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Operazione “Delivery”: revocati gli arresti domiciliari a Luigi e Veronica
Riceviamo e diffondiamo con gioia la notizia della revoca dei domiciliari a Luigi e Veronica, arrestati per l’operazione “Delivery”: REVOCATI GLI ARRESTI DOMICILIARI RESTRITTIVI NEI CONFRONTI DI LUIGI E VERONICA PER L’OPERAZIONE “DELIVERY” Il Tribunale del riesame di Firenze ha stabilito la revoca della custodia cautelare agli arresti domiciliari (con divieto di comunicazioni e di visite) disposta dal Giudice per le Indagini Preliminari nei confronti di Luigi e Veronica, arrestati l’11 settembre per l’operazione “Delivery” che li vede indagati per “atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi” e altri reati connessi. Nel corso della prima settimana di ottobre hanno ricevuto la notifica della revoca degli arresti domiciliari restrittivi. Le motivazioni del tribunale non sono ancora state depositate. Ricordiamo brevemente che per questo procedimento sono avvenute due operazioni tra il 26 marzo (quattro perquisizioni domiciliari nei comuni di Carrara, Faenza, Pisa e Sarzana) e l’11 settembre (arresti e sei perquisizioni domiciliari nei comuni di Carrara, Montignoso, Pisa e Sarzana). La richiesta avanzata dalla Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo di Firenze era della reclusione in carcere. Il procedimento riguarda il posizionamento di un ordigno presso un ingresso secondario del tribunale di Pisa il 21 febbraio 2023, nell’ambito della mobilitazione in solidarietà con Alfredo Cospito, all’epoca a oltre 120 giorni di sciopero della fame a oltranza contro il regime detentivo del 41 bis e l’ergastolo ostativo. Con la mobilitazione degli anni 2022-’23 abbiamo impedito una condanna all’ergastolo ostativo per Alfredo Cospito – all’epoca pressoché certa con l’esito del processo “Scripta Manent” in Corte di Cassazione – e messo un bastone tra le ruote alla repressione anti-anarchica (e non solo), oggi continuiamo la lotta contro il 41 bis impiegato come carcere di guerra contro Alfredo e tre militanti delle BR-PCC. SOLIDARIETÀ CON TUTTI I PRIGIONIERI RIVOLUZIONARI NEL MONDO
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Sulla manifestazione dello scorso 2 ottobre a Lecco. Bloccare la produzione bellica è possibile!
Riceviamo e diffondiamo: Qui in formato volantino: DUE PAROLE SULLA SERATA DI LOTTA DEL 2 OTTOBRE A LECCO DUE PAROLE SULLA SERATA DI LOTTA DEL 2 OTTOBRE A LECCO Bloccare la produzione bellica è urgente e possibile! Il corteo spontaneo di giovedì 2 ottobre ha dimostrato che la lotta al fianco della resistenza palestinese può trasformarsi in una critica radicale del nostro sistema economico di guerra e sfruttamento. Infatti, dopo un primo ritrovo in Largo Montenero con l’obiettivo di bloccare la normalità della vita lecchese, oltre mille persone hanno scelto di dirigersi verso la Fiocchi Munizioni e i rioni di Belledo e Germanedo, veri avamposti locali di guerra con la presenza di aziende quali Invernizzi Presse, Simecon, 3M, LDM Transport, Defremm. La scelta di bloccare stazioni ferroviarie e strade avrebbe portato con sé una volontà di denuncia, di lotta anche simbolica, bloccare tutto anche per far riflettere tutte e tutti sulla necessità di interrompere la propria quotidianità e “normalità”. La scelta di muoversi compatti verso i poli della guerra, invece, è quel passo in più, che esce dal simbolico per diventare obiettivo di lotta, che trasforma una testimonianza in un attacco a chi le guerre le produce. Una giornata che ci mostra la strada da percorrere se veramente vogliamo dire no alle guerre e ai genocidi dei padroni. A ridosso del cancello di ingresso della Fiocchi, protetto da una camionetta e da agenti in tenuta antisommossa, ci si è fermati per un lungo presidio in prossimità del cambio turno serale. Questo ha provocato l’annullamento da parte dell’azienda del turno notturno. I e le dipendenti, intimoriti dalla presenza di centinaia di persone, hanno posticipato l’uscita. Chi sceglie di contribuire alla produzione di morte e di guerra deve riconoscere le proprie colpe e le proprie responsabilità: noi saremo lì ogni volta che potremo a ricordarglielo. Questo è il segno evidente che le proteste, se mantengono uno sguardo di lotta, sono in grado di sortire effetti concreti, reali. Il corteo, verso le 21:00, ha poi deciso di proseguire in direzione ospedale dove si è ricongiunto al personale sanitario impegnato nel flash mob “Luci per la Palestina”. Quello che è accaduto ieri è stato un profondo movimento politico collettivo. Il simbolo potente della direzione che deve prendere