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Con la Palestina nel cuore, contro guerra e repressione. Sul corteo di Milano dello scorso 12 aprile
Riceviamo e diffondiamo: CON LA PALESTINA NEL CUORE, CONTRO GUERRA E REPRESSIONE Sabato 12 aprile abbiamo partecipato, insieme ad altre migliaia di persone, al corteo che ha sfilato per le strade di Milano, in solidarietà alla resistenza palestinese e in opposizione al nuovo decreto sicurezza appena entrato in vigore. Durante il corteo sono state imbrattate e danneggiate le sedi di alcuni istituti bancari e Carrefour. Giunti all’altezza di piazza Baiamonti la polizia ha prima fermato e buttato a terra a freddo un compagno e successivamente ha deciso di tagliare a metà il corteo, caricando e isolando alcuni spezzoni. La volontà della questura, ancora una volta, era di creare una separazione tra chi si comporta bene e chi no, tra chi rispetta le regole e chi invece non vuole sottostare al continuo gioco di contrattazione con lo Stato. Purtroppo per la polizia, dopo le cariche migliaia di persone hanno deciso di non proseguire il corteo chiedendo il rilascio dei compagn fermat. Triste eccezione alla solidarietà dimostrata da buona parte del corteo è il comportamento del servizio d’ordine gestito dall’A.P.I. che ha di fatto protetto la polizia nel momento in cui un compagno veniva fermato violentemente. Comportamento che è stato molto apprezzato dalle forze dell’ordine tanto da fargli guadagnare i complimenti di un agente dei ROS e, inoltre, rivendicato nel loro primo comunicato di dissociazione dai fatti avvenuti. In un momento in cui la guerra bussa sempre più forte alle porte dell’Europa e alla quale lo Stato si prepara con una nuova corsa agli armamenti e con una legislazione sempre più dura verso qualsiasi forma di lotta è necessario oggi più che mai scendere in piazza portando anche in maniera conflittuale la giusta rabbia contro un sistema mortifero fatto di guerra, miseria e sfruttamento. È necessario rivoltarsi ma rivoltarsi per davvero! Se da parte nostra non abbiamo mai avuto fiducia nello Stato e non abbiamo mai accettato compromessi con esso pensiamo sia inaccettabile, nella città delle zone rosse, nel paese dei pacchetti sicurezza, vedere chi contratta con la polizia per scendere in strada e addirittura prenderne le difese. I 6 fermat durante il corteo sono stat poi rilasciat in serata con le accuse di resistenza a pubblico ufficiale e un compagno con anche l’accusa di concorso in danneggiamento. Sono stati inoltre dati 3 fogli di via dalla città e alcuni daspo dalla zona del corteo. Contro una divisione tra manifestanti che serve solo ad isolare e reprimere. Contro la pacificazione della società. Per l’autodeterminazione dei cortei, affinché sbirri e annessi non si sentano liberi e tranquilli all’interno di essi. Solidarietà a tutt i fermat! Solidarietà al popolo palestinese!
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Per Ghespe, per tutti i prigionieri, contro la tortura di Stato. Presidio al carcere di Spoleto il 26 aprile
Riceviamo e diffondiamo, invitando alla massima diffusione e partecipazione: Il compagno anarchico Salvatore Vespertino si trova detenuto nel carcere di Spoleto. L’arresto è avvenuto in Spagna in esecuzione di un mandato d’arresto europeo per una condanna a 8 anni, resa definitiva da una sentenza della Cassazione del 2023, che ha sancito la fine del cosiddetto “processo Panico”. Nello specifico, Ghespe (com’è conosciuto da compagn* e amic*) è stato condannato per il ferimento di un artificiere della Polizia che ha incautamente preso a calci un manufatto contenente polvere pirica posto all’esterno della libreria fascista “Il Bargello” a Firenze, la notte del 31 dicembre 2016. Sarebbe senz’altro ironico che un professionista sia incorso nel più banale degli incidenti di Capodanno. Lo sarebbe, se non fosse che questa vicenda – assieme ad altri episodi legati alla lotta in corso nella città di Firenze contro la militarizzazione, l’apertura di nuove sedi fasciste e l’arroganza sbirresca – è stata usata dallo Stato per colpire i/le compagn* anarchic* e le loro realtà di appartenenza, con condanne di varia entità. In occasione del suo arresto e durante l’inizio della sua detenzione, lo Stato spagnolo rappresentato dalle sue servili guardie carcerarie, ha voluto mostrare a Ghespe che il sadismo non è esclusiva dei secondini italiani. Nulla di speciale, tocca dire. Nelle carceri di tutto il mondo si tortura. Tutti lo sanno. E tutti lo accettano, per paura… prima di tutto di finirci dentro. Così il nostro compagno, posto in custodia di uno Stato occidentale, presunto faro di civiltà, è stato costretto a fare ciò che si fa nella giungla. Lottare per sopravvivere, ferirsi e sanguinare per restare vivi. Resosi conto che la permanenza in quel carcere era molto pericolosa e senz’altro memore delle biografie di molti compagni che lo hanno preceduto nello scontro con le istituzioni totali, armato di coraggio e di qualche arnese occasionale si è tagliato gli avambracci. Questa azione ed il conseguente trasferimento per ricevere le cure necessarie hanno permesso al nostro compagno di uscire da una situazione inaffrontabile per poi rientrare, ancora detenuto, purtroppo, in Italia, dove deve scontare 5 anni e mezzo di pena residua (dopo un anno e mezzo scontato in via preventiva). Non sono riusciti a inserire Salvatore Vespertino nella lista dei suicidi di Stato. Lunga vita a Ghespe e a tutti i ribelli! Il capitale uccide in galera, in fabbrica, in guerra. Distrugge tutto ciò che c’è di bello per la smania di dominio di gruppi ristrettissimi. Per tutti gli altri l’unica opzione sensata è cospirare per la sua distruzione. Non ci si può dichiarare neutrali di fronte a un’offensiva scatenata unilateralmente e quotidianamente. Se la parola d’ordine dello stato è sempre di più repressione noi risponderemo SOLIDARIETÀ. SABATO 26/4 ORE 15 PRESIDIO PRESSO IL CARCERE DI SPOLETO (PG) LOCALITÀ MAIANO 10
