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Imminente sciopero della fame di massa nelle carceri del Regno Unito
Da: https://calla.substack.com/p/imminent-mass-hunger-strike-across Sugli scioperi della fame precedenti, si veda qui: https://ilrovescio.info/2025/08/31/dagli-usa-al-regno-unito-da-carcere-a-carcere-comunicato-di-casy-goonan-in-sciopero-della-fame/ Imminente sciopero della fame di massa nelle carceri del Regno Unito Decine di prigionieri politici nel cosiddetto Regno Unito, che hanno sopportato mesi di abusi mirati dietro le sbarre a causa del loro sostegno alla liberazione della Palestina, annunciano la loro intenzione di avviare uno sciopero della fame. Audrey Corno, rappresentante dei Prigionieri per la Palestina (che ho intervistato il mese scorso), afferma che si tratterebbe del più grande sciopero della fame coordinato dei prigionieri nel Regno Unito dai tempi dello sciopero della fame dell’Esercito Repubblicano Irlandese/Esercito di Liberazione Nazionale Irlandese nell’Irlanda del Nord occupata nel 1981, quando dieci prigionieri di guerra furono martirizzati. Il 20 ottobre, Audrey e Francesca Nadin, entrambe in carcere per azioni dirette contro le aziende di armi sioniste, hanno consegnato una lettera al Ministro degli Interni del Regno Unito “a nome delle 33 persone ingiustamente incarcerate a seguito di azioni intraprese per fermare il genocidio in Palestina”. Hanno cinque richieste: la fine di ogni censura sulla loro posta e sulle loro comunicazioni; il rilascio immediato e incondizionato su cauzione; il diritto a un giusto processo; la rimozione di Pal Action dalla lista dei “terroristi” proibiti; e la chiusura di tutte le strutture di Elbit Systems nel Regno Unito. I prigionieri, tra cui figurano membri del Filton 24 e del Brize Norton 5 , sono detenuti senza accusa in diverse carceri del Regno Unito ai sensi del “Terrorism Act”, in alcuni casi per oltre un anno. Finora, i ricorsi per il rilascio su cauzione dei prigionieri non hanno avuto successo. Gli scioperi della fame collettivi su larga scala hanno il potere di avanzare richieste coraggiose e di vasta portata che vanno oltre il miglioramento delle condizioni immediate dei prigionieri. I Prigionieri per la Palestina ne sono chiaramente consapevoli, come dimostra il modo strategico in cui hanno integrato richieste più immediate relative ai loro casi legali e alle condizioni carcerarie in attacchi più ampi alla Elbit Systems. Ad esempio, sostengono che il loro diritto a un giusto processo dovrebbe includere la trasparenza riguardo a tutti gli incontri che hanno avuto luogo tra funzionari britannici, israeliani ed Elbit, nonché “a chiunque altro sia coinvolto nel coordinamento della caccia alle streghe in corso contro attiviste e attivisti”. In questo modo, lo sciopero della fame è una continuazione delle azioni dirette che presumibilmente hanno intrapreso contro lo stesso obiettivo nemico fuori dalle mura del carcere: stanno solo lottando su un terreno nuovo. Lo sciopero della fame segna una significativa escalation nella resistenza in risposta alla discriminazione e ai maltrattamenti estesi che i prigionieri della Pal Action hanno subito dietro le sbarre: privazione di adeguati servizi religiosi e del Corano, impedimento ai contatti e alle visite con i familiari, isolamento in strutture rurali, aggressioni violente e confisca della posta e dei beni, nonché al fallimento dei loro ripetuti tentativi di appellarsi all’amministrazione penitenziaria del Regno Unito e alle autorità governative. Si basa anche sulla scia di uno sciopero della fame di 28 giorni intrapreso con successo da Teuta “T” Hoxha , una delle 24 di Filton, all’inizio di quest’anno, quando ha esercitato una forte pressione internazionale contro la prigione di Peterborough affinché le venissero ripristinati il lavoro di posta, le attività ricreative e biblioteca. Sebbene il suo lavoro in prigione non sia stato alla fine ripristinato, Hoxha ha ottenuto il riconoscimento di tutte le altre sue richieste ed è riuscita a denunciare l’esistenza di un’Unità Congiunta per l’Estremismo (JEU) appositamente incaricata di individuare, isolare e punire i prigionieri per la Palestina. Oltre a questi successi, lo sciopero di T. Hoxha ha avuto effetti di vasta portata sul movimento internazionale di solidarietà con la Palestina, attirando un’attenzione senza precedenti sulla draconiana repressione subita dagli attivisti di tutto il mondo che hanno scelto di agire direttamente contro la partecipazione dei loro Paesi al genocidio palestinese. Nei cosiddetti Stati Uniti, i prigionieri politici Casey Goonan e Malik Muhammad hanno aderito a scioperi della fame di solidarietà con Hoxha, dopo aver subito simili attacchi e abusi politici. (E vale la pena notare che la prigioniera politicizzata Shine White è attualmente in sciopero della fame nella Carolina del Nord per ragioni simili.) La pressione e la solidarietà internazionale suscitate dallo sciopero della fame di T. Hoxha, così come il suo successo nell’ottenere le sue richieste, hanno sensibilizzato i suoi coimputati e i prigionieri politici, compresi quelli incarcerati per motivi non apertamente politici. La sua azione ha dimostrato loro che quando si lotta, si vince. Gli attivisti hanno lasciato intendere che questo imminente sciopero della fame avrebbe un più ampio sostegno da parte della popolazione carceraria in generale. “I prigionieri sono fermamente convinti di poter contare su un enorme sostegno, sia qui che a livello internazionale, e che la gente si unirà per agire in loro nome. Questo è il risultato diretto non solo delle terribili azioni del governo nei confronti dei prigionieri, ma anche della loro partecipazione attiva al genocidio a Gaza”, ha affermato il Dott. Asim Qureshi , Direttore di Ricerca presso CAGE International , partner negoziale per gli scioperanti della fame insieme a Prisoners for Palestine. “Questo sciopero della fame, se andrà avanti, sarà il primo del suo genere in almeno due decenni. Porta in primo piano la violenza del sistema carcerario nel Regno Unito, una violenza che spesso associamo a luoghi lontani. Da Guantanamo a Gaza, l’infrastruttura delle leggi autoritarie sul terrorismo costruita per imprigionare, mettere a tacere e reprimere le azioni per la Palestina e le voci che contestano guerre e genocidio deve essere smantellata”, ha aggiunto Qureshi. “I prigionieri sono il cuore pulsante del nostro movimento per la giustizia. Dobbiamo onorare i loro sacrifici e opporci alle ingiustizie che subiscono”. Audrey ha sottolineato nella nostra precedente intervista che sarebbe fondamentale dare il tempo necessario ai sostenitori esterni per prepararsi allo sciopero e massimizzarne l’impatto e la portata. L’annuncio di uno sciopero della fame collettivo con settimane di anticipo solleva la questione se questa volta parteciperanno più prigionieri internazionali e quanto crescerà. I membri del movimento dei prigionieri