
Michele Angiolillo. Anarchico, internazionalista, giustiziere
il Rovescio - Friday, August 8, 2025Qui il pdf: Angiolillo
Michele Angiolillo. Anarchico, internazionalista, giustiziere
L’8 agosto 1896, nella stazione termale basca di Santa Águeda, il primo ministro spagnolo Antonio Cánovas del Castillo viene ucciso con un colpo di pistola. A sparare è Michele Angiolillo, un anarchico foggiano di venticinque anni. Durante la sua arringa difensiva, il giovane anarchico dichiarerà di aver ucciso Cánovas in quanto personificazione di «ciò che hanno di più ripugnante la ferocia religiosa, la crudeltà militare, l’implacabilità della magistratura, la tirannia del potere e la cupidigia delle classi possidenti. Io ne ho sbarazzato la Spagna, l’Europa, il mondo intero. Ecco perché io non sono un assassino, ma un giustiziere!». Il suo riferimento al «mondo intero» non è un’iperbole retorica. Negli stessi anni in cui il primo ministro spagnolo dispiega una feroce repressione interna, culminata nella proclamazione della legge marziale a Barcellona e nelle torture inflitte a centinaia di prigionieri nell’infame fortezza di Montjuïc, i suoi governatori coloniali e i suoi generali rispondono con la strage e con i campi di concentramento (i primi della storia) all’insurrezione cubana e alla sollevazione nelle Filippine. Non a caso il libro che Angiolillo porta con sé, quando parte da Londra con il proposito di giustiziare Cánovas, è Les Inquisiteurs d’Espagne, de Cuba e des Filippines, scritto dall’anarchico creolo cubano Fernando Tarrida del Mármol, anch’egli detenuto a Montjuïc. Nella sua arringa Angiolillo parla esplicitamente, oltre che di Montjuïc, della violenza coloniale a Cuba e nelle Filippine.
Sotto il tallone di Crispi
Michele Angiolillo era nato a Foggia il 5 giugno 1871 (subito dopo la sanguinosa repressione della Comune di Parigi). Durante gli anni di studio presso un istituto tecnico, diventa un militante repubblicano radicale. Esce dall’esperienza della coscrizione militare con convinzioni anarchiche. In occasione delle elezioni del 1895, pubblica un manifesto contro le «leggi scellerate» promulgate dal primo ministro Crispi. Il Cánovas italiano, subito dopo avare represso nel sangue il moto dei Fasci siciliani e l’insurrezione scoppiata in Lunigiana in solidarietà con i contadini della Sicilia, si prepara all’aggressione imperialista in Abissinia – conclusasi con la disastrosa sconfitta di Adua –, di cui la legislazione d’emergenza è il riflesso sul fronte interno. Per il suo manifesto Angiolillo viene arrestato con l’accusa di «incitazione all’odio di classe». Rilasciato in attesa del processo, il giovane compagno spedisce una lettera al ministro della Giustizia in cui attacca il pubblico ministero, cosa che gli procura una condanna a diciotto mesi di carcere e tre anni di confino. A quel punto Angiolillo parte sotto falso nome e raggiunge Barcellona passando per Marsiglia. Nel capoluogo catalano impara il mestiere di tipografo e partecipa attivamente alle attività del movimento anarchico, all’epoca vero e proprio crocevia cosmopolita. Collabora, tra le altre cose, a «La Ciencia Social» insieme a Tarrida e Ramón Sempau (lo scrittore e poeta bohémien, nonché simpatizzante anarchico, che cercherà di giustiziare il luogotenente Portas, responsabile delle torture a Montjuïc). Dopo l’attentato al Corpus Domini – di cui diremo in seguito –, Angiolillo scampa alla retata organizzata da Cánovas contro centinaia di sovversivi – tra cui Cayetano Oller, compagno dell’anarchico foggiano – e ripara a Marsiglia. Qui viene arrestato per dei documenti falsi e, dopo un mese di carcere, viene espulso in Belgio. Quando la campagna internazionale lanciata da Tarrida contro Cánovas è al suo apice, Angiolillo si trasferisce a Londra, dove ritrova Oller – sottoposto a terribili torture a Montjuïc, rilasciato per mancanza di prove ed espulso dal suo stesso Paese –, e dove partecipa all’imponente manifestazione organizzata dal Commitee on Spanish Atrocities, comitato promosso anche da Tarrida, il quale nell’occasione parla per la delegazione dei rivoluzionari cubani. Durante la manifestazione prende la parola anche l’anarchico francese Charles Malato, che nel suo intervento invoca vendetta per le vittime di Cánovas, tra cui cita lo scrittore filippino José Rizal, assassinato nella colonia spagnola; ma soprattutto salgono sul palco alcuni dei torturati di Montjuïc, i quali mostrano in pubblico i loro corpi mutilati. Qualche tempo dopo, l’anarchico foggiano incontra personalmente Francisco Gana, che portava i segni indelebili delle sevizie subite dagli aguzzini spagnoli. Così descrive la scena, nella sua autobiografia (Nella tormenta), l’anarchico tedesco Rudolf Rocker:
Quella notte, quando Gana mostrò le sue membra mutilate e le cicatrici che le torture avevano lasciato su tutto il suo corpo, capimmo che leggere di tali questioni è una cosa, ma sentirne parlare dalle labbra di chi le ha subite è un’altra. […] Eravamo tutti seduti immobili, pietrificati, e trascorsero diversi minuti prima che fossimo in grado di proferire qualche parola di indignazione. Solo Angiolillo rimase in silenzio e, poco dopo, si alzò pronunciando un laconico saluto per poi lasciare l’abitazione. […] Questa fu l’ultima volta che lo vidi.