la lotta. Dobbiamo continuare a fare fronte compatto. Un fronte che condanna le oppressioni, le guerre e i genocidi e che, al contrario, supporta la cura e la resistenza. Perché non c’è pace sotto occupazione. Non c’è pace senza autodeterminazione. Non c’è pace senza libertà. La resistenza palestinese infatti non punta solo alla sopravvivenza, combatte per smantellare un sistema che opprime. Lo stesso sistema che, seppur in forme diverse, si ripropone a livello mondiale. Per questo ci riguarda. Per questo chi lotta per la Palestina lo sta facendo pensando alla liberazione di tutte e tutti. La protesta perciò è una faccia dell’umanità. Un’umanità che non accetta di essere complice. Che non si piega. Che non arretra. Che non scende a compromessi con chi arma e finanzia il genocidio. Che non si lascia intimidire. Serve perciò una mobilitazione continua, un’attivazione perenne popolare dal basso, che inizi a incrinare le strutture stesse del potere. E che lo faccia, innanzitutto, partendo da qui. Dobbiamo tenere al centro la Palestina, ma anche la nostra complicità, perché le radici del genocidio affondano qui: nella nostra storia coloniale e nella nostra economia. L’Italia arma, finanzia e copre i crimini israeliani. Da Lecco sono partiti quei proiettili che ritroviamo nei corpi dei palestinesi in Cisgiordania. Da Lecco sono partiti quei macchinari che producono proiettili per l’esercito israeliano. A sconcertarci, non può essere solo la violenza di Israele, ma anche la violenza razzista, fascista, coloniale e suprematista che attraversa tutto l’”Occidente” IL SIONISMO SI FERMA CON IL BOICOTTAGGIO. IL GENOCIDIO SI FERMA CON LA RESISTENZA. LA MACCHINA BELLICA SI FERMA CON LA RIVOLTA. La città si è riunita in un unico boato di rabbia e in un grande abbraccio collettivo d’amore. Una piccola intifada è esplosa nel cuore della città: un grido di resistenza. Lecco sa da che parte stare. Palestina libera. Dal fiume fino al mare. Assemblea permanente contro le guerre (Lecco) Coordinamento Stop Genocidio (Lecco)
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Uno spazio per l’immaginazione
Riceviamo e diffondiamo: Uno spazio per l’immaginazione Dopo settimane di blocchi e cortei spontanei e massivi in città e presidi permanenti nei paesi, mobilitazioni nei posti di lavoro, scuole, università, periferie, lo sciopero generale di venerdì 3 ottobre ha segnato un’esplosione individuale e collettiva di rabbia e di gioia, in rottura con l’esaurimento morale dell’occidente. Mentre governo e industrie italiane, come la Leonardo, si svelano sfacciatamente complici di un genocidio le cui immagini rivoltanti vengono mostrate da due anni in diretta; mentre cade definitivamente la maschera del Diritto – come ben dimostra il processo contro Anan, Alì e Mansour – vuoto formalismo strumentale alla difesa del potere, i cui metodi come sempre si alternano all’uso della mera forza contro ciò che è considerato d’intralcio; mentre Von der Leyen, Bezos e Elkann recitano con gran sorrisi la farsa dell’innovazione tecnologica al servizio dell’umanità quando è evidentemente infrastruttura per riarmo, sorveglianza, sterminio; Uno spazio per l’immaginazione. Dopo settimane di blocchi e cortei spontanei e massivi in città e presidi permanenti nei paesi, mobilitazioni nei posti di lavoro, scuole, università, periferie, lo sciopero generale di venerdì 3 ottobre ha segnato un’esplosione individuale e collettiva di rabbia e di gioia, in rottura con l’esaurimento morale dell’occidente. Mentre governo e industrie italiane, come la Leonardo, si svelano sfacciatamente complici di un genocidio le cui immagini rivoltanti vengono mostrate da due anni in diretta; mentre cade definitivamente la maschera del Diritto – come ben dimostra il processo contro Anan, Alì e Mansour – vuoto formalismo strumentale alla difesa del potere, i cui metodi come sempre si alternano all’uso della mera forza contro ciò che è considerato d’intralcio; mentre Von der Leyen, Bezos e Elkann recitano con gran sorrisi la farsa dell’innovazione tecnologica al servizio dell’umanità quando è evidentemente infrastruttura per riarmo, sorveglianza, sterminio; in tanti, tantissimi, distolgono gli occhi dagli schermi per incontrarne altri in strada, interrompendo la propria “normalità”, rompendo con disinvoltura gli argini di leggi repressive che fino a qualche mese fa sembravano paralizzanti, bloccando una strada, una fabbrica, una scuola, stazioni dei treni, porti, aeroporti, supermercati, scioperando dentro alle prigioni. Sguardi che si ritrovano complici nel riconoscere visceralmente ciò che è giusto e ciò che invece