politici dovrebbero allertare il maggior numero possibile di compagni all’interno, in modo che sappiano che questo atto di resistenza collettiva è in atto e possano scegliere di mostrare la loro solidarietà con parole o azioni, se lo desiderano. Prisoners for Palestine e CAGE International hanno dato al governo del Regno Unito tempo fino al 24 ottobre per rispondere alle loro richieste. Lo sciopero inizierà il 2 novembre, una data di risonanza storica che segna l’anniversario della Dichiarazione Balfour del 1917, quando il Regno Unito concesse il suo sostegno ufficiale al colonialismo sionista in Palestina. Gli attivisti del movimento dei prigionieri politici di tutto il mondo dovrebbero prendere atto del modo in cui i prigionieri e i loro sostenitori si sono rifiutati di fare marcia indietro anche di fronte a un’enorme repressione, insistendo nel politicizzare ogni aspetto dello sciopero. SUI PRIGIONIERI COME SOGGETTI POLITICI Gli scioperi della fame hanno avuto un ruolo centrale nel movimento dei prigionieri palestinesi, nel movimento di liberazione nazionale irlandese, nella Frazione dell’Armata Rossa nella Germania Ovest, in Sudafrica , in India e altrove. Nel corso dell’occupazione sionista, i prigionieri palestinesi hanno intrapreso scioperi della fame di massa, spesso a migliaia alla volta, uniti da diverse fazioni politiche. Negli anni ’70 e ’80, diversi prigionieri palestinesi sono morti a causa dell’alimentazione forzata, una pratica ripristinata dall’occupazione sionista nel 2012. Questi scioperi hanno plasmato il movimento più ampio: la Rete di Solidarietà con i Prigionieri Palestinesi Samidoun, nata dallo sciopero della fame dei prigionieri del FPLP di settembre/ottobre 2011 per liberare Ahmad Sa’adat, segretario generale del partito, dall’isolamento. “Da Ansar [Palestina] ad Attica [New York] a Lannemezan [la prigione francese dove fu detenuto Georges Abdallah], la prigione non è solo uno spazio fisico di reclusione, ma un luogo di lotta degli oppressi che si confrontano con l’oppressore”, ha scritto Sa’adat . Allo stesso modo, nel 2013, i detenuti statunitensi in isolamento a lungo termine presso la prigione statale di Pelican Bay hanno organizzato uno sciopero di massa, che ha portato 29.000 prigionieri californiani a protestare, rifiutando lavoro e lezioni, e 100 detenuti in due prigioni a rifiutare il cibo finché non avessero ottenuto riforme. Nel campo di detenzione militare statunitense di Guantanamo Bay (in territorio cubano illegalmente occupato), centinaia di prigionieri hanno iniziato lo sciopero della fame e sono stati alimentati forzatamente con violenza dal 2002, con la censura militare che ha represso le notizie. Mansoor Adayfi , uno yemenita detenuto a tempo indeterminato senza accusa, ha iniziato lo sciopero della fame ed è stato alimentato forzatamente per due anni. Ora libero, collabora con CAGE International e sostiene l’imminente sciopero dei prigionieri politici nel Regno Unito, con cui parlerà in una chiamata il 25 ottobre . Lo sciopero della fame non è una tattica da prendere alla leggera. È una scelta di resistenza fatta in condizioni di prigionia, quando il corpo è l’unica arma rimasta, poiché lo Stato ha eliminato ogni altro mezzo di resistenza. Non stiamo parlando delle acrobazie performative di digiuni da uno a tre giorni intrapresi da non prigionieri, etichettati in modo ridicolo come “scioperi della fame” per Gaza. Questi sono inefficaci perché vengono condotti al di fuori del contesto della prigionia e quindi non hanno alcuna influenza; sono anche offensivi, in quanto ridicolizzano gli scioperi della fame, cooptando e annacquando quella che in realtà è una tattica disponibile solo come ultima risorsa per i prigionieri in condizioni di estrema costrizione, che a volte muoiono di una morte lenta e straziante nel corso dei loro scioperi. (Per quelli di noi che sono all’esterno, con più mezzi a disposizione per resistere, il nostro dovere non è indebolire passivamente i nostri corpi, ma rafforzarci per passare all’offensiva.) Scrivendo del rivoluzionario palestinese martirizzato Walid Daqqa e della sua lunga storia di prigionia nelle prigioni sioniste, Kaleem Hawa ha osservato come lo sciopero della fame, quando praticato in cattività, provochi un’inversione dei rapporti di potere: > “Lo [sciopero della fame] capovolge il copione abituale, della docilità come > condanna, della fame come giuria. [È] uno schiocco degli strumenti dei coloni, > un promemoria che la dignità persiste nel soggetto colonizzato, una > riconfigurazione dell’ordine coloniale sia all’interno della prigione che al > di fuori di essa… chi fa lo sciopero della fame non fugge dalla vita, ma va > verso la libertà; il suo atto ricongiunge il corpo in stasi e l’autoisolamento > verso un tutto politicamente impegnato… che insiste sul diritto di narrare la > propria prigionia”. Purtroppo, alcuni attivisti esterni hanno scelto di condannare l’atto di resistenza di T. Hoxha, definendo l’impulso a intraprendere uno sciopero della fame come suicida e quindi intrinsecamente immorale. Si sono chiesti perché avesse scelto di rischiare la vita per richieste apparentemente insignificanti come il ripristino di un posto di lavoro nella biblioteca del carcere. Non poteva semplicemente lasciar perdere? Eppure, come ha sottolineato la stessa Hoxha in un messaggio registrato a Casey Goonan: “Sappiamo entrambi che non si tratta di un posto di lavoro in biblioteca, ma del principio che lo sostiene”. L’insistenza di Hoxha sul fatto che non sia il contenuto della richiesta in sé a essere importante, ma il principio che la sostiene, è condivisa da migliaia di altri scioperanti della fame nel corso della storia, che hanno preferito rischiare e in molti casi sacrificare la propria vita piuttosto che accettare le condizioni disumanizzanti della vita in carcere. Dopo che Casey iniziò il suo sciopero della fame in solidarietà con T. Hoxha, circa due settimane dopo aver iniziato il suo, alcuni attivisti esterni negli Stati Uniti condannarono analogamente la loro azione come una forma di autolesionismo, arrivando persino a equipararla a un’overdose di droghe. Questo “autolesionismo” fu definito sia in termini fisici che legali, sebbene non politici. Poiché Casey era diabetico, si sosteneva, e la loro condanna non era ancora stata emessa, uno sciopero della fame solidale non solo avrebbe comportato gravi conseguenze per la salute, ma avrebbe anche potuto compromettere la loro causa legale. Questi attivisti esterni sostennero inoltre che non c’era nulla che i sostenitori statunitensi potessero fare per aiutare T. Hoxha, poiché era incarcerata in un altro Paese, insistendo così sul fatto che l’atto di solidarietà di Casey fosse non solo sconsiderato, ma anche inutile. I compagni che sostenevano lo sciopero della fame di Casey e sostenevano attivamente la militanza delle loro azioni furono pubblicamente calunniati e persino incolpati della dura condanna a 19 anni