Riceviamo e diffondiamo:
CON LA PALESTINA NEL CUORE, CONTRO GUERRA E REPRESSIONE
Sabato 12 aprile abbiamo partecipato, insieme ad altre migliaia di persone, al
corteo che ha sfilato per le strade di Milano, in solidarietà alla resistenza
palestinese e in opposizione al nuovo decreto sicurezza appena entrato in
vigore. Durante il corteo sono state imbrattate e danneggiate le sedi di alcuni
istituti bancari e Carrefour.
Giunti all’altezza di piazza Baiamonti la polizia ha prima fermato e buttato a
terra a freddo un compagno e successivamente ha deciso di tagliare a metà il
corteo, caricando e isolando alcuni spezzoni.
La volontà della questura, ancora una volta, era di creare una separazione tra
chi si comporta bene e chi no, tra chi rispetta le regole e chi invece non vuole
sottostare al continuo gioco di contrattazione con lo Stato.
Purtroppo per la polizia, dopo le cariche migliaia di persone hanno deciso di
non proseguire il corteo chiedendo il rilascio dei compagn fermat.
Triste eccezione alla solidarietà dimostrata da buona parte del corteo è il
comportamento del servizio d’ordine gestito dall’A.P.I. che ha di fatto protetto
la polizia nel momento in cui un compagno veniva fermato violentemente.
Comportamento che è stato molto apprezzato dalle forze dell’ordine tanto da
fargli guadagnare i complimenti di un agente dei ROS e, inoltre, rivendicato nel
loro primo comunicato di dissociazione dai fatti avvenuti.
In un momento in cui la guerra bussa sempre più forte alle porte dell’Europa e
alla quale lo Stato si prepara con una nuova corsa agli armamenti e con una
legislazione sempre più dura verso qualsiasi forma di lotta è necessario oggi
più che mai scendere in piazza portando anche in maniera conflittuale la giusta
rabbia contro un sistema mortifero fatto di guerra, miseria e sfruttamento. È
necessario rivoltarsi ma rivoltarsi per davvero!
Se da parte nostra non abbiamo mai avuto fiducia nello Stato e non abbiamo mai
accettato compromessi con esso pensiamo sia inaccettabile, nella città delle
zone rosse, nel paese dei pacchetti sicurezza, vedere chi contratta con la
polizia per scendere in strada e addirittura prenderne le difese.
I 6 fermat durante il corteo sono stat poi rilasciat in serata con le accuse di
resistenza a pubblico ufficiale e un compagno con anche l’accusa di concorso in
danneggiamento. Sono stati inoltre dati 3 fogli di via dalla città e alcuni
daspo dalla zona del corteo.
Contro una divisione tra manifestanti che serve solo ad isolare e reprimere.
Contro la pacificazione della società.
Per l’autodeterminazione dei cortei, affinché sbirri e annessi non si sentano
liberi e tranquilli all’interno di essi.
Solidarietà a tutt i fermat!
Solidarietà al popolo palestinese!
Tag - Stato di emergenza
Riceviamo e diffondiamo, invitando alla massima diffusione e partecipazione:
Il compagno anarchico Salvatore Vespertino si trova detenuto nel carcere di
Spoleto.
L’arresto è avvenuto in Spagna in esecuzione di un mandato d’arresto europeo per
una condanna a 8 anni, resa definitiva da una sentenza della Cassazione del
2023, che ha sancito la fine del cosiddetto “processo Panico”.
Nello specifico, Ghespe (com’è conosciuto da compagn* e amic*) è stato
condannato per il ferimento di un artificiere della Polizia che ha incautamente
preso a calci un manufatto contenente polvere pirica posto all’esterno della
libreria fascista “Il Bargello” a Firenze, la notte del 31 dicembre 2016.
Sarebbe senz’altro ironico che un professionista sia incorso nel più banale
degli incidenti di Capodanno.
Lo sarebbe, se non fosse che questa vicenda – assieme ad altri episodi legati
alla lotta in corso nella città di Firenze contro la militarizzazione,
l’apertura di nuove sedi fasciste e l’arroganza sbirresca – è stata usata dallo
Stato per colpire i/le compagn* anarchic* e le loro realtà di appartenenza, con
condanne di varia entità.
In occasione del suo arresto e durante l’inizio della sua detenzione, lo Stato
spagnolo rappresentato dalle sue servili guardie carcerarie, ha voluto mostrare
a Ghespe che il sadismo non è esclusiva dei secondini italiani.
Nulla di speciale, tocca dire. Nelle carceri di tutto il mondo si tortura. Tutti
lo sanno. E tutti lo accettano, per paura… prima di tutto di finirci dentro.
Così il nostro compagno, posto in custodia di uno Stato occidentale, presunto
faro di civiltà, è stato costretto a fare ciò che si fa nella giungla. Lottare
per sopravvivere, ferirsi e sanguinare per restare vivi.
Resosi conto che la permanenza in quel carcere era molto pericolosa e senz’altro
memore delle biografie di molti compagni che lo hanno preceduto nello scontro
con le istituzioni totali, armato di coraggio e di qualche arnese occasionale si
è tagliato gli avambracci. Questa azione ed il conseguente trasferimento per
ricevere le cure necessarie hanno permesso al nostro compagno di uscire da una
situazione inaffrontabile per poi rientrare, ancora detenuto, purtroppo, in
Italia, dove deve scontare 5 anni e mezzo di pena residua (dopo un anno e mezzo
scontato in via preventiva).
Non sono riusciti a inserire Salvatore Vespertino nella lista dei suicidi di
Stato.
Lunga vita a Ghespe e a tutti i ribelli!
Il capitale uccide in galera, in fabbrica, in guerra. Distrugge tutto ciò che
c’è di bello per la smania di dominio di gruppi ristrettissimi. Per tutti gli
altri l’unica opzione sensata è cospirare per la sua distruzione. Non ci si può
dichiarare neutrali di fronte a un’offensiva scatenata unilateralmente e
quotidianamente.
Se la parola d’ordine dello stato è sempre di più repressione noi risponderemo
SOLIDARIETÀ.
