Qui il pdf: Angiolillo
Michele Angiolillo. Anarchico, internazionalista, giustiziere
L’8 agosto 1896, nella stazione termale basca di Santa Águeda, il primo ministro
spagnolo Antonio Cánovas del Castillo viene ucciso con un colpo di pistola. A
sparare è Michele Angiolillo, un anarchico foggiano di venticinque anni. Durante
la sua arringa difensiva, il giovane anarchico dichiarerà di aver ucciso Cánovas
in quanto personificazione di «ciò che hanno di più ripugnante la ferocia
religiosa, la crudeltà militare, l’implacabilità della magistratura, la tirannia
del potere e la cupidigia delle classi possidenti. Io ne ho sbarazzato la
Spagna, l’Europa, il mondo intero. Ecco perché io non sono un assassino, ma un
giustiziere!». Il suo riferimento al «mondo intero» non è un’iperbole retorica.
Negli stessi anni in cui il primo ministro spagnolo dispiega una feroce
repressione interna, culminata nella proclamazione della legge marziale a
Barcellona e nelle torture inflitte a centinaia di prigionieri nell’infame
fortezza di Montjuïc, i suoi governatori coloniali e i suoi generali rispondono
con la strage e con i campi di concentramento (i primi della storia)
all’insurrezione cubana e alla sollevazione nelle Filippine. Non a caso il libro
che Angiolillo porta con sé, quando parte da Londra con il proposito di
giustiziare Cánovas, è Les Inquisiteurs d’Espagne, de Cuba e des Filippines,
scritto dall’anarchico creolo cubano Fernando Tarrida del Mármol, anch’egli
detenuto a Montjuïc. Nella sua arringa Angiolillo parla esplicitamente, oltre
che di Montjuïc, della violenza coloniale a Cuba e nelle Filippine.
Sotto il tallone di Crispi
Michele Angiolillo era nato a Foggia il 5 giugno 1871 (subito dopo la sanguinosa
repressione della Comune di Parigi). Durante gli anni di studio presso un
istituto tecnico, diventa un militante repubblicano radicale. Esce
dall’esperienza della coscrizione militare con convinzioni anarchiche. In
occasione delle elezioni del 1895, pubblica un manifesto contro le «leggi
scellerate» promulgate dal primo ministro Crispi. Il Cánovas italiano, subito
dopo avare represso nel sangue il moto dei Fasci siciliani e l’insurrezione
scoppiata in Lunigiana in solidarietà con i contadini della Sicilia, si prepara
all’aggressione imperialista in Abissinia – conclusasi con la disastrosa
sconfitta di Adua –, di cui la legislazione d’emergenza è il riflesso sul fronte
interno. Per il suo manifesto Angiolillo viene arrestato con l’accusa di
«incitazione all’odio di classe». Rilasciato in attesa del processo, il giovane
compagno spedisce una lettera al ministro della Giustizia in cui attacca il
pubblico ministero, cosa che gli procura una condanna a diciotto mesi di carcere
e tre anni di confino. A quel punto Angiolillo parte sotto falso nome e
raggiunge Barcellona passando per Marsiglia. Nel capoluogo catalano impara il
mestiere di tipografo e partecipa attivamente alle attività del movimento
anarchico, all’epoca vero e proprio crocevia cosmopolita. Collabora, tra le
altre cose, a «La Ciencia Social» insieme a Tarrida e Ramón Sempau (lo scrittore
e poeta bohémien, nonché simpatizzante anarchico, che cercherà di giustiziare il
luogotenente Portas, responsabile delle torture a Montjuïc). Dopo l’attentato al
Corpus Domini – di cui diremo in seguito –, Angiolillo scampa alla retata
organizzata da Cánovas contro centinaia di sovversivi – tra cui Cayetano Oller,
compagno dell’anarchico foggiano – e ripara a Marsiglia. Qui viene arrestato per
dei documenti falsi e, dopo un mese di carcere, viene espulso in Belgio. Quando
la campagna internazionale lanciata da Tarrida contro Cánovas è al suo apice,
Angiolillo si trasferisce a Londra, dove ritrova Oller – sottoposto a terribili
torture a Montjuïc, rilasciato per mancanza di prove ed espulso dal suo stesso
Paese –, e dove partecipa all’imponente manifestazione organizzata dal Commitee
on Spanish Atrocities, comitato promosso anche da Tarrida, il quale
nell’occasione parla per la delegazione dei rivoluzionari cubani. Durante la
manifestazione prende la parola anche l’anarchico francese Charles Malato, che
nel suo intervento invoca vendetta per le vittime di Cánovas, tra cui cita lo
scrittore filippino José Rizal, assassinato nella colonia spagnola; ma
soprattutto salgono sul palco alcuni dei torturati di Montjuïc, i quali mostrano
in pubblico i loro corpi mutilati. Qualche tempo dopo, l’anarchico foggiano
incontra personalmente Francisco Gana, che portava i segni indelebili delle
sevizie subite dagli aguzzini spagnoli. Così descrive la scena, nella sua
autobiografia (Nella tormenta), l’anarchico tedesco Rudolf Rocker:
Quella notte, quando Gana mostrò le sue membra mutilate e le cicatrici che le
torture avevano lasciato su tutto il suo corpo, capimmo che leggere di tali
questioni è una cosa, ma sentirne parlare dalle labbra di chi le ha subite è
un’altra. […] Eravamo tutti seduti immobili, pietrificati, e trascorsero diversi
minuti prima che fossimo in grado di proferire qualche parola di indignazione.
Solo Angiolillo rimase in silenzio e, poco dopo, si alzò pronunciando un
laconico saluto per poi lasciare l’abitazione. […] Questa fu l’ultima volta che
lo vidi.
L’ultima volta che lo vide il mondo, fu il 20 agosto 1986, il giorno in cui il
giovane anarchico fu garrotato. Non prima di aver urlato al mondo «Germinal!».
Dalle segrete di Montjuïc
Il 7 giugno 1896, a Barcellona, una bomba esplode durante la processione del
Corpus Domini, causando tre morti sul colpo e decine di feriti (nove dei quali
moriranno in seguito). Benché non si possa escludere che sia stata un’azione
indiscriminata – alla Oberdan, per intenderci – contro l’odiatissima Chiesa
spagnola, alleata della monarchia, stampella dei latifondisti e architrave
dell’amministrazione coloniale, i sospetti di una provocazione poliziesca
perdurano tutt’oggi. Come che sia, Cánovas decreta la legge marziale a
Barcellona e fa arrestare più di trecento persone. Meno noto è che la fortezza
di Montjuïc diventa – a dispetto dei nuovi inquisitori – un luogo di incontro
tra anarchici di vari Paesi, rivoluzionari cubani e deportati filippini. Un
esempio emblematico di tale crogiuolo è la condivisione della stessa cella da
parte di Ramón Sempau – incarcerato per aver cercato di giustiziare il
torturatore Portas – e di Isabelo de los Reyes, già autore del pionieristico El
Folk-lore Filipino. Tornato poi a Manila, Isabelo, che aveva conosciuto anche
Malatesta, vi porta le prime pubblicazioni anarchiche apparse nelle Filippine, e
metterà in campo quello che dice di aver imparato dagli anarchici
nell’organizzazione degli scioperi e nella creazione delle prime Unioni Operaie.