di carcere inflitta dallo Stato poche settimane dopo la fine dello sciopero. Tali episodi di attacco e denuncia di atti di coraggio, solidarietà e resistenza basata su principi in nome della “preoccupazione” e della “sicurezza” non sono isolati. Ironicamente, mentre queste voci affermano che sono coloro che sostengono la resistenza basata su principi a rappresentare una minaccia e un pericolo per i prigionieri, è proprio l’insistenza nel condannare e scoraggiare la resistenza alla repressione statale a rappresentare la tendenza più pericolosa di tutte. Come ha osservato Shaka Shakur, un prigioniero politico di New Afrikan, in una recente intervista : > “È una tendenza per noi [della sinistra statunitense] cercare di lottare entro > i limiti stabiliti dall’oppressore. Non puoi dire di essere anti-stato, o > anti-governativo, anti-capitalista, anti-imperialista, e che tutta la tua > organizzazione e il tuo concetto di resistenza rientrano nella legalità, nei > confini, nei limiti della tua opposizione, permettendo così alla controparte > di dettare quali siano le tue strategie e tattiche. Questo riconosce una certa > legittimità allo stesso sistema che dici di voler distruggere, abbattere o > cambiare. Quindi sei già condannato”. Nella stessa intervista, Shakur estende la sua critica al pacifismo che, a suo avviso, ostacola il progresso della sinistra statunitense in generale, alla cultura del sostegno ai prigionieri e all’organizzazione carceraria in particolare: > “Sai, penso che sia un errore tattico, un errore strategico, che quando si > parla di sostenere i prigionieri, i prigionieri politici in > particolare – beh, un movimento che dice di sostenere i prigionieri politici o > i prigionieri di guerra e che si limita a brontolare ma si rifiuta di mordere, > è un movimento farsa. È un movimento farsa. Se lo Stato sa che può entrare qui > e uccidermi, orchestrare il mio omicidio, senza alcun tipo di ripercussione > reale, o alcun effetto a catena, allora questo la dice lunga sulla serietà del > movimento che ci sostiene. E questa è una tragedia. E purtroppo, troppi di noi > ci sono caduti”. Shakur osserva inoltre come il concetto di solidarietà con i detenuti sia stato annacquato, limitandosi a fornire loro un mero supporto materiale o tecnico – ad esempio tramite l’invio di denaro o lettere – ma non politico, una critica che abbiamo sollevato anche altrove . Il risultato è che quando i prigionieri vengono presi di mira con repressione o addirittura omicidio per le loro opinioni e azioni politiche, non vi è alcuna conseguenza equivalente sul sistema carcerario da parte di sostenitori esterni. Shakur prosegue: > Quindi, quando si parla di mutuo soccorso e sostegno, dove si colloca questo > concetto rispetto ad altre cose, come altri livelli di resistenza, lotta e > azione diretta? Sapete, perché tutti i nostri anziani devono aspettare di > avere 70, 80 anni e di essere sul letto di morte per essere liberati, per > essere rilasciati? Sapete cosa intendo? E quindi, quando parliamo del concetto > di abolizione nel suo complesso, cosa significa veramente? Come possiamo > renderlo manifesto? Quali sono le fasi di sviluppo in termini di acutizzazione > di queste contraddizioni e di intensificazione della lotta e della resistenza > per realizzare effettivamente l’abolizione? Stiamo cercando di sostenere la > nostra gente, i nostri compagni in prigione, per farli stare bene, o stiamo > cercando di rendere questi figli di puttana ingovernabili? Ovvero, stiamo > cercando di mandare soldi o stiamo cercando di liberare alcune persone?”. Di fronte alla brutale repressione statale, non possiamo permetterci di lasciare che concetti di “sicurezza” o di “consulenza legale” prendano il sopravvento sulla nostra strategia politica e sulla nostra lotta collettiva. Se tutti noi diamo priorità alla nostra sicurezza individuale rispetto alla liberazione collettiva, la nostra lotta non progredirà mai. I prigionieri politici vengono incarcerati per atti politici di resistenza allo Stato, quindi la loro lotta per la libertà deve essere condotta anche su un terreno e in termini politici. La storia degli scioperi della fame dei prigionieri dimostra che si tratta in realtà dell’opposto di un impulso suicida. Si tratta piuttosto della riaffermazione della vita e dell’umanità di un prigioniero nelle condizioni più disumanizzanti immaginabili, dell’insistenza sulla propria soggettività rivoluzionaria quando lo Stato lo ha ridotto a un oggetto passivo. Per noi che siamo fuori, è nostro dovere sostenere questa narrazione e i rischi che i nostri compagni scelgono di correre, nonostante le nostre preoccupazioni personali per la loro sicurezza e il loro benessere. Il silenzio è fatale. Anche se lo sciopero di T. Hoxha e Casey ha attirato l’attenzione, molte importanti organizzazioni di solidarietà con la Palestina non hanno fatto nulla, o si sono addirittura rifiutate, di rinnovare le loro semplici richieste di chiamare e inviare email al carcere per chiedere che T. Hoxha ricevesse le cure mediche urgenti di cui aveva bisogno. A meno che il governo imperialista e genocida del Regno Unito non riacquisti improvvisamente una coscienza e non accolga le cinque semplici richieste dell’imminente e questa volta molto più ampio sciopero della fame, è nostro dovere offrire il nostro sostegno incondizionato a coloro che, all’interno, intraprendono questi atti di coraggio. Circondate le segrete dove sono tenuti prigionieri. Facciamo in modo che la loro resistenza e i loro sacrifici risuonino così forte e così ampiamente da far crollare le mura della prigione. Per concludere con le parole di uno dei 10 repubblicani irlandesi martirizzati nello sciopero della fame del 1981, Patsy O’Hara dell’Esercito di Liberazione Nazionale Irlandese: “Quando non ci saremo più, cosa direte di aver fatto? Direte di essere stati con noi nella nostra lotta o di esservi conformati allo stesso sistema che ci ha condotti alla morte?”. -------------------------------------------------------------------------------- Per aggiornamenti, seguite: * Prigionieri per la Palestina ( Instagram , Twitter , Youtube , sito web ). * Appunti di prigione di T. * Il sotto-stack di Zahra * Sottopila Filton 24 * CAGE International
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Sul rinvio a giudizio per la manifestazione contro il 41-bis del 28 gennaio 2023 a Roma