SABATO 26/4 ORE 15 PRESIDIO PRESSO IL CARCERE DI SPOLETO (PG)
LOCALITÀ MAIANO 10
Riceviamo e diffondiamo:
OPERAZIONE SCRIPTA SCELERA: ASSOLTI GLI ANARCHICI IMPUTATI NEL PROCESSO DI MASSA
PER LA PUBBLICAZIONE DI “BEZMOTIVNY”. UNA CONDANNA A 8 MESI PER OFFESA ALL’ONORE
O AL PRESTIGIO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
L’8 aprile 2025 è stata emessa la sentenza del processo con giudizio immediato
in corso a Massa contro quattro compagni anarchici inquisiti per la
pubblicazione del quindicinale anarchico internazionalista “Bezmotivny”
(operazione repressiva dell’8 agosto 2023). Gli imputati – coinvolti
nell’operazione assieme ad altri sei inquisiti per cui il procedimento è rimasto
nella fase di indagine – erano accusati di istigazione a delinquere e apologia
di reati e delitti di terrorismo (art. 414 c. p., commi 1, 3 e 4) con la
circostanza aggravante della finalità di terrorismo (art. 270 bis 1 c. p.), per
la pubblicazione della sessantina di numeri di “Bezmotivny”, e di offesa
all’onore o al prestigio del presidente della repubblica (art. 278 c. p.), in
merito a un articolo specifico (“Soffiare sul fuoco”, pubblicato in
“Bezmotivny”, anno I, numero 17, 25 ottobre 2021).
Tutti gli imputati sono stati assolti per l’accusa di istigazione a delinquere
pluriaggravata “perché il fatto non sussiste”, mentre il solo Luigi è stato
condannato a 8 mesi, senza l’applicazione della recidiva reiterata, per offesa
all’onore o al prestigio del presidente della repubblica (gli altri tre imputati
sono stati assolti anche da quest’accusa “per non aver commesso il fatto”). È
inoltre stata negata la richiesta risarcitoria dell’avvocatura dello Stato.
Al termine della requisitoria tenutasi nell’udienza precedente del 1º aprile, il
pubblico ministero Manotti della Direzione Distrettuale Antimafia e
Antiterrorismo di Genova aveva richiesto 7 anni di carcere per Gino, 6 anni per
Luigi (con la revoca della sospensione della pena per una precedente condanna
comminatagli dal tribunale di Ravenna) e 5 anni e 6 mesi a testa per Gaia e
Paolo, mentre l’avvocatura dello Stato per la presidenza del consiglio dei
ministri aveva richiesto un risarcimento di mezzo milione di euro.
— — —
OPERATION SCRIPTA SCELERA: ACQUITTED THE ANARCHISTS ACCUSED IN THE TRIAL OF
MASSA FOR THE PUBLICATION OF ‘BEZMOTIVNY’. AN 8 MONTH SENTENCE FOR OFFENSE TO
THE HONOUR OR PRESTIGE OF THE PRESIDENT OF THE REPUBLIC (ITALY)
On April 8th, 2025, the verdict was handed down in the trial ongoing in Massa
against four anarchist comrades indicted for the publication of the
internationalist anarchist fortnightly ‘Bezmotivny’ (repressive operation of
August 8th, 2023). The defendants – who were involved in the operation together
with six other comrades for whom the proceedings remained at the investigation
stage – were charged with incitement to commit crimes and apologia of crimes and
offences of terrorism (art. 414 of penal code, paragraphs 1, 3 and 4) with the
aggravating circumstance of the purpose of terrorism (art. 270 bis 1, penal
code), for the publication of the about sixty issues of ‘Bezmotivny’, and of
offence to the honour or prestige of the president of the republic (art. 278,
penal code), concerning a specific article (‘Soffiare sul fuoco’, published in
‘Bezmotivny’, year I, issue 17, October 25th, 2021).
All the defendants were acquitted of the charge of multiple aggravated
incitement to commit crimes ‘because the fact does not exist’, while only Luigi
was sentenced to eight months, without the application of recidivism, for
offending the honour or prestige of the president of the republic (the other
three defendants were also acquitted of this charge ‘for not having committed
the fact’). The request for compensation by the State attorney’s office was also
denied.
At the end of the indictment held at the previous hearing on April 1st, public
prosecutor Manotti of the DDAA (‘Anti-Mafia and Anti-Terrorism District
Directorate’) of Genoa had requested 7 years’ imprisonment for Gino, 6 years for
Luigi (with the revocation of the suspended sentence for a previous conviction
imposed on him by the court of Ravenna) and 5 years and 6 months each for Gaia
and Paolo, while the State attorney for the presidency of the council of
ministers had requested compensation of half a million euro.
Riceviamo e diffondiamo, col sangue agli occhi:
Alcuni aggiornamenti sulla situazione di Ghespe
Dopo circa due anni, nella notte tra il 14 e il 15 febbraio 2025 un fermo di
polizia pone fine alla latitanza di Ghespe. Dal momento dell’arresto le guardie
dello Stato spagnolo si sono subito distinte per la loro caratteristica viltà.
Le botte, le minacce e quelle che anche dal compagno sono state riconosciute
come torture psicologiche e fisiche, lo hanno portato a compiere un gesto
estremo per potere uscire da una situazione di assoluto pericolo per la sua
incolumità. Per poter scampare dalla sezione del carcere Soto del Real di Madrid
si è reciso le vene sulle braccia ed è stato trasferito all’ospedale
psichiatrico. Da prassi, la messa in pericolo della propria vita comporta di
conseguenza un TSO, per cui al compagno sono stati inoculati sedativi ed
antipsicotici. Tiene molto a precisare che il gesto non è stato compiuto con
volontà suicidarie né tali idee mai gli sono passate per la testa. La quantità
di sangue perso era tale da dover ricevere delle trasfusioni.
Durante la sua degenza nel reparto psichiatrico ha ancora subito episodi di
tortura come la pressione sulle ferite aperte da parte del personale
ospedaliero. Dopo le dimissioni dall’ospedale, è stato estradato in Italia il 4
marzo, in particolare al carcere di Rebibbia a Roma, primo approdo dopo il volo
da Madrid.
Il 20 marzo è stato trasferito nel carcere di Spoleto e posto in transito nel
reparto di infermeria. A seguito di un battibecco con un secondino gli è stato
inflitto un altro TSO, somministrandogli un sedativo con metodi coercitivi e
facendolo passare sulle carte come volontario.
Oggi Ghespe resiste, si trova in cella da solo ed è in attesa
dell’autorizzazione dei colloqui con la sua compagna. Invitiamo tutte le persone
solidali a inondarlo di lettere, libri (anche in castigliano) e solidarietà e
rilanciamo il presidio sotto al carcere di Spoleto del 26 aprile.
