecchiato per l’accumulo smodato di ricchezze nelle mani di pochi, pochissimi, a fronte dell’annaspare dei più. In questo scenario in rapida evoluzione non possono mancare i nostalgici del ventennio, che cianciano di interventismo europeo e organizzano ronde contro la marginalità. Il discorso securitario a Saronno, in vista delle elezioni, ha preso ancora una volta il sopravvento. Oggi la “sicurezza” è priorità di chiunque si presenti alle elezioni, al punto che una lista civica che guarda all’associazionismo e al volontariato porta il nome di “Saronno Sicura”, lo stesso di una di destra di quindici anni fa. Un’insicurezza percepita che è figlia del deserto che è stato creato: telecamere ovunque e ordinanze liberticide hanno letteralmente dato il colpo finale ad una libera aggregazione giovanile già fortemente repressa. Adesso gli stessi benpensanti che si lamentavano del vociare o del chiasso dei ragazzi, si lamentano di sentirsi insicuri con le strade vuote. /Ma////come,////nello////stesso////testo////parlate////di////guerra////e////di////telecamere?/ Sì, perché la guerra è un momento di disciplinamento della popolazione, di restringimento dei margini del consentito, di repressione più feroce. In questo abissoin cui ci hanno cacciato, le nostre stelle polari rimangono solidarietà e conflitto. La variante umana è un fattore in grado di inceppare questa corsa forsennata, come ha dimostrato la resistenza palestinese diffusasi in tutto il mondo. Nel nostro territorio negli ultimi mesi ci sono state importanti manifestazioni a Nerviano contro la Leonardo, uno dei principali produttori bellici del Paese, e a Busto Arsizio contro la base Nato e la guerra. /Ma////come,////parlate////di////guerra////in////occasione////del////25////aprile?/ Contro l’abisso di allora, contro l’abisso di oggi. LIBERIAMOCI Assemblea antifascista saronnese
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Busto Arsizio, 5 aprile: Corteo contro la guerra , il riarmo e in solidarietà alla Palestina
Riceviamo e diffondiamo: Sabato 5 aprile 2025, Busto Arsizio, Piazza Garibaldi – Ore 15.00: Corteo! Contro la guerra e tutto ciò che la rende possibile -No ReArm Europe Contro la “campagna di riarmo” dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri, che ci trascinano nel baratro di un nuovo conflitto mondiale. Fermiamo la macchina bellica, dalle fabbriche di morte alle basi militari presenti sui nostri territori. -No all’economia di guerra Dalla scuola alla sanità pubblica, dalle pensioni al lavoro: mentre centinaia di miliardi vengono destinati al riarmo ed ingrassano l’industria bellica, prosegue impunito il saccheggio e la distruzione di quel che resta dello stato sociale. -No alla guerra interna e alla militarizzazione della società, della scuola e dell’università Se all’esterno dei confini si sganciano le bombe, all’interno del Paese si inasprisce la repressione del dissenso, delle lotte e del conflitto sociale, come nel caso del DDL 1660. Aumentano anche la sorveglianza ed il controllo di massa, facilitate dall’impiego di tecnologie militari sperimentate sugli odierni campi di battaglia. -No NATO In occasione del 76esimo anniversario di fondazione dell’Alleanza atlantica, mobilitiamoci contro l’imperialismo occidentale coordinato dalla NATO, una minaccia costante alla pace, alla libertà e all’autodeterminazione dei popoli del mondo, a partire dalla vicina base di Solbiate Olona, dove ha sede il Comando multinazionale delle forze di intervento rapido dell’Alleanza. -Palestina libera! Per fermare il genocidio in corso in Palestina, sosteniamo la resistenza del popolo palestinese, recidiamo i legami di connivenza ed il supporto economico, politico e militare all’insediamento coloniale sionista. La guerra comincia qui: dall’Italia, terzo maggior esportatore di armi verso Tel Aviv, responsabile anche dell’invio di almeno 2.5 miliardi di euro di armamenti a Kiev; dalla Lombardia, una delle regioni italiane con la più alta produzione militare; dalla provincia di Varese, che tra il 2022 e il 2023 ha visto le proprie esportazioni belliche crescere del 96.7% e che ospita anche la Leonardo SpA, il cui titolo in borsa ha registrato dall’inizio dell’anno un +70%. E’ tempo di agire prima che sia troppo tardi, è tempo di rovesciare questo sistema di predazione, di colonizzazione, di sfruttamento e di morte. Assemblea contro la guerra
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Gaza è anche qui! Il genocidio è ora! Presidio a Bolzano il 29 marzo