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[it, en] Massa, processo “Scripta scelera”: assoluzioni e una condanna a 8 mesi per vilipendio del presidente della Repubblica
Riceviamo e diffondiamo: OPERAZIONE SCRIPTA SCELERA: ASSOLTI GLI ANARCHICI IMPUTATI NEL PROCESSO DI MASSA PER LA PUBBLICAZIONE DI “BEZMOTIVNY”. UNA CONDANNA A 8 MESI PER OFFESA ALL’ONORE O AL PRESTIGIO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA L’8 aprile 2025 è stata emessa la sentenza del processo con giudizio immediato in corso a Massa contro quattro compagni anarchici inquisiti per la pubblicazione del quindicinale anarchico internazionalista “Bezmotivny” (operazione repressiva dell’8 agosto 2023). Gli imputati – coinvolti nell’operazione assieme ad altri sei inquisiti per cui il procedimento è rimasto nella fase di indagine – erano accusati di istigazione a delinquere e apologia di reati e delitti di terrorismo (art. 414 c. p., commi 1, 3 e 4) con la circostanza aggravante della finalità di terrorismo (art. 270 bis 1 c. p.), per la pubblicazione della sessantina di numeri di “Bezmotivny”, e di offesa all’onore o al prestigio del presidente della repubblica (art. 278 c. p.), in merito a un articolo specifico (“Soffiare sul fuoco”, pubblicato in “Bezmotivny”, anno I, numero 17, 25 ottobre 2021). Tutti gli imputati sono stati assolti per l’accusa di istigazione a delinquere pluriaggravata “perché il fatto non sussiste”, mentre il solo Luigi è stato condannato a 8 mesi, senza l’applicazione della recidiva reiterata, per offesa all’onore o al prestigio del presidente della repubblica (gli altri tre imputati sono stati assolti anche da quest’accusa “per non aver commesso il fatto”). È inoltre stata negata la richiesta risarcitoria dell’avvocatura dello Stato. Al termine della requisitoria tenutasi nell’udienza precedente del 1º aprile, il pubblico ministero Manotti della Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo di Genova aveva richiesto 7 anni di carcere per Gino, 6 anni per Luigi (con la revoca della sospensione della pena per una precedente condanna comminatagli dal tribunale di Ravenna) e 5 anni e 6 mesi a testa per Gaia e Paolo, mentre l’avvocatura dello Stato per la presidenza del consiglio dei ministri aveva richiesto un risarcimento di mezzo milione di euro. — — — OPERATION SCRIPTA SCELERA: ACQUITTED THE ANARCHISTS ACCUSED IN THE TRIAL OF MASSA FOR THE PUBLICATION OF ‘BEZMOTIVNY’. AN 8 MONTH SENTENCE FOR OFFENSE TO THE HONOUR OR PRESTIGE OF THE PRESIDENT OF THE REPUBLIC (ITALY) On April 8th, 2025, the verdict was handed down in the trial ongoing in Massa against four anarchist comrades indicted for the publication of the internationalist anarchist fortnightly ‘Bezmotivny’ (repressive operation of August 8th, 2023). The defendants – who were involved in the operation together with six other comrades for whom the proceedings remained at the investigation stage – were charged with incitement to commit crimes and apologia of crimes and offences of terrorism (art. 414 of penal code, paragraphs 1, 3 and 4) with the aggravating circumstance of the purpose of terrorism (art. 270 bis 1, penal code), for the publication of the about sixty issues of ‘Bezmotivny’, and of offence to the honour or prestige of the president of the republic (art. 278, penal code), concerning a specific article (‘Soffiare sul fuoco’, published in ‘Bezmotivny’, year I, issue 17, October 25th, 2021). All the defendants were acquitted of the charge of multiple aggravated incitement to commit crimes ‘because the fact does not exist’, while only Luigi was sentenced to eight months, without the application of recidivism, for offending the honour or prestige of the president of the republic (the other three defendants were also acquitted of this charge ‘for not having committed the fact’). The request for compensation by the State attorney’s office was also denied. At the end of the indictment held at the previous hearing on April 1st, public prosecutor Manotti of the DDAA (‘Anti-Mafia and Anti-Terrorism District Directorate’) of Genoa had requested 7 years’ imprisonment for Gino, 6 years for Luigi (with the revocation of the suspended sentence for a previous conviction imposed on him by the court of Ravenna) and 5 years and 6 months each for Gaia and Paolo, while the State attorney for the presidency of the council of ministers had requested compensation of half a million euro.