non è accettabile e nel realizzare improvvisamente che agire, in prima persona, conta. E’ un umano sentimento di intollerabilità a rompere il cinico nichilismo del tecnocapitalismo con la sua corsa verso la morte o la semi-vita per cavie e prigionieri all’aperto, di cui simbolo è la polizia penitenziaria in assetto antisommossa per le strade di Roma, sabato. In queste settimane si è aperto uno spazio per l’immaginazione. Se il recupero e i paletti da parte di partiti e sigle, con le proprie indicazioni di metodo, le proprie parole d’ordine, i propri tentativi “costituenti”, è dietro l’angolo, così come la possibilità che lo slancio di questi giorni venga smorzato dalle fila sinistre e politiche e ricondotto a mediazioni o infami “piani di pace” che vogliono disarmare la resistenza, mentre sul fronte orientale in Ucraina le macchine del terrore minacciano la distruzione totale, riuscire a coltivare nella durata questo sentimento, continuando a immaginare e sperimentare, ciascun a suo modo, forme di azione diretta – sentite e non rappresentate, legami più che composizioni, autonomie non contro-istituzioni – difendendo un senso morale di rifiuto dell’orrore, è ciò a cui la resistenza palestinese è riuscita a chiamarci. Se le piazze contro il Green Pass erano mosse da un umano sentimento di rifiuto ad essere ridotti a cavie, se i disertori russi e ucraini e i loro complici rifiutano di essere ridotti a carne da macello per le guerre dei padroni, oggi chi blocca le strade qui lo fa perchè rifiuta di essere complice della macchina del genocidio, per cui governo e industrie italiane ci vorrebbero mobilitare apaticamente. Non è il tempo di grandi parole. Se la speranza è che questo sentimento si espanda e si diffonda anche al di là di Gaza, contro il tecnocapitalismo e la sua guerra generale alla vita, che anche la giornata del 4 ottobre a Roma non sia che un tassello di ciò che verrà. Contro l’ineluttabilità. Solidarietà a tuttx x fermatx, feritx, arrestatx, e a chi lotta per non perdere un occhio colpito da un lacrimogeno delle guardie a Bologna. in tanti, tantissimi, distolgono gli occhi dagli schermi per incontrarne altri in strada, interrompendo la propria “normalità”, rompendo con disinvoltura gli argini di leggi repressive che fino a qualche mese fa sembravano paralizzanti, bloccando una strada, una fabbrica, una scuola, stazioni dei treni, porti, aeroporti, supermercati, scioperando dentro alle prigioni. Sguardi che si ritrovano complici nel riconoscere visceralmente ciò che è giusto e ciò che invece non è accettabile e nel realizzare improvvisamente che agire, in prima persona, conta. E’ un umano sentimento di intollerabilità a rompere il cinico nichilismo del tecnocapitalismo con la sua corsa verso la morte o la semi-vita per cavie e prigionieri all’aperto, di cui simbolo è la polizia penitenziaria in assetto antisommossa per le strade di Roma, sabato. In queste settimane si è aperto uno spazio per l’immaginazione. Se il recupero e i paletti da parte di partiti e sigle, con le proprie indicazioni di metodo, le proprie parole d’ordine, i propri tentativi “costituenti”, è dietro l’angolo, così come la possibilità che lo slancio di questi giorni venga smorzato dalle fila sinistre e politiche e ricondotto a mediazioni o infami “piani di pace” che vogliono disarmare la resistenza, mentre sul fronte orientale in Ucraina le macchine del terrore minacciano la distruzione totale, riuscire a coltivare nella durata questo sentimento, continuando a immaginare e sperimentare, ciascun a suo modo, forme di azione diretta – sentite e non rappresentate, legami più che composizioni, autonomie non contro-istituzioni – difendendo un senso morale di rifiuto dell’orrore, è ciò a cui la resistenza palestinese è riuscita a chiamarci. Se le piazze contro il Green Pass erano mosse da un umano sentimento di rifiuto ad essere ridotti a cavie, se i disertori russi e ucraini e i loro complici rifiutano di essere ridotti a carne da macello per le guerre dei padroni, oggi chi blocca le strade qui lo fa perchè rifiuta di essere complice della macchina del genocidio, per cui governo e industrie italiane ci vorrebbero mobilitare apaticamente. Non è il tempo di grandi parole. Se la speranza è che questo sentimento si espanda e si diffonda anche al di là di Gaza, contro il tecnocapitalismo e la sua guerra generale alla vita, che anche la giornata del 4 ottobre a Roma non sia che un tassello di ciò che verrà. Contro l’ineluttabilità. Solidarietà a tuttx x fermatx, feritx, arrestatx, e a chi lotta per non perdere un occhio colpito da un lacrimogeno delle guardie a Bologna.