Quanto a Sempau – esempio di intreccio tra mondo artistico radicale, ideali
libertari e propaganda del fatto – sfuggirà alla corte marziale e alla condanna
a morte grazie alla campagna internazionale sugli orrori di Montjuïc.
Tornanti
La condanna a morte di Francisco Ferrer nel 1909, così come il movimento
internazionale per impedirla, prolunga questa storia. Non solo perché
l’esecuzione avvenne, il 13 ottobre, proprio nella fortezza di Montjuïc. Ma
soprattutto perché l’accusa contro Ferrer era quella di aver fomentano la
«Settimana tragica», la rivolta proletaria e anarchica per impedire l’invio di
coscritti chiamati a sedare l’insurrezione in Marocco. In molte città europee le
manifestazioni per Ferrer daranno vita a scontri con la polizia. A Torino, dopo
la proclamazione dello sciopero generale, le dimostrazioni assumeranno un
carattere quasi insurrezionale nei quartieri di Barriera di Milano e di Borgo
San Paolo.
Per via del ruolo giocato dai repubblicani e dai democratici nella campagna per
Ferrer, quest’ultimo è ricordato come un martire del libero pensiero, come un
precursore dell’educazione laica contro l’oscurantismo religioso. Ferrer fu
anche questo, certo, ma fu soprattutto un combattente sociale, redattore tra
l’altro de «La Huelga general», i cui proclami erano inequivocabili: Viva la
Revolución, Viva la dinamita!.
In un’epoca in cui soffiano di nuovo i venti di guerra e sull’altra sponda del
Mediterraneo il suprematismo occidentale sta consumando un genocidio; in un
presente nel quale si moltiplicano attraverso i continenti le odierne «leggi
scellerate» contro il dissenso interno, ricordare il gesto di Angiolillo e il
suo «Germinal!» significa riattualizzare quell’internazionalismo che è parte
integrante della nostra storia. Non siamo piume al vento.
(Gli elementi storici alla base di questo testo sono tratti soprattutto dal
prezioso Anarchismo e immaginario coloniale, scritto da Benedict Anderson nel
2005 e pubblicato quest’anno da elèuthera)
Tag - Stato di emergenza
Riceviamo e diffondiamo:
inutile Memoir, lontano dalle polemiche
all those beautiful boys/ kings and queens/ and criminal queers/ all those
beautiful boys/ tattoos of ships and tattoos of tears
If you saw the younger you, what would you say to ‘em?
A chi ha occhi per guardarsi intorno sarà evidente, ancora una volta, la
marginalità del dibattito in auge nell’ambiente anarchico, resa più grave,
stavolta, dall’urgenza della contemporaneità: l’unica cosa che conta è Gaza,
temo, e la noiosa ironia così come la rivoltante acrimonia che animano le parti
in causa si capiscono meglio in quanto frutto di una frustrazione alimentata
innanzitutto proprio dalla marginalità. Ma dato che anch’io all’ultimo atto di
un genocidio secolare oppongo evidentemente ben poco oltre alla frustrazione,
dato che gli ambienti li capisco sempre meno, e dato che il dibattito in
questione per più motivi (ora non interessa quali) mi riguarda, partecipo
individualmente alla gara di osservarsi l’ombelico e parto dal mio, facendo
aneddotica, e condividendo stadi successivi di rielaborazione di un’esperienza
personale maturata in germania una ventina di anni fa. Mi si perdoni quindi la
narrazione interna, la favoletta senza morale, lo stile eccentrico e l’argomento
collaterale.
All’epoca la queerness invadeva le strade della città che percepiva ancora se
stessa, nonostante i fasti del ventennio precedente fossero già tramontati, come
una delle capitali della conflittualità europea, in virtù appunto di una storia
di riappropriazione degli spazi che era proprio ciò che mi aveva portato lì
(Meinzer strasse, Kubat dreieck, i wagenplaetze…) con un habitus turistico che è
adesso molto facile criticare, e che non costituisce però il tema centrale del
racconto. La Humboldt Universitaet offriva da qualche anno un corso di laurea in
gender studies, nelle Hausproject si leggevano Solanas, Preciado e Butler, il
femminismo della terza ondata imponeva un’agenda trans, lesbica e separatista a
tutti gli ambiti che si professassero Autonomen, portando inevitabilmente al
confronto su questi temi anche i vari settori punk e insurrezionali, per non
parlare di Antifa e Antideutsch. Le etichette, mi sembrava, funzionavano bene in
germania, mentre si adattavano molto peggio alle persone che frequentavo in
italia, dove era più diffusa la capacità, e la possibilità, di muoversi da un
ambiente all’altro senza per forza professarsene adepti. Comunque le queer demo
portavano in piazza a Berlino migliaia di persone che si identificavano
nell’opposizione alla normatività capitalista e neoliberista, nel rifiuto
dell’esistente e in un’utopia rivoluzionaria ancorché confusa e confusionaria
(jedenfalls); e io ho partecipato, per poco meno di un anno, con un certo
entusiasmo al movimento berlinese per quello che era, per ciò che vi trovavo,
sforzandomi di prescindere da ciò che mi sarei aspettato di trovarvi. Durante
una delle suddette affollate manifestazioni, l’amica ben inserita che mi faceva
da Pigmalione mi spiegò: “vedi come sono tranquilli gli sbirri? sono felici che
tutte le occupanti di case, le anarchiche che facevano gli scontri, le violente
rivoluzionarie siano sparite dalla piazza, e che la piazza sia ormai piena di
queers. Quello che non capiscono è che questi queers sono esattamente le stesse
occupanti, anarchiche e rivoluzionarie di prima”; il che non era vero, ma
esprimeva un’ambizione. L’affermazione peraltro strideva con la violenta
repressione nelle strade ad opera della polizia, che osservavo quasi
quotidianamente, in coincidenza con l’esplosione della Gentrifizierung in
Friedrichshain e una serie impressionante di sgomberi di spazi definibili a
vario titolo “liberi”. Purtroppo il criminal queering espresso nelle strade di
Berlino nel 2006 e cantato da Anohny nell’esergo non aveva di per sé molto a che
fare con l’autodifesa di un corteo, o di uno spazio occupato, o con i mezzi che
attuano le rivoluzioni, cosa in parte confermata dal fatto che la mia amica
avrebbe poi fatto carriera accademica, con belle pubblicazioni presso Seuil e il
romantico rimpianto di non essere riuscita ad abbattere il capitalismo. Ora
immagino che questo possa sdegnare molte di voi: io invece non me ne stupisco,
non ci vedo un tradimento, e per questo ritengo di non avervi fatto la morale;
anzi, se state ancora leggendo, se mi concederete il margine d’errore che io ho
lasciato alla mia sodale berlinese, vorrei calare queste riflessioni e questa
attitudine nel momento presente (se non vorrete farlo, beh siete delle persone
orribili! perché discutere allora).