Riceviamo e diffondiamo: Sabato 29 marzo, alle ore 11 ci sarà un nuovo presidio contro il genocidio del popolo palestinese. Il ritrovo è all’angolo fra via cassa di risparmio e via museo (di fronte a museo di Oetzi)   GAZA È ANCHE QUI – IL GENOCIDIO È ORA!   I palestinesi “sono feccia, subumani, nessuno al mondo li vuole. I bambini e le donne vanno separati, e gli adulti eliminati.” Nissim Vaturi, vicepresidente del Parlamento israeliano   Dopo 17 mesi di genocidio e una fragile tregua, durante la quale Israele ha continuato ad uccidere impedendo l’entrata di aiuti umanitari e tagliando l’elettricità, Netanyahu ha dato seguito alle minacce e ordinato di riprendere i bombardamenti a tappeto sulla Striscia. Il 18 marzo, alle 2 di notte i caccia di Tel Aviv sono partiti e hanno colpito la popolazione nel sonno causando 500 morti in un solo giorno, fra essi almeno 150 bambini. Insieme alle bombe l’esercito israeliano ha dato nuovi ordini di evacuazione a centinaia di migliaia di persone che ormai da un anno vagano disperati in una terra ormai invivibile, senza ospedali e ridotti allo stremo da fame, malattie, rastrellamenti militari e bombe. La rottura della tregua è stata preceduta da una serie di notizie false, inventate ad arte dalla propaganda israeliana e puntualmente riprese da tutti i principali media occidentali come quella che riferiva di un nuovo progetto di invasione di Israele da parte dei commando di Hamas. Sempre nei giorni scorsi gli Stati Uniti hanno bombardato a più riprese lo Yemen, massacrando decine di persone mentre invece Israele continua a colpire in Siria e Libano. Non si contano ormai le inchieste e i rapporti delle organizzazioni internazionali che dimostrano come quello in corso a Gaza sia uno sterminio con un chiaro intento genocida. Un recente rapporto Onu intitolato Più di quanto un essere umano possa sopportare ha documentato le sistematiche violenze sessuali, riproduttive e di genere finalizzate a eliminare fisicamente i palestinesi. Nessuna forma di violenza è risparmiata ad un popolo martirizzato da Israele con la decisiva complicità dell’Occidente, Stati Uniti e Unione Europea in testa, fra cui l’Italia. Gaza è la cartina di tornasole della retorica militarista della borghesia europea, ostile a ogni possibile accordo che metta fine alla guerra per procura condotta in Ucraina tanto da rilanciare come unica opzione, una corsa al riarmo che fa unicamente la fortuna dei colossi delle armi come Leonardo, Rheinmetall e Iveco Defence Vehicles. Il partito unico della guerra e degli affari, trasversale a partiti e gruppi di potere, sta spingendo sulla necessità di avviare piani straordinari di riarmo. Gli intellettuali e giornalisti organici al potere danno man forte e chiamano le piazze a sostegno di un’Unione Europea che parla solo di riarmarsi mentre non hanno il coraggio di dire una parola netta sullo sterminio del popolo palestinese o sui criminali bombardamenti americani in Yemen. Dopo 17 mesi di orrore indicibile come quello di Gaza il messaggio che le élite israeliane, americane ed europee stanno mandando a tutto il mondo è chiaro: un genocidio in diretta televisiva, con un adeguato apparato propagandistico in grado di falsificare la realtà, le responsabilità e il significato delle parole si può fare. Si può condurre una guerra contro una popolazione civile, tagliare cibo, acqua ed elettricità, si possono ammazzare 50mila persone, forse 70mila (la rivista di medicina “The Lancet” parla di oltre 186.000 morti per cause dirette e indirette). Si può violare impunemente un accordo di tregua e dire che la colpa sta altrove. Si possono stuprare i prigionieri politici, si possono torturare in maniera sistematica i prigionieri in veri e propri lager. Si può fare. Gaza è laboratorio del possibile e la dimostrazione che anche la democrazia, con le dovute manipolazioni, può essere ridotta a essere una mera procedura decisionale e quindi compatibile con lo sterminio di un popolo, con l’apartheid, con i peggiori orrori che credevamo fossero un’esclusiva del fascismo novecentesco. Il caso del Genocidio del popolo palestinese dimostra come nel 2025, in una società iperconnessa in cui gli algoritmi determinano orientamenti, informazioni e interessi, sia possibile fare digerire ogni forma di orrore alla popolazione, ridotta in buona parte all’apatia digitale e sempre più incapace di provare sentimenti di umanità, ancor prima di avere una coscienza politica. Non possiamo permetterci la rassegnazione: denunciamo le gravi responsabilità del Governo italiano e di multinazionali come Leonardo e Iveco nel Genocidio. Fermiamo la corsa al riarmo. Facciamo battere il nostro cuore con gli oppressi di Gaza, con tutti gli oppressi che lottano e resistono alla barbarie del terrorismo di Stato israeliano, del colonialismo e dell’imperialismo. La loro lotta è la nostra lotta. Siamo tutti palestinesi.   IL SILENZIO È COMPLICITA’ – FERMIAMO IL GENOCIDIO DEL POPOLO PALESTINESE   Assemblea solidale con il popolo palestinese –Bolzano freepalestinebz@inventati.org – Telegram “Free Palestine BZ”
