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Perquisizioni nelle case di due compagni del Garage Anarchico di Pisa
Riceviamo e diffondiamo: Perquisizioni nelle case di due compagni del Garage Anarchico (Pisa) All’alba di mercoledì 25 giugno ha avuto luogo a Massarosa (LU) una perquisizione domiciliare nella casa di un compagno in merito a un’inchiesta della Procura di Bologna, che vede indagati 15 compagni e compagne da varie parti d’Italia, relativa a un incendio di due auto della polizia ferroviaria avvenuto a Rimini in data 20/04/2023 (reati 423 c.p. – 270 BIS 1 c.p.-110 c.p. e 635 c.2 – 270 BIS 1 c.p. – 110 c.p.). Il giorno successivo gli sbirri si sono ripresentati all’alba a casa di un altro compagno per una perquisizione in merito ad alcune scritte comparse nel tribunale di Massa durante una delle udienze del processo Scripta Scelera (reato 639 c.p.). A fianco degli indagati contro ogni repressione!
Stato di emergenza
Sull’operazione “Diana” contro l’anarchismo in Trentino. Cose utili da sapere
Riceviamo e diffondiamo queste utili righe informative sull’operazione “Diana”: Cose utili da sapere (dalle carte dell’operazione “Diana”) Nel fascicolo dell’operazione Diana sono riportate, in tutto o in parte, le carte relative a diversi procedimenti penali. Uno di questi è quello relativo ad un 270 bis nei confronti di diversi compagni e compagne e persone vicine al nostro amico e compagno Stecco. Quello che lo Stato ha messo in campo per arrestarlo è piuttosto impressionante. Se teniamo presente che Stecco, quando ha levato le tende, aveva un definitivo da scontare di 3 anni e 6 mesi, la sproporzione tra la sua condanna e l’accanimento sbirresco per scovarlo rivela quanto lo Stato consideri insopportabile che ci si possa sottrarre alle sue galere; e quanto il trattamento riservato ad anarchiche e anarchici abbia, sia pure dentro un avvitamento repressivo generale, un carattere indubbiamente selettivo. Una conoscenza aggiornata delle tecniche impiegate dalla polizia politica contro compagne e compagni passa molto spesso attraverso la lettura dei faldoni delle indagini poliziesco-giudiziarie. Per questo è importante che le indicazioni che ne emergono siano socializzate. Nel farlo è sempre necessario tener presenti due aspetti: il primo, è che si tratta di materiale fornito dal nemico; il secondo, è che la condivisione (ovviamente selezionata e omettendo nomi e cognomi che appaiono nelle carte) di tale materiale può involontariamente ingenerare il sentimento di una sorta di onnipotenza del nemico, con il relativo corredo di paranoia e di scarsa fiducia nei propri mezzi. È quindi bene ricordare che il dispiegamento di uomini e mezzi per la ricerca di latitanti non è lo stesso che si riserva al monitoraggio/indagine su altre circostanze che si danno nell’ambito dei movimenti e delle lotte; che nonostante l’avanzamento poliziesco-tecnologico, alcuni compagni ricercati hanno assaporato la libertà per mesi e anni; che ci sono compagne e compagni tutt’ora uccel di bosco in Europa e nel mondo. Sapere come si muove la controparte è necessario per adottare le contromisure più opportune, imparando dagli errori e facendo tesoro delle esperienze. Partiamo da alcuni dati quantitativi per fornire un’idea dell’estensione dell’intervento poliziesco: – Telecamere davanti a 6 abitazioni. – Intercettazioni ambientali nella casa di una persona vicina a Stecco, di altre persone connesse ad una persona particolarmente “attenzionata” e dello spazio anarchico “El Tavan”. – Intercettazioni telefoniche di oltre 40 persone: compagne e compagni, ma anche amici e persone vicine. – Sono state disposte intercettazioni ambientali “puntuali” in un caso in cui si riteneva che una persona vicina a Stecco potesse incontrare una persona che secondo la Digos avrebbe potuto fornirle delle informazioni su di lui. – Una persona particolarmente “attenzionata” viene pedinata almeno una volta dai servizi (l’intestazione della relazione di servizio è “Ministero degli interni”, mentre tutte le altre sono di varie Questure). – Analisi dei tabulati telefonici storici di 69 