
La parola della settimana. Fake
NapoliMONiTOR - Saturday, April 19, 2025
Avevamo una gag, con El Trinche Carlovich, che prendeva un po’ in giro Nicolao Dumitru, giocatore del Napoli nel 2010-11. In realtà la gag era sull’incontentabilità del tifoso partenopeo che, spazientito per le prestazioni del calciatore, se la prendeva con lui a ogni occasione, chiedendogli più sfrontatezza quando lo vedeva timido e diligente in campo, e più umiltà non appena il povero Dumitru tentava una giocata. Questo atteggiamento provocava crisi di identità al ragazzo, fino a fargli chiedere all’allenatore di tenerlo in panchina (vero è che a fine stagione Dumitru andò via da Napoli e non combinò più nulla in carriera)
Quella gag diventò uno dei migliori pezzi tra i fake che di tanto in tanto ci divertiamo a pubblicare, talmente riuscito che il procuratore o l’avvocato, ora non ricordo, del calciatore, ci mandò una mail intimandoci di rimuoverlo (una cosa simile successe anche con uno dei nostri bersagli preferiti, lo scrittore Maurizio De Giovanni; per questo articolo Bassolino e i suoi si divertirono invece parecchio). Più divertente ancora, fu che il pezzo su Dumitru – confuso dai più per una vera intervista – cominciò a girare sui siti web dedicati al Napoli, dando vita a un dibattito tra tifosi che riproponeva gli stessi atteggiamenti su cui noi credevamo di scherzare.

Nel 2023 il Napoli vinse lo scudetto con largo anticipo. Travolti dal fiume di retorica che scorreva tra le pagine dei quotidiani, decidemmo di pubblicare un intero giornale fake. Ancora una volta, i più distratti lo scambiarono per una cosa reale.
In questi anni ho imparato a fare tutto: ho scritto libri e racconti, ho mostrato il calcio e la politica, sono stato dalla parte dei deboli e ho girato spot per gli Agnelli e film commissionati da Hollywood. Ma sono rimasto il ragazzo con l’orecchino che non ci credeva che “solo ‘e strunz’ vanno a Roma”. Sono andato e tornato, di nascosto, tanto che una notte di due anni fa un barbone davanti al centro Paradiso, stupito nel vedermi piangere e baciare un santino di Ciccio Romano, mi disse: “M’a vuo’ ra’ ‘na sigarett’?”. Va così, quando mi perdo e la mente vaga. Torno nel mio film.
C’è Silvio Orlando che scrocca le partite sul pezzotto; c’è Bentivoglio che interpreta De Laurentiis e sale sul motorino di un passante gridando: “Siete delle merde!”; c’è Morgan Freeman in un flash forward metaforico su Osimhen da vecchio, che spezza le sue catene e cammina sul prato del Paradiso circondato da fenicotteri che no, non so che cazzo vogliono dire, ma comunque ce li devo mettere. (paolo sorrentino, il mio film tricolore in: la gazzella dello sport)
In napoletano c’è una parola che, come l’inglese fake, vuol dire molto di più di “falso”. “Pezzotto” è la app pirata che ti permette di vedere le partite pagando un quarto del costo di Sky e Dazn (già negli anni Novanta esistevano le “schede pezzottate” di Stream e Tele+); “pezzottati” erano i vestiti di marca simili all’originale ma cuciti chissà dove e smerciati nei mercati di strada (oggi il termine è passato di moda a favore di “paralleli”); “pezzotta” è una ragazza bassina e dal carattere forte, “pezzotto” era il cd masterizzato con l’ultimo album di Tizio o Caio o il gioco appena uscito per la Play Station, ma anche la zeppa che si infila sotto a un tavolo o un mobile traballante, o una persona che cerca di imitare altri senza successo.
Compa’ si bell’ comme ‘a sta palla e leccame ‘a caramella che tengo acopp’.
‘O vero mast’ ‘e festa,
‘o peggio guastafeste p’e pezzott’,
vengo aropp’ l’otto pecchè song’ ‘o guaje ‘e notte. […]
Chesta è ‘a ricett si sì ‘nu favez’ MC,
siente e statte: uno, doje, tre e quatte!
Chiste so’ ‘e nummere e accussì va ‘o fatto,
‘ngopp’ ‘o beat spaccamm’ ‘o pezzotto: cinche, sei, sette e otto!
(la famiglia; uno, due, tre e quatto)

Un’amica mi ha regalato qualche settimana fa un fumetto francese dal titolo Les Complotistes, facendo riferimento alla mia tendenza a vedere ovunque inganni, insidie, falsi amici e profeti (va detto che il novanta per cento delle volte il tempo mi dà ragione). Mi ero quasi offeso nel leggerlo, sentendomi accostato a terrapiattisti e company, poi per fortuna il libricino, e la mia amica, si sono salvati all’ultima tavola, quando gli autori ci fanno capire che il problema in fondo non sono le scie chimiche e i cerchi nel grano, ma il capitalismo.
(a cura di riccardo rosa)