Solidarietà e complicità con Ghespe, contro lo stato e le sue galere, per
l’anarchia.
Indirizzo di posta : Salvatore Vespertino
Casa di Reclusione Spoleto
Località Maiano, 10
06049 Spoleto (PG)
Per inviare soldi: Intestataria: Micol Marino
Postepay nr: 5333 1712 3093 3273
Iban : IT33I3608105138262555662570
BIC/SWIFT: PPAYITR1XXX
Some updates on Ghespe’s situation
After about two years, on the night of February 14-15, 2025, a police arrest
ended Ghespe’s status as a fugitive. From the moment of his arrest, the Spanish
state guards were immediately notable for their characteristic cowardice. The
beatings, threats, and what even the comrade recognized as psychological and
physical torture led him to make an extreme act in order to be able to escape
from a situation of absolute danger to his safety. In order to leave the Soto
del Real prison in Madrid, he cut the veins of his arms and was transferred to
the psychiatric hospital. As a matter of procedure, endangering one’s life leads
consequently to a TSO (psychiatric compulsory treatment), so the comrade was
inoculated with sedatives and antipsychotics. He is very concerned to point out
that the act was not done with suicidal intentions, nor did such thoughts ever
cross his mind. The amount of blood he lost was such that he had to receive
transfusions.
During his stay in the psychiatric ward, he continued to suffer torture, such as
pressure on open wounds by hospital staff. After being discharged from the
hospital, on March 4 he was extradited to Italy, specifically to the Rebibbia
prison in Rome, his first stop after his flight from Madrid.
On March 20, he was transferred to Spoleto prison and placed in the infirmary.
After an argument with a guard, he was given another TSO, being sedated forcibly
whilst it was described on the papers as a voluntary choice.
Today, Ghespe is resisting, alone in his cell, waiting for permission to be
visited by his partner. We invite all comrades to flood him with letters, books
(also in Spanish) and solidarity, and we remind the call for a solidarity
meeting under the Spoleto prison on April 26.
Solidarity and complicity with Ghespe, against the state and its prisons, for
anarchy.
Address to write to Ghespe: Salvatore Vespertino
Casa di Reclusione Spoleto
Località Maiano, 10
06049 Spoleto (PG)
To support him with money: Micol Marino
Postepay nr: 5333 1712 3093 3273
Iban : IT33I3608105138262555662570
BIC/SWIFT: PPAYITR1XXX
Riceviamo e diffondiamo:
Qui in pdf: PDF Aggiornamenti sul processo ad Anan, Alì e Mansour.bis
Aggiornamenti sul processo ad Anan, Alì e Mansour
Il 2 Aprile si è tenuta all’Aquila la prima udienza del processo ai tre
palestinesi, Anan, Alì e Mansour, accusati di proselitismo e finanziamento del
terrorismo, un udienza che ha visto la partecipazione di numerosi solidali che
hanno tenuto un presidio all’esterno del tribunale. (1)
Già da questo primo appuntamento si è capito che aria tira nella procura
abruzzese.
La corte ha accettato solo 3 testi su i 47 presentati dalla difesa. Questi
testimoni dovevano descrivere quale fosse il contesto da cui provengono gli
imputati, che è il territorio palestinese occupato dove è attiva una legittima
resistenza popolare.
Durante l’udienza il giudice ha fatto sgomberare l’aula dal pubblico, dopo che
gli avvocati ed i solidali avevano contestato i ripetuti errori dell’interprete
della procura. La mancata attenzione alla correttezza delle traduzioni è
rilevante in un processo in cui le accuse si fondano su documenti tradotti due
volte (dall’arabo, all’ebraico, all’italiano), è chiaro come questi documenti
possano essere fuorvianti sia in conseguenza di errori nella traduzione sia a
causa di falsificazioni operate dagli israeliani.
Ma il fatto più grave avvenuto in questa prima udienza è stato che la corte ha
accettato come prove accusatorie i documenti forniti allo Stato italiano dallo
Shin Bet, i servizi segreti israeliani. Si tratta di una serie di trascrizioni
di interrogatori effettuati nei centri di detenzione a prigionieri palestinesi.
Nel corso degli interrogatori condotti dallo Shin Bet i detenuti sono sottoposti
alla legge eccezionale marziale, questi interrogatori sono quindi operazioni di
guerra a cui la magistratura italiana sta dando la sua collaborazione.
Numerose organizzazioni internazionali che si occupano dei diritti umani
denunciano come gli Israeliani sottopongano i prigionieri a trattamenti inumani
e degradanti ed utilizzino sistematicamente la tortura per estorcere
informazioni e confessioni ai prigionieri. (2)
La corte, accettando di ammettere al processo questi verbali, supporta e
legittima i torturatori.
Il fatto che la la magistratura italiana utilizzi prove raccolte in luoghi di
detenzione nei quali si tortura sistematicamente è inaccettabile.
Se permettiamo questo, quale sarà il prossimo gradino che scenderemo in un Paese
dove la repressione contro gli esclusi e gli antagonisti sta aumentando
costantemente?
Non si tratta di una domanda fuori luogo, visto che lo Stato italiano da tempo
utilizza la tortura bianca del 41 bis. Lo stesso Stato non ha avuto remore nel
fare ricorso all’arma della tortura anche quando, nel recente passato, ha
affrontato un insorgenza sociale diffusa.(3)
Non ci sorprende che una procedura intollerabile come questa sia adottata da una
procura, quella dell’Aquila, dove opera la DNAA (Direzione Nazionale Antimafia
ed Antiterrorismo).
Abbiamo già denunciato come tortura l’utilizzo del regime carcerario 41 bis,
regime che è applicato su richiesta della DNAA. Riteniamo sia una forma di
tortura in quanto il detenuto subisce forme di isolamento estremo e di
deprivazione sensoriale che provocano gravi danni fisici e psicologici.
Ma lo è anche perché il trattamento inumano è finalizzato ad ottenere delle
confessioni, cioè i detenuti possono uscire da questo regime quando si “pentono”
e collaborano, cioè quando assecondano le richieste degli inquirenti,
generalmente facendo dei nomi ed in sostanza mettendo in cella qualcun altro al
posto loro. Similmente avviene in Palestina a chi viene torturato o minacciato
di tortura. La storia dell’inquisizione ci insegna non solo che queste modalità
sono inumane ma che le confessioni cosi estorte sono spesso false in quanto chi
è sottoposto a tortura tende ad assecondare il carnefice con false dichiarazioni
per porre fine al suplizio.