persone e di una cabina telefonica (il tempo massimo per cui si può tornare indietro sono 72 mesi). – Gps installati in 12 auto. Per alcune persone vicine a Stecco anche l’intercettazione ambientale e video. – “Attenzionate” le targhe di 311 auto. – Richiesta di esibizione bancaria di 59 persone per verificare l’esistenza di movimenti “sospetti” riconducibili ad eventuali appoggi economici alla latitanza. – Installazione di un dispositivo di tracciamento (nello specifico un localizzatore GSM, dunque non satellitare ma cellulare, di tipo “Spora”, ovvero un localizzatore miniaturizzato che comunica in tempo reale ad un telefono in utilizzo alla polizia la cella agganciata via sms) su una bicicletta ritenuta in uso da Stecco, localizzata tramite l’utilizzo di una telecamera in un paese nel quale è stato ripreso durante il periodo di latitanza. – In questo caso come nel caso della latitanza di un altro compagno, sono stati ritrovati dei documenti falsificati le cui generalità sono risultate appartenenti a persone realmente esistenti. Da questo è stato dato inizio ad una serie di ricerche e interrogatori alle persone interessate, con l’intento di confrontare spostamenti, pernottamenti in alberghi, controllo dei movimenti di alcuni conti correnti (ed anche, per esempio, la “carta Decathlon” almeno in un caso, sulla quale rimane una cronologia degli acquisti effettuati) indietro nel tempo di diversi anni (più di 10). – Mobilitata la polizia politica di Treviso, Padova, Verona, Brescia, Bergamo, Milano, Trento, Trieste, Genova. A partire dal momento in cui hanno iniziato a “stringere il cerchio”, la Digos di Trento ha ricevuto personale di rinforzo in pianta stabile, di sicuro almeno un agente da Trieste. Per un’analisi più qualitativa, invece, bisogna entrare nel merito delle tecniche impiegate. Diciamo che le indagini si muovono su due binari: l’analisi di un’enorme mole di dati telefonici e il controllo quasi costante di alcune persone, con particolare attenzione alle loro assenze dai rispettivi luoghi di residenza. Quando tali persone vengono di nuovo localizzate, si procede a ricostruire il più possibile a ritroso i loro spostamenti. La raccolta dei dati viene fatta con calma e in modo sistematico. Ecco alcuni esempi. – Due compagni in viaggio in treno vengono pedinati da quattro agenti della Digos, che si posizionano due in testa e due in coda al treno. In ognuna delle stazioni intermedie sono poi presenti due poliziotti in borghese nel caso in cui i compagni scendano dal treno; a tal fine è stata mobilitata polizia politica di sette Province. Dalle carte sembra che questo pedinamento sia stato disposto all’ultimo momento quando, la sera precedente, la polizia ha appreso in diretta dai microfoni installati in casa delle persone vicina ad una delle due persone, che questa sarebbe partita in treno il giorno dopo. – Dalle carte emerge che gli sbirri, oltre a chiedere a RFI di visionare le telecamere delle stazioni, hanno chiesto al gip di installare delle telecamere apposta in stazione a Rovereto per poterle visionare direttamente in Questura. Hanno anche potuto vedere quali biglietti sono stati emessi con ognuna delle biglietterie automatiche, quali ricerche siano state effettuate anche senza acquistare i biglietti e accedere alla telecamera che in alcuni casi sono installate direttamente sulle macchinette. Queste ultime telecamere conservano i video per massimo 10 giorni (nonostante la durata massima generale per infrastrutture meritevoli di maggior tutela sia di 7 giorni secondo il provvedimento del 2010 a firma del GDP, salvo specifiche richieste). – Avendo osservato che una persona particolarmente “attenzionata” aveva cercato gli orari dei treni per una determinata città con una biglietteria automatica, nel momento in cui questa persona si è assentata da casa sono state visionate le telecamere della stazione di quella città e di almeno altre quattro stazioni. È probabile che siano stati analizzati i dati relativi a più stazioni, che si trovano lungo tratte che portano alla città per la quale era stata effettuata la ricerca. Infatti, dato