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[it, en] Aggiornamenti su Ghespe: percosse, vessazioni e torture in Spagna e in Italia
Riceviamo e diffondiamo, col sangue agli occhi: Alcuni aggiornamenti sulla situazione di Ghespe Dopo circa due anni, nella notte tra il 14 e il 15 febbraio 2025 un fermo di polizia pone fine alla latitanza di Ghespe. Dal momento dell’arresto le guardie dello Stato spagnolo si sono subito distinte per la loro caratteristica viltà. Le botte, le minacce e quelle che anche dal compagno sono state riconosciute come torture psicologiche e fisiche, lo hanno portato a compiere un gesto estremo per potere uscire da una situazione di assoluto pericolo per la sua incolumità. Per poter scampare dalla sezione del carcere Soto del Real di Madrid si è reciso le vene sulle braccia ed è stato trasferito all’ospedale psichiatrico. Da prassi, la messa in pericolo della propria vita comporta di conseguenza un TSO, per cui al compagno sono stati inoculati sedativi ed antipsicotici. Tiene molto a precisare che il gesto non è stato compiuto con volontà suicidarie né tali idee mai gli sono passate per la testa. La quantità di sangue perso era tale da dover ricevere delle trasfusioni. Durante la sua degenza nel reparto psichiatrico ha ancora subito episodi di tortura come la pressione sulle ferite aperte da parte del personale ospedaliero. Dopo le dimissioni dall’ospedale, è stato estradato in Italia il 4 marzo, in particolare al carcere di Rebibbia a Roma, primo approdo dopo il volo da Madrid. Il 20 marzo è stato trasferito nel carcere di Spoleto e posto in transito nel reparto di infermeria. A seguito di un battibecco con un secondino gli è stato inflitto un altro TSO, somministrandogli un sedativo con metodi coercitivi e facendolo passare sulle carte come volontario. Oggi Ghespe resiste, si trova in cella da solo ed è in attesa dell’autorizzazione dei colloqui con la sua compagna. Invitiamo tutte le persone solidali a inondarlo di lettere, libri (anche in castigliano) e solidarietà e rilanciamo il presidio sotto al carcere di Spoleto del 26 aprile. Solidarietà e complicità con Ghespe, contro lo stato e le sue galere, per l’anarchia. Indirizzo di posta : Salvatore Vespertino Casa di Reclusione Spoleto Località Maiano, 10 06049 Spoleto (PG) Per inviare soldi: Intestataria: Micol Marino Postepay nr: 5333 1712 3093 3273 Iban : IT33I3608105138262555662570 BIC/SWIFT: PPAYITR1XXX Some updates on Ghespe’s situation After about two years, on the night of February 14-15, 2025, a police arrest ended Ghespe’s status as a fugitive. From the moment of his arrest, the Spanish state guards were immediately notable for their characteristic cowardice. The beatings, threats, and what even the comrade recognized as psychological and physical torture led him to make an extreme act in order to be able to escape from a situation of absolute danger to his safety. In order to leave the Soto del Real prison in Madrid, he cut the veins of his arms and was transferred to the psychiatric hospital. As a matter of procedure, endangering one’s life leads consequently to a TSO (psychiatric compulsory treatment), so the comrade was inoculated with sedatives and antipsychotics. He is very concerned to point out that the act was not done with suicidal intentions, nor did such thoughts ever cross his mind. The amount of blood he lost was such that he had to receive transfusions. During his stay in the psychiatric ward, he continued to suffer torture, such as pressure on open wounds by hospital staff. After being discharged from the hospital, on March 4 he was extradited to Italy, specifically to the Rebibbia prison in Rome, his first stop after his flight from Madrid. On March 20, he was transferred to Spoleto prison and placed in the infirmary. After an argument with a guard, he was given another TSO, being sedated forcibly whilst it was described on the papers as a voluntary choice. Today, Ghespe is resisting, alone in his cell, waiting for permission to be visited by his partner. We invite all comrades to flood him with letters, books (also in Spanish) and solidarity, and we remind the call for a solidarity meeting under the Spoleto prison on April 26. Solidarity and complicity with Ghespe, against the state and its prisons, for anarchy. Address to write to Ghespe: Salvatore Vespertino Casa di Reclusione Spoleto Località Maiano, 10 06049 Spoleto (PG) To support him with money: Micol Marino Postepay nr: 5333 1712 3093 3273 Iban : IT33I3608105138262555662570 BIC/SWIFT: PPAYITR1XXX
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Aggiornamenti sul processo ad Anan, Alì e Mansour.