Riceviamo e diffondiamo: Continuiamo la lotta contro il 41 bis, carcere di guerra contro i rivoluzionari A proposito del rinvio a giudizio nel procedimento per la manifestazione del 28 gennaio 2023 a Roma in solidarietà con Alfredo Cospito Dopo una serie di rinvii a partire dal luglio dello scorso anno, il 23 ottobre si è svolta l’udienza preliminare del procedimento per la manifestazione tenutasi a Roma il 28 gennaio 2023 in solidarietà con Alfredo Cospito, all’epoca a 101 giorni di sciopero della fame contro il regime detentivo del 41 bis e l’ergastolo ostativo. Al termine dell’udienza è stato stabilito il rinvio a giudizio di 13 compagni e compagne per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e porto di armi o di oggetti atti a offendere, con numerose circostanze aggravanti. Questo processo, fortemente desiderato dal “Gruppo antiterrorismo” della procura di Roma (mobilitatosi sebbene i capi d’accusa non presentino alcuna aggravante della “finalità di terrorismo”), avrà quindi luogo a partire da giovedì 8 gennaio 2026 alle ore 09:00 presso il Tribunale ordinario di piazzale Clodio. Nel pomeriggio di quel sabato 28 gennaio 2023 veniva convocata una manifestazione in piazza Trilussa, che le forze di polizia decisero di circondare e provocare. Tuttavia, in serata i piani della questura non andarono come previsto, con una parte dei manifestanti rimasta fuori dall’accerchiamento e le forze di polizia finite a loro volta nella morsa che volevano provocare. Ne sfociarono dei tafferugli e un corteo per le vie di Trastevere che si mosse per alcune ore e si concluse con 42 manifestanti fermati (condotti in questura, denunciati e rilasciati entro la mattina seguente). Da quel numeroso gruppo di fermati, la DIGOS e la procura con un lavoro di “scrematura” hanno successivamente selezionato 10 compagni e compagne, cui ne hanno aggiunti altri tre che non erano tra i fermati di quella sera. “La pericolosità del 41 bis non si può ridurre a un gerarca da operetta che imbastisce una patetica trappola a un’opposizione altrettanto da operetta […]. La sua reale pericolosità è qualcosa di ben più oscuro, in potenza una formidabile scorciatoia repressiva in caso di conflittualità sociale. Quale modo migliore per silenziare i movimenti e le opposizioni radicali di un regime emergenziale già attivo e testato […]. Se la guerra imperialista dell’Occidente tracimerà per reazione dai confini dell’Ucraina irrompendo nelle nostre case, se i conflitti sociali supereranno il limite sostenibile di un meccanismo traballante, o anche solo se la transizione morbida e graduale in regime non sarà praticabile, il 41 bis grazie proprio alla sua patina di legalità sarà lo strumento repressivo ideale per un’anestetizzazione sociale forzata, una sorta di olio di ricino per rimettere in riga i recalcitranti”. Queste sono alcune parole pronunciate da Alfredo Cospito il 15 gennaio scorso, in videoconferenza dal carcere di Bancali, durante l’udienza preliminare del procedimento cosiddetto “Sibilla” a Perugia (in cui tra l’altro sono stati inquisiti anche quattro compagni e compagne anarchici oggi imputati nel processo per i fatti di Trastevere). L’ultima circostanza in cui il compagno ha potuto esprimersi, strappandosi il bavaglio della censura e dell’isolamento imposti tramite il 41 bis che proprio in quell’inchiesta, in mezzo a una coltre di farneticazioni inquisitoriali terminate con una sentenza di non luogo a procedere, ha trovato uno dei suoi principali fondamenti giudiziari e repressivi. Non abbiamo quindi dimenticato che il 41 bis contro Alfredo e i tre militanti comunisti reclusi in quel regime da vent’anni funge da monito, da formidabile scorciatoia repressiva contro i rivoluzionari e più in generale contro tutte le espressioni di conflittualità sociale cresciute in questi anni dove continuano a soffiare forti venti di guerra. Con quella mobilitazione siamo riusciti a impedire una condanna all’ergastolo ostativo per Alfredo e a porre un serio bastone tra le ruote alla macchina della repressione anti-anarchica e non solo. Enormi contraddizioni si sono aperte negli organismi statali e oggi le forze repressive provano a farci pagare lo scotto subìto avviando nuove operazioni di polizia e processi. Si vedano a titolo di esempio la recente operazione “Delivery” e il processo “City” in corso a Torino, dove assieme all’accusa di devastazione fanno da corollario quei reati “di piazza” che troviamo in processi come quello che sta prendendo il via a Roma. Ricordiamo bene la rabbia di quei giorni e difendiamo l’intero bagaglio di esperienze, azioni e manifestazioni realizzate durante la mobilitazione degli anni 2022-’23 a sostegno dello sciopero della fame di Alfredo Cospito e degli altri rivoluzionari prigionieri. Ottobre 2025 Alcuni imputati e imputate Qui in pdf: continuiamo la lotta contro il 41 bis carcere di guerra contro i rivoluzionari imp
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Contro ARGOTEC
Riceviamo e diffondiamo: Lo spazio ultraterrestre è fondamentale nella guerra tra le forze che si contendono il controllo del mondo. Lo spazio ha un ruolo centrale nella carneficina in corso in Ucraina, nello sterminio a Gaza e in Cisgiordania, nella guerra contro le persone migranti, nella sorveglianza delle città. ARGOTEC partecipa a questa guerra. ARGOTEC è una piccola azienda “eccellenza” torinese fondata nel 2008 dall’ex parà della folgore David Avino, un’eccellenza che guadagna grazie alla morte, come tutte le aziende che sulla guerra si arricchiscono. ARGOTEC produce microsatelliti e sistemi d’Intelligenza Artificiale per programmi Nasa ed europei, per esempio la costellazione di satelliti “IRIDE” dello stato italiano finanziata con i fondi del PNNR, voluta prima dal governo Draghi e poi da quello Meloni. “IRIDE” serve ad avere dati sempre più precisi per la sorveglianza della terra e si avvale proprio dei microsatelliti ARGOTEC. ARGOTEC vende i suoi prodotti ai padroni delle fabbriche, ai grossi industriali nelle campagne, alle polizie che deportano le persone migranti, alla protezione civile per il governo delle “emergenze”, agli eserciti. ARGOTEC ha contratti di collaborazione con il Ministero della Difesa, per esempio con il progetto “SeQBO” del 2018 per sviluppare un “computer sicuro basato sulla comunicazione quantistica” in supporto a missioni militari. ARGOTEC ha sede in Barriera di Milano, ma nell’ottobre 2024 ha inaugurato grazie a fondi pubblici la sua sede produttiva nelle ex Cartiere Burgo, in via burgo 8, a San Mauro Torinese, nell’area industriale Pescarito. Questo posto si chiama “SpacePark”, un gigantesco snodo per “l’innovazione” aerospaziale dove vengono ospitate anche diverse startup, occupa migliaia di mq ed è alimentato da 400 km di cavi. ARGOTEC negli ultimi due anni ha raddoppiato i profitti con la benedizione del “centrodestra”, il presidente della regione Cirio e del “centrosinistra”, i sindaci di Torino e San Mauro torinese Lousso e Guazzora, tutti presenti a tagliare il nastro dello Space Park. nessuna pace per questa fabbrica di morte che si espande nella nostra città per questo abbiamo deciso di scrivere sui muri “ARGOTEC – MERDA NEI TUOI INGRANAGGI“ buttando un bel po’ di merda, la stessa che si produce lì dentro incatenando i cancelli della sede dirigenziale dell’azienda, in via Cervino 52, a Torino che tutti sappiano dove trovarvi con Gaza con i disertori con le persone migranti nel cuore siamo e saremo sabbia nei vostri ingranaggi di morte azione diretta contro la guerra.