che dopo 7 giorni i dati vengono cancellati, la Digos di Trento si è recata in fretta e furia negli uffici di RFI Lombardia a Milano perché ritenevano di aver individuato la persona in una stazione (che non era né quella ricercata sulla macchinetta, né quelle vicine alla sua abitazione) in cui era passata 7 giorni prima e c’era il rischio che le immagini venissero sovrascritte prima che il download dei dati terminasse. – Nel tentativo di ricostruire il percorso della persona, visionano i dati di un esercizio commerciale esterno alla stazione in cui ritengono di averla localizzata, oltre che le telecamere del treno su cui ritengono sia salita in quella stazione. Dato che, tramite queste ultime, durante il viaggio la vedono leggere l’ultimo numero di una rivista di compagni, uscito da poco, chiedono l’esibizione bancaria anche per questa rivista. – Per ricostruire a ritroso il percorso che l’ha portata a quella stazione, si concentrano inizialmente sugli Intercity, dato che c’è l’obbligo di biglietto nominativo. Avendo individuato dall’elenco fornito da FSI un acronimo che ritengono sia riconducibile a quella persona, verificano dove sia stato emesso il biglietto relativo. Non avendo più a disposizione i video della stazione di acquisto a causa del decorso della durata di conservazione delle immagini, cercano di ricostruire in che modo la persona sia arrivata nella stazione di acquisto del biglietto. Scartati gli Intercity, non avendo trovato nessun nominativo riconducibile, si concentrano sui treni regionali e chiedono a FSI di comunicare per ognuno il numero di biglietti emessi dalle biglietterie automatiche delle stazioni di partenza, di quelle intermedie e di altre nelle vicinanze, in località “abitualmente frequentate” da anarchici: 150 pagine di liste trasmesse dalle Ferrovie. Controllano anche i traghetti e gli autobus. Dato che non trovano nulla, chiedono gli stessi dati di prima sulle biglietterie di 69 ulteriori stazioni e di eventuali multe emesse a bordo treno di 5 regionali. Parallelamente, chiedono alle Ferrovie l’elenco di tutti i biglietti acquistati con quell’acronimo nei mesi precedenti e di attivare un “alert di segnalazione automatica” nel caso in cui dovesse essere utilizzato nuovamente per acquistare dei biglietti. – Per ricostruire gli spostamenti di certe auto, vengono visionate le telecamere di vari caselli autostradali; una volta localizzata una macchina in un casello ritenuto sospetto, controllano anche le telecamere stradali del Comune. – Una volta individuata la zona in cui ritengono possa trovarsi Stecco, la Digos chiede di installare 5 telecamere “video lunga distanza” con riconoscimento facciale e 10 per “ripresa video interno/esterno” intorno a una data stazione, comprese fermate urbane e extraurbane degli autobus. Non vi è traccia della richiesta del PM al giudice, quindi non sappiamo se poi siano state installate o meno. Analizzano anche le immagini delle telecamere presenti sugli autobus. Chiedono di intercettare una persona e sua madre, nonché di avere accesso ai loro tabulati, perché in passato avrebbero affittato in zona delle abitazioni a dei compagni. – Una volta arrestato Stecco, mostrano la sua foto e interrogano varia gente del posto fino a quando non individuano la casa in cui avrebbe soggiornato. Prelevano impronte digitali e DNA da tutto quello che sequestrano nella casa. – Per quel che riguarda la ricerca tramite i telefoni, è da segnalare che non vengono intercettati solo i numeri di telefono, ma anche i dispositivi in cui alcune SIM sono state inserite, tramite numero IMEI. Questo non avviene per tutti i numeri, ma solo per quelli ritenuti più “interessanti” e sembra che sia sufficiente che la SIM venga inserita una sola volta (ed utilizzata). Inoltre, come già sappiamo, l’intercettazione comporta anche la geolocalizzazione del telefono, anche non smartphone (sebbene in questo caso si possa risalire solo alle celle via via agganciate e non alla posizione esatta). – Sotto il profilo dell’analisi del traffico telefonico, una volta stretto il cerchio su una determinata zona, cercano nei