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Da Torino. Sul presidio in solidarietà ad Anan, Alì e Mansour e contro la Tech Week
Riceviamo e diffondiamo: SUL PRESIDIO IN SOLIDARIETÀ AD ANAN, ALÌ, MANSOUR E CONTRO LA TECH WEEK DI TORINO Il 25 settembre un gruppo di solidali si è ritrovato davanti alla sede della D.I.A. di Torino (legata alla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo), difesa da un apparato imbarazzante di forze dell’ordine, per ribadire la diretta partecipazione dello Stato italiano – anche attraverso i suoi apparati repressivi – al  progetto di sterminio sionista. Il processo contro Anan, Alì e Mansour in corso al tribunale de L’Aquila non è solo un processo contro la resistenza anticoloniale, ma è contro i palestinesi in quanto tali, che ovunque si trovino devono essere attaccati e perseguiti in quanto minaccia per lo Stato israeliano e di conseguenza per tutti gli apparati scientifici-militari-industriali con esso integrati, tra cui quello italiano. A L’Aquila si difendono interessi congiunti di tipo commerciale, militare, tecnologico e scientifico, svelando l’assoluta continuità tra fronte esterno e fronte interno. Questa continuità è dimostrata anche da grandi eventi quali la Tech Week, che si terrà a Torino dal 1 ottobre, infame celebrazione delle nuove tecnologie utili al controllo e allo sterminio, con ospiti del calibro di Jeff Bezos e John Elkann. Il titolo scelto per quest’anno è “The Wave Ahead”, un’immagine che evoca una spinta inarrestabile: l’onda dell’innovazione tecnologica che vorrebbero appunto ineluttabile. Che il piano di riarmo europeo sia un progetto di riconversione verso il militare e verso l’automazione dell’industria automobilistica in crisi non deve stupire, conoscendo l’ignobile storia della FIAT. Come non stupisce che Amazon fornisca servizi di cloud e IA all’Esercito israeliano per archiviare ed elaborare enormi quantità di informazioni sui palestinesi da sterminare. Intelligenza artificiale è guerra. E’ guerra contro il vivente perchè comporta la delega delle nostre facoltà creative e decisionali a macchine; ed è guerra militare perchè i dati con cui queste vengono “addestrate” servono direttamente a potenziare “operazioni di polizia”, in Palestina, in Ucraina, come qui. Per questo ieri il presidio dalla D.I.A. si è spostato davanti allo IAAD, su via Bologna. L’Istituto di Arte Applicata e Design non solo è partner ufficiale della Tech Week, ma parteciperà tramite il suo direttore con una masterclass dal titolo “Le Intelligenze del Made in Italy”, dove si sdoganano le innovazioni tecnologiche nelle cosiddette industrie creative per cui i futuri diplomati diventeranno piccoli o grandi imprenditori, per – citiamo – “formare professionisti ibridi che uniscano sensibilità umanistica, design e intelligenza artificiale, valorizzando il Made in Italy come polo di innovazione sostenibile”. Queste iniziative rappresentano nient’altro che la normalizzazione culturale dello sterminio e della guerra al vivente portata avanti dai padroni del mondo, dai cultori dell’algoritmo. La guerra tecno-capitalista alla vita e il genocidio si alimentano oggi soprattutto di “dati”. Altro che “resistenza tecnologica” come propone qualcuno, è ora di distruggere e disertare le macchine che ci immiseriscono e distruggono. Un modo concreto per sabotare la guerra e portare solidarietà ad Anan, Alì, Mansour e alla resistenza palestinese. Tech Destruction Not Resistance! — sulla “resistenza tecnologica”: www.instagram.com/italian_tech_resistance/
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Processo all’italiana. Aggiornamenti sul processo a Mansour, Alì e Anan (trasferito nel carcere di Melfi)
Riceviamo e diffondiamo: Processo all’italiana Si allungano i tempi del processo ai tre palestinesi ed Anan viene trasferito Aggiornamenti di settembre sul processo ad Anan, Alì e Mansour. Il processo ad Anan, Alì, e Mansour si è contraddistinto per numerose anomalie, a partire dal fatto che non si comprende né di quali fatti specifici siano accusati né se il loro presunto reato, cioè sostenere la legittima resistenza contro l’occupazione coloniale, sia perseguibile da un tribunale Italiano, a meno che la corte di assise dell’Aquila non pretenda di sostenere che difendersi da un genocidio, che è sotto gli occhi del mondo, sia un reato. Queste anomalie accompagnano il processo dal suo inizio. Infatti Anan era stato originariamente arrestato per una richiesta di estradizione da parte delle autorità israeliane, la richiesta era stata rifiutata ma l’esule palestinese