È chiaro come il sole che nemmeno il “movimento anarchico” (?) è mai stato
esente da dinamiche autoritarie, prevaricazioni, violenze di ogni tipo e quindi
sì, ci sono, vorrei dire ci sono ancora, omofobia, transfobia, machismo tra le
altre cose brutte; è anche chiaro che, a distanza di un decennio almeno
dall’arrivo di istanze fortemente critiche e accusatorie rivolte all’interno del
movimento stesso riguardo questi temi, le reazioni sono state spesso assenti o
inadeguate, quando non del tutto scomposte e ostili, e che questo rende
difficile o impossibile ad alcun* anche solo frequentare certi ambienti. Urge
quindi una presa in carico del problema, che ad ogni modo non si risolverà
facilmente e certo non nello spazio di una generazione.
Dovrebbe essere però altrettanto chiaro che l’agire di molta di questa parte
critica e accusatoria si è finora rivolto all’interno del movimento con una
ferocia e una volontà di nuocere, nelle parole e nei fatti, che la stessa parte
non riesce fuor di retorica a indirizzare all’esterno (siamo ancora in attesa di
“bruciare tutto” dopo l’ennesimo stupro: e invece parrebbe che si voglia dar
fuoco a un’occupazione “sessista” prima, più volentieri e piuttosto che a una
questura), e che le modalità adottate in troppi frangenti hanno portato
all’inazione o ancor peggio al sabotaggio di iniziative urgenti, in una logica
del divide et impera in cui chi imperat, indovina un po’, è il nemico.
Ed ecco che infine si pone la questione dirimente, con la quale alla buona ora
chiudo queste deboli pagine: siamo, sono, siete, sei ancora in grado di
riconoscere il nemico? Al di là delle astrazioni concettuali e, ovviamente, del
gioco delle parti e delle egemonie; altrimenti, non resta che augurarsi anche
qui una gazificazione diffusa come cura dell’intellettualismo e bagno di realtà
storicizzata.
We are smarter than they think we are
They take us all for idiots, but that’s their problem
When we behave like idiots, it becomes our problem
Con affetto, amarezza e ancora auspici.
V
Riceviamo e diffondiamo questo opuscolo, che raccoglie gli scritti in
solidarietà a imputati e imputate per il corteo dell’11 febbraio 2023 a Milano
in solidarietà ad Alfredo Cospito e contro 41-bis ed ergastolo ostativo. Il
primo grado di questo processo si è concluso con pesanti condanne contro 10
compagni e compagne, a cui mandiamo tutta la nostra solidarietà.
Qui l’opuscolo: prova opuscolo 2
In questi giorni, a diverse compagne e compagni imputati è stata notificata
l’udienza preliminare del processo per l’Operazione “Diana”, che coinvolge in
tutto 12 persone. L’udienza è fissata presso il tribunale di Trento alle ore 9.
Seguiranno aggiornamenti.
Per saperne di più:
https://ilrovescio.info/2023/08/04/ennesima-inchiesta-per-270-bis-in-trentino-richieste-e-non-concesse-12-misure-cautelari/
https://ilrovescio.info/2023/09/17/trento-rigettate-ancora-le-misure-richieste-per-linchiesta-diana/
https://ilrovescio.info/2025/06/28/sulloperazione-diana-contro-lanarchismo-in-trentino-cose-utili-da-sapere/
Mentre anche in Israele si svolgono le prime manifestazioni esplicitamente
contro il genocidio del popolo palestinese (Standing Together), e i riservisti
israeliani che non rispondono alla chiamata per andare ad uccidere i gazawi
stanno diventando decine di migliaia, arriva questa importante dichiarazione da
parte del Congresso ebraico antisionista, riunitosi a Vienna dal 13 al 15 giugno
scorsi. La forza di questa dichiarazione non sta per noi nei riferimenti al
Diritto internazionale e negli appelli all’ONU e agli Stati, ma nell’individuare
le cause del genocidio in corso nel progetto coloniale sionista in quanto tale;
nello schierarsi in modo netto con la resistenza palestinese («Affermiamo il
diritto delle persone che vivono sotto occupazione a difendersi con ogni mezzo»)
e con il movimento BDS; nel rivendicare per la Palestina la prospettiva della
decolonizzazione e della «de-sionizzazione»; nel ribadire a chiare lettere che
l’«affermazione secondo cui gli ebrei sostengono intrinsecamente il sionismo e
l’abominevole Stato sionista è autentico antisemitismo».
DICHIARAZIONE DEL CONGRESSO EBRAICO ANTISIONISTICO
Oltre 1.000 ebrei e non ebrei antisionisti si sono riuniti a Vienna per tre
giorni di conferenze e workshop nell’ambito del Congresso sull’antisionismo
ebraico. Sebbene si sia trattato del primo evento del suo genere in Europa, sono
già in corso i preparativi per un secondo congresso nel 2026.
Noi, relatori e organizzatori del congresso, pubblichiamo questo appello
pubblico, che riflette le posizioni comuni raggiunte nel corso dei tre giorni di
deliberazioni.
Come ebrei antisionisti e alleati, ci schieriamo al fianco di tutti i
palestinesi – in Palestina e in esilio – contro il sionismo e i suoi crimini,
tra cui genocidio, apartheid, pulizia etnica e occupazione. Affermiamo il
diritto delle persone che vivono sotto occupazione a difendersi con ogni mezzo,
come riconosciuto da molteplici disposizioni delle Nazioni Unite. È fondamentale
che gli ebrei di coscienza, ovunque nel mondo, si uniscano per opporsi al
sionismo in comune e in solidarietà con il movimento globale per la liberazione
della Palestina. Ci impegniamo a espandere il nostro movimento oltre le sue
radici europee per includere le voci antisioniste di tutto il mondo, incluso il
Sud del mondo.