tabulati già acquisiti eventuali numeri di telefono di anarchici lì residenti (cioè se una delle 69 persone di cui hanno i tabulati abbia chiamato qualcuno che stava lì nei 6 anni precedenti), quindi tutte le chiamate fatte da Stecco nei 5 anni precedenti (prima che levasse le tende) a numeri che si trovavano in quella zona. – Cercano nei tabulati storici se ci sono delle chiamate ricevute da delle cabine telefoniche. Quindi cercano se dalla cabina di cui hanno i tabulati storici siano state fatte chiamate a numeri stranieri; una volta individuati, vedono se questi numeri abbiano mai chiamato i numeri emersi dai tabulati storici. Verificano inoltre se dalla cabina siano stati chiamati fissi o cellulari in quattro regioni italiane. – Analizzano i dati del traffico telefonico transitato per le celle di Tim, Wind, Vodafone e Iliad di nove località in alcuni momenti in cui reputano che vi possano essere stati contatti con un ipotetico telefono utilizzato da Stecco. Dato che la mole è enorme, provano a incrociarli con i numeri intercettati e poi con tutti numeri risultanti dalle utenze di cui hanno le tabulazioni. Questo tipo di ricerca (incrocio dati estrapolati da determinate celle telefoniche con numeri di telefono individuati tramite l’analisi di tabulati storici) viene ripetuto altre volte. In generale, in più punti troviamo l’analisi di tabulati storici, anche molto indietro nel tempo, e i tentativi di incrociare i numeri così estratti con i dati che man mano vengono raccolti nel corso dell’indagine. – Sebbene non ve ne sia poi traccia nelle intercettazioni, in più punti la Digos chiede l’autorizzazione per scaricare le chat di Whatsapp e in un caso anche di Telegram. – Per quel che riguarda le ricerche telematiche, è da segnalare il tentativo di installare uno spyware (un virus informatico che permette di ottenere completo accesso al dispositivo “infettato”) “mediante la procedura 1 click” che permette di rendere lo smartphone di una persona vicina a Stecco un microfono per intercettazione ambientale (definizione tecnica: “autorizzare l’intercettazione telematica attiva con eventuale intercettazione tra presenti attraverso l’attivazione di un microfono sul terminale mobile di tipo Android senza root”). Nella pratica, a questa persona viene mandato un sms che contiene un link, che se cliccato avrebbe portato all’installazione del virus. Dato che la persona non clicca sul link, avendo individuato il codice pin del suo telefono mediante una telecamera ad alta risoluzione installata all’interno dell’auto (la quale ha permesso di risalire alla lettura del codice mentre questo veniva digitato sul telefono), la Digos viene autorizzata ad installare direttamente il virus una volta ottenuto il temporaneo possesso del telefono. Questo non sembra sia avvenuto perché nel frattempo le indagini si sono orientate in un’altra direzione. – Per quel che riguarda le email, sembra che solo libero.it abbia fornito i dati relativi agli indirizzi email (file di Log compresi), mentre altri provider sembra non abbiano nemmeno risposto alle richieste (o quantomeno non c’è nessuna menzione al riguardo). – Oltre alle email, cercano di ottenere anche tutti i dati relativi a servizi di Microsoft Account e Google, compresi gli acquisti effettuati tramite queste piattaforme. A quest’ultimo proposito è interessante segnalare l’analisi che viene fatta dell’ID GAIA (Google Account and Id Administration) per il quale un numero ritenuto in possesso di Stecco riceve un sms. Praticamente, quando si cerca di entrare in una casella di posta elettronica Gmail da un dispositivo diverso da quello utilizzato normalmente, Google chiede una verifica ulteriore alla password, inviando un sms con un codice numerico ad un numero collegato all’indirizzo email. Dato che un numero collegato a Stecco riceve questo codice, cercano di recuperare i dati relativi al relativo account Google. Per farlo hanno inserito il numero di telefono nella pagina di accesso a Gmail e nella pagina in cui si chiede la password hanno cliccato col tasto destro e selezionato “Visualizza sorgente pagina”. Si