Rompere le righe
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Azioni
Guerra di classe
Riprendiamo da https://coordinamenta.noblogs.org/ Guerra di classe di Elisabetta Teghil Questa mattina all’alba in provincia di Verona due anziani fratelli ed una altrettanto anziana sorella, agricoltori, hanno fatto saltare in aria con il gas di una bombola il casolare dove abitavano mentre era in corso una irruzione di svariate forze di polizia in relazione ad una procedura di sfratto esecutivo. Tre carabinieri sono morti, uno dei fratelli e la sorella sono in gravi condizioni. Dino, Franco e Maria Luisa Ramponi, proprietari di un’azienda agricola storica di Castel d’Azzano, erano sul lastrico, su di loro pendeva uno sfratto esecutivo per un’ipoteca sulla proprietà. Strozzinaggio legale. Avevano già minacciato di far saltare tutto l’anno scorso ma la soluzione è stata piombare in forze nel casolare alle tre di notte. I vicini: “Erano disperati, vivevano come in una grotta” Erano oberati dai debiti e vivevano senza luce e gas. Questo avvenimento me ne ha fatto venire in mente un altro successo qui a Roma anni fa in un quartiere popolare della periferia est. Una vecchietta di 82 anni, sfrattata dal suo appartamento lo aveva fatto saltare in aria e per nulla pentita aveva ribadito «Il Signore non vi farà godere la casa, siete dei ladri» Se scorrete la cronaca, di queste storie ne troverete tante negli anni. Il dolore, la fatica di una vita che non vale la pena di essere vissuta si può trasformare in rassegnazione, disperazione oppure rabbia e rancore. Ci sono quelli che si rassegnano e vengono ignorati, nessuno si occuperà di loro, nessuno si accorgerà di quello che è accaduto, saranno solo loro a pagarne il pesante prezzo. Ci sono quelli che si disperano, si suicidano, il loro dolore diventa violenza verso se stessi, autolesionismo e allora strappano qualche “poveretto” qualche lacrimuccia di circostanza che dura il tempo del trafiletto sul giornale come per quell’uomo che mercoledì scorso 8 ottobre a Sesto San Giovanni, hinterland nord di Milano, periferia storica, si è buttato dal sesto piano durante lo sfratto esecutivo dall’appartamento in cui viveva. Ma non sia mai che il dolore, la disperazione e l’impotenza si trasformino in reazione contro lo stato presente delle cose, contro chi è la causa del massacro delle vite e chi questo massacro lo difende, lo tutela e lo supporta, allora per chi tira le fila di questa società è violenza delinquenziale e senza appello. Invece è solo guerra di classe consapevole o inconsapevole ma guerra di classe.
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Il genocidio riorganizzatore
Il genocidio riorganizzatore Qui il link: https://campiselvaggi.noblogs.org/post/2025/10/09/il-genocidio-riorganizzatore/ Nel contesto di sbandierati “accordi di pace” con cui impresentabili personaggi vorrebbero disarmare la resistenza in Palestina e di scellerate manovre delle cancellerie europee che vorrebbero ad ogni costo far precipitare la guerra contro la Russia allargando il massacro delle popolazioni sacrificabili sul fronte orientale, prefigurando la macabra sequenza distruzione/spopolamento ricostruzione/riordinamento, appare utile la lettura di una stralcio del seguente testo – “Israele e la terra bruciata in Guatemala”. Le pratiche di tortura e genocidio attualmente osservate in Palestina emergono non come “evento” eccezionale, ma come uno degli esempi estremi di quella modalità “riorganizzatrice” propria della macchina da guerra tecno-capitalista. Lo sterminio delle popolazioni maya in Guatemala negli anni Settanta e Ottanta dimostra come l’internazionalismo autoritario come complicità genocida sia una pratica sociale volta alla riorganizzazione spaziale e all’integrazione di complessi scientifici-militari-industriali niente affatto nuova. Sotto le dittature di Lucas Garcia (1978-82) e Ríos Montt (1982-83), lo Stato guatemalteco, con il supporto tecnico-militare di Israele, Stati Uniti e Taiwan, perpetrò un atroce genocidio contro le popolazioni originarie, in particolare i Maya Ixil, con l’uso sistematico di napalm, tortura e sparizioni. Durante la sanguinosa guerra civile, l’esercito, in risposta al noto concetto maoista secondo cui “la guerriglia, sostenuta dal popolo, si muove al suo interno come un pesce nell’acqua“, mise in pratica la strategia del “togliere l’acqua al pesce”, ovvero distruggere individui e comunità per annientare il sostegno popolare alla resistenza e spopolare vaste aree di terra da depredare. È così che lo Stato razzista pianificò eseguì e giustificò uno dei genocidi più crudeli e impuniti dell’America Latina, provocando 200mila morti, di cui 130mila nel corso della sola operazione “terra bruciata”, un milione e mezzo di sfollati, 150mila rifugiati in Messico, 50mila desaparecidos. I maya come palestinesi ante litteram, potremmo senz’altro dire. Forse la cifra più significativa della contemporaneità è il fatto che la categoria di nemico interno si sia estesa a situazioni di bassa conflittualità reale, per assumere alle nostre latitudini un carattere sostanzialmente preventivo contro quella “acqua” che non è rappresentata tanto (lo è ancora a Gaza e altrove) da una tenace resistenza popolare, quanto da quella parte di popolazione che ovunque è “eccedente”, “sovrannumeraria”, rispetto alle logiche della produzione, del consumo, della valorizzazione finanziaria e dunque, per la sua semplice esistenza, d’intralcio all’ordine del tecno-capitalismo. Un’umanità inutile per il capitale, o forse utile semplicemente per sperimentare sulla sua pelle svariate innovazioni tecnologiche per poi essere eliminata in caso dia problemi, magari con gli stessi strumenti di sterminio automatizzati per il cui affinamento è stata cavia. Alcuni territori spopolati dalla politica della terra bruciata in Guatemala sono oggi diventati zone di concessioni petrolifere, dove militari, grandi imprese e narcos controllano il territorio. Si tratta della concreta manifestazione di un modello tecno-capitalista militarista “alimentato dal terrore, dal genocidio riorganizzatore“.