Condanniamo senza riserve tutti i crimini di guerra commessi da Israele dal 7
ottobre 2023, tra cui la pulizia etnica, l’apartheid militarizzato, l’urbicidio,
lo scolasticidio, il medicidio, la carestia di massa come mezzo per sfollare
forzatamente oltre due milioni di abitanti di Gaza e un genocidio in corso che
coinvolge centinaia di migliaia di persone, uno dei peggiori crimini di guerra
del nostro tempo. Questi atti sono già stati riconosciuti come tali dalla CPI e
dalla Corte Internazionale di Giustizia, sebbene lo Stato di Israele abbia
respinto categoricamente le richieste di entrambe le corti. Ha inoltre respinto
numerose richieste sia dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che del
Consiglio di Sicurezza. Di conseguenza, circa due milioni di civili sono
attualmente confinati in una piccola area della Striscia di Gaza senza accesso a
cibo, acqua, medicine, riparo o assistenza medica. Questi nuovi crimini sono
solo gli ultimi di una storia infinita di reati simili che risale al
1948. Nonostante le ripetute violazioni delle risoluzioni dell’Assemblea
Generale e del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e gli estesi rapporti
dei Relatori Speciali delle Nazioni Unite, non sono mai state imposte sanzioni a
Israele.
Nessuno di questi crimini di guerra e crimini contro l’umanità avrebbe potuto
essere compiuto o sostenuto senza il sostegno attivo ed entusiastico delle
potenze occidentali – attraverso aiuti militari, supporto finanziario e
copertura politica e diplomatica – guidate da Stati Uniti, Unione Europea, Regno
Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda. Sostenendo e armando uno Stato
criminale che commette genocidio, questi governi hanno la responsabilità legale
e morale ai sensi della Convenzione sul Genocidio del 1948. Invitiamo tutti gli
Stati e le società a rispettare i propri obblighi ai sensi della Convenzione per
la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio e ad adottare tutte le
misure necessarie per porre fine al genocidio in corso a Gaza.
Le sanzioni devono includere anche la sospensione di Israele dall’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite, come accadde al Sudafrica nel 1974 per le sue
politiche di apartheid. I crimini di Israele sono chiaramente ancora più
orribili. Sebbene l’ONU abbia schierato truppe internazionali per decenni per
separare le parti in conflitto tra Israele ed Egitto e Israele e Libano, non ha
mai istituito una forza di protezione per proteggere la vita dei palestinesi
dall’oppressione sistematica e dal terrore perpetrati dallo Stato israeliano.
Siamo d’accordo che sia giunto il momento di adottare una simile misura
umanitaria. Senza di essa, Israele continuerà a commettere omicidi di massa
contro i palestinesi.
Chiediamo inoltre che l’Unione Europea segua le proprie leggi e
rispetti l’articolo 2 dell’accordo di associazione UE-Israele , che le impone di
cessare i rapporti commerciali con Israele e di porre fine al suo status di
associazione nei programmi finanziati dall’UE.
Invitiamo tutte le società, le associazioni e le organizzazioni internazionali a
espellere Israele dalle proprie fila finché non rispetterà tutte le risoluzioni
delle Nazioni Unite e dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, non porrà
fine al genocidio in corso a Gaza e non ritirerà le sue forze armate da tutti i
territori conquistati con la forza nel 1948 e nel 1967, nonché da tutti i
territori siriani e libanesi occupati dal 1967. Israele deve ritirare
immediatamente e completamente le sue forze armate dalla Striscia di Gaza,
revocare il blocco in vigore dal 2006 e garantire a tutte le organizzazioni
umanitarie accesso illimitato per operare liberamente.
Invitiamo tutti gli stati, le istituzioni e le organizzazioni della società
civile a implementare e sostenere le richieste del Comitato Nazionale
Palestinese per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS). Ciò
include la cessazione di tutti i legami finanziari, accademici, militari,
culturali e diplomatici con lo stato genocida fino a quando non soddisferà le
condizioni di cui sopra e garantirà il diritto dei rifugiati palestinesi a
tornare alle loro case e proprietà, in conformità con la Risoluzione ONU 194.
Invitiamo inoltre le Nazioni Unite a imporre sanzioni immediate e globali in
risposta agli attacchi immotivati e illegali di Israele contro Teheran e altre
città iraniane, nonché alle sue uccisioni di massa di civili. Queste sanzioni
devono essere estese anche ai governi occidentali che incoraggiano e favoriscono
i crimini internazionali in corso di Israele attraverso il sostegno militare e
politico. Le armi nucleari illegali di Israele devono essere smantellate
attraverso un processo trasparente supervisionato dall’Agenzia Internazionale
per l’Energia Atomica.
Rifiutiamo categoricamente l’affermazione che Israele agisca per conto degli
ebrei o che le sue attività criminali siano sostenute da tutti gli ebrei.
Invitiamo gli ebrei di tutto il mondo a opporsi allo Stato sionista, a negarne
la legittimità e a chiedere la cessazione immediata delle sue azioni criminali e
riprovevoli. Ciò include il sostegno alla campagna BDS e la recisione dei legami
culturali, politici e istituzionali con Israele finché non soddisferà le
condizioni di cui sopra. Israele e il sionismo agiscono illegalmente e
immoralmente, pur insistendo di farlo per conto degli ebrei, mettendo così in
pericolo tutti gli ebrei ovunque. Questa affermazione secondo cui gli ebrei
sostengono intrinsecamente il sionismo e l’abominevole Stato sionista è
autentico antisemitismo.
Rendiamo omaggio a tutti gli oppositori israeliani del sionismo e invitiamo gli
ebrei israeliani a riconsiderare la loro lealtà a un regime che ha negato i
diritti dei palestinesi per oltre otto decenni. Onorando l’eredità storica degli
ebrei e i principi dell’ebraismo stesso, invitiamo tutti gli ebrei di coscienza
ovunque a schierarsi fianco a fianco con i palestinesi contro l’ideologia
razzista del sionismo e la sua intrinseca supremazia. Invece, ovunque ci
troviamo, lavoreremo con il movimento globale per la decolonizzazione e la
liberazione della Palestina. Restiamo uniti e facciamo tutto ciò che è in nostro
potere per creare un futuro di uguaglianza, giustizia e dignità per tutto il
popolo palestinese, una terra dove la vita condivisa e il rispetto reciproco
possano rifiorire. Decolonizzazione e de-sionizzazione.
Libertà per la Palestina e il suo popolo.
Firmato,
(le Firme sono leggibili nel Link)
Bitte teilen:
https://www.juedisch-antizionistisch.at/deklaration
Rammaricandoci di non aver seguito per tempo questa vicenda, apprendiamo che
Maja (una delle persone coinvolte nella vicenda degli “antifascisti di
Budapest”) ha terminato lo sciopero della fame. Di seguito le righe di chi ci ha
inviato la traduzione di questi comunicati, utili a contestualizzare la vicenda,
quindi il comunicato di Maja sul suo sciopero e quello sulla sospensione dello
sciopero stesso. Solidarietà a Maja!