è quindi aperta una finestra che contiene il codice HTML, hanno digitato CTRL+F (cerca) e nella casella di ricerca dato il comando per ottenere le 21 cifre che costituiscono l’ID GAIA, cioè ,[\” . Per sapere a chi fosse associato questo ID, hanno usato uno dei servizi di Google, nello specifico Google maps (dalla descrizione sembra che possano usare qualsiasi servizio offerto da Google, ma probabilmente Google Maps è quello in cui è più comune che vengano lasciate delle recensioni o comunque dei contributi). In pratica, nella barra degli indirizzi hanno digitato https://google.com/maps/contrib/ID GAIA, per visualizzare tutte le recensioni lasciate tramite quell’account Google e individuare quindi gli indirizzi email collegati. Hanno quindi chiesto a Google tutti i dati di registrazione relativi alle email, i numeri di telefono, la data in cui sono stati associati agli indirizzi email e le anagrafiche relativi all’ID GAIA e tutti i file di Log di ogni connessione a tale account. Non sembra abbiano ricevuto risposta. Per provare a fare una sintesi comprensibile, ad ogni ID GAIA possono essere associati più indirizzi email e più numeri di telefono di riferimento, una volta che la polizia conosce uno di questi dati può provare a risalire agli altri. – In seguito ad un’intercettazione ambientale in cui viene nominato un indirizzo email, chiedono a Microsoft l’anagrafica, i dati fatturazione dell’account nel caso in cui siano stati effettuati acquisti su Microsoft Online Store, i Log delle connessioni IP, tutti gli indirizzi email e i numeri di telefono associati a tale indirizzo e tutti i soggetti che si sono registrati con un nome collegato a quell’email. Inoltre chiedono al provider subito.it il tabulato dei file di Log e degli indirizzi IP utilizzati da questa email. – In un altro fascicolo, legato alla ricerca di un altro compagno latitante, abbiamo trovato questo passaggio relativo all’intercettazione telematica attiva e passiva di un computer: “Come noto, alla luce delle attuali tecnologie risulta assai difficoltoso effettuare un’infezione di un pc, in quanto sono numerose le variabili che determinano la riuscita o meno del servizio (sistema operativo, antivirus, scheda di rete, etc.). Pertanto, come da prassi, è indispensabile effettuare in un primo momento uno studio di fattibilità per stabilire il tipo di sistema operativo usato e gli eventuali antivirus attivi attraverso un’intercettazione passiva, per poi procedere all’intercettazione telematica attiva. Le modalità per procedere all’inoculamento dello spyware verranno successivamente concordate con i tecnici delle ditta incaricata dell’inoculazione del virus. Da attività di osservazione, si è notato che […] lascia talvolta il computer nel bagagliaio della propria autovettura […] quando si reca al lavoro in […]. Previa autorizzazione di codesta A.g., il tecnico provvederebbe ad installare un file a computer spento (ciò è fattibile solo lasciando inserita una chiavetta USB o qualunque altro supporto fisico di memoria nel pc), file che all’avvio verrà eseguito dal computer in automatico e provvederà ad installare altri piccoli programmi malevoli, necessari per svolgere lo studio dell’ambiente software presente sul dispositivo, per poi ottimizzare lo spyware che permetterà l’intercettazione telematica richiesta”. – Dopo aver sequestrato una chiavetta Tails, cercano la password con il programma “bruteforce-luks”. Nella comunicazione puntualizzano che non è possibile stimare i tempi di questa operazione. Significativamente, la sola delle 11 cartelle che formano l’indagine “Diana” a risultare vuota è quella con la dicitura: “Spese”. Ci sono comunque alcuni preventivi per il noleggio dei dispositivi per le intercettazioni, da cui tra l’altro emerge che quelli di localizzazione spesso offrono anche “l’opzione intercettazione”, quindi si tratta di un unico oggetto polivalente. Inoltre sembra che dal Covid siano possibili anche delle postazioni di ascolto da casa per il telelavoro. L’apertura di un fascicolo presso il Ministero degli Interni e alcune annotazioni che ne riportano l’intestazione