
Preferisco di no
il Rovescio - Monday, May 26, 2025
Cosa fare, nella sezione “semi-liberi” di un carcere, contro l’orrore di Gaza? Il nostro amico e compagno Massimo ha deciso di partecipare allo sciopero generale “Fermiamo il genocidio” (proclamato nella provincia di Trento da due sindacati di base per il prossimo 30 maggio). Nel suo caso, uno sciopero “un po’ paradossale”, perché consiste nel rimanere in carcere invece di uscire per lavorare. Il testo che segue ne spiega le ragioni.
Preferisco di no
Benché nella mia esistenza non abbia trascorso che una manciata di anni recluso, si tratta comunque di molto più tempo di quello che ho passato lavorando come salariato. Di conseguenza, tra i metodi di lotta che ho praticato non rientrava fino ad oggi lo sciopero, se non nella forma indiretta dell’appoggio solidale. I casi della vita (e della repressione) fanno sì che in questo momento io sia contemporaneamente un lavoratore dipendente e un detenuto in semi-libertà (o semi-prigionia). Mi trovo quindi nella situazione un po’ paradossale di poter scioperare, scegliendo di non uscire dal carcere per farlo.
Lo sciopero generale “Fermiamo il genocidio” indetto a livello provinciale dai sindacati di base Cub Trento e Sbm per venerdì 30 maggio me ne dà l’occasione.
L’orrore di Gaza, la cui violenza genocida sta oggi assumendo i caratteri della vera e propria soluzione finale, è un pungolo fisso che sento nel costato e nello spirito. Da quando sono qui non ho smesso di chiedermi cosa posso fare che abbia un minimo di senso. Non perché m’illuda di poter mettere chissà quale peso sulla bilancia della storia, ma perché non posso accettare che la normalizzazione del massacro guadagni terreno nella mia coscienza. Rinunciare a qualche ora di “libertà”, standomene in carcere con indosso una maglietta sulla resistenza palestinese e una kefiah, mi accomunerà se non altro a quei milioni di persone nel mondo che non sanno esattamente cosa fare ma che non possono far finta di niente.
Il prigioniero palestinese Anan Yaeesh ha scritto, nella sua potente e commovente dichiarazione, di sentirsi un privilegiato rispetto al suo popolo stretto tra le bombe, la fame e la violenza assassina dei coloni. Se è un “privilegio” per un palestinese la prigionia nella sezione di Alta Sorveglianza di Terni – la stessa in cui è rinchiuso il mio amico e compagno Juan –, la mia condizione è allora un doppio privilegio. Se sono convinto che senza azioni diffuse e risolute non si può spezzare l’infame complicità dello Stato e del capitalismo italiani (delle loro fabbriche di armi, delle loro banche, dei loro porti, della loro logistica, dei loro centri di ricerca, delle loro università) con il regime sionista, mi piace la proposta di uno sciopero economico, sociale e umano, perché la non-collaborazione individuale e collettiva è parte necessaria di un movimento internazionalista di solidarietà. L’anarchico francese Albert Libertad lo chiamava, più di un secolo fa, «sciopero dei gesti inutili». Se generalizzato, lo sciopero dalle attività anti-ecologiche e anti-sociali su cui si fondano e con cui si riproducono lo Stato e il capitale potrebbe sfidare il più oppressivo dei regimi. Il punto è che nella storia la non-collaborazione non è mai riuscita a sottrarre così tanta legna da spegnere il fuoco del potere – di qui la necessità di altre pratiche di resistenza e di lotta. Ad ogni modo, l’espressione «preferisco di no» è il lievito di ogni rivolta morale – sempre possibile, anche quando si è all’angolo (o in una cella).
Nel ringraziare chi ha proclamato lo sciopero, e nello stringere idealmente la mano a tutti quelli che il 30 maggio cercheranno di essere sabbia e non olio negli ingranaggi automatizzati del genocidio, posso solo dire che la mia “libertà” oggi vale ben poco senza la liberazione del popolo palestinese, la cui indomita resistenza perfora i muri (persino quelli delle carceri).