“Questa dichiarazione è stata pubblicata il 19 giugno su
https://de.indymedia.org/node/516278
ma era stata scritta evidentemente il 4 giugno, il giorno prima che Maja
entrasse in sciopero della fame. Al momento Maja si trova in un ospedale
carcerario a 2 chilometri e mezzo da Budapest e sta iniziando a stare molto
male. Hanno detto a Maja che per curarl* dovrebbe andare in un ospedale civile,
ma in quel caso verrebbe legat* al letto 24 ore su 24 e Maja si è rifiutat*. !
Dichiarazione di Maja in sciopero della fame
Mi chiamo Maja. Quasi un anno fa sono stat* estradat* illegalmente in Ungheria.
Da allora, sono trattenut* qui in un isolamento disumano e prolungato. Ieri, 4
giugno 2025, si sarebbe dovuta prendere una decisione sulla mia richiesta di
trasferimento agli arresti domiciliari. Questa decisione è stata rinviata. Le
precedenti richieste di trasferimento agli arresti domiciliari sono state
respinte. Non sono più dispost* a sopportare questa situazione intollerabile e
ad attendere le decisioni di una magistratura che ha sistematicamente violato i
miei diritti negli ultimi mesi. Pertanto, oggi, 5 giugno 2025, inizio uno
sciopero della fame. Chiedo di essere estradat* di nuovo in Germania, che mi sia
consentito di tornare dalla mia famiglia e di partecipare ai procedimenti in
Ungheria da casa.
Non posso più tollerare le condizioni di detenzione in Ungheria. La mia cella è
stata videosorvegliata 24 ore su 24 per oltre tre mesi. Per oltre sette mesi, ho
dovuto indossare le manette sempre fuori dalla mia cella, e a volte anche
dentro, mentre facevo la spesa, facevo chiamate Skype o durante le visite. Gli
agenti effettuano ispezioni visive della mia cella ogni ora, anche di notte, e
lasciano sempre le luci accese. Devo sottopormi a perquisizioni intime, durante
le quali devo spogliarmi completamente. Le visite si svolgevano in stanze
separate, dove er* separat* dai miei familiari, avvocati e rappresentanti
ufficiali da un tramezzo. Durante le ispezioni, gli agenti lasciavano la mia
cella nel caos più totale. Le condizioni strutturali mi impediscono di vedere la
luce del giorno a sufficienza. Il piccolo cortile è di cemento e coperto da una
grata. La temperatura dell’acqua della doccia non può essere regolata. La mia
cella è permanentemente infestata da cimici e scarafaggi. Non c’è un’adeguata
fornitura di cibo fresco ed equilibrato.
Sono anche in isolamento a lungo termine. Per quasi sei mesi non ho avuto
contatti con altri detenuti. Ad oggi, vedo o sento altre persone per meno di
un’ora al giorno. Questa privazione permanente del contatto umano è intesa a
causare deliberatamente danni psicologici e fisici. Ecco perché le Regole
Penitenziarie Europee del Consiglio d’Europa stabiliscono “almeno due ore di
contatto umano significativo al giorno”. Ecco perché l'”isolamento prolungato”,
ovvero l’isolamento di un detenuto per almeno 22 ore al giorno per più di 15
giorni, è considerato trattamento disumano o tortura ai sensi delle Regole
Nelson Mandela delle Nazioni Unite. Qui in Ungheria, sono sepolt* viv* in una
cella di prigione e questa custodia cautelare può durare fino a tre anni in
Ungheria. Per questi motivi, non avrei mai dovuto essere estradat* in Ungheria.
La Corte d’Appello di Berlino e la commissione speciale “Linx” dell’Ufficio di
Polizia Criminale dello Stato della Sassonia hanno pianificato e perseguito
l’estradizione, aggirando deliberatamente i miei avvocati e la Corte
Costituzionale Federale. Il 28 giugno 2024, poche ore dopo la mia estradizione
lampo, la Corte Costituzionale Federale ha stabilito che non potevo essere
estradat* per il momento. Il 6 febbraio 2025, la Corte Suprema ha stabilito che
la mia estradizione era illegale. Da allora, nessuno dei responsabili è stato
ritenuto responsabile. Finora non ho ricevuto alcun risarcimento. Con il mio
sciopero della fame, desidero anche richiamare l’attenzione sul fatto che
nessuna persona dovrebbe essere estradata in Ungheria. Zaid di Norimberga, che è
seriamente minacciato di estradizione in Ungheria, ha attualmente bisogno di
questa attenzione. Dichiaro la mia solidarietà a tutti gli antifascisti
processati nel processo di Budapest.
Maja termina lo sciopero della fame
Oggi, 14 luglio 2025, Maja ha terminato il suo sciopero della fame dopo 40
giorni. Maja è gravemente indebolit*. La sua frequenza cardiaca è scesa a 30 a
tratti. Si sono considerati possibili svenimenti e persino arresti cardiaci, e
si temevano danni irreversibili agli organi.
Fino all’ultimo, le autorità ungheresi hanno ignorato la richiesta di Maja di
tornare a casa. Anche il trasferimento agli arresti domiciliari è stato
respinto. Persino nell’ospedale del carcere, Maja è rimast* in completo
isolamento 24 ore su 24.
Il padre di Maja, Wolfram Jarosch, afferma: “La Corte Costituzionale Federale ha
stabilito che l’estradizione viola il diritto fondamentale sancito dall’articolo
4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (divieto di tortura).
Questa violazione dei diritti fondamentali dura da oltre un anno. Da allora, mi*
figli* è stata torturat* psicologicamente attraverso l’isolamento. In Ungheria
non esiste un giusto processo, ma piuttosto una sorta di processo farsa. Francia
e Italia non hanno estradato verso l’Ungheria. Georgia Meloni si è personalmente
spesa per Ilaria Salis in un caso simile. Il signor Wadephul afferma di voler
finalmente difendere anche Maja. Ora attendiamo i risultati. Lo stato di diritto
deve essere ripristinato; Maja deve tornare in Germania!”
Dopo quasi sei settimane di digiuno, Maja deve ricominciare a mangiare
lentamente e con attenzione per evitare i sintomi potenzialmente letali della
sindrome da rialimentazione.
Come Comitato di Solidarietà, famiglia di Maja e sostenitori, siamo orgogliosi
di Maja. Con incredibile forza, spirito combattivo e determinazione, nonostante
fosse tenut* in isolamento in un paese straniero, Maja ha perseverato e attirato
l’attenzione sia a livello nazionale che europeo.