L’ultima volta che lo vide il mondo, fu il 20 agosto 1986, il giorno in cui il giovane anarchico fu garrotato. Non prima di aver urlato al mondo «Germinal!».
Dalle segrete di Montjuïc
Il 7 giugno 1896, a Barcellona, una bomba esplode durante la processione del Corpus Domini, causando tre morti sul colpo e decine di feriti (nove dei quali moriranno in seguito). Benché non si possa escludere che sia stata un’azione indiscriminata – alla Oberdan, per intenderci – contro l’odiatissima Chiesa spagnola, alleata della monarchia, stampella dei latifondisti e architrave dell’amministrazione coloniale, i sospetti di una provocazione poliziesca perdurano tutt’oggi. Come che sia, Cánovas decreta la legge marziale a Barcellona e fa arrestare più di trecento persone. Meno noto è che la fortezza di Montjuïc diventa – a dispetto dei nuovi inquisitori – un luogo di incontro tra anarchici di vari Paesi, rivoluzionari cubani e deportati filippini. Un esempio emblematico di tale crogiuolo è la condivisione della stessa cella da parte di Ramón Sempau – incarcerato per aver cercato di giustiziare il torturatore Portas – e di Isabelo de los Reyes, già autore del pionieristico El Folk-lore Filipino. Tornato poi a Manila, Isabelo, che aveva conosciuto anche Malatesta, vi porta le prime pubblicazioni anarchiche apparse nelle Filippine, e metterà in campo quello che dice di aver imparato dagli anarchici nell’organizzazione degli scioperi e nella creazione delle prime Unioni Operaie. Quanto a Sempau – esempio di intreccio tra mondo artistico radicale, ideali libertari e propaganda del fatto – sfuggirà alla corte marziale e alla condanna a morte grazie alla campagna internazionale sugli orrori di Montjuïc.
Tornanti
La condanna a morte di Francisco Ferrer nel 1909, così come il movimento internazionale per impedirla, prolunga questa storia. Non solo perché l’esecuzione avvenne, il 13 ottobre, proprio nella fortezza di Montjuïc. Ma soprattutto perché l’accusa contro Ferrer era quella di aver fomentano la «Settimana tragica», la rivolta proletaria e anarchica per impedire l’invio di coscritti chiamati a sedare l’insurrezione in Marocco. In molte città europee le manifestazioni per Ferrer daranno vita a scontri con la polizia. A Torino, dopo la proclamazione dello sciopero generale, le dimostrazioni assumeranno un carattere quasi insurrezionale nei quartieri di Barriera di Milano e di Borgo San Paolo.
Per via del ruolo giocato dai repubblicani e dai democratici nella campagna per Ferrer, quest’ultimo è ricordato come un martire del libero pensiero, come un precursore dell’educazione laica contro l’oscurantismo religioso. Ferrer fu anche questo, certo, ma fu soprattutto un combattente sociale, redattore tra l’altro de «La Huelga general», i cui proclami erano inequivocabili: Viva la Revolución, Viva la dinamita!.
In un’epoca in cui soffiano di nuovo i venti di guerra e sull’altra sponda del Mediterraneo il suprematismo occidentale sta consumando un genocidio; in un presente nel quale si moltiplicano attraverso i continenti le odierne «leggi scellerate» contro il dissenso interno, ricordare il gesto di Angiolillo e il suo «Germinal!» significa riattualizzare quell’internazionalismo che è parte integrante della nostra storia. Non siamo piume al vento.
(Gli elementi storici alla base di questo testo sono tratti soprattutto dal prezioso Anarchismo e immaginario coloniale, scritto da Benedict Anderson nel 2005 e pubblicato quest’anno da elèuthera)