non è potuto uscire di prigione perché è immediatamente stato raggiunto da un mandato di cattura da parte delle autorità italiane. Questo fatto è già di per se un inequivocabile esempio del servilismo dello stato italiano verso quello israeliano. A questo va aggiunto il fatto che la pubblico ministero ha presentato come prove documenti dei servizi segreti israeliani che non sono utilizzabili in un processo penale, ed il fatto che che le memorie dei telefoni di Anan, sequestrate dagli inquirenti italiani, sono state passate ai colleghi israeliani ed utilizzate per individuare ed uccidere persone in Cisgiordania, fornendo una drammatica prova di come le istituzioni italiane sostengano la guerra algoritmica, ovvero la capacità di Israele di utilizzare tecnologie avanzate per identificare, controllare ed uccidere persone. Da tutti questi elementi si deduce il forte intreccio sul piano militare, poliziesco e dei servizi segreti tra Italia e Israele di cui questo processo è un lampante esempio. Siamo di fronte ad un processo per procura, istruito in Italia al fine di compiacere e sostenere gli alleati israeliani. Per quanto riguarda le anomalie va aggiunto che nella udienza dell’8 settembre scorso c’è stata una novità, la giudice a latere è stata trasferita ad altra sede. Se Prima di questo fuoriprogramma era stata stabilita la data della sentenza, ora il termine del processo si prolunga a tempi non ancora definiti. La fretta di chiudere questo procedimento è sempre stata evidente tanto che si stava arrivando a sentenza dopo pochi mesi dall’inizio. Per raggiungere questo obiettivo la corte aveva addirittura rifiutato la maggior parte dei testi della difesa e le udienze si susseguivano a tappe forzate, creando difficoltà agli avvocati e limitando il loro diritto a prepararsi adeguatamente. Il giudice si proponeva di concludere il processo entro l’estate, nel momento in cui l’attenzione sul caso e la capacità di mobilitazione dei solidali è più bassa. Ma il processo non è finito nei tempi previsti ed ora rischia di andare a sentenza proprio nel momento in cui c’è la massima attenzione verso la questione palestinese. Concludere il processo ora, con l’Italia che rischia di essere paralizzata dalle proteste, trasformerebbe in un autogol quello che doveva essere un assist ad Israele, visto che il caso dei tre palestinesi è uno degli argomenti della mobilitazione. Concludere ora, qualsiasi sia l’esito, sarebbe un danno per i sostenitori di Israele. Infatti, se i tre venissero condannati, questa sarebbe ritenuta, dal movimento di sostegno alla Palestina, una prova della complicità delle istituzioni italiane con il genocidio in corso e quindi un’ulteriore ragione per mobilitarsi. Se invece venissero assolti, il governo italiano si ritroverebbe un simbolo della resistenza palestinese, Anan Yaeesh, al cento dell’attenzione, libero di parlare e di dare il suo contributo, nel pieno di una mobilitazione permanente che si fa di giorno in giorno più diffusa e radicale e che spaventa i nostri governanti. Proprio quella della resistenza è una questione fondamentale che si pone al variegato movimento di solidarietà con la Palestina. Un argomento che fa paura a chi governa, infatti è evidente che è solo grazie alla sua formidabile resistenza che il popolo Palestinese esiste e vive sulla sua terra. Questa resistenza ci riguarda non solo perché è l’elemento centrale della lotta in difesa della Palestina, ma anche perché ci aiuta a comprendere come non siamo noi a difendere i palestinesi ma i palestinesi a difendere noi, lottando contro un sistema capitalista inumano e pronto ad uccidere centinaia di migliaia di persone per fare profitti, lo stesso sistema che decide delle nostre vite. Quanto accade il Palestina è un monito per tutti gli sfruttati. Nel frattempo, il 21 settembre scorso si è svolto presso il carcere di Terni un presidio molto partecipato in solidarietà ad Anan. Nei giorni seguenti il partigiano palestinese è stato trasferito nel penitenziario di Melfi. Si tratta di un’ennesima vigliacca ritorsione contro un prigioniero che è già in una sezione di Alta Sicurezza da due anni in seguito ad un processo farsa. In queste carceri speciali sono già rinchiuse molte persone con l’accusa di terrorismo internazionale. Nei processi per questi reati spesso le prove sono incerte ma le condanne sicure. Questo permette a magistrati e sbirri di fare carriera ed allo Stato di sventolare lo spettro del terrorismo per limitare la libertà di tutti e per spaventare ed assoggettare la popolazione. Solitamente a questi casi quasi nessuno si interessa e probabilmente, in maniera analoga a questi casi, si sarebbe dovuta concludere la vicenda dei tre palestinesi. Ma chi li ha perseguitarli ha fatto dei calcoli sbagliati, i tre sono colpevoli di essere palestinesi, e grazie al grande sostegno per la loro causa un processo per procura si sta trasformando in una grande figuraccia per lo Stato. Abbiamo sempre visto questo processo come un processo politico con la sentenza già scritta, oggi che la questione è uscita dall’ombra di un tribunale di provincia, condannare senza conseguenze i tre non è più così scontato. Complici e solidali