suggeriscono il coinvolgimento dei servizi segreti. Ultimo ma non meno importante: contemporaneamente alle indagini per la ricerca di Stecco era attiva almeno un’altra indagine per 270 bis in cui parte degli indagati sono gli stessi del 270 bis relativo a Stecco. Giusto per dare un’idea della pervasività e della quotidianità del controllo a cui alcuni compagni sono sottoposti. Utile sapere che gli sbirri possono impiegare anche settimane a visionare le telecamere di stazioni, treni, caselli autostradali, autobus, alla ricerca di immagini che suggeriscano percorsi e destinazioni. Provando a farlo anche andando a ritroso rispetto a un viaggio che viene ritenuto sospetto, ricostruendo buona parte di un percorso a partire da quando questo termina, cercando le coincidenze tra momenti di “sparizione”, giorni, orari, mezzi utilizzati. Ognuno/a farà le sue valutazioni. Che si dia ancora più incisività alla critica pratica nei confronti del mondo della video sorveglianza e del controllo digitale, come campo di intervento irrinunciabile perché siano ancora possibili sogni e progetti di sovversione e di libertà. Che la fortuna arrida a chi è uccel di bosco e a chi, nella lotta per la libertà, sfida ogni identificazione. Qui il pdf: Cose utili da sapere (Diana)
Approfondimenti
Stato di emergenza
Torino, 3 e 4 luglio: appuntamenti di lotta per l’inizio del processo per l’operazione City
Riceviamo e diffondiamo: Anche su https://nocprtorino.noblogs.org/post/2025/06/13/torino-3-4-luglio-appuntamenti-di-lotta-per-linizio-del-processo-per-loperazione-city/ TORINO 3/4 LUGLIO: APPUNTAMENTI DI LOTTA PER L’INIZIO DEL PROCESSO PER L’OPERAZIONE CITY Il 4 Marzo 2023 un corteo in solidarietà allo sciopero della fame di Alfredo Cospito – intrapreso il 17 Ottobre 2022 contro 41 bis ed ergastolo ostativo – ha attraversato alcune vie della città di Torino. Un corteo per rispondere alla decisione della corte di Cassazione, che non esitava a condannare a morte il prigioniero anarchico, dando parere negativo alla revoca del regime speciale di detenzione. Un corteo con cui rompere il silenzio di fronte alla repressione, le sue pene esemplari ed i suoi strumenti di tortura. Un corteo autodifeso a tutela di chi decideva di attraversarlo con rabbia, determinazione o anche solo per la necessità di esserci. Devastazione e saccheggio è il reato che oggi la Procura tenta di utilizzare, tra gli altri, per portare sul banco degli imputati alcunx compagne e compagni che quel corteo lo hanno vissuto insieme a tantx altrx. Il 3 Luglio 2025, a più di 2 anni da quel momento di strada, il Tribunale di Torino celebra la prima udienza di dibattimento del processo per la cosiddetta “operazione City”, guidata dall’ex direttore della Digos Carlo Ambra e firmata dal PM Paolo Scafi. Eredità del codice penale fascista Rocco, questo reato è sempre più utilizzato per colpire, non solo momenti di piazza, ma anche e soprattutto lotte e rivolte all’interno dei centri di detenzione penali e amministrativi. Infatti, l’8 Luglio – pochi giorni dopo l’udienza del processo “City” – lo stesso Tribunale pronuncerà la sentenza per le rivolte avvenute nell’IPM Ferrante Aporti la notte fra l’1 e il 2 Agosto 2024. L’inchiesta per quella giornata di rivalsa dei giovani reclusi del minorile di Torino, diretta dal PM Davide Fratta, vede imputate 11 persone sempre per il reato di devastazione e saccheggio. Quelle rivolte, però, che hanno dato non poco filo da torcere all’amministrazione penitenziaria e reso inagibile buona parte della struttura detentiva, non possono essere considerate un caso isolato, ma devono essere ricordate come parte di una stagione di resistenze, proteste e rivolte che ha infiammato decine e decine di carceri in tutta Italia e che continuano ad infiammare i centri di detenzione amministrativa. È ormai più che evidente come i tentativi di procure, legislatori, giudici e guardie ambiscano a radere al suolo ogni forma di conflittualità, utilizzando strumenti ereditati dal passato – come le pene da 8 a 15 anni previste per devastazione e saccheggio – o creandone di nuovi – come nel