Stato di emergenza
La corsa agli armamenti è iniziata. Né con le loro guerre, né con la loro pace! Contro la fabbrica di munizioni Rheinmetall nel quartiere Wedding di Berlino
Riceviamo e diffondiamo: La corsa agli armamenti è iniziata. Né con le loro guerre, né con la loro pace!Contro la fabbrica di munizioni Rheinmetall nel quartiere Wedding di Berlino La corsa agli armamenti è iniziata… Ancora una volta, è la paura di uno scenario di minaccia militare a togliere il sonno ai politici. Si pongono domande come: è moralmente accettabile che la Germania torni a essere in grado di combattere una guerra? Solo dieci anni fa, una domanda del genere sarebbe stata liquidata come una fantasia, ma ora la risposta è chiara: sì, la Germania deve diventare il più rapidamente possibile pronta a combattere. Ogni nazione che voglia definirsi tale ha bisogno di un esercito che la difenda, che attacchi e per cui i suoi figli siano disposti a sacrificare la vita in nome del Paese e dei suoi valori. Nel fango delle trincee, bombardati da droni telecomandati. Ma lo Stato moderno non è forse perennemente in guerra? O meglio, in tempo di pace non sta forse già preparandosi alla prossima guerra? In che misura il periodo di approntamento può ancora essere considerato un periodo di pace? È qui che il concetto di Stato, anche quello socialdemocratico, si rivela per quello che è: uno spietato stratega, pronto a calpestare letteralmente i cadaveri, compresi quelli delle proprie pecorelle, pur di garantire il benessere alla maggioranza dei propri cittadini. La guerra è un aspetto intrinseco al sistema di tutti gli Stati. La pace è il periodo che precede il prossimo conflitto mortale, una breve pausa per riprendere fiato. Mentre il benessere pacifica i cittadini obbedienti, ogni giorno, in tutto il mondo, innumerevoli persone muoiono a causa delle conseguenze del sistema capitalista: emarginazione, sfruttamento e persecuzione. Mentre per una ristretta cerchia regna una presunta “pace”, altri subiscono le conseguenze di una costante offensiva sociale. Un’aggressione verticale, dall’alto verso il basso. Viviamo ancora in una pace “formale”, ma tutti i segnali indicano che presto sarà solo un ricordo. In un batter d’occhio è stato reintrodotto il servizio militare e la coscrizione obbligatoria è oggetto di accesi dibattiti da parte della stampa. In televisione, viene mostrato sempre più spesso e in modo sempre più dettagliato come potrebbe svolgersi un conflitto militare concreto. Ora anche una parte considerevole dell’economia viene militarizzata. L’astrattezza sta lentamente, ma inesorabilmente, diventando realtà. E questa nuova realtà bellica ci riguarderà tutti. Come dovremmo affrontarla? Non possiamo chiedere ai governanti di «smettere». Non abbiamo alcuna intenzione di negoziare con loro. Non abbiamo alcun interesse a cercare di attirare la loro attenzione o avanzare altre richieste. In fin dei conti, è nel loro interesse socioeconomico e nella loro volontà promuovere questo cambiamento epocale. Che ci crepino, allora! Economia di guerra e guerra economica Lo Stato tedesco è in crisi. Una crisi economica, politica e di identità. Per uscire da questa crisi, è necessario il sangue e il sudore di coloro che certamente non possiedono un attico nel centro della città, ma che devono lavorare duramente per potersi permettere un misero buco in periferia; di coloro che un lavoro nemmeno ce l’hanno, perché troppo indesiderabili secondo i criteri della società borghese; di coloro che fuggono dalle bombe che lo stesso Stato tedesco, insieme a tutti i suoi complici guerrafondai, produce e sgancia su quelle zone del mondo che da sempre sono considerate la fogna della prosperità borghese occidentale. E ora ci dicono che queste bombe sarebbero la soluzione per uscire dalla recessione! Che dobbiamo accettare e applaudire la guerra, perché si presume che crei posti di lavoro! Che tra 20, 30 o 40 anni, questi proiettili d’artiglieria, che oggi da qualche parte stanno massacrando uomini, donne e bambini, pagheranno le nostre pensioni e ci regaleranno una vecchiaia confortevole in qualche località esotica, in un mega camper, magari proprio lì dove, tempo addietro, quelle stesse bombe hanno sterminato chi sapeva bene che la vecchiaia non l’avrebbe mai raggiunta. Proiettili da 45 chilogrammi made in Wedding Nel quartiere di Wedding, dove un tempo un impianto di componentistica automobilistica produceva parti per auto, a partire dal luglio 2026 dovrebbe iniziare la produzione di componenti per munizioni di artiglieria da 155 mm. L’ex Pierburg GmbH è stata recentemente rinominata Rheinmetall Waffen Munition GmbH. Un nome, un programma. Non sarà né la prima né l’ultima azienda a intraprendere questa strada. È degno di nota il fatto che queste aziende non vengano relegate silenziosamente in parchi industriali isolati, ma che un’industria bellica venga insediata nel cuore di Humboldthain. Ciò evidenzia la portata dell’agenda politica volta a rendere la militarizzazione della società una condizione ordinaria. Noi, che vogliamo una libertà autodeterminata, neghiamo lo Stato, i suoi progetti, le sue guerre e la sua pace. Tutto ciò che costituisce uno Stato ha portato finora solo a un risultato: guerra e sofferenza. La nostra pace e la nostra libertà saranno possibili solo quando il capitalismo, lo Stato, le sue leggi, la sua giustizia e il suo ordine saranno ridotti in cenere e macerie. Finché tutto questo continuerà a esistere, a noi non resta altro che trasformare la guerra dei padroni in una guerra contro i padroni. Non prenderemo parte ad alcuna guerra tra Stati o blocchi imperialisti. Non riconosceremo mai alcun esercito nazionale. Saremo sempre dalla parte di coloro che disertano il fronte. Dalla parte di coloro che rivolgono le armi contro i propri superiori, non contro gli sfruttati che indossano un’uniforme di diverso colore. La nostra unica guerra è la guerra sociale contro l’oppressione e il dominio, a cominciare dagli oppressori e dai padroni di “casa nostra”, contro ogni Stato, a cominciare da quello in cui ci troviamo. Essere contro lo Stato significa inevitabilmente confrontarsi con il potere e la sua repressione. Pertanto, la nostra proposta per contrastare la militarizzazione della società e lo sviluppo bellico è: disobbedienza, sabotaggio, diserzione e auto-organizzazione. Invitiamo tutti a partecipare alla manifestazione contro la fabbrica di munizioni Rheinmetall che si terrà il 12 ottobre alle ore 14:00 a Nettelbeckplatz. Né con le loro guerre, né con la loro pace!   La_corsa_agli_armamenti_e_iniziata.cleaned
Rompere le righe
Stato di emergenza
Dichiarazione di Juan Sorroche al processo per l’azione contro la scuola di polizia POLGAI