Riceviamo e diffondiamo: Qui in pdf: PDF Aggiornamenti sul processo ad Anan, Alì e Mansour.bis Aggiornamenti sul processo ad Anan, Alì e Mansour Il 2 Aprile si è tenuta all’Aquila la prima udienza del processo ai tre palestinesi, Anan, Alì e Mansour, accusati di proselitismo e finanziamento del terrorismo, un udienza che ha visto la partecipazione di numerosi solidali che hanno tenuto un presidio all’esterno del tribunale. (1) Già da questo primo appuntamento si è capito che aria tira nella procura abruzzese. La corte ha accettato solo 3 testi su i 47 presentati dalla difesa. Questi testimoni dovevano descrivere quale fosse il contesto da cui provengono gli imputati, che è il territorio palestinese occupato dove è attiva una legittima resistenza popolare. Durante l’udienza il giudice ha fatto sgomberare l’aula dal pubblico, dopo che gli avvocati ed i solidali avevano contestato i ripetuti errori dell’interprete della procura. La mancata attenzione alla correttezza delle traduzioni è rilevante in un processo in cui le accuse si fondano su documenti tradotti due volte (dall’arabo, all’ebraico, all’italiano), è chiaro come questi documenti possano essere fuorvianti sia in conseguenza di errori nella traduzione sia a causa di falsificazioni operate dagli israeliani. Ma il fatto più grave avvenuto in questa prima udienza è stato che la corte ha accettato come prove accusatorie i documenti forniti allo Stato italiano dallo Shin Bet, i servizi segreti israeliani. Si tratta di una serie di trascrizioni di interrogatori effettuati nei centri di detenzione a prigionieri palestinesi. Nel corso degli interrogatori condotti dallo Shin Bet i detenuti sono sottoposti alla legge eccezionale marziale, questi interrogatori sono quindi operazioni di guerra a cui la magistratura italiana sta dando la sua collaborazione. Numerose organizzazioni internazionali che si occupano dei diritti umani denunciano come gli Israeliani sottopongano i prigionieri a trattamenti inumani e degradanti ed utilizzino sistematicamente la tortura per estorcere informazioni e confessioni ai prigionieri. (2) La corte, accettando di ammettere al processo questi verbali, supporta e legittima i torturatori. Il fatto che la la magistratura italiana utilizzi prove raccolte in luoghi di detenzione nei quali si tortura sistematicamente è inaccettabile. Se permettiamo questo, quale sarà il prossimo gradino che scenderemo in un Paese dove la repressione contro gli esclusi e gli antagonisti sta aumentando costantemente? Non si tratta di una domanda fuori luogo, visto che lo Stato italiano da tempo utilizza la tortura bianca del 41 bis. Lo stesso Stato non ha avuto remore nel fare ricorso all’arma della tortura anche quando, nel recente passato, ha affrontato un insorgenza sociale diffusa.(3) Non ci sorprende che una procedura intollerabile come questa sia adottata da una procura, quella dell’Aquila, dove opera la DNAA (Direzione Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo). Abbiamo già denunciato come tortura l’utilizzo del regime carcerario 41 bis, regime che è applicato su richiesta della DNAA. Riteniamo sia una forma di tortura in quanto il detenuto subisce forme di isolamento estremo e di deprivazione sensoriale che provocano gravi danni fisici e psicologici. Ma lo è anche perché il trattamento inumano è finalizzato ad ottenere delle confessioni, cioè i detenuti possono uscire da questo regime quando si “pentono” e collaborano, cioè quando assecondano le richieste degli inquirenti, generalmente facendo dei nomi ed in sostanza mettendo in cella qualcun altro al posto loro. Similmente avviene in Palestina a chi viene torturato o minacciato di tortura. La storia dell’inquisizione ci insegna non solo che queste modalità sono inumane ma che le confessioni cosi estorte sono spesso false in quanto chi è sottoposto a tortura tende ad assecondare il carnefice con false dichiarazioni per porre fine al suplizio. Stiamo assistendo ad una tragedia di portata storica, il genocidio di un popolo perseguito con la collaborazione dei paesi capitalisti occidentali. Il processo tenuto all’Aquila è una manifestazione di questo collaborazionismo. Il principale modo con cui possiamo opporci al genocidio è mobilitarci per recidere ogni rapporto di collaborazione tra Italia e Israele! Di fronte alle prospettive di guerra, al riarmo, alla crisi internazionale, gli Stati incrementano la repressione contro il conflitto sociale: estendiamo la solidarietà e organizziamoci per contrastare questa guerra di classe! Il 12 aprile scendiamo in piazza a Milano anche per la libertà di Anan, Alì e Mansour La prossima udienza si terrà il 16 aprile. complici e solidali riferimenti e fonti: (1) https://ilrovescio.info/2025/03/28/2-aprile-liberta-per-anan-ali-e-mansour-mobilitazione-a-laquila-e-in-ogni-territorio/ (2) https://www.amnesty.it/israele-tortura-e-trattamenti-umilianti-inflitti-ai-detenuti-palestinesi/ (3) Le torture affiorate, edizioni Sensibili alle foglie.