Carcere
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Impressioni di settembre
La giornata del 22 settembre è stata un’importante boccata d’aria, come se finalmente fosse saltato il tappo. Non avevamo dubbi sul fatto che a rimettere in moto la rabbia sociale sarebbe stata la Palestina e non la politica interna. Per esempio, il “blocchiamo tutto per Gaza” ha sfidato il decreto sicurezza più di quanto non abbiano fatto finora le piazze organizzate su quel terreno specifico di contestazione. Il ciclo storico di guerra in cui siamo entrati colloca le vite e quindi le iniziative di lotta su un piano necessariamente internazionale, di cui il fronte interno è il riflesso. Se le idee spesso divergono, c’è qualcosa di universale nei sentimenti. Che l’emozione contro il genocidio stesse crescendo era palpabile: lo sciopero generale le ha fornito l’occasione di esprimersi. Quel sentimento si è tradotto in partecipazione di massa anche per la parziale e opportunistica legittimazione – sul piano umanitario – da parte di mass media e mondo culturale, grazie al coinvolgimento che ha suscitato la Global Sumud Flotilla. Il ponte tra il sostegno a distanza e la partecipazione diretta ai blocchi è avvenuto grazie ai portuali di Genova. Sono state le loro dichiarazioni – e la storia da cui provengono – a incrinare il recupero politico-umanitario-spettacolare operato sulla Flotilla e a trasformare uno sciopero in un movimento reale. Ha detto bene una scrittrice palestinese, parlando di una flottiglia per i ritardatari. Se però tra questi ultimi ci sono migliaia di giovani e di giovanissimi, il ritardo può assumere la dimensione di un nuovo inizio. Si tratta dunque di spingere il più in avanti possibile la marea, cogliendo fino in fondo la frattura che si è aperta (e che non è detto che rimanga aperta a lungo). Da questo punto di vista, la valutazione del 22 settembre cambia se lo si osserva dal punto di vista sociale oppure se ci si concentra sui gruppi che hanno mantenuto costante l’iniziativa a fianco della resistenza palestinese in questi due anni. Le iniziative a nostro avviso più significative sono state i blocchi dei porti, perché hanno unito precisione strategica e partecipazione di massa – di lì passano le forniture belliche al sistema genocida israeliano, lì si organizza la logistica di guerra –, mentre gli altri blocchi sono stati più generici. Che di fronte a un genocidio si debba fermare tutto è un’indicazione importante, sentita e facilmente riproducibile, anche nelle piccole realtà. Ma ad essa va aggiunta la capacità di colpire in modo più preciso la macchina delle collaborazioni (fabbriche, centri di ricerca, banche, assicurazioni, aziende). La mancanza di tale aggiunta denota una certa arretratezza dei gruppi più organizzati, a cui lo sciopero del 22 settembre ha fornito un’occasione in buona parte non còlta. Se lo “stato di agitazione permanente” continuerà, come sembra, a creare momenti di incontro e di rottura, è necessario saper dare nome, cognome e indirizzo a chi si arricchisce con lo sterminio del popolo palestinese. Unendo al “blocchiamo tutto” (che permette una partecipazione più ampia) il “mandiamo in pezzi la macchina globale del genocidio”. Se persino una relatrice ONU parla di “economia del genocidio”, si tratta di trarne le conclusioni pratiche. Se “il genocidio continua perché è redditizio”, la solidarietà internazionale con la resistenza palestinese lo deve trasformare in un pessimo affare.
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In primo piano
Agnese è libera!
Con grande gioia ieri, 19 settembre, abbiamo potuto riabbracciare Agnese. Finalmente libera dopo circa 5 anni, tra misure cautelari e definitivi di pena, la nostra amica e compagna è di nuovo con noi. Consapevoli che ciò per cui ci battiamo è un orizzonte ben distante, sappiamo che averla al nostro fianco, qui, è un motivo in più per guardare assieme ad un altrove. Lì dove stanno l’azione, l’amore, la vita.