Stiamo assistendo ad una tragedia di portata storica, il genocidio di un popolo
perseguito con la collaborazione dei paesi capitalisti occidentali. Il processo
tenuto all’Aquila è una manifestazione di questo collaborazionismo. Il
principale modo con cui possiamo opporci al genocidio è mobilitarci per recidere
ogni rapporto di collaborazione tra Italia e Israele!
Di fronte alle prospettive di guerra, al riarmo, alla crisi internazionale, gli
Stati incrementano la repressione contro il conflitto sociale: estendiamo la
solidarietà e organizziamoci per contrastare questa guerra di classe!
Il 12 aprile scendiamo in piazza a Milano anche per la libertà di Anan, Alì e
Mansour
La prossima udienza si terrà il 16 aprile.
complici e solidali
riferimenti e fonti:
(1)
https://ilrovescio.info/2025/03/28/2-aprile-liberta-per-anan-ali-e-mansour-mobilitazione-a-laquila-e-in-ogni-territorio/
(2)
https://www.amnesty.it/israele-tortura-e-trattamenti-umilianti-inflitti-ai-detenuti-palestinesi/
(3) Le torture affiorate, edizioni Sensibili alle foglie.
Riceviamo e diffondiamo. Massima solidarietà ai compagni sotto processo!
Qui il pdf: linquisizione-al-lavoro-1-aprile-massa
L’inquisizione al lavoro. Richiesti dai 5 anni e 6 mesi ai 7 anni di carcere per
gli inquisiti nel processo di Massa derivato dall’operazione Scripta Scelera
Martedì 1º aprile si è tenuta a Massa una tra le più rilevanti udienze del
processo che coinvolge quattro anarchici inquisiti nell’operazione Scripta
Scelera per la redazione e distribuzione del quindicinale anarchico
internazionalista “Bezmotivny”. A partire dalle 12:00 in piazza Palma si sono
tenuti degli interventi al microfono e un volantinaggio e dalle 15:00 c’è stata
la presenza in aula da parte dei compagni solidali presenti.
Nel corso dell’udienza il pubblico ministero Manotti della Direzione
Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo di Genova ha pronunciato la propria
requisitoria, per poi esporre le richieste di condanna nei confronti degli
imputati in riferimento a entrambi i capi d’accusa del processo: istigazione a
delinquere con la circostanza aggravante della finalità di terrorismo (nonché
apologia di delitti di terrorismo) e offesa all’onore o al prestigio del
presidente della repubblica. Non ha invece richiesto la condanna per
l’aggravante di aver commesso il fatto tramite strumenti informatici o
telematici.
Queste le richieste: 7 anni di carcere per Gino, 6 anni per Luigi (con la revoca
della sospensione della pena per una precedente condanna comminatagli dal
tribunale di Ravenna), 5 anni e 6 mesi a testa per Gaia e Paolo. Martedì 8
aprile, sempre alle ore 15:00 nel tribunale in piazza De Gasperi, si terrà
l’udienza con le arringhe difensive e la sentenza.
Prima di fare alcune brevi osservazioni, ricordiamo che questo processo –
escluso il reato associativo inizialmente contestato – coinvolge quattro
inquisiti nel procedimento, quelli per cui a gennaio 2024 venne appunto disposto
questo processo con rito immediato e che all’epoca si trovavano agli arresti
domiciliari restrittivi, mentre per quanto riguarda gli altri sei inquisiti il
procedimento è rimasto nella fase di indagine.
L’apparato repressivo da tempo sta forsennatamente cercando di “fermare” gli
anarchici. Con i procedimenti che si sono susseguiti negli ultimi anni contro
alcuni giornali ci viene sostanzialmente “rimproverato” di essere ciò che siamo
e in particolare con Scripta Scelera lo Stato vorrebbe colpire l’agitazione e la
propaganda anarchica. La spudorata volontà di ammutolire le pubblicazioni
rivoluzionarie, nonché di demonizzare le azioni di attacco contro lo Stato e il
capitalismo, mostrano la reale consistenza del volto permissivo dello Stato e
delle sue “libertà di espressione” specialmente in tempi di guerra. Sette anni
di carcere per la sola pubblicazione di un giornale – la sessantina di numeri di
“Bezmotivny” – ci risulta essere la richiesta di condanna più alta mai fatta in
un processo contro gli anarchici in riferimento a quelli che, oggettivamente,
sono “reati di opinione”. Le idee anarchiche sono evidentemente pericolose
perché tracimano di un’urgenza di vita, perché esortano a non trascorrere la
nostra esistenza in ginocchio, perché parlano della volontà di rovesciare
radicalmente questo vecchio mondo, perché suggeriscono un metodo di lotta,
perché…
Che altro dire? Il monito della nuova inquisizione capitanata dalle procure
antiterrorismo e dalla polizia di prevenzione è evidente: davanti al connubio
teorico-pratico dell’anarchismo, o il silenzio o la condanna. Eppure, se pensano
di convincerci che il gioco non valga la candela, si sono sbagliati di grosso…
[3 aprile 2025]
Riceviamo e rilanciamo:
https://pungolorosso.com/2025/04/04/il-ddl-1660-diventa-decreto-legge-colpo-di-mano-del-governo-meloni-rete-libere-i-di-lottare/
Riceviamo e diffondiamo questo bel testo e questa bella notizia. Chi ce lo invia
ci manda anche queste righe, utili a contestualizzare l’occupazione:
«In Grecia la pratica dell’occupazione è uno strumento forte di lotta e di
presidio importante sul territorio ed è anche una pratica molto conflittuale
soprattutto di questi tempi, quindi la scelta di attuarla e la sua difesa sono
estremamente impegnative. Nasce da vari fattori, primo fra tutti il fatto che
l’università è stata chiusa al pubblico e l’asilo al suo interno non è più
riconosciuto, cose che hanno reso sempre più difficile il potersi organizzare e
incontrare a una realtà di movimento che contiene molti gruppi differenti.