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L’Inquisizione al lavoro. Pesanti richieste di condanna nel processo “Scripta scelera” a Massa
Riceviamo e diffondiamo. Massima solidarietà ai compagni sotto processo! Qui il pdf: linquisizione-al-lavoro-1-aprile-massa L’inquisizione al lavoro. Richiesti dai 5 anni e 6 mesi ai 7 anni di carcere per gli inquisiti nel processo di Massa derivato dall’operazione Scripta Scelera Martedì 1º aprile si è tenuta a Massa una tra le più rilevanti udienze del processo che coinvolge quattro anarchici inquisiti nell’operazione Scripta Scelera per la redazione e distribuzione del quindicinale anarchico internazionalista “Bezmotivny”. A partire dalle 12:00 in piazza Palma si sono tenuti degli interventi al microfono e un volantinaggio e dalle 15:00 c’è stata la presenza in aula da parte dei compagni solidali presenti. Nel corso dell’udienza il pubblico ministero Manotti della Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo di Genova ha pronunciato la propria requisitoria, per poi esporre le richieste di condanna nei confronti degli imputati in riferimento a entrambi i capi d’accusa del processo: istigazione a delinquere con la circostanza aggravante della finalità di terrorismo (nonché apologia di delitti di terrorismo) e offesa all’onore o al prestigio del presidente della repubblica. Non ha invece richiesto la condanna per l’aggravante di aver commesso il fatto tramite strumenti informatici o telematici. Queste le richieste: 7 anni di carcere per Gino, 6 anni per Luigi (con la revoca della sospensione della pena per una precedente condanna comminatagli dal tribunale di Ravenna), 5 anni e 6 mesi a testa per Gaia e Paolo. Martedì 8 aprile, sempre alle ore 15:00 nel tribunale in piazza De Gasperi, si terrà l’udienza con le arringhe difensive e la sentenza. Prima di fare alcune brevi osservazioni, ricordiamo che questo processo – escluso il reato associativo inizialmente contestato – coinvolge quattro inquisiti nel procedimento, quelli per cui a gennaio 2024 venne appunto disposto questo processo con rito immediato e che all’epoca si trovavano agli arresti domiciliari restrittivi, mentre per quanto riguarda gli altri sei inquisiti il procedimento è rimasto nella fase di indagine. L’apparato repressivo da tempo sta forsennatamente cercando di “fermare” gli anarchici. Con i procedimenti che si sono susseguiti negli ultimi anni contro alcuni giornali ci viene sostanzialmente “rimproverato” di essere ciò che siamo e in particolare con Scripta Scelera lo Stato vorrebbe colpire l’agitazione e la propaganda anarchica. La spudorata volontà di ammutolire le pubblicazioni rivoluzionarie, nonché di demonizzare le azioni di attacco contro lo Stato e il capitalismo, mostrano la reale consistenza del volto permissivo dello Stato e delle sue “libertà di espressione” specialmente in tempi di guerra. Sette anni di carcere per la sola pubblicazione di un giornale – la sessantina di numeri di “Bezmotivny” – ci risulta essere la richiesta di condanna più alta mai fatta in un processo contro gli anarchici in riferimento a quelli che, oggettivamente, sono “reati di opinione”. Le idee anarchiche sono evidentemente pericolose perché tracimano di un’urgenza di vita, perché esortano a non trascorrere la nostra esistenza in ginocchio, perché parlano della volontà di rovesciare radicalmente questo vecchio mondo, perché suggeriscono un metodo di lotta, perché… Che altro dire? Il monito della nuova inquisizione capitanata dalle procure antiterrorismo e dalla polizia di prevenzione è evidente: davanti al connubio teorico-pratico dell’anarchismo, o il silenzio o la condanna. Eppure, se pensano di convincerci che il gioco non valga la candela, si sono sbagliati di grosso… [3 aprile 2025]
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Sotto il cemento, qualcosa ribolle. Dalla nuova occupazione “Rasprava” ad Atene
Riceviamo e diffondiamo questo bel testo e questa bella notizia. Chi ce lo invia ci manda anche queste righe, utili a contestualizzare l’occupazione: «In Grecia la pratica dell’occupazione è uno strumento forte di lotta e di presidio importante sul territorio ed è anche una pratica molto conflittuale soprattutto di questi tempi, quindi la scelta di attuarla e la sua difesa sono estremamente impegnative. Nasce da vari fattori, primo fra tutti il fatto che l’università è stata chiusa al pubblico e l’asilo al suo interno non è più riconosciuto, cose che hanno reso sempre più difficile il potersi organizzare e incontrare a una realtà di movimento che contiene molti gruppi differenti. Ad Atene, dopo gli sgomberi di Villa Amalia e Skaramaggà, non si è più riusciti ad occupare uno spazio come movimento anarchico. Sì, ci sono state occupazioni di palazzi per le persone migranti di passaggio in Grecia nel 2013 e dopo. Ma nulla del genere. I differenti gruppi hanno scelto, il più delle volte, la forma dello “steki” ovvero uno spazio in genere affittato, dove poter discutere ecc. La zona di Exarchia, dove nasce questa nuova occupazione, non è più quel luogo liberato, il presidio permanente 24 ore su 24 dei MAT ( squadre antisommossa) e di ogni tipo di polizia, nella piazza centrale del quartiere, per proteggere delle transenne che dovrebbero essere il perimetro degli scavi della nuova metro, ha completamente militarizzato quel luogo di conflitto, scontro, incontro e da sempre centro nevralgico per il movimento antagonista ateniese.» Qui il testo impaginato: il silenzio delle metropoli Titolo originale : Κάτω απ’ το τσιμέντο, κάτι βράζει Rasprava Squat, 2025 SOTTO IL CEMENTO, QUALCOSA RIBOLLE Dopo la fine dell’evento “Memoria rivoluzionaria e prospettive della lotta” in via Mesologgiou, una folla di compagni e compagne è scesa nelle vie di Koletti e Themistokleo per difendere la liberazione di un edificio. Di seguito la presentazione scritta dagli stessi occupanti: Il silenzio della metropoli pesa come una pietra sulle nostre spalle. Le strade sono piene di sguardi consumati, di corpi che strisciano per abitudine, per paura, per sottomissione. Il mondo si muove lungo percorsi predeterminati, senza interrogarsi, stemperando i sogni. Tutto è programmato per funzionare esattamente come vogliono loro: lavoro, consumo, obbedienza. Eppure, incessantemente, sotto la superficie, qualcosa ribolle. La storia non è scritta dagli obbedienti. Alcuni scelgono di portare il peso della disobbedienza. Di rompere il cemento della normalità, di affrontare la mano invisibile del potere che soffoca ogni aspetto della nostra vita. Rifiutare di sottomettersi non è una semplice presa di posizione. È una chiamata a mettere in discussione, a rovesciare l’ esistente, a riprendersi ciò che è nostro. Siamo compagni e compagne, anarchici e anarchiche che provengono da contesti politici e ideologici diversi e che si sono trovati nello stesso fuoco di lotta. E’ lì, che le nostre lotte comuni e le esperienze collettive ci hanno unito, dove abbiamo riconosciuto la necessità vitale di creare uno spazio di incontro, di agitazione politica1, di scambio di opinioni e potenziamento organizzativo. In un momento in cui l’isolamento è imposto e le comunità in lotta vengono smantellate dalla repressione, la formazione di questi spazi non è solo necessaria, è cruciale. Gli attacchi repressivi degli ultimi anni non sono arrivati a caso. Le autorità stanno cercando di eliminare ogni focolaio di resistenza, di schiacciare ogni forma di auto-organizzazione e di spegnere la fiamma della contestazione. Grandi conquiste sono andate perdute, il movimento è stato messo sulla difensiva, la recessione è ormai all’orizzonte. Ma sappiamo che la storia viene scritta da chi non arretra, da chi non ha paura di confrontarsi con la realtà. Rimanere sulla