PDF scaricabile: DICHIARAZIONE JUAN AL PROCESSO 02.10.2025 DICHIARAZIONE AL PROCESSO (BS) -02/10/2025- PER L’AZIONE RIVOLUZIONARIA ALLA SCUOLA DI POLIZIA POLGAI RISPOSTE ALLE PROCURE E TESTI: Ho ascoltato molto attentamente e in silenzio, e ho preso nota in tutto questo tempo, nelle tante udienze, con innumerevoli testi della procura, in più di un anno di processo. Hanno spaziato ampiamente e lungamente, con uno sproposito di documentazioni e di dichiarazioni, con innumerevoli divagazioni e interpretazioni di tutto un contesto di lotta politica e sociale, alle quali è impossibile rispondere nei tempi di questo processo. Quindi, viste le tante mistificazioni, vorrei ribattere solo un po’ sul contesto sociale e politico entro il quale vengo accusato. Accusato anche forzando e incastrando ruoli specifici, sia politici che personali, gerarchie e ideologie mai assunte da diverse e singole persone. Costruzione sistematicamente faziosa,con una serie di profili inventati, con tanto di nomi e cognomi senza motivazioni. Che vorrei smentire, viste le accuse ingiuriose. E lo stesso metodo è stato utilizzato rispetto a diversi scritti e diverse dichiarazioni processuali firmati da me, includendovi anche scritti di altre persone e di anonimi, tutti sistematicamente spezzettati e separati completamente dal loro contesto reale [generale dove sono stati creati]. Dilatandosi in digressioni politiche e storiche, spaziando, spezzettando, senza alcuna sensata motivazione lungo 150 anni di storia dell’anarchismo. Addirittura con divagazioni filosofiche sull’anarchismo. Tutta sta mole di dichiarazioni su un lunghissimo arco di contesto storico, sociale, politico e filosofico, sempre senza prove fattuali e sempre mistificato, registrate in più di un anno di processo, sono solo strumentalizzazioni fuorvianti, e servono solo a creare un clima processuale emergenziale e di pericolosità davanti alla giuria popolare per accusarmi in quanto anarchico. Procure e testi qui sono arrivati ad inventare dei ruoli di tre leder politici nell’anarchismo, e molto dogmaticamente, per colpevolizzarle, delle persone come capi, i leader politici del movimento anarchico italiano, con tanto di nomi e cognomi di questi compagni anarchici, uno defunto; ma ad oggi in questo processo non sono né incriminati né imputati, e procura e testi non hanno portato un straccio di prova, ma solo le loro chiacchiere. Hanno voluto continuamente spiegarci sta fantomatica e digressiva storia del movimento anarchico italiano, con queste assurde tre diverse correnti, iper-sociali, sociali, antisociali, per ognuna di queste, il suo capetto di turno nell’anarchismo. Costruzioni assurde e completamente inventate. Mai sentite in vita mia in quanto anarchico; e il movimento anarchico Italiano, certo, lo frequento orgogliosamente da 25 anni. Queste accuse, riportate in questo modo nel processo, sono mere accuse politiche senza prove. Speculazioni politiche costruite e comandate dall’alto dalla magistratura, dalla Direzione Nazionale Antiterrorismo. Lo dico per il fatto provato che, essendo completamente false, sentite in questo processo e risentite e riutilizzate solo in diversi altri processi e in ambienti processuali utilizzati delle magistrature, beh la matematica non è una opinione: vogliono, con queste dichiarazioni politiche, condannarmi esemplarmente e politicamente e, insieme, attaccare tutto un contesto di lotta politica e storico e filosofico del movimento anarchico Italiano. Ci sarebbe tanto e tanto altro da dire, perché le procure e i testi hanno voluto spaziare e introdurre nel processo la lunga e complessa storia delle esperienze politiche e rivoluzionarie della lotta armata degli anni 70 e 80 di questo paese, mettendo tutto ciò in un confronto fazioso e in modo a dir poco strumentale, per dare al processo la solita pennellata folcloristica e sensazionalista sulla lotta armata per impressionare la giuria popolare. Mi hanno accusato in quanto anarchico, ma vengo ridefinito politicamente a piacimento della procura, inventandosi e imponendomi questa sorta di macchietta infamante di “anarchico individualista”, che rifiuto completamente perché non mi rappresenta per niente. Cosi come loro l’interpretano e rendono. Tipo. I testi e le procure dicono che non vorrei le lotte sociali. Falso. Che non vorrei lottare con altre persone non anarchiche. Anche questo è falso. Che dico che bisogna assolutamente rivendicare gli attentati. Falso. Che non voglio le rivoluzioni sociali con gli altri oppressi. Falso. E addirittura ho sentito dire questa gran idiozia da un teste della DIGOS, che io sarei un a-solidale, il che vuol dire nella lingua italiana – e scusate se mi permetto da straniero, ma le parole e la grammatica hanno regole e un loro giusto significato e soprattutto un loro peso-, e vuol dire: non essere solidale con nessuno. Una fesseria stupida, oltre che una falsità. Però magari il teste era ignorante, del significato. La realtà è che io non ho mai negato né nascosto di essere individualista anarchico. Anzi, ne sono molto fiero! Però di sicuro non saranno le procure e testi e le vostre ipocrite autorità a potermi catalogare, tra l’altro cambiando continuamente nei diversi processi e nel tempo a piacimento le mie concezioni di anarchico, senza coerenza, volutamente, perché certo serve soltanto a strumentalizzarle per condannarmi esemplarmente come nemico interno, come terrorista. VIDEOCONFERENZA E DNA: Più di un anno di processo fatto tutto in videoconferenza, senza avere potuto mai presenziare di persona in aula, nonostante le mie ripetute richieste, richieste tutte rifiutate dalla corte – a parte l’autorizzazione a presenziare ma con-obbligo-di-interrogatorio, cercando così di fatto di coartare le scelte della difesa degli imputati. La questione videoconferenza, e la dinamica emergenziale con la quale è stata approvata, rientra o, per essere più precisi, rientrava nella infame logica della differenziazione dei circuiti detentivi introdotta con la dinamica strutturale emergenziale perenne dello Stato Italiano, dove l’individuo recluso e imputato viene demonizzato e disumanizzato con la così detta “notevole pericolosità sociale”. Questo progresso tecnologico, rivela chiaramente l’asservimento in ogni aspetto delle nostre vite all’autorità statale capitalista: privando della possibilità di contestare le varie innovazioni, nuova religione da adorare. Così la super-prova del DNA, indiscutibile e incontestabile, e che, bisogna dire, è invece interamente nelle mani e nel monopolio dello Stato, e certo delle sue super-procure e della polizia, la quale fa i rilevamenti e i prelevamenti sulla scena del crimine, detiene tutti i vari reperti nei propri archivi, fa condurre i test e le analisi dal personale proprio, all’interno dei loro propri laboratori; le contro-analisi di parte sono limitatissime e sono costosissime e, diciamolo, la gran maggioranza dei prigionieri certo non se le possono permettere; le contro-analisi sono impossibili da condurre, da parte della difesa, in laboratori che siano indipendenti dagli apparati dello Stato. In più la prova permette un’enorme malleabilità e discrezionalità nell’interpretazione dei risultati, come ci ha dimostrato lo spettacolo indegno e l’enorme malleabilità e la discrezionalità dei risultati nel così detto caso-Garlasco; in una percezione pubblica che è sovradimensionata dallo scientismo della fede nella prova del DNA, che spesso spunta per magia dopo decenni, raccontandoci la favoletta risentita da secoli sulle grandezze del progresso che va avanti, certo attraverso una continua e martellante propaganda lobotomizzante e il bombardamento mediatico della nuova fede in tale affidabilità da adorare. Questo consumismo spettacolare e visivo dei media svolge un ruolo cruciale nella costruzione di questa base che è ideologica. Tutto questo è l’ennesima conferma delle contraddizioni e delle sospensioni effettive di tutti i diritti fondamentali della vostra democrazia borghese. Sono questioni sistemiche nello Stato, non si tratta di due errori disfunzionali o di due mele marce, come si suol dire in questi casi. ATTO DI TERRORISMO CON ORDIGNI MICIDIALI O ESPLOSIVI, 280 BIS C.P: Per finire vorrei chiarire alcune cose riguardo l’attentato e l’accusa di terrorismo 280 bis c.p., visto che procura e testi, per accusarmi nello specifico dell’attentato della scuola della polizia POLGAI, hanno voluto e potuto spaziare allargandosi a tutto un generale contesto sociale, politico e storico. Quindi vorrei parlare anche io un po’ sia del contesto sociale e politico e storico sia dello specifico, per poter difendermi delle accuse che mi sono state rivolte. La prima domanda da farsi qui è: che cosa è la struttura della scuola di polizia POLGAI? La risposta è: una struttura scientifico-militar-internazionale d’addestramento a tecniche militari. E poi, a chi insegnano, e a cosa addestrano. Nei suoi locali, come altrove, insegnano le tecniche di