Ad Atene, dopo gli sgomberi di Villa Amalia e Skaramaggà, non si è più riusciti
ad occupare uno spazio come movimento anarchico. Sì, ci sono state occupazioni
di palazzi per le persone migranti di passaggio in Grecia nel 2013 e dopo. Ma
nulla del genere. I differenti gruppi hanno scelto, il più delle volte, la forma
dello “steki” ovvero uno spazio in genere affittato, dove poter discutere ecc.
La zona di Exarchia, dove nasce questa nuova occupazione, non è più quel luogo
liberato, il presidio permanente 24 ore su 24 dei MAT ( squadre antisommossa) e
di ogni tipo di polizia, nella piazza centrale del quartiere, per proteggere
delle transenne che dovrebbero essere il perimetro degli scavi della nuova
metro, ha completamente militarizzato quel luogo di conflitto, scontro, incontro
e da sempre centro nevralgico per il movimento antagonista ateniese.»
Qui il testo impaginato: il silenzio delle metropoli
Titolo originale : Κάτω απ’ το τσιμέντο, κάτι βράζει
Rasprava Squat, 2025
SOTTO IL CEMENTO,
QUALCOSA RIBOLLE
Dopo la fine dell’evento “Memoria rivoluzionaria e prospettive della lotta” in
via Mesologgiou, una folla di compagni e compagne è scesa nelle vie di Koletti e
Themistokleo per difendere la liberazione di un edificio.
Di seguito la presentazione scritta dagli stessi occupanti:
Il silenzio della metropoli pesa come una pietra sulle nostre spalle. Le strade
sono piene di sguardi consumati, di corpi che strisciano per abitudine, per
paura, per sottomissione. Il mondo si muove lungo percorsi predeterminati, senza
interrogarsi, stemperando i sogni. Tutto è programmato per funzionare
esattamente come vogliono loro: lavoro, consumo, obbedienza. Eppure,
incessantemente, sotto la superficie, qualcosa ribolle.
La storia non è scritta dagli obbedienti. Alcuni scelgono di portare il peso
della disobbedienza. Di rompere il cemento della normalità, di affrontare la
mano invisibile del potere che soffoca ogni aspetto della nostra vita. Rifiutare
di sottomettersi non è una semplice presa di posizione. È una chiamata a mettere
in discussione, a rovesciare l’ esistente, a riprendersi ciò che è nostro.
Siamo compagni e compagne, anarchici e anarchiche che provengono da contesti
politici e ideologici diversi e che si sono trovati nello stesso fuoco di lotta.
E’ lì, che le nostre lotte comuni e le esperienze collettive ci hanno unito,
dove abbiamo riconosciuto la necessità vitale di creare uno spazio di incontro,
di agitazione politica1, di scambio di opinioni e potenziamento organizzativo.
In un momento in cui l’isolamento è imposto e le comunità in lotta vengono
smantellate dalla repressione, la formazione di questi spazi non è solo
necessaria, è cruciale.
Gli attacchi repressivi degli ultimi anni non sono arrivati a caso. Le autorità
stanno cercando di eliminare ogni focolaio di resistenza, di schiacciare ogni
forma di auto-organizzazione e di spegnere la fiamma della contestazione.
Grandi conquiste sono andate perdute, il movimento è stato messo sulla
difensiva, la recessione è ormai all’orizzonte. Ma sappiamo che la storia viene
scritta da chi non arretra, da chi non ha paura di confrontarsi con la realtà.
Rimanere sulla difensiva significa accettare la sconfitta. E questo non
accadrà..
È il momento di passare dalle parole ai fatti, di passare dalla difesa
all’attacco.
Facciamo capire al nemico che non si sbarazzerà di noi così facilmente.
Dobbiamo forgiare il nostro campo di lotta, reclamare il nostro spazio e il
nostro tempo.
Per liberare i territori dal dominio, creare un centro vibrante di resistenza,
una cellula radicale per la mobilitazione2 sia nella teoria che nell’azione.
Percepiamo l’occupazione come parte integrante del movimento e il movimento come
elemento organico dell’occupazione. L’esistenza di territori di lotta non è solo
una questione pratica, ma profondamente politica.
Gli squat non sono solo luoghi di ritrovo, non sono solo luoghi di ospitalità.
Sono roccaforti di resistenza, laboratori di pratiche radicali, crepe nella
normalità che cercano di imporci.
E questa realtà non è negoziabile.
Ogni quartiere, ogni strada, ogni piazza non è un terreno neutro.
È una mappa vivente di contraddizioni, conflitti e rivendicazioni.
Le città sono costruite sulla base della disciplina, della polizia e della
sterilizzazione dello spazio pubblico. Le piazze sono piene di telecamere di
sorveglianza, i muri sono dipinti di grigio, gli edifici diventano bastioni
inaccessibili per coloro che non possono permettersi di pagare il prezzo
dell’esistenza in un mondo in cui tutto ha un prezzo. Il dominio sta attuando un
piano strategico di controllo universale delle metropoli, schiacciando ogni
forma di resistenza.
Armato di una propaganda nera e da una guerra ideologica, cerca di plasmare le
coscienze, mentre spinge deliberatamente nel degrado interi quartieri
utilizzando la criminalità organizzata, che spiana la strada all’espulsione
violenta della popolazione locale e al completo assorbimento del territorio da
parte del capitale.
La repressione dello Stato agisce come una guardia armata per gli investitori,
le agenzie immobiliari divorano terreni, le case diventano merci, gli affitti
salgono alle stelle, gli spazi pubblici diventano sterili campi di sorveglianza
e uniformità di consumo.
Il flagello della gentrificazione e dell’imborghesimento sta inghiottendo le
città, agendo come meccanismo di assoggettamento e controllo sociale.
Exarchia, un quartiere che ha una storia vibrante di lotte, è nel mirino
dell’assalto statale e capitalista.
Lo Stato, da un lato, scatena ondate di repressione: gli squat vengono
sgomberati, la presenza della polizia viene rafforzata, gli spazi pubblici
vengono militarizzati. Dall’altro lato, il capitale saccheggia la memoria
collettiva assorbendo i simboli della resistenza e trasformandoli in merce
turistica. Le nostre sottoculture vengono forgiate e adattate a progetti
commerciali “alternativi”, mentre il quartiere viene modificato per servire
l’industria dell’intrattenimento e del “life-style”.