caso dei decreti e dei pacchetti sicurezza di Minniti, Salvini e dell’attuale governo. Un’ambizione, quella di pacificare attraverso la paura della repressione e la costruzione di nemici interni, più forte man mano che l’escalation bellica coinvolge sempre più da vicino il nostro paese: un paese complice del genocidio in Palestina e promotore delle politiche di riarmo europee. Di fronte a questi attacchi e a politiche repressive sempre più aggressive, sentiamo di voler tenere stretti gli strumenti di lotta e solidarietà a nostra disposizione coltivandoli e rilanciandoli, per non rimanere indietro o lasciarci qualcunx. Per questo – Giovedì 3 LUGLIO dalle 9:30 PRESIDIO davanti al TRIBUNALE di Torino al fianco delle e degli imputatx – Venerdì 4 LUGLIO ore 17 PRESIDIO sotto le mura dell’IPM Ferrante Aporti
Carcere
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Milano: solidarietà ai condannati in primo grado per il corteo dell’11 febbraio 2023 a fianco di Alfredo
Riceviamo e diffondiamo: Ieri come oggi La sentenza di primo grado per il corteo dell’11 febbraio 2023 a Milano al fianco di Alfredo Cospito, all’epoca da quattro mesi in sciopero della fame contro il regime 41bis e l’ergastolo ostativo, ha condannato 10 compagni e compagne a un cumulo complessivo di quasi quarant’anni. A tutti e tutte loro va la nostra solidarietà e complicità. Dieci condanne di questa entità sono l’ennesima, sinistra, conferma della progressiva e veloce torsione autoritaria e carceraria dei governi a regime democratico in un contesto di sempre più palese spinta alla guerra dispiegata su scala globale e del conseguente ingabbiamento repressivo che la classe dominante e i suoi apparati repressivi vorrebbero sempre più totale. Una società-carcere a cielo aperto che, se vede nella “mordacchia medievale” del 41bis il suo apice, è resa sempre più tale dai continui salti in avanti repressivi del cosiddetto diritto penale del nemico, passando per uno sfruttamento di terre e popolazioni sempre più brutale, una sorveglianza di massa e una militarizzazione dei territori sempre più capillari, un indottrinamento e disciplinamento sempre più pervasivi. La lotta con e al fianco di Alfredo, per liberare il suo respiro – e quello degli oltre 700 detenuti e detenute al 41bis – dalla tomba del carcere duro e il nostro da questa affumicante cappa pacificata, è stata una boccata d’ossigeno, un piccolo ma necessario slancio oltre le gabbie – fisiche ma soprattutto mentali – imposte dal nemico che aveva segregato un compagno anarchico a un regime di tortura per farne un monito per tutti e tutte coloro che dentro e fuori le mura delle galere ostacolano – con metodi e pratiche al di là e al di fuori degli schemi dati dalle uniche rappresentazioni mediatico-spettacolari consentite – il tranquillo svolgimento dei piani di riassetto del capitale in incessante ricerca di risorse e manodopera vitali alla sua rigenerazione, con dietro e davanti a sé un abisso di morte e devastazione. Fare il possibile, fare il necessario, in quei mesi voleva anche dire battersi contro i dispositivi di sbarramento dello stato e della sua polizia e provare a rispedire indietro un poco della violenza che quotidianamente viene somministrata dai suoi servi con e senza divisa, a Milano, a Torino, a Roma, a Trieste e ovunque ci fossero le forze per farlo. Quel pomeriggio c’eravamo e ci saremo ancora, anche solo per interrompere per qualche ora lo svolgersi di una normalità che si vorrebbe già scritta, l’inesorabilità della vendetta di Stato. Anche solo per ribadire che – come dimostrano la resistenza palestinese, i renitenti e i disertori di tutte le guerre, i prigionieri in lotta nei Cpr e nelle carceri, gli insorti in ogni luogo – c’è chi continua e continuerà a ribellarsi e lottare scegliendo di non sottomettersi alla società e al mondo che ci si profila all’orizzonte. Con Alfredo Cospito Con tutti i compagni e le compagne prigionieri e in ogni forma privati della libertà Fuoco a tutte le galere Compagni e compagne a nordest
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Luca libero, Palestina libera!