antiterrorismo e antiguerriglia alle polizie di tutto il mondo, a paesi anche molto noti alle cronache italiane come l’Egitto, la Libia, come anche alla polizia di Israele, e tanti tanti altri. L’antiterrorismo include intrinsecamente l’addestramento alla tortura sistematica: crimine odioso, anche per le vostre democrazie borghesi, che fintamente lo condannano, provando maldestramente a dissimularlo. Faccio una piccola parentesi storica, visto che le procure hanno voluto inserire e parlare della lotta armata in Italia negli anni 70 e sul contesto storico di allora. Perché non avete parlato della tortura messa in pratica dallo Stato italiano durante gli anni 80 dal governo Spadolini, 1981, coalizione DC,PSI,PSDI, PRI,PLI, certo votato democraticamente, con decine e decine di casi denunciati di tortura e anche con violenze sessuali, contro una marea di persone che lottavano, e la giustificazione secondo cui è servita a fermare la lotta armata. Però non è questo il punto: questa piccolissima parentesi sul contesto Storico è per mostrare che sono queste le tecniche che si utilizzano nei complessi scientifico-militar-industriali locali e internazionali come quello della scuola di polizia POLGAI. Sono la massima espressione del monopolio statale della violenza e delle sue tecniche. Questo è il contesto. Contesto che ci sta trascinando oggi tutti verso la terza guerra mondiale, di cui il genocidio in corso a Gaza è il capitolo più emblematico e più in vista. Però chi è, chi sono i terroristi per la procura e per lo Stato italiano che mi accusa. Attenzione perché in questi tempi di guerra totale si sfumano i confini tra i “terroristi” del fronte esterno e i “terroristi” del fronte interno. Per fare un esempio specifico: nella stessa sezione speciale del carcere dove sono prigioniero, vivo con diversi compagni rivoluzionari, come il compagno prigioniero Anan Yaeesh, partigiano palestinese, e benché la resistenza armata di cui lo si accusa sia legittima persino per la vostra carta straccia del diritto internazionale, l’Italia lo tiene prigioniero qui. Così come alcuni dei rivoluzionari comunisti richiusi negli anni 80, rinchiusi da più di 40 anni: sono quelli di più lunga durata nelle carceri di tutta Europa. E approfitto per esprimere a tutti solidarietà. Cosa c’entra tutto ciò. C’entra che tutti abbiamo le stesse accuse: per “terrorismo”. È la stessa accusa, “terrorismo”, che mi fa questa procura per l’azione rivoluzionaria contro la POLGAI. Ma, se di terrorismo vogliamo parlare, vorrei ricordare che siete seduti e vivete in un territorio, Brescia, dove, in Ghedi, si trova un parte micidiale del vostro imperialismo occidentale, attivo e complice nel genocidio del popolo palestinese, e che ha una base NATO, con bombe nucleari in grado di disintegrare popolazioni intere, e queste si indiscriminatamente, e anche in grado di disintegrare tutta Brescia. Capisco le dichiarazioni di procura e testi, non sono un stupido: dovete reprimere noi, pericolosi-terroristi, quelli delle retrovie di questa guerra totale, tra l’altro in una fase complicata del capitalismo italiano ed europeo. Certo il fronte interno deve rimanere pacificato a forza di manganello e condanne esemplari, per conservare l’ordine sociale. Per questo le strette repressive verso ogni pratica di lotta non simbolica; per questo la repressione con il DDL sicurezza, con leggi repressive con condanne esemplari anche per i prigionieri che lottano nel carcere anche per la sola disobbedienza pacifica e punendo lo sciopero della fame collettivo come rivolta. Tra l’altro oltre alle carceri italiane che hanno problemi con l’acqua come a Terni, in alcune non c’è proprio l’acqua per lavarsi, né tanto meno per bere, come ad esempio nel carcere di Uta in Sardegna, dove c’è stato un recente sciopero della fame; e tutte sovraffollate. Per questo anche l’attacco con l’utilizzo infame da parte dello Stato della legge più grave che ci sia nell’ordinamento di questo paese, la cosi detta “strage politica”, il 285 c.p.; ormai pure questa è stata sdoganata estesa contro chiunque, nonostante la sproporzione tra fatti reali, reato e pena: così per la prima volta è passato il reato di strage senza che ci fossero né morti né feriti, nelle condanne degli anarchici Anna Beniamino e Alfredo Cospito, quest’ultimo rinchiuso in 41 bis. A Alfredo e Anna va tutta la mia solidarietà. A differenza delle recenti stragi di Stato con i 14 prigionieri uccisi lasciati morire in carcere durante le rivolte di marzo 2020, oppure il ponte Morandi di Genova con 43 morti e tante e tante altre. E visto anche che le procure e testi continuano in questo processo a parlare di un altro mio processo per cui sono stato condannato in via definitiva e degli ordigni alla sede della Lega in Treviso, per quelli, vorrei ricordare, con l’accusa, senza morti e senza feriti, di “strage politica”, poi ritirata dal PM, sono stato condannato a 28 anni di prigione in primo grado, misura che non si vedeva da decenni. D’altra parte, ricordare non fa male: è un dato di fatto che la Lega è un partito che costituisce parte del governo fortemente razzista, misogino e xenofobo, oltre ad essere un partito complice dichiarato del genocidio in Palestina. Poi semmai, riguardo alle accuse di strage: è lo Stato italiano l’unico responsabile delle stragi, da sempre; e, noi anarchici, è dal 1970 che continuiamo e continueremo ad accusare lo Stato italiano come l’unico responsabile dell’epoca dello stragismo e della così detta “strategia della tensione”, comandata dagli USA, stragi come piazza Fontana, e, dove state voi a Brescia, piazza della Loggia, e che lo Stato in tutti questi anni ha fatto di tutto per uscirne impunito. Proprio per ciò mi piacerebbe ricordare e far notare alla corte che i numerosi politici e magistrati del periodo stragista degli anni 70 sono gli stessi che ancora sono protagonisti, e alcuni oggi governano, della vita pubblica italiana. Non vedo con quale legittimità proprio voi possiate accusarci di essere stragisti e terroristi. Voi certo volete cancellare tutto ciò con un colpo di spugna. Sia il passato che il presente, i livelli altissimi di guerra totale, il razzismo statale e nazionale-sociale che avete diffuso e che si respirano oggi in Italia e nel mondo, e che voi come Stato da anni avete fomentato in tutta la società italiana facendolo passare come qualcosa che è privo di violenza, una semplice opinione… Volete sorvolare queste questioni fondamentali. Queste sono alcune contestualizzazioni sociali e politiche e storiche; in sintesi, perché potrei continuare all’infinito. Certo voi potete condannarmi o no, sono qui prigioniero, ma non scordatevi mai che siete voi rappresentanti dello Stato quelli accusati di terrorismo e stragisti con storiche responsabilità. E tutti questi fatti parlano delle ragioni sociali delle lotte da secoli degli oppressi del mondo. Io sono una piccola goccia, ma semplicemente dalla parte giusta della storia. A prescindere e al di là di ciò che deciderete. lo condivido politicamente e solidarizzo con la lotta anarchica rivoluzionaria contro il capitale e lo Stato e solidarizzo con il popolo oppresso palestinese e con la lotta di liberazione rivoluzionaria contro il colonialismo occidentale! È per tutti questi motivi che questo processo e qualsiasi Stato non mi rappresentano, viste le continue stragi e genocidi della classe degli oppressi di cui io faccio parte, e le continue falsificazioni e manipolazioni di cui lo Stato è responsabile. Oggi, in modo assoluto rifiuto questa farsa statale, rifiuto questo tribunale e qualsiasi verdetto, sia esso di colpevolezza che di innocenza. Oggi dichiaro che per me questo processo è finito e non vedrete più la mia immagine. Viva l’anarchia! Juan Sorroche 02/10/2025 -AS2, c.c.Terni –
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