Non permetteremo che trasformino il luogo delle nostre lotte in un’altra
attrazione “ornamentale”. Per tutte queste ragioni, abbiamo fatto l’occupazione
nel quartiere storico di Exarchia.
Perché le sue strade non sono in vendita.
Perché le memorie non sono commercializzabili..
Perché le resistenze vive non diventino attrazioni turistiche, ma campi di
battaglia.
Gli squat possono certamente essere anche isole di resistenza nell’arcipelago
delle lotte, ma possono essere barricate. Sono spazi dove il dominio perde il
controllo, dove lo Stato cessa di essere il regolatore assoluto della vita. Sono
laboratori di lotta, punti di incontro, centri di auto-organizzazione e di
azione.
La cultura insurrezionale e rivoluzionaria non nasce da sola.
Si coltiva.
Si sviluppa negli scantinati, nelle piazze, nei luoghi di ritrovo, negli sguardi
che non si piegano, nei corpi che non accettano di essere disciplinati dal
nemico.
L’occupazione non è un evento isolato.
Ha la capacità di impegnarsi nella pratica della negazione, di ricordarci
costantemente che non siamo numeri nei registri dello Stato, non siamo
ingranaggi nella macchina della produzione, non siamo pedine sulla scacchiera
del potere.
Siamo qui per prenderci ciò che è nostro, per aprire crepe da cui scaturiranno
nuove possibilità.
Le circostanze ci lasciano quindi indenni per quanto riguarda la nostra
coscienza e pratica anarchica. Non vogliamo unirci al terrore che deriva dai
“tempi repressivi e avversi”. Siamo contro la retorica riformista, la cui
manifestazione è lo scadere del campo dell’azione nel conformismo politico, noi
siamo radicalmente per una rottura permanente e totale.
La nostra preoccupazione non è la repressione che è esistita e che esisterà
contro di noi, ma la scommessa continua con noi stessi, per evitare strategie
politiche che minacceranno un movimento e lo faranno passare nell’oblio
attraverso una presenza militante sempre più carente sia a livello di eventi che
di strutture.
Ci rendiamo conto che, come movimento, l’assenza di una cultura militante ci
indebolisce, ci rende vulnerabili e indifesi di fronte all’assalto del potere.
L’inazione equivale alla sconfitta.
Cerchiamo quindi, attraverso questo progetto, di costruire una solida base che
promuova la prospettiva rivoluzionaria/insurrezionale, che intensifichi la
minaccia contro i meccanismi oppressivi del presente e coltivi le coscienze
ribelli di domani.
Perché la rivolta non è uno schema teorico. È azione, è fermento3, è conflitto
costante.
PERCHÉ SCEGLIAMO E PROMUOVIAMO UNA CULTURA RIVOLUZIONARIA E INSURREZIONALE
(AZIONE DIRETTA)?
i. Perché è l’unico mezzo per uno scontro diretto con il nemico qui e ora. È la
pratica che crea il “punto d’inizio”, rompendo le catene della normalità e
consentendo ai soggetti di determinare il proprio destino.
ii. Perché, nella sua essenza, l’anarchia è una lotta costante per la libertà.
Non è uno slogan, non è una teoria, è un conflitto, è una prassi.
iii. Perchè le relazioni tra compagni/e non è un concetto astratto, ma relazioni
vive e non negoziabili tra militanti. Si forgiano nel fuoco della lotta, fianco
a fianco in ogni crisi, in ogni sconfitta, in ogni momento difficile. È lì che
ritroviamo il nostro io collettivo perduto.
iv. Perché spinge gli individui a superare i propri limiti, a spezzare le catene
della paura, a mettere in discussione l’impossibile.
v. Perché la violenza dell’azione diretta non è violenza casuale, ma una
decisione strategica.
L’espansione dell’azione rivoluzionaria, la generalizzazione del confronto
violento con le forze di potere, è necessaria per la demolizione dello Stato e
della struttura capitalistica e per la distruzione dei rapporti sociali di
oppressione.
Il dovere di ogni persona che lotta è quello di arricchire quotidianamente i
propri strumenti, sia a livello pratico che teorico, che la porteranno alla
realizzazione dei propri ideali. Richiede coraggio, rischio, immaginazione,
organizzazione, fede e coerenza. L’intenzione non basta, occorre la decisione.
Per queste ragioni l’apertura di questa occupazione rientra per noi in questa
direzione.
PER L’ANARCHIA
Insieme possiamo fare tutto, possiamo gettare via la visione della fine che
sembra così vicina.
Possiamo vivere come esseri umani orgogliosi e liberi.
Possiamo abbattere il muro e vedere una intera vita di gioia che ci aspetta!
Rasprava Squat
(Koletti and Themistocleous )
1(πολιτικής ζύμωσης nel testo originale, significa letteralmente fermentazione
politica), il dibattito teorico che avviene in uno spazio politico, sociale,
etc. che prepara il cambiamento di una situazione
2(εστία ζύμωσης, nel testo originale, significal letteralmente epicentro (punto
focale) di fermentazione)
3(Ζύμωση nel testo originale), il dibattito teorico che avviene in uno spazio
politico, sociale, etc. che prepara il cambiamento di una situazione nello
stesso contesto della nota nr.1.
Riceviamo e diffondiamo:
SABATO 12 APRILE / RAVENNA / ORE 14.00 / CONCENTRAMENTO IN PIAZZALE ALDO MORO /
CORTEO NAZIONALE “USCIAMO DALLA CAMERA A GAS”.
CI RITROVEREMO DIETRO LO STRISCIONE “CONTRO GUERRA E NOCIVITÀ”
Costruiamo assieme uno spezzone libertario, anticapitalista e antimilitarista
contro le fonti fossili e il mondo che le necessita, il rigassificatore e la
linea adriatica Snam ad esso collegata, la distruzione ambientale e delle altre
specie animali, ma soprattutto il legame tra l’approvvigionamento di fonti
energetiche e la guerra degli Stati e dei padroni.
Il prossimo 12 Aprile a Ravenna ci sarà la manifestazione nazionale “Usciamo
dalla camera a gas” indetta da comitati e associazioni ambientaliste. Come
libertari/e invitiamo alla partecipazione e alla formazione di uno SPEZZONE
LIBERTARIO, ANTICAPITALISTA E ANTIMILITARISTA per portare assieme ai contenuti
ecologisti anche una ferma opposizione alle politiche economiche e di guerra dei
padroni, in cui i progetti strategici e politico-economici legati agli
idrocarburi e al gas si inseriscono, ancor più dopo il conflitto in Ucraina e la
riduzione dei flussi di gas russo verso il continente europeo.