La lotta per la giustizia continuerà. Non abbandoneremo Maja e non ci fermeremo
finché non sarà di nuovo con noi.
Maja e noi vorremmo esprimere la nostra sincera gratitudine a tutti coloro che
ci hanno sostenuto – emotivamente e moralmente, politicamente e concretamente.
Questa solidarietà in azione è ciò che ci dà forza.
Comitato di solidarietà per lo sciopero della fame di Maja
Ringraziando chi l’ha fatta, riceviamo e diffondiamo questa traduzione da
https://de.indymedia.org/node/520023
Se il Senato di Berlino avrà la meglio, la cosiddetta “Legge sulla Sicurezza e
l’Ordine” (ASOG) verrà presto inasprita. Oltre alla videosorveglianza permanente
degli spazi pubblici, sono previste ulteriori misure drastiche.
Gli incontri finali tra CDU e SPD sono previsti per questo fine settimana, in
modo che l’inasprimento dell’ASOG a Berlino possa essere deciso tempestivamente.
A quanto pare, i piani sono promossi dal senatore degli Interni Spranger,
esponente di destra della SPD.
Videosorveglianza negli spazi pubblici
Finora, alla polizia di Berlino era vietato monitorare costantemente gli spazi
pubblici con telecamere. Ora la situazione è destinata a cambiare. La nuova ASOG
(Associazione della Polizia di Berlino-Brandeburgo) consentirà l’installazione
di telecamere fisse ad alta tecnologia – inizialmente nelle cosiddette “aree a
forte criminalità” come Kotti, Görlitzer Park, Alexanderplatz o Leopoldplatz –
per filmare chiunque 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Inoltre, le telecamere saranno
collegate all’intelligenza artificiale, che rileverà in tempo reale i cosiddetti
“comportamenti devianti” e li segnalerà alle autorità di polizia competenti. Non
è noto se e per quanto tempo i dati saranno archiviati.
I luoghi di Berlino che in futuro saranno soggetti a videosorveglianza 24 ore su
24 includono non solo incroci importanti come Kottbusser Tor e Alexanderplatz,
frequentati ogni giorno da decine di migliaia di persone, ma anche aree
ricreative e ricreative come Görlitzer Park, dove, secondo la volontà del
Senato, potremo prendere il sole, leggere un libro o rilassarci con gli amici
sotto l’occhio indiscreto delle telecamere.
Luoghi come Kotti, Alex, Leo o Görli sono anche importanti sedi di
organizzazione politica e proteste. Già oggi, ad esempio, manifestazioni o
raduni politici non possono essere semplicemente ripresi dalla polizia. Come si
evolverà la situazione in futuro con le proteste politiche in luoghi
videosorvegliati in modo permanente non è del tutto chiaro.
Secondo il Senato, finora non è previsto alcun riconoscimento facciale.
Tuttavia, possiamo supporre che, con le moderne telecamere ad alta tecnologia e
l’intelligenza artificiale appropriata a supporto, un sistema del genere sarebbe
facilmente implementabile e probabilmente lo sarà nel prossimo futuro. Non a
caso le autorità repressive hanno già sperimentato ampiamente il riconoscimento
facciale automatico negli spazi pubblici, ad esempio alla stazione di Südkreuz.
L’intera vicenda è, ovviamente, un classico progetto da Grande Fratello. Mentre
la disuguaglianza sociale, la povertà e la mancanza di una casa aumentano e
sempre più persone sono costrette a vivere in condizioni estremamente precarie,
lo Stato sta intensificando il controllo e la sorveglianza su larga scala.
Ulteriori insidie nel previsto inasprimento dell’ASOG (Associazione per la
Sicurezza Pubblica e la Sicurezza)
Oltre alla videosorveglianza 24 ore su 24, 7 giorni su 7, degli spazi pubblici,
il previsto inasprimento dell’ASOG (Associazione per la Sicurezza Pubblica e la
Sicurezza) contiene ulteriori insidie:
– La cosiddetta sorveglianza delle comunicazioni alla fonte, ovvero l’infezione
da parte dello Stato, ad esempio, dei telefoni cellulari tramite spyware,
diventerà uno strumento abituale delle forze dell’ordine
– Il periodo di archiviazione per la videosorveglianza sui mezzi pubblici verrà
raddoppiato da 48 a 96 ore
Nel complesso, il previsto inasprimento dell’ASOG (Associazione per la Salute
Pubblica e i Servizi Sociali) è una classica restrizione delle libertà
individuali e collettive da parte di uno Stato sempre più autoritario, incarnato
qui dal reazionario Senato di Berlino.
Lo troviamo disgustoso, ovviamente. Vogliamo ancora, e ora più che mai,
giustizia sociale invece della sorveglianza, riduzione della povertà invece di
esclusione e controllo, alloggio, assistenza sanitaria e una vita dignitosa per
tutti!
Riceviamo e diffondiamo:
Mercoledì 6 luglio si è tenuta la più recente udienza del processo ai tre
palestinesi.
Si è trattato di un udienza burrascosa, che ha visto lo scontro tra accusa e
difesa. La PM ha tentato di screditare il teste della difesa – un docente di
lingua araba dell’università Ca’ Foscari di Venezia – mentre la difesa ha
richiesto alla corte di rigettare l’acquisizione di nuovi documenti presentati
dall’accusa all’ultimo minuto. In questa udienza l’accusa ha rinunciato
all’audizione di un testimone che avrebbe dovuto relazionare in merito a
documenti redatti dai servizi segreti.
Le prossime udienze si terranno il 19 ed il 26 settembre. Nella prima data data
si dibatterà in merito all’ammissione dei nuovi documenti presentati
dall’accusa, tra cui una rogatoria internazionale verso gli Stati Uniti e
riguardante membri della resistenza palestinese e inoltre si concluderà
l’istruttoria.
Nella seconda data dovrebbero tenersi le arringhe dei difensori e le
dichiarazioni spontanee degli accusati.
Complici e solidali
Rilanciamo da
https://pungolorosso.com/2025/07/10/napoli-arresti-e-feriti-la-rabbia-dei-disoccupati-contro-il-click-day-truffa-del-comune/
Solidarietà!
Napoli: arresti e feriti. La rabbia dei disoccupati contro il click-day truffa
del Comune
Abbiamo ancora notizie provvisorie, ma le mettiamo immediatamente in rete in
solidarietà con il movimento dei disoccupati organizzati di Napoli, 7 Novembre e
Cantiere 167 Scampia.
Ciò che è accaduto e sta accadendo è gravissimo.
Oggi doveva essere, per accordi presi, il click-day in cui partiva il passaggio
finale per l’avviamento al lavoro di molte centinaia di disoccupati e
disoccupate che per anni e anni si sono battuti con grande tenacia e dignità, e
ancor più grandi sacrifici, per conquistare un posto di lavoro senza sottostare
al padrinaggio di varie camorre, politiche e comuni.