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Solidarietà con tutti i prigionieri rivoluzionari del mondo – Manifesto in solidarietà agli arrestati dell’Operazione “Delivery”
Riceviamo e diffondiamo: Solidarietà con tutti i prigionieri rivoluzionari nel mondo. Sostegno alle lotte sociali con la lotta rivoluzionaria. Manifesto sull’operazione “Delivery” dell’11 settembre Diffondiamo un manifesto sull’operazione repressiva dell’11 settembre 2025, goffamente chiamata “Delivery”. L’operazione, imbastita dalla DDAA di Firenze e condotta dalla DIGOS, ha comportato due arresti e sei perquisizioni domiciliari nei comuni di Carrara, Montignoso, Pisa e Sarzana. Un compagno e una compagna si trovano agli arresti domiciliari restrittivi (ossia con divieto di comunicazioni e visite), in quanto indagati per “atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi” (art. 280 bis c. p.) e altri reati connessi, in riferimento all’azione contro il tribunale di Pisa del 21 febbraio 2023 (rivendicata dal Gruppo di Solidarietà Rivoluzionaria – Consegne a domicilio, aderente alla FAI-FRI). Per quanto riguarda l’operazione di polizia, invitiamo a leggere il testo “Arresti e perquisizioni tra Pisa e le Alpi Apuane in relazione all’attacco contro il tribunale di Pisa nel 2023”, a firma Un paio di perquisiti, e i seguenti comunicati in solidarietà da parte di vari spazi, circoli e collettivi. Sotto i file pdf e png: il formato consigliato per la stampa del manifesto è l’A3, ma è eventualmente possibile riprodurlo anche in A4 a mo’ di volantino: PDF: solidarieta-sostegno-manif-delivery Questo il testo del manifesto: SOLIDARIETÀ CON TUTTI I PRIGIONIERI RIVOLUZIONARI NEL MONDO SOSTEGNO ALLE LOTTE SOCIALI CON LA LOTTA RIVOLUZIONARIA «Lo Stato, compreso quello democratico, è il più grande pericolo per la vita e la libertà di tutto il vivente. Permette il fiorire del capitalismo garantendo la stabilità di cui ha bisogno attraverso il sistema punitivo e repressivo. Tutto e tutti devono sottostare alle sue regole per la difesa del padronato». Così scriveva il Gruppo di Solidarietà Rivoluzionaria – Consegne a domicilio nel comunicato sull’azione contro il tribunale di Pisa del 21 febbraio 2023. Un piccolo ordigno collocato a ridosso di un ingresso secondario del palazzo di giustizia. Non innescatosi, l’oggetto veniva successivamente disinnescato dalle forze di polizia. «Non sappiamo se la deflagrazione sia avvenuta, ma ci teniamo a sottolineare che quest’azione assume un’importanza non da poco: abbiamo dimostrato che è possibile avvicinarsi ai palazzi del potere e colpire». In questi casi è il messaggio ciò che conta. In quei mesi si manifestava impetuoso un intenso movimento di solidarietà internazionale contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo. Alfredo Cospito si trovava a oltre 120 giorni di sciopero della fame. Inquisitori e polizia giudiziaria erano al lavoro per ottenere l’ergastolo per lui e per sbarazzarsi nel lungo periodo di tanti altri anarchici. In quel contesto si pone quanto avvenuto a Pisa. In una realtà sociale dove ci si strappa le vesti per sostenere che l’unico orizzonte possibile è quello degli Stati, del capitalismo e dei loro spaventosi massacri, c’è ancora chi si batte per una lotta radicale contro lo sfruttamento, per il disfattismo contro le guerre dei padroni, per l’autonomia di pensiero e d’azione dell’individuo contro la società della subordinazione e coercizione tecnologica, per l’abbattimento di ogni potere politico ed economico in favore della libertà integrale di ciascuno. «La possibilità di confliggere con questo sistema di oppressione e sfruttamento viene arginata attraverso la prevenzione, tenendo d’occhio e inserendo in un sistema di reinserimento sociale asfissiante chiunque non si adegui, e attraverso i tribunali quando il pensiero si fa azione». Cosa fare contro un nemico che spontaneamente non farà mai alcun passo indietro? Una cosa almeno ci appare chiara. Non ci facciamo imbrogliare dai sostenitori della non-violenza e del pacifismo. Gli oppressi sono sempre in stato di legittima difesa e la violenza rivoluzionaria è necessaria, indispensabile per aprire delle possibilità di liberazione, prefigurando la vita senza più padroni e tribunali per cui ci battiamo. L’11 settembre un’operazione repressiva si è dispiegata tra le Alpi Apuane e Pisa: sei perquisizioni e due arresti domiciliari restrittivi, senza possibilità di comunicazioni o visite. La richiesta della procura era della custodia cautelare in carcere. Siamo al fianco di Luigi e Veronica, indagati e arrestati per l’azione contro il tribunale di Pisa e già inquisiti in una precedente operazione della polizia di prevenzione contro un quindicinale anarchico.