Negli ultimi anni il consumo di gas in Italia è calato rispetto al passato:
consumiamo circa 60 miliardi di metri cubi di gas all’anno che importiamo
dall’estero, in più ne produciamo altri 3 miliardi. Il GNL (gas liquefatto) che
arriverà al rigassificatore di Ravenna da Qatar, Algeria e Stati Uniti, che
all’anno garantirà l’8% degli approvvigionamenti italiani, oltre ad avere costi
economici e un impatto ecologico molto superiori rispetto al gas prodotto con le
tecniche tradizionali, è un di più che l’Italia venderà ai paesi dell’Europa
centrale. Il governo Meloni, in continuità col precedente esecutivo Draghi, e in
piena sintonia con la Commissione europea, vuol far diventare l’Italia un hub
del metano nel Mediterraneo. Oltre ai nuovi rigassificatori, infatti, è previsto
il raddoppio del gasdotto TAP, in cui Snam è implicata, che da Melendugno
(Lecce) porta il gas dell’Azerbaijan verso il nord Italia e l’Europa.
Il vero problema è la domanda di energia che cresce sempre di più invece di
diminuire, come sarebbe necessario. I presupposti stessi del sistema capitalista
si basano su un’iperbole di crescita infinita, a livello economico, industriale
e tecnologico. Cementificazione e produzione industriale di massa, spesso di
merce di veloce deperimento, hanno un impatto energetico e quindi ecologico
devastante, solo per citare alcuni dei molteplici aspetti che rendono
impossibile in un mondo così organizzato (e imposto) un decremento del
fabbisogno globale. Ma ora la domanda di energia sta crescendo in un modo mai
visto prima, con gli investimenti pubblici e privati che si stanno concentrando
in produzioni energivore come l’hi-tech, il digitale, l’IA, i data-center,
l’automazione, la robotica, l’industria militare e l’aerospaziale.
I piani di riarmo dell’Europa (ReArm EU) e quelli per l’approvvigionamento e la
transizione energetica (RePower EU), dal gas al nucleare ma che non tralasciano
le stesse “rinnovabili”, rispondono alle medesime logiche del complesso
militar-industriale e viaggiano su un binario parallelo.
Mentre UE e Italia si apprestano a spendere centinaia di miliardi di euro per
l’acquisto di armamenti e la costruzione di grandi opere e rigassificatori, non
un euro é giunto degli 1.2 miliardi del Pnrr promessi da Von Der Lyen e
struttura commissariale per le persone alluvionate dell’Emilia-Romagna, mentre
continuano come sempre i tagli a sanità e spesa sociale per dirottare fondi
verso Interno e Difesa. Ordine poliziesco e opzione militare, guerra interna e
guerra esterna, sono sempre più connessi. Il nuovo DDL sicurezza, con più tutele
e poteri alle polizie e repressione sfrenata contro chi protesta, si situa
perfettamente in questo contesto.
In un presente segnato da conflitti, massacri e genocidi che si stanno compiendo
davanti ai nostri occhi – pensiamo solo a quello in corso nella Striscia di
Gaza, commesso per mezzo delle armi che transitano anche nel porto di Ravenna –
non può esserci ecologismo possibile senza antimilitarismo e anticapitalismo.
Graditi cartelli e bandiere di area libertaria, antimilitarista, anticapitalista
e contro le gradi opere (no tav, no tap, no snam, no tubo…).
Brigata Prociona Imola / Collettivo Samara / Csa Capolinea Faenza /
Equal Rights Forlì / Csa Spartaco Ravenna / Piccoli Fuochi Vagabondi /
Spazio Libertario “Sole e Baleno” Cesena / Assemblea Anarchica Imolese/ Vascello
Vegano.
spezzone
Riceviamo dal nostro Juanito e diffondiamo:
Lettera aperta per l’invito a partecipare come prigioniero anarchico alla Fiera
dell’Editoria e della Propaganda Anarchica di Roma. A chi l’ha organizzato, a
chi la frequenterà, e a tutti i compagni, anarchici e non, che vorranno leggere
queste mie considerazioni
Hola compagne/i tutte/i,
Ho ricevuto nelle prime settimane di marzo, il piego libro con il materiale
della Fiera. Che ho letto tutto con molto interesse, è molto interessante
rispetto alla Fiera dell’editoria e della propaganda che si terrà a Roma il
4-5-6 Aprile del 2025. Vi ringrazio per l’invito a partecipare a noi compagne/i
prigioniere/i e per mantenere le discussioni fra fuori e dentro e non spezzare
il legame di solidarietà con noi che ci troviamo rinchiuse/i. E vi ringrazio per
il segno di solidarietà.
Però mi sento in obbligo di rispondere, centrandomi in questa mia lettera e in
questo vostro spazio organizzato esclusivamente sulle posizioni nette che avete
deciso di prendere. Il discorso, sì, è molto divisivo, perciò io credo
importantissimo e fondamentale che ci siano delle prospettive collettive e di
continuità più allargate possibili al riguardo, anche con noi prigionieri e non
solo. Con dei compromessi fra compagne/i. Per me personalmente il compromesso
non è negativo e non sempre in assoluto nemico, anzi. Io sono per i compromessi
chiari fra compagni/e. Riguardo la posizione netta che avete deciso di prendere.
Per quello che mi riguarda sono decisioni a priori, con meccanismi e metodi in
automatico, decisi altrove. É dunque decidere esclusivamente se aderire e poi
semmai discutere questioni già decise nettamente.
Beh, già così la questione è controversa.
Poi, a maggior ragione, se all’iniziare nell’affrontare delle questioni
fondamentali dei principi anarchici, già sono decisi e stabilite delle basi
regolamentali, metodologiche e strumentali come meccanismo a priori,
personalmente questo approccio e metodo etico per me è già per sé molto, ma
molto, questionabile.
E dunque partecipare vorrebbe dire, posizionarmi con queste regole nette decise
altrove e non chiarite e delegare questi miei principi senza aver potuto
metterli in discussione, discuterli e deciderli prima.
Dunque non condivido i presupposti di base del vostro testo di posizionamento.
Fra me e il collettivo degli organizzatori della Fiera, questo è il nostro primo
scambio di corrispondenza.