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Mai adatto alla guerra! Fuoco alla flotta della Bundeswehr [forze armate tedesche]
Mai adatto alla guerra! Fuoco alla flotta della Bundeswehr [forze armate tedesche] da https://abolitionmedia.noblogs.org Nel corso delle elezioni del Bundestag [Parlamento federale tedesco], quasi tutti i partiti si sono superati a vicenda nell’aumentare la spesa per gli armamenti, (ri)stabilire la capacità militare tedesca, richiedere ancora più esportazioni di armi e obbligare i giovani a prestare servizio nell’esercito. La RFT [Repubblica federale di Germania] è da tempo tornata al gioco della corsa agli armamenti e della mobilitazione. Ma le guerre non hanno bisogno solo di armi e infrastrutture, hanno bisogno di soldati, ma soprattutto di una società che sia disposta a seguire, che sia pronta ad assassinare e che sia pronta a compiere ciecamente e con giubilo tutte le atrocità del mondo. Mai adatto alla guerra! Non oggi Non nel 2029 Mai più Resisti agli inizi… Siamo in una crisi in cui la prossima guerra mondiale non sembra lontana. Se questa guerra continua a intensificarsi, devasterà il nostro pianeta. Mentre gli Stati Uniti si sono ritirati dalla guerra di aggressione in Ucraina, l'”Europa unita” si unisce e discute apertamente di un vero deterrente nucleare contro la Russia. Ogni giorno, gli eventi si susseguono fitti e rapidi senza che troviamo una risposta che renda giustizia a ciò che sta accadendo in questo mondo. Questa non è la nostra guerra, vogliamo un futuro. Per quale guerra ci si sta preparando qui? E chi trae vantaggio dalla guerra? Le guerre e i conflitti di questo mondo ruotano in una proporzione significativa attorno alle lotte per la distribuzione dell’energia, all’accesso alle risorse, agli interessi economici e, in ultima analisi, al potere. Non è una lotta per la democrazia, la giustizia o i valori, anche se questa è la narrazione dei governanti. La maggior parte delle persone soffre di queste guerre, mentre i ricchi e i potenti si riempiono le tasche. L’imperialismo occidentale sta cercando di mantenere la sua supremazia, mentre altre forze imperialiste come la Russia e la Cina vogliono rivendicarla per sé. Il sistema capitalista reagisce all’attuale crisi, come spesso accade nella storia, con distruzione e aggressione. E le diverse parti in guerra non agiscono mai secondo gli interessi delle persone che ne sono direttamente colpite. La guerra è sempre una guerra di potenze capitaliste, in cui le persone di tutti i paesi possono solo perdere. La loro sofferenza è descritta come un destino inevitabile e l’inimicizia tra loro è alimentata dal nazionalismo. Difendiamo la nostra posizione rivoluzionaria sulla questione della guerra e lottiamo per l’amicizia di tutti i popoli! Ciò che sta accadendo in Germania non è la preparazione per la difesa di possibili attacchi o l’istituzione di una cosiddetta capacità difensiva. Essere pronti per la guerra significa prepararsi a fare la guerra. Ciò per cui Pistorius e Merz stanno preparando la società tedesca, anche per quanto riguarda uno spostamento globale del potere e un nuovo rafforzamento delle guerre per garantire riserve energetiche, zone di potere e mercati di vendita, sono guerre di aggressione in altri paesi con un’elevata partecipazione tedesca. A tal fine, i soldati devono essere mandati a scuola, la clausola civile deve essere revocata e le infrastrutture e il sistema sanitario devono essere preparati per l’evento di guerra. Qui nel Paese gli affitti aumentano, il sistema sociale viene sempre più minato e allo stesso tempo centinaia di miliardi di euro devono essere stanziati per gli armamenti. E non si vede la fine: per soddisfare il 2 percento del PIL richiesto dalla NATO, il fondo speciale è solo una pietra miliare e il dibattito su ulteriori aumenti è in corso da molto tempo. Ciò che sta accadendo qui è guerrafondaio. Dov’è il clamore? Qui in Germania si sta preparando un’ulteriore intensificazione di una guerra globale, quindi dobbiamo sabotare i centri dei guerrafondai. Nella notte del 7 marzo, sette veicoli della Bundeswehr sono stati incendiati nel parcheggio di un’officina MAN, perché ci piace che vengano bruciati solo i mezzi bellici. No al riarmo! No alle esportazioni di armi! No alla coscrizione! Per la pace dei popoli! Gruppo Agenda2029 ps: Abbiamo registrato un video della nostra azione. Saremo felici se lo diffondete sui vostri canali: http://klktv54valq67z2llp6ew7cejyepqgcrnpaf2xhwlq7o64ufk5tb6kid.onion/w/2RtPgFArnHCu7ay83uPkJm https://de.indymedia.org/node/497213
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