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Materiali
Succede all’Aquila, il 12 settembre. Bloccata Leonardo S.P.A. in solidarietà ad Anan, Alì e Mansour
Riceviamo e diffondiamo questo resoconto commentato dell’importante iniziativa a L’Aquila dello scorso 12 settembre, corredato da diverse foto: Bloccata Leonardo S.P.A., fabbrica di morte, in solidarietà con Anan, Alì e Mansour Venerdì 12 settembre 2005, abbiamo partecipato ad un’assemblea pubblica indetta all’ingresso delle fabbriche di armi Leonardo e Thales Alenia, situate nella zona industriale dell’Aquila. In questo complesso militare di eccellenza lavorano 450 persone tra tecnici e ingegneri e si producono sistemi di riconoscimento (amico-nemico) ed apparati di identificazione avionica, sia civili che militari. Queste fabbriche sono un pezzo della guerra algoritmica contro l’umano combattuta dal capitalismo. Sono ubicate all’interno di uno spazio paradigmatico del mondo distopico in cui viviamo, un non-luogo in cui convivono fabbriche d’armi, centri commerciale e carceri speciali. Durante la nostra presenza il blocco è stato effettivo, nessun veicolo è entrato o uscito dalle fabbriche; siamo inoltre a conoscenza del fatto che Leonardo ha lasciato preventivamente a casa molti dipendenti in “smart working”. Siamo stati determinati nel non farci spostare dalla strada di accesso che abbiamo presidiato fin dalle prime ore del mattino, per un giorno è stata interrotta la normalità di chi produce e vende armi. I pochi lavoratori con cui abbiamo avuto modo di confrontarci ci hanno confermato che all’interno di questi siti produttivi non vi sono operai, ma solo tecnici altamente specializzati perfettamente coscienti di quello che producono. Al termine del presidio ci siamo spostati in corteo fino ad un Hub importante per il commercio ed il capitalismo, uno dei grandi centri commerciali della città, dove abbiamo tenuto un presidio informativo sulla presenza delle vicine fabbriche e sulla lotta per la liberazione della Palestina. Va segnalato l’interesse e l’approvazione di molte delle persone che abbiamo incrociato durante l’intero arco dell’iniziativa. Leonardo, industria controllata dallo Stato, ha continuato a vendere armi ad Israele durante tutto il periodo dell’assedio a Gaza, del massacro di un enorme numero di palestinesi in tutti i territori occupati, e dell’attacco del IDF a diversi paesi dell’Asia occidentale. Questa è una prova della complicità del Governo italiano con il genocidio in corso. A parte qualche ipocrita dissociazione di facciata, fatta per rabbonire una società schierata per la maggior parte a fianco dei palestinesi e contro Israele, il Governo italiano sostiene fedelmente i terroristi israeliani nei loro progetti criminali. Senza un flusso costante di aiuti da parte dei paesi occidentali Israele non potrebbe perpetrare il genocidio: fermiamolo! Blocchiamo tutto: scuole, fabbriche, trasporti, ricerca, eventi culturali e sportivi! Le azioni dei solidali con la Palestina contro i complici di Israele sono continue, crescenti e diffuse un ogni parte del mondo: è nato un movimento di solidarietà internazionale che può fermare la guerra. Se il popolo palestinese non ha amici tra i potenti ha al suo fianco tutti gli oppressi del mondo. Trasformiamo la guerra dei padroni in guerra contro i padroni! Abbiamo bloccato Leonardo in solidarietà con i tre palestinesi, Anan, Alì e Mansour, accusati dal tribunale dell’Aquila di finanziamento del terrorismo e associazione con finalità di terrorismo. Si tratta di un processo farsa ordito dal DDAA (Dipartimento Distrettuale Antimafia ed Antiterrorismo) e dal DCPP (Dipartimento Centrale della Polizia di Prevenzione) su mandato del governo e dei servizi segreti israeliani. Anan Yaeesh è stato un combattente della resistenza contro l’occupazione coloniale in Cisgiordania, ha fatto parte del gruppo di risposta rapida, brigata Tulkarem, articolazione delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, ha subito tentativi di omicidio, è stato ferito, imprigionato e torturato dalle forze di occupazione israeliane. Da 2017 vive in Italia e gode di protezione umanitaria. Perseguire gli esuli all’estero, che hanno legittimamente combattuto contro l’occupazione illegale delle loro terre, fa parte del progetto di colonialismo di insediamento e della guerra di sterminio perché fino a quando esisteranno palestinesi coscienti e combattivi, in qualsiasi parte del mondo, la perpetuazione dell’occupazione israeliana è in pericolo. Quanto sta accadendo in questi tempi ci chiarisce che non saranno né il diritto internazionale né degli aiuti umanitari a porre fine al massacro. Se esiste la Palestina e se il popolo palestinese vive sulla sua terra lo deve a se stesso ed alla sua forte resistenza, è solo tramite la resistenza che i popoli oppressi possono sconfiggere il giogo coloniale e giungere alla liberazione ed all’autodeterminazione. Quanto accade un Palestina ci riguarda tutti, è lo specchio del mondo in cui viviamo. La colonizzazione capitalista del pianeta considera la popolazione palestinese come una massa eccedente, superflua e da eliminare per fare spazio a progetti di valorizzazione dello spazio. In direzione opposta la strenua resistenza del popolo palestinese a questi processi dimostra che è possibile fermarli e ribaltare l’ordine delle cose. I palestinesi ci danno un esempio di come possiamo bloccare i devastanti progetti del capitale, ovunque e anche qui. Il 19 e 26 settembre si terranno presso il tribunale dell’Aquila due udienze del processo ai tre palestinesi. A questo processo vi è stata una presenza di solidali costante, nutrita ed utile. Se guerra, genocidio e repressione partono da qui è qui che bisogna fermarli! Adesso è il momento di moltiplicare la solidarietà con la resistenza e farla risuonare in ogni città! Libertà per Anan, Alì e Mansour! Complici e solidali Qui il pdf: comunicato presidio Leonardo 1 Qui sotto le foto dell’iniziativa:
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