Ebbene il click-day si è rivelato una truffa perché il sistema era in crash.
Questa la scusa ufficiale. Dietro questa scusa, però, c’è un chiaro disegno
politico delle istituzioni, con in prima fila i fascisti di Fratelli d’Italia,
che hanno fatto di tutto per far fallire questo progetto: prima tentando di
inquinare le acque con la repressione, poi violando gli impegni presi e
azzerando i criteri di gestione del bando, ignorando le competenze acquisite in
questi anni dalle platee 7 novembre e 167 Scampia, le quali erano state
appositamente formate attraverso tirocini e stage presso cooperative
qualificate.
Lo schiavismo è la religione delle istituzioni. Se sei disoccupato, se sei una
disoccupata, devi bussare, pregare, inchinarti, strisciare alle porte di “chi
può”, giurare fedeltà, altrimenti non hai alcun diritto a dare da mangiare ai
tuoi. Senonché l’esperienza di questi anni ha dimostrato che con
l’organizzazione e la lotta i disoccupati napoletani sono stati capaci di far
valere le proprie necessità, di saper percorrere una via alternativa a quella
della umiliazione e della sottomissione, respingendo sia le minacce che le
lusinghe individuali.
E’ evidente, quindi, che ci troviamo di fronte ad un attacco politico diretto
non solo alla massa dei disoccupati e delle disoccupate, ma alla sua direzione
sindacale e politica, “rea” di avere rifiutato sempre ogni forma di
consociativismo e di avere sempre marcato la propria totale autonomia da
clientele e carrozzoni elettorali-istituzionali.
Inevitabile, perciò, che stamattina reagissero con rabbia a questo autentico
agguato dei poteri costituiti, centrali e locali. Una rabbia sacrosanta a cui
gli apparati istituzionali stanno rispondendo con la repressione violenta. Ad
ora sappiamo che la compagna Mimì Ercolano, una delle portavoce del movimento, è
stata arrestata, e che Giuseppe D’Alesio, coordinatore provinciale del SI Cobas,
è stato ferito e sta raggiungendo l’ospedale.
Aggiorneremo le notizie, man mano che ci arrivano, ma è evidente che deve
partire subito la più ampia solidarietà, nazionale e internazionale, verso
questo coraggioso, tenacissimo movimento di lotta, che in questi anni ha dato la
solidarietà concreta a tutte le lotte e a tutti i repressi, per imporre un passo
indietro alle istituzioni, la liberazione degli arrestati e il pieno rispetto
degli impegni assunti.
Non si tratta solo dei disoccupati napoletani del Movimento 7 novembre e del
Cantiere 167 Scampia! E’ un test sociale e politico: il governo della guerra e
del decreto “sicurezza” vuole inaugurare sulla pelle dei disoccupati in lotta la
sua guerra interna all’intera classe lavoratrice. Impediamogli di raggiungere
questo obiettivo!
Facciamo sentire dappertutto la nostra rabbia e la nostra solidarietà: chi tocca
uno, tocca tutti!
Riceviamo e diffondiamo. Di seguito all’aggiornamento un intervento dei Giovani
Palestinesi al corteo de L’Aquila dello scorso 25 giugno:
Il loro sangue ricadrà su di voi
Aggiornamenti di Luglio sul processo ad Anan, Alì e Mansour.
I prossimi 9 e 10 luglio si terranno al tribunale dell’Aquila due udienze
consecutive del processo ad Anan, Alì e Mansour, accusati di proselitismo e
finanziamento del terrorismo. Nel corso di queste udienze verranno ascoltati gli
unici tre testimoni accettati, su quarantasette presentati dalla difesa, e gli
imputati. Se le intenzioni dei giudici precedentemente erano quelle di chiudere
il processo entro l’estate fissando molte udienze a distanza ravvicinata, nei
fatti la corte non riuscirà a terminare l’istruttoria nei tempi prefissati e la
conclusione del processo è già rimandata a dopo l’estate.
Questo processo è sempre stato seguito da un pubblico solidale ed accompagnato
da un presidio all’esterno del palazzo di giustizia. In occasione delle tre
udienze consecutive del 25, 26 e 27 giugno scorso all’Aquila si sono tenute
iniziative informative e mercoledì 25 un corteo vitale ha attraversato le strade
della città. La presenza solidale è rinnovata per le prossime udienze.
Nelle scorse udienze sono stati ascoltati i testi dell’accusa (agenti e
dirigenti di DIGOS, Dipartimento Centrale della Polizia di Prevenzione e Guardia
di Finanza).
L’ enorme mole di dati presentata dagli inquirenti ci fa supporre che questi
vogliano sostituire con la quantità l’assenza di qualità, cioè di contenuti
significativi. Effettivamente non abbiamo avuto modo di capire su quali basi si
giustifichi tanto questo processo quanto la detenzione di una persona nel
carcere speciale di Terni da oltre un anno.
Il fatto che i tre simpatizzino per la resistenza palestinese in Cisgiordania,
loro terra d’origine, è ovvio. L’ulteriore fatto che uno di loro abbia fatto
parte della prima linea della resistenza è dichiarato con orgoglio da lui stesso
ed è ritenuto legittimo perfino dal diritto borghese.
Invece che i tre abbiano organizzato azioni in Italia è escluso e che abbiano
organizzato dall’Italia azioni in Cisgiordania che prendessero di mira
cosiddetti civili (cioè coloni) israeliani non è emerso dall’istruttoria, e
questi sarebbero stati gli elementi accusatori su i quali sembrava improntato
questo processo.
Al di fuori del codice penale, di cui ci interessa relativamente,a noi sembra
semplicemente disumano e abbietto perseguire delle persone perché sostengono il
proprio popolo mentre subisce l’apice di soprusi e violenze che perdurano
ininterrottamente dal 1948.
La mancanza di argomenti emersa dalle deposizioni dei dirigenti delle forze
dell’ordine ha spinto la PM a richiedere l’audizione di un ulteriore testimone,
cioè di Vincenzo di Peso dirigente della DCPP, questa testimonianza dovrebbe
avere come oggetto annotazioni pervenute al PM di recente dai servizi segreti.
Si tratta di una richiesta irrituale e che potrà essere discussa solo alla fine
dell’istruttoria. Questa richiesta ci conferma quella che ormai è più di
un’ipotesi, cioè che questo processo abbia preso origine da una catena di
comando che parte dai servizi segreti israeliani, passa per quelli italiani, per
la DCCP ed arriva alla Digos ed alla magistratura antimafia dell’Aquila.