Servano le sbarre a ricordarmi la sua prigionia. Possano queste mie povere parole servire come monito a non cedere al comfort della rassegnazione. Come occasione, anche, perché «possiamo intanto che abbiamo cuore».
«Durano i sentimenti / più del tuo corpo / e del mio»
Francesca Matteoni
«A dire che non siamo che occasioni, contenitori provvisori di qualcosa che comunque esisteva, esiste ed esisterà: prima, durante e dopo di noi, che possiamo. Ma possiamo intanto che abbiamo cuore»
Maria Grazia Calandrone
Carcere di Trento, 14 maggio 2025
Massimo Passamani
Riportiamo di seguito il testo d’indizione dello sciopero, anche per rendere più comprensibili alcuni riferimenti contenuti nella “dichiarazione” di Massimo:
Uno sciopero per Gaza
Non ci sono più parole. Siamo di fronte al piano esplicito, formale, dichiarato, di soluzione finale della questione palestinese. Dopo 19 mesi di violenza genocida ed ecocidia contro gli abitanti e la terra di Gaza, il Gabinetto di guerra israeliano ha approvato il piano di invasione del 90% della Striscia. Si chiama «Operazione Carri di Gedeone».
Più di due milioni di palestinesi verrebbero sfollati a forza e rinchiusi nel restante 10%, un territorio grande come Mantova, una città di quarantamila abitanti. Intanto continua il blocco di cibo e acqua, con immagini strazianti di bambini scheletrici che si aggirano tra cumuli di macerie. Alla morte o deportazione dei gazawi si aggiunge l’intento esplicito di annettere la Cisgiordania, cioè di realizzare il «Grande Israele» senza più tracce del popolo palestinese. Il tutto con la complicità dell’intero Occidente (governo italiano compreso). Il parlamentare del Likud (lo stesso partito di Netanyahu) Moshe Saada ha proclamato sull’emittente televisiva Canale 14: «Sì, farò morire di fame gli abitanti di Gaza, sì, questo è un nostro dovere». Queste, invece, le parole del dissidente israeliano Gideon Levy: «Non esiste più “permesso” e “proibito” riguardo alla malvagità di Israele nei confronti dei palestinesi. È permesso uccidere decine di prigionieri e far morire di fame un intero popolo. Un tempo ci vergognavamo di tali azioni; la perdita della vergogna sta ora smantellando ogni barriera rimanente».
Di fronte a un tale orrore che si compie in diretta, continuare la nostra vita quotidiana come se nulla fosse ci è semplicemente insopportabile. E sappiamo di essere in tanti a provare un sentimento simile di angoscia, di impotenza, di rabbia. Per questo lanciamo uno sciopero generale per l’intera giornata di venerdì 30 maggio.
Uno sciopero che non sia solo astensione del lavoro – un’astensione che vorremmo la più ampia possibile e in grado di incidere sull’economia –, ma astensione da tutto quell’insieme di gesti che riproducono la normalità sociale: fare la spese, prendere un mezzo di trasporto, andare al bar, in banca, alla posta, prelevare dal bancomat, collegarsi a Internet ecc. Insomma, uno sciopero economico, sociale e umano affinché pensieri e gesti siano rivolti, almeno per un giorno, unicamente al popolo palestinese, alla sua indicibile sofferenza e alla sua indomita resistenza. Per questo stiamo pensando anche a un momento in un cui trovarsi collettivamente per leggere riflessioni, appelli, poesie e altre testimonianze da Gaza e per raccogliere fondi per la sua popolazione. Usciamo dalla logica delle parrocchie politiche con uno sforzo comune: diffondiamo il senso della giornata del 30, partecipiamo e invitiamo a partecipare. In gioco, insieme alle sorti di un intero popolo, è ciò che rimane della nostra umanità.
Trento, 9 maggio 2025
CUB Trento e SBM
(Ci facciamo promotori dello sciopero perché come organizzazioni sindacali ci sentiamo in dovere di farlo e per dare copertura a chi, in tempo di genocidio, sa da che parte della storia collocarsi)