difensiva significa accettare la sconfitta. E questo non accadrà.. È il momento di passare dalle parole ai fatti, di passare dalla difesa all’attacco. Facciamo capire al nemico che non si sbarazzerà di noi così facilmente. Dobbiamo forgiare il nostro campo di lotta, reclamare il nostro spazio e il nostro tempo. Per liberare i territori dal dominio, creare un centro vibrante di resistenza, una cellula radicale per la mobilitazione2 sia nella teoria che nell’azione. Percepiamo l’occupazione come parte integrante del movimento e il movimento come elemento organico dell’occupazione. L’esistenza di territori di lotta non è solo una questione pratica, ma profondamente politica. Gli squat non sono solo luoghi di ritrovo, non sono solo luoghi di ospitalità. Sono roccaforti di resistenza, laboratori di pratiche radicali, crepe nella normalità che cercano di imporci. E questa realtà non è negoziabile. Ogni quartiere, ogni strada, ogni piazza non è un terreno neutro. È una mappa vivente di contraddizioni, conflitti e rivendicazioni. Le città sono costruite sulla base della disciplina, della polizia e della sterilizzazione dello spazio pubblico. Le piazze sono piene di telecamere di sorveglianza, i muri sono dipinti di grigio, gli edifici diventano bastioni inaccessibili per coloro che non possono permettersi di pagare il prezzo dell’esistenza in un mondo in cui tutto ha un prezzo. Il dominio sta attuando un piano strategico di controllo universale delle metropoli, schiacciando ogni forma di resistenza. Armato di una propaganda nera e da una guerra ideologica, cerca di plasmare le coscienze, mentre spinge deliberatamente nel degrado interi quartieri utilizzando la criminalità organizzata, che spiana la strada all’espulsione violenta della popolazione locale e al completo assorbimento del territorio da parte del capitale. La repressione dello Stato agisce come una guardia armata per gli investitori, le agenzie immobiliari divorano terreni, le case diventano merci, gli affitti salgono alle stelle, gli spazi pubblici diventano sterili campi di sorveglianza e uniformità di consumo. Il flagello della gentrificazione e dell’imborghesimento sta inghiottendo le città, agendo come meccanismo di assoggettamento e controllo sociale. Exarchia, un quartiere che ha una storia vibrante di lotte, è nel mirino dell’assalto statale e capitalista. Lo Stato, da un lato, scatena ondate di repressione: gli squat vengono sgomberati, la presenza della polizia viene rafforzata, gli spazi pubblici vengono militarizzati. Dall’altro lato, il capitale saccheggia la memoria collettiva assorbendo i simboli della resistenza e trasformandoli in merce turistica. Le nostre sottoculture vengono forgiate e adattate a progetti commerciali “alternativi”, mentre il quartiere viene modificato per servire l’industria dell’intrattenimento e del “life-style”. Non permetteremo che trasformino il luogo delle nostre lotte in un’altra attrazione “ornamentale”. Per tutte queste ragioni, abbiamo fatto l’occupazione nel quartiere storico di Exarchia. Perché le sue strade non sono in vendita. Perché le memorie non sono commercializzabili.. Perché le resistenze vive non diventino attrazioni turistiche, ma campi di battaglia. Gli squat possono certamente essere anche isole di resistenza nell’arcipelago delle lotte, ma possono essere barricate. Sono spazi dove il dominio perde il controllo, dove lo Stato cessa di essere il regolatore assoluto della vita. Sono laboratori di lotta, punti di incontro, centri di auto-organizzazione e di azione. La cultura insurrezionale e rivoluzionaria non nasce da sola. Si coltiva. Si sviluppa negli scantinati, nelle piazze, nei luoghi di ritrovo, negli sguardi che non si piegano, nei corpi che non accettano di essere disciplinati dal nemico. L’occupazione non è un evento isolato. Ha la capacità di impegnarsi nella pratica della negazione, di ricordarci costantemente che non siamo numeri nei registri dello Stato, non siamo ingranaggi nella macchina della produzione, non siamo pedine sulla scacchiera del potere. Siamo qui per prenderci ciò che è nostro, per aprire crepe da cui scaturiranno nuove possibilità. Le circostanze ci lasciano quindi indenni per quanto riguarda la nostra coscienza e pratica anarchica. Non vogliamo unirci al terrore che deriva dai “tempi repressivi e avversi”. Siamo contro la retorica riformista, la cui manifestazione è lo scadere del campo dell’azione nel conformismo politico, noi siamo radicalmente per una rottura permanente e totale. La nostra preoccupazione non è la repressione che è esistita e che esisterà contro di noi, ma la scommessa continua con noi stessi, per evitare strategie politiche che minacceranno un movimento e lo faranno passare nell’oblio attraverso una presenza militante sempre più carente sia a livello di eventi che di strutture. Ci rendiamo conto che, come movimento, l’assenza di una cultura militante ci indebolisce, ci rende vulnerabili e indifesi di fronte all’assalto del potere. L’inazione equivale alla sconfitta. Cerchiamo quindi, attraverso questo progetto, di costruire una solida base che promuova la prospettiva rivoluzionaria/insurrezionale, che intensifichi la minaccia contro i meccanismi oppressivi del presente e coltivi le coscienze ribelli di domani. Perché la rivolta non è uno schema teorico. È azione, è fermento3, è conflitto costante. PERCHÉ SCEGLIAMO E PROMUOVIAMO UNA CULTURA RIVOLUZIONARIA E INSURREZIONALE (AZIONE DIRETTA)? i. Perché è l’unico mezzo per uno scontro diretto con il nemico qui e ora. È la pratica che crea il “punto d’inizio”, rompendo le catene della normalità e consentendo ai soggetti di determinare il proprio destino. ii. Perché, nella sua essenza, l’anarchia è una lotta costante per la libertà. Non è uno slogan, non è una teoria, è un conflitto, è una prassi. iii. Perchè le relazioni tra compagni/e non è un concetto astratto, ma relazioni vive e non negoziabili tra militanti. Si forgiano nel fuoco della lotta, fianco a fianco in ogni crisi, in ogni sconfitta, in ogni momento difficile. È lì che ritroviamo il nostro io collettivo perduto. iv. Perché spinge gli individui a superare i propri limiti, a spezzare le catene della paura, a mettere in discussione l’impossibile. v. Perché la violenza dell’azione diretta non è violenza casuale, ma una decisione strategica. L’espansione dell’azione rivoluzionaria, la generalizzazione del confronto violento con le forze di potere, è necessaria per la demolizione dello Stato e della struttura capitalistica e per la distruzione dei rapporti sociali di oppressione. Il dovere di ogni persona che lotta è quello di arricchire quotidianamente i propri strumenti, sia a livello pratico che teorico, che la porteranno alla realizzazione dei propri ideali. Richiede coraggio, rischio, immaginazione, organizzazione, fede e coerenza. L’intenzione non basta, occorre la decisione. Per queste ragioni l’apertura di questa occupazione rientra per noi in questa direzione. PER L’ANARCHIA Insieme possiamo fare tutto, possiamo gettare via la visione della fine che sembra così vicina. Possiamo vivere come esseri umani orgogliosi e liberi. Possiamo abbattere il muro e vedere una intera vita di gioia che ci aspetta! Rasprava Squat (Koletti and Themistocleous ) 1(πολιτικής ζύμωσης nel testo originale, significa letteralmente fermentazione politica), il dibattito teorico che avviene in uno spazio politico, sociale, etc. che prepara il cambiamento di una situazione 2(εστία ζύμωσης, nel testo originale, significal letteralmente epicentro (punto focale) di fermentazione) 3(Ζύμωση nel testo originale), il dibattito teorico che avviene in uno spazio politico, sociale, etc. che prepara il cambiamento di una situazione nello stesso contesto della nota nr.1.    