Non abbiamo mai discusso collettivamente, e dunque non si sono mai approfondite
fra noi questioni fondamentali, nessuna, che non posso, non possiamo, dare per
scontate. Soprattutto questioni così fondamentali come le violenze sistemiche
sessuali e di genere, di questa società che tutti noi riproduciamo. Ma
soprattutto non abbiamo discusso mai approfonditamente quelle questioni
fondamentali di come e quali risoluzioni e soluzioni siano più adatte eticamente
e anche utili per la cura di questi problemi, senza darle per scontate.
E lo stesso, fra noi, non abbiamo approfondito mai delle questioni fondamentali
delle violenze strutturali dei ruoli autoritari giuridico-penali di questa
società e che tutti noi riproduciamo. E lo stesso, non abbiamo discusso mai
approfonditamente quelle questioni fondamentali di come e quali risoluzioni e
soluzioni siano più adatte eticamente e anche utili per la cura di questi
problemi senza darle per scontate.
Credo che, sì, creiamo tutti queste due situazioni sistematicamente nel
movimento anarchico italiano. Duali e polarizzate, e che nessuna di queste aiuta
a trovare e arrivare alle cause dei problemi strutturali delle violenze
sistemiche e alla nostra responsabilizzazione collettiva.
Dunque, potete capire che perciò non condivido i presupposti di base, non vorrei
delegare ciò a nessuno senza aver discusso collettivamente queste questioni e
bene, approfonditamente, prima.
Perciò non aderisco ai posizionamenti già decisi in questo specifico spazio
della fiera. Manderò questa mia lettera di critica aperta e che pubblicherò e se
volete potete pubblicarla e distribuirla dove volete.
E per quanto mi riguarda non è una chiusura, lo dico sinceramente e se vogliamo
creare altri di questi modi, spazi, tempi, per discutere approfonditamente alla
radice di queste questioni sistemiche di violenze, assieme, io sono disposto a
farlo in futuro con i tempi e gli spazi necessari che richiedono e con delle
discussioni collettive. Come credo che sarebbe molto molto importante anche se
ci fossero delle discussioni anche specifiche e collettive come mascolinità
anarchiche.
Però se di principi, e di etiche anarchiche, vogliamo discutere, per metterle in
comune, per me deve essere alla, e della, radice e approfonditamente. Credo che
bisogna poter mettere in discissione tutto, senza decisioni stabilite a priori.
E poi, sì, decidere, se vogliamo o no mutuamente essere parte della stessa
comunità o collettività anarchiche.
Certo l’assunto, è un fatto, che principalmente queste violenze sessuali sono
fatte da uomini cisessuali, e delle nostre condotte aggressive, dei nostri abusi
da parte di noi uomini sistematicamente e strutturalmente. E che inerentemente a
queste dinamiche e situazioni c’è il silenzio come regola sistemica del
corporativismo maschilista e del sessismo strutturale, negando le violenze
sistemiche collettivamente; anche questo è un fatto.
Ma individualizzare le violenze sistemiche e stereotipare in modelli fissi le
nostre condotte aggressive, i nostri abusi strutturali da parte di noi uomini
privilegiati, fa in un certo modo, anche parte di questo silenzio sistemico, e
non credo sia utile qualitativamente per la responsabilizzazione collettiva.
E lo stesso individualizzare e stereotipare allo stesso modo dando per scontate
anche quelle questioni fondamentali di come, e quali risoluzioni e soluzioni
siano più adatte eticamente e anche utili per la cura di questi problemi, fa, in
un certo modo, anche parte di questo silenzio sistemico deresponsabilizzandoci
collettivamente. Pretendere di ridurre risoluzioni e soluzioni di fatti
complessi a pochi elementi semplici e modelli fissi e automatici non credo che
ci porterà alla responsabilizzazione collettiva delle violenze sistemiche che
riproduciamo.
Perciò credo come voi che c’è bisogno, che c’è la necessità, di modificare le
condotte e i ruoli culturalmente appresi da questa società autoritaria per
cambiare paradigmaticamente la nostra realtà in cui viviamo.
E viste le nostre, e soprattutto le mie, esperienze, è un’autocritica e, lo
metto in discussione.
So che sono questioni molto, molto, delicate e complesse.
Però credo che una riflessione approfondita e non strumentale e non aneddotica
bisognerebbe farla su tutte queste nostre esperienze di violenze sistemiche
gravissime.
Ma credo che impostarla solo esclusivamente nel carattere selettivo-aneddotico,
come vedo anche succedere sia un errore. E che più tardi genera la sensazione
che le regole sistemiche che le violenze sono isolate fuori da noi stessi, come
maschi.
La mia domanda è: ciò ha efficacia qualitativa nelle risoluzioni e soluzioni e
nella cura di questi problemi?
In più mi pare che fuorvia molto il discorso e le pratiche, nell’affrontare le
reali cause sistemiche strutturali della violenza di genere e sessuale. E in più
mi pare che fa anche accrescere le violenze strutturali giuridico-legali di
questa società che, come il patriarcato, riproduciamo molto bene nel nostro
movimento anarchico italiano.
Sinceramente in questi modi io non vedo l’utilità per risolvere i conflitti in
maniera qualitativa e che producano strumenti adatti, adesso, e per arrivare nel
tempo con prospettive libertarie alle risoluzioni di cure riparatorie dei
problemi. E che sono molto complesse e complessive delle violenze sistemiche che
riproduciamo tutti noi.
Dunque io credo che discuterne per trovare pratiche sempre è fondamentale.
Soprattutto quando è divisivo, anzi, così c’è più bisogno di discuterne
continuativamente.
Poi certo compagni/e se non si vuole discutere perché le posizioni non sono in
discussione…
Certo lo spazio è grande per organizzarsi diversamente.
E dovete tenere presente, e riflettere bene, le grandi limitatezze
nell’affrontare queste complesse questioni nelle nostre circostanze di
isolamento, da prigionieri, sia a livello materiale che pratico e emotivo. E che
possono essere anche fuorviate da ciò. Non è per fare la vittima, è un fatto.
Ma, ripeto, quello che posso fare io e faccio, è essere aperto per mettermi in
discussione.
Chi vuole scrivermi:
Juan Sorroche
– Strada delle Campore -32 –
– 05100- c.c. Terni –
17/03/2025