Le tracce di questa direttrice emergono dal precedente rifiuto dello Stato
Italiano di estradare Anan in Israele, dal tentativo fallito di portare a
processo documenti prodotti dallo Shin Bet e che contenevano testimonianze
raccolte in centri di detenzione in cui si fa ricorso sistematico alla tortura,
dalla vaghezza degli inquirenti sull’origine delle fonti utilizzate.
Le relazioni dei servizi potrebbero essere quindi all’origine di questo
procedimento. Al loro utilizzo si oppone la difesa in quanto ritiene questi
elementi inammissibili per l’impossibilità di verificarne la fonte e
considerando che i servizi segreti non svolgono attività di polizia giudiziaria.
Capiremo a breve se la corte chiuderà il processo sul nulla probatorio o
l’accusa tenterà di condizionare la giuria popolare con qualche sorpresa
dell’ultimo minuto.
Il tentativo delle autorità israeliane di perseguire noti esponenti della
resistenza, quale è Anan Yaeesh che risiede e lavora in Italia da anni e gode di
protezione umanitaria, risponde a precisi principi: il popolo palestinese non
solo deve essere espulso dai territori controllati dagli israeliani, ma va
attaccato e cancellato nella sua stessa esistenza ovunque risieda. Questo perché
finché esiste la coscienza dell’esistenza del popolo palestinese – e la
resistenza la incarna a pieno – la persistenza dell’entità coloniale di Israele
è messa radicalmente in discussione.
Ne consegue che la persecuzione della resistenza, della sua memoria e dei suoi
simboli è parte integrante del programma di genocidio del popolo palestinese
attualmente in corso. Ne consegue ulteriormente che chi collabora con questo
programma è esso stesso responsabile del genocidio, lo sono quindi anche le
autorità italiane che, in questo come in altri ambiti, ubbidiscono agli ordini
dei sionisti. Questo processo ha scopo di disperdere e punire la diaspora
palestinese, mandare il messaggio intimidatorio che Israele la può perseguitare
in ogni dove e che può costantemente ribaltare la realtà accusando di terrorismo
chi ne è vittima.
Il sangue dei palestinesi ricadrà su chi sta compiendo, supportando, tollerando
questo massacro.
Non è possibile voltarsi dall’altra parte per non vedere, chi non vuole essere
complice è chiamato da questo sangue a fare sentire la propria voce.
complici e solidali
Qui il pdf: anan aggiornamenti luglio def.
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INTERVENTO DI GPI AL MEGAFONO DURANTE IL CORTEO DELL’AQUILA DEL 25 GIUGNO 2025
Anan da gennaio si trova nel carcere di Terni, è detenuto ed è accusato di
terrorismo.
Adesso voi vi chiederete perché viene arrestato in questa città un palestinese,
un palestinese che vive qua, lavora qua, viene arrestato per terrorismo?
Voleva fare un attacco terroristico in questa città secondo voi?
Questo direbbe la teoria, no?
Che all’interno dello Stato italiano, un cittadino che vive nello Stato italiano
vuole compiere un attacco, verso magari un bar come questo?
Questo direbbe la teoria, ma poi la pratica in realtà è che Anan è stato
arrestato in questa città, è sotto processo in questa città, perché quando stava
in Palestina, il nostro paese dal quale noi siamo stati cacciati dagli
israeliani, lui si è difeso ed ha resistito contro l’occupazione israeliana, ed
è per questo motivo che Anan oggi sta in un carcere italiano, perché è arrivata
la richiesta di Israele al vostro Stato di arrestare Anan.
E a questo punto io vi chiedo, se questo Stato, questo Paese è il vostro Paese?
Perché la risposta è che non è neanche il vostro paese, perché è un paese che è
servo, che esegue gli ordini di un paese straniero e fa i compiti di un paese
straniero qua. Il diritto internazionale dice che la resistenza di un popolo
occupato contro il suo occupante non è reato, è legittima, ma questo a quanto
pare non vale per Israele, non vale neanche per l’Italia che oggi tiene in
carcere un palestinese che è responsabile solamente di aver difeso casa sua e la
sua terra. Voi pensate che a noi palestinesi ci piace vivere nella terra di
qualcun altro? Ci piace vivere qua in Italia? A noi palestinesi, se la nostra
terra non fosse stata distrutta, bruciata, devastata dall’occupazione israeliana
saremmo nella nostra terra, a costruire sulla nostra terra e a costruire il
nostro futuro sulla nostra terra.
E allora do un consiglio anche a tutti coloro ai quali non piacciono gli
immigrati…no? Vi do un consiglio, visto che non vi piace che io sto in questo
paese, lavorate affinché il vostro paese non sostenga chi la mia terra me l’ha
rubata. Lavorate affinché il vostro paese non sia schiavo di un paese straniero…
fate i nazionalisti davvero e non fatelo solo quando vi conviene!
Anan, Ali e Mansour devono essere liberati, devono essere liberati perché loro
non hanno fatto niente contro il popolo italiano, e non hanno fatto niente
contro di voi. E allora al processo del 9 e del 10 luglio ci dovete essere
tutti.
Oggi la Palestina è sulla bocca di tutti, ed è sulla bocca di tutti perché c’è
chi non ha accettato di stare con la testa piegata, ha alzato la testa contro
l’occupazione e ha sfondato la prigione di Gaza, è uscito fuori ed è tornato
sulle nostre terre, le terre che ci sono state rubate. Anan era all’interno
delle brigate di resistenza, e come dice lui anche nelle sue dichiarazioni,
questo non è un motivo per doversi difendere in un tribunale, perché non si
difenderà per quello che ha fatto. Anzi, a testa alta dice: “è un onore essere
stati la prima linea di difesa contro l’occupazione”.
Libertà per Anan, libertà per Ali, libertà per Mansour.
Perché anche chi oggi, come Ali e Mansour, si trova fuori dalla cella di un
carcere ma ancora è costretto a venire a vedere, ad assistere allo Stato
italiano che prova a condannarlo.
Questo è un trauma, questo però è il destino di noi palestinesi e lo conosciamo
bene, e sappiamo che per la nostra terra pagheremo e saremo sempre a testa alta
e pagheremo con onore.
Perciò non diciamo solo libertà per Anan ma diciamo anche libertà per Ali e
Mansour che ancora oggi non sanno quale sarà il loro futuro.
Mansour giusto per dire alla “madre cristiana”, è padre di famiglia.
È stato carcerato ed è stato per dei mesi lontano da sua moglie e dai suoi
figli, perché lo Stato italiano non ha una spina dorsale, perché lo Stato
italiano è schiavo, perché lo Stato italiano è una colonia.
Perciò libertà per Anan, libertà per Ali e libertà per Mansour e una grossa
libertà per tutti quanti!