Stato di emergenza
Materiali
Ravenna, sabato 12 aprile: Spezzone libertario, anticapitalista e antimilitarista al corteo nazionale “Usciamo dalla camera a gas”
Riceviamo e diffondiamo: SABATO 12 APRILE / RAVENNA / ORE 14.00 / CONCENTRAMENTO IN PIAZZALE ALDO MORO / CORTEO NAZIONALE “USCIAMO DALLA CAMERA A GAS”. CI RITROVEREMO DIETRO LO STRISCIONE “CONTRO GUERRA E NOCIVITÀ” Costruiamo assieme uno spezzone libertario, anticapitalista e antimilitarista contro le fonti fossili e il mondo che le necessita, il rigassificatore e la linea adriatica Snam ad esso collegata, la distruzione ambientale e delle altre specie animali, ma soprattutto il legame tra l’approvvigionamento di fonti energetiche e la guerra degli Stati e dei padroni. Il prossimo 12 Aprile a Ravenna ci sarà la manifestazione nazionale “Usciamo dalla camera a gas” indetta da comitati e associazioni ambientaliste. Come libertari/e invitiamo alla partecipazione e alla formazione di uno SPEZZONE LIBERTARIO, ANTICAPITALISTA E ANTIMILITARISTA per portare assieme ai contenuti ecologisti anche una ferma opposizione alle politiche economiche e di guerra dei padroni, in cui i progetti strategici e politico-economici legati agli idrocarburi e al gas si inseriscono, ancor più dopo il conflitto in Ucraina e la riduzione dei flussi di gas russo verso il continente europeo. Negli ultimi anni il consumo di gas in Italia è calato rispetto al passato: consumiamo circa 60 miliardi di metri cubi di gas all’anno che importiamo dall’estero, in più ne produciamo altri 3 miliardi. Il GNL (gas liquefatto) che arriverà al rigassificatore di Ravenna da Qatar, Algeria e Stati Uniti, che all’anno garantirà l’8% degli approvvigionamenti italiani, oltre ad avere costi economici e un impatto ecologico molto superiori rispetto al gas prodotto con le tecniche tradizionali, è un di più che l’Italia venderà ai paesi dell’Europa centrale. Il governo Meloni, in continuità col precedente esecutivo Draghi, e in piena sintonia con la Commissione europea, vuol far diventare l’Italia un hub del metano nel Mediterraneo. Oltre ai nuovi rigassificatori, infatti, è previsto il raddoppio del gasdotto TAP, in cui Snam è implicata, che da Melendugno (Lecce) porta il gas dell’Azerbaijan verso il nord Italia e l’Europa. Il vero problema è la domanda di energia che cresce sempre di più invece di diminuire, come sarebbe necessario. I presupposti stessi del sistema capitalista si basano su un’iperbole di crescita infinita, a livello economico, industriale e tecnologico. Cementificazione e produzione industriale di massa, spesso di merce di veloce deperimento, hanno un impatto energetico e quindi ecologico devastante, solo per citare alcuni dei molteplici aspetti che rendono impossibile in un mondo così organizzato (e imposto) un decremento del fabbisogno globale. Ma ora la domanda di energia sta crescendo in un modo mai visto prima, con gli investimenti pubblici e privati che si stanno concentrando in produzioni energivore come l’hi-tech, il digitale, l’IA, i data-center, l’automazione, la robotica, l’industria militare e l’aerospaziale. I piani di riarmo dell’Europa (ReArm EU) e quelli per l’approvvigionamento e la transizione energetica (RePower EU), dal gas al nucleare ma che non tralasciano le stesse “rinnovabili”, rispondono alle medesime logiche del complesso militar-industriale e viaggiano su un binario parallelo. Mentre UE e Italia si apprestano a spendere centinaia di miliardi di euro per l’acquisto di armamenti e la costruzione di grandi opere e rigassificatori, non un euro é giunto degli 1.2 miliardi del Pnrr promessi da Von Der Lyen e struttura commissariale per le persone alluvionate dell’Emilia-Romagna, mentre continuano come sempre i tagli a sanità e spesa sociale per dirottare fondi verso Interno e Difesa. Ordine poliziesco e opzione militare, guerra interna e guerra esterna, sono sempre più connessi. Il nuovo DDL sicurezza, con più tutele e poteri alle polizie e repressione sfrenata contro chi protesta, si situa perfettamente in questo contesto. In un presente segnato da conflitti, massacri e genocidi che si stanno compiendo davanti ai nostri occhi – pensiamo solo a quello in corso nella Striscia di Gaza, commesso per mezzo delle armi che transitano anche nel porto di Ravenna – non può esserci ecologismo possibile senza antimilitarismo e anticapitalismo. Graditi cartelli e bandiere di area libertaria, antimilitarista, anticapitalista e contro le gradi opere (no tav, no tap, no snam, no tubo…). Brigata Prociona Imola / Collettivo Samara / Csa Capolinea Faenza / Equal Rights Forlì / Csa Spartaco Ravenna / Piccoli Fuochi Vagabondi / Spazio Libertario “Sole e Baleno” Cesena / Assemblea Anarchica Imolese/ Vascello Vegano. spezzone  
Iniziative
Stato di emergenza
Lettera aperta sull’invito alla Fiera dell’Editoria e Propaganda Anarchica di Roma – di Juan Sorroche
Riceviamo dal nostro Juanito e diffondiamo: Lettera aperta per l’invito a partecipare come prigioniero anarchico alla Fiera dell’Editoria e della Propaganda Anarchica di Roma. A chi l’ha organizzato, a chi la frequenterà, e a tutti i compagni, anarchici e non, che vorranno leggere queste mie considerazioni Hola compagne/i tutte/i, Ho ricevuto nelle prime settimane di marzo, il piego libro con il materiale della Fiera. Che ho letto tutto con molto interesse, è molto interessante rispetto alla Fiera dell’editoria e della propaganda che si terrà a Roma il 4-5-6 Aprile del 2025. Vi ringrazio per l’invito a partecipare a noi compagne/i prigioniere/i e per mantenere le discussioni fra fuori e dentro e non spezzare il legame di solidarietà con noi che ci troviamo rinchiuse/i. E vi ringrazio per il segno di solidarietà. Però mi sento in obbligo di rispondere, centrandomi in questa mia lettera e in questo vostro spazio organizzato esclusivamente sulle posizioni nette che avete deciso di prendere. Il discorso, sì, è molto divisivo, perciò io credo importantissimo e fondamentale che ci siano delle prospettive collettive e di continuità più allargate possibili al riguardo, anche con noi prigionieri e non solo. Con dei compromessi fra compagne/i. Per me personalmente il compromesso non è negativo e non sempre in assoluto nemico, anzi. Io sono per i compromessi chiari fra compagni/e. Riguardo la posizione netta che avete deciso di prendere. Per quello che mi riguarda sono decisioni a priori, con meccanismi e metodi in automatico, decisi altrove. É dunque decidere esclusivamente se aderire e poi semmai discutere questioni già decise nettamente. Beh, già così la questione è controversa. Poi, a maggior ragione, se all’iniziare nell’affrontare delle questioni fondamentali dei principi anarchici, già sono decisi e stabilite delle basi regolamentali, metodologiche