Riceviamo e diffondiamo queste righe in solidarietà con Luca: Ci sono poche scelte che oggi hanno un peso così importante quanto quella antimilitarista. Ancora meno sono i posizionamenti tanto necessari quanto quello al fianco del popolo palestinese. Il nostro compagno Luca è stato tratto in arresto e posto ai domiciliari venerdì 13 giugno con l’accusa di aver partecipato attivamente ad un corteo antimilitarista al fianco del popolo palestinese, a Cagliari. Sono tante le lotte che ci hanno visti fianco a fianco, sono innumerevoli i motivi che continuano ad indicarci da che parte stare. Quella che ha scelto il nostro compagno, quella che abbiamo scelto insieme, quella che spesso ci fa percorrere sentieri scoscesi invece di adeguarci a strade comode. Luca ha vissuto con noi, ha percorso quei sentieri con noi e non lo lasceremo solo. Perché chi lotta per la libertà prima o poi si incontra, e continuerà ad incontrarsi. Luca libero Palestina libera Morte allo Stato e ai suoi difensori armati Con il pensiero a Paolo Todde in sciopero della fame Sempri ainnantis Anarchiche e anarchici di Trento e Rovereto
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The TRUMAN Show. L’università di Trento collabora anche con Israel IBM
Non c’è pace per il rettore dell’Università di Trento, Flavio Deflorian. Dopo che l’Assemblea trentina in solidarietà alla resistenza palestinese è andata a cantargliele chiare sulle sue false dichiarazioni in merito all’interruzione dei rapporti con le università israeliane, una chiara denuncia arriva adesso direttamente da docenti e ricercatori della stessa università: l’ateneo di Trento collabora, all’interno di un progetto chiamato “Truman”, con la divisione israeliana di IBM (IBM! L’azienda che ieri forniva le sue schede perforate per i lager nazisti, e che adesso fornisce i suoi sistemi informatici allo Stato genocida d’Israele!). Qui le puntate precedenti: https://ilrovescio.info/2025/06/04/trento-lo-sciopero-per-la-palestina-stana-il-magnifico-rettore-deflorian/ https://ilrovescio.info/2025/06/11/luniversita-trentina-e-la-guerra-giu-la-maschera-deflorian/ Qui un articolo tratto da un giornale locale su quest’ultima vicenda, contenente svariate informazioni sul ruolo di IBM nell’apartheid e nel genocidio dei palestinesi: https://www.iltquotidiano.it/articoli/nuova-collaborazione-tra-luniversita-di-trento-e-unazienda-israeliana-scoppia-la-polemica/ Qui un testo dell’Assemblea in solidarietà alla resistenza palestinese di Trento, aggiornato a quest’ultima “scoperta”: DEFLORIAN PARLA MA TACE SULLE COLLABORAZIONI IN CORSO A quasi due anni dal suo inizio, l’enormità del genocidio a Gaza è diventata innegabile. In questo frangente rompe il silenzio dietro cui si era trincerato il rettore dell’Università di Trento, Flavio Deflorian. Con un editoriale per il giornale online Unitrento Mag, sulla spinta del partecipato corteo arrivato sotto al Rettorato il 30 aprile in occasione dello sciopero provinciale contro il genocidio, Deflorian smentisce categoricamente le accuse mosse a lui e all’Ateneo di complicità col genocidio («aberranti calunnie»). Al contrario ci informa che l’Ateneo è «per la Palestina» e che «ha cercato di sostenere concretamente il popolo palestinese». In che modo? Fornendo «supporto alla didattica universitaria da remoto», ovviamente «finché è stato possibile», istituendo un dottorato sui “Peace Studies” e promuovendo «incontri sul tema della pace». Le collaborazioni con le «istituzioni di ricerca e formazione israeliane», continua Deflorian, sono al momento inattive, anche se lui spera di «poter[le] riprendere in futuro». E in ogni caso ci rassicura, si è sempre trattato di «collaborazione culturale e scientifica su temi di pace». Probabilmente Deflorian, così preso dagli impegni del suo ruolo, saranno sfuggite alcune di queste collaborazioni. Facile scordarsi di un progetto dal nome “Safe U-Comm”, per lo sviluppo di comunicazioni subacque in ambito militare, portato avanti da ricercatori Italia, Canada, Regno Unito e per l’appunto Israele, con il supporto della NATO. Un progetto che ha visto coinvolto per Trento il Manta Lab del Disi (Dipartimento di Ingegneria e Scienze dell’Informazione) e che si è concluso nel 2024, nel pieno dei bombardamenti su Gaza. Uno dei sei progetti che vedono coinvolte istituzioni trentine di cui si trova traccia nel portale dell’Università di Haifa. Ma si potrebbe dire che il passato è passato, bisogna guardare all’oggi e al futuro. E guarda un po’, oggi il professor Paolo Casari del Disi che si occupava di “Safe-U-Comm” dirige un altro progetto, SHIELD, sempre sulla sicurezza militare delle comunicazioni sottomarine, sempre coi finanziamenti NATO, questa volta con la partecipazione di cinque paