Il populismo penale è una tendenza globale

Osservatorio Repressione - Tuesday, May 27, 2025

Intervista a Gian Luigi Gatta ordinario di diritto penale dell’Università di Milano: “Per garantire la sicurezza non serve aggiungere reati e aumentare le pene, ma intervenire con le leggi sulle condizioni che determinano la criminalità”.

di Mario Di Vito da il manifesto

Dieci incontri in dieci atenei italiani, da nord a sud, per spiegare come si coniugano – e quando si scontrano – i principi costituzionali e la politica criminale. Nei giorni in cui il decreto sicurezza viene convertito in legge dal parlamento, intervengono così nel dibattito gli iscritti all’Associazione italiana dei professori di diritto penale (Aipdp). “È una manifestazione di impegno civico, vogliamo cercare di stimolare qualche riflessione tra gli studenti, nell’opinione pubblica e, possibilmente, anche tra i parlamentari”, dice al manifesto Gian Luigi Gatta, ordinario di diritto penale all’Università di Milano e presidente dell’Aipdp.

Professore Gatta, l’intenzione è ammirevole, però, almeno per quanto riguarda il legislatore, non sembra ci sia tutta questa intenzione di ascoltare…

Purtroppo è vero, abbiamo visto che c’è stata una chiusura a ogni proposta di modifica. Devo dire che mi sembra un po’ preoccupante questo voler andare avanti sempre e comunque a colpi di maggioranza. Chi pensa e scrive le leggi dovrebbe sapere benissimo che possono essere necessarie delle correzioni alle idee originarie. Il dibattito in fondo serve anche e proprio a questo.

Il titolo dell’incontro che avete organizzato per domani a Napoli (ore 14, nell’aula Pessina dell’Università Federico II) è “Populismo globale vs garantismo penale”. Lascia intendere che non parliamo di un problema soltanto italiano…

No, infatti interverranno anche associazioni e docenti dalla Spagna, dall’Argentina, dal Brasile e dal Cile. Il populismo del resto è un fenomeno globale: è molto diffusa l’idea che si possa attrarre consenso elettorale attraverso la medicina penale, per così dire, come se fosse la cura a tutti i mali. Noi in Italia abbiamo il decreto sicurezza, ma stiamo vedendo cosa accade nell’Argentina di Milei, negli Stati Uniti di Trump, nell’Ungheria di Orbàn e altrove. È una tendenza che riguarda tutto il mondo.

Come rispondere?

Il punto è che per garantire la sicurezza non serve aggiungere reati e aumentare le pene, ma intervenire con le leggi sulle condizioni che determinano la criminalità. Già Cesare Beccaria legava la tranquillità pubblica alle politiche attive e all’organizzazione: diceva che servivano più agenti di polizia, maggiore illuminazione nelle strade… Bisognerebbe intervenire sull’educazione, sulle situazioni di disagio sociale e fare investimenti.

Chi è al governo direbbe che su questo fronte è stato già fatto il decreto Caivano…

Che ha soltanto aumentato il ricorso alla carcerazione, soprattutto per i minorenni, per i quali al contrario bisognerebbe il più possibile evitare di utilizzare questo strumento. Infatti, da quel decreto, gli ingressi negli istituti penali minorili sono raddoppiati. È stata anche aumentata la pena per lo spaccio di lieve entità, che oggi consente la custodia cautelare in carcere. Mi pare che da un lato ci si lamenti dell’elevato ricorso alla custodia cautelare mentre dall’altro, innalzando le pene, la si aumenta in continuazione. Ma è un’illusione puntare sulla pena per risolvere i problemi sociali.

Eppure siamo sempre allo stesso punto…

Nel 2014 Papa Francesco incontrò i docenti di diritto penale e parlò proprio della falsa convinzione di convinzione che attraverso la pena si possano risolvere i più disparati problemi sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse raccomandata la medesima medicina. Disse che in realtà servirebbero politiche sociali ed economiche. Ma tutte le riforme di cui parliamo sono a costo zero o quasi. L’unico capitolo di spesa previsto dal decreto sicurezza riguarda le bodycam per gli agenti. Mi pare un po’ poco…

 

 

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