e strumentali come meccanismo a priori, personalmente questo approccio e metodo etico per me è già per sé molto, ma molto, questionabile. E dunque partecipare vorrebbe dire, posizionarmi con queste regole nette decise altrove e non chiarite e delegare questi miei principi senza aver potuto metterli in discussione, discuterli e deciderli prima. Dunque non condivido i presupposti di base del vostro testo di posizionamento. Fra me e il collettivo degli organizzatori della Fiera, questo è il nostro primo scambio di corrispondenza. Non abbiamo mai discusso collettivamente, e dunque non si sono mai approfondite fra noi questioni fondamentali, nessuna, che non posso, non possiamo, dare per scontate. Soprattutto questioni così fondamentali come le violenze sistemiche sessuali e di genere, di questa società che tutti noi riproduciamo. Ma soprattutto non abbiamo discusso mai approfonditamente quelle questioni fondamentali di come e quali risoluzioni e soluzioni siano più adatte eticamente e anche utili per la cura di questi problemi, senza darle per scontate. E lo stesso, fra noi, non abbiamo approfondito mai delle questioni fondamentali delle violenze strutturali dei ruoli autoritari giuridico-penali di questa società e che tutti noi riproduciamo. E lo stesso, non abbiamo discusso mai approfonditamente quelle questioni fondamentali di come e quali risoluzioni e soluzioni siano più adatte eticamente e anche utili per la cura di questi problemi senza darle per scontate. Credo che, sì, creiamo tutti queste due situazioni sistematicamente nel movimento anarchico italiano. Duali e polarizzate, e che nessuna di queste aiuta a trovare e arrivare alle cause dei problemi strutturali delle violenze sistemiche e alla nostra responsabilizzazione collettiva. Dunque, potete capire che perciò non condivido i presupposti di base, non vorrei delegare ciò a nessuno senza aver discusso collettivamente queste questioni e bene, approfonditamente, prima. Perciò non aderisco ai posizionamenti già decisi in questo specifico spazio della fiera. Manderò questa mia lettera di critica aperta e che pubblicherò e se volete potete pubblicarla e distribuirla dove volete. E per quanto mi riguarda non è una chiusura, lo dico sinceramente e se vogliamo creare altri di questi modi, spazi, tempi, per discutere approfonditamente alla radice di queste questioni sistemiche di violenze, assieme, io sono disposto a farlo in futuro con i tempi e gli spazi necessari che richiedono e con delle discussioni collettive. Come credo che sarebbe molto molto importante anche se ci fossero delle discussioni anche specifiche e collettive come mascolinità anarchiche. Però se di principi, e di etiche anarchiche, vogliamo discutere, per metterle in comune, per me deve essere alla, e della, radice e approfonditamente. Credo che bisogna poter mettere in discissione tutto, senza decisioni stabilite a priori. E poi, sì, decidere, se vogliamo o no mutuamente essere parte della stessa comunità o collettività anarchiche. Certo l’assunto, è un fatto, che principalmente queste violenze sessuali sono fatte da uomini cisessuali, e delle nostre condotte aggressive, dei nostri abusi da parte di noi uomini sistematicamente e strutturalmente. E che inerentemente a queste dinamiche e situazioni c’è il silenzio come regola sistemica del corporativismo maschilista e del sessismo strutturale, negando le violenze sistemiche collettivamente; anche questo è un fatto. Ma individualizzare le violenze sistemiche e stereotipare in modelli fissi le nostre condotte aggressive, i nostri abusi strutturali da parte di noi uomini privilegiati, fa in un certo modo, anche parte di questo silenzio sistemico, e non credo sia utile qualitativamente per la responsabilizzazione collettiva. E lo stesso individualizzare e stereotipare allo stesso modo dando per scontate anche quelle questioni fondamentali di come, e quali risoluzioni e soluzioni siano più adatte eticamente e anche utili per la cura di questi problemi, fa, in un certo modo, anche parte di questo silenzio sistemico deresponsabilizzandoci collettivamente. Pretendere di ridurre risoluzioni e soluzioni di fatti complessi a pochi elementi semplici e modelli fissi e automatici non credo che ci porterà alla responsabilizzazione collettiva delle violenze sistemiche che riproduciamo. Perciò credo come voi che c’è bisogno, che c’è la necessità, di modificare le condotte e i ruoli culturalmente appresi da questa società autoritaria per cambiare paradigmaticamente la nostra realtà in cui viviamo. E viste le nostre, e soprattutto le mie, esperienze, è un’autocritica e, lo metto in discussione. So che sono questioni molto, molto, delicate e complesse. Però credo che una riflessione approfondita e non strumentale e non aneddotica bisognerebbe farla su tutte queste nostre esperienze di violenze sistemiche gravissime. Ma credo che impostarla solo esclusivamente nel carattere selettivo-aneddotico, come vedo anche succedere sia un errore. E che più tardi genera la sensazione che le regole sistemiche che le violenze sono isolate fuori da noi stessi, come maschi. La mia domanda è: ciò ha efficacia qualitativa nelle risoluzioni e soluzioni e nella cura di questi problemi? In più mi pare che fuorvia molto il discorso e le pratiche, nell’affrontare le reali cause sistemiche strutturali della violenza di genere e sessuale. E in più mi pare che fa anche accrescere le violenze strutturali giuridico-legali di questa società che, come il patriarcato, riproduciamo molto bene nel nostro movimento anarchico italiano. Sinceramente in questi modi io non vedo l’utilità per risolvere i conflitti in maniera qualitativa e che producano strumenti adatti, adesso, e per arrivare nel tempo con prospettive libertarie alle risoluzioni di cure riparatorie dei problemi. E che sono molto complesse e complessive delle violenze sistemiche che riproduciamo tutti noi. Dunque io credo che discuterne per trovare pratiche sempre è fondamentale. Soprattutto quando è divisivo, anzi, così c’è più bisogno di discuterne continuativamente. Poi certo compagni/e se non si vuole discutere perché le posizioni non sono in discussione… Certo lo spazio è grande per organizzarsi diversamente. E dovete tenere presente, e riflettere bene, le grandi limitatezze nell’affrontare queste complesse questioni nelle nostre circostanze di isolamento, da prigionieri, sia a livello materiale che pratico e emotivo. E che possono essere anche fuorviate da ciò. Non è per fare la vittima, è un fatto. Ma, ripeto, quello che posso fare io e faccio, è essere aperto per mettermi in discussione. Chi vuole scrivermi: Juan Sorroche – Strada delle Campore -32 – – 05100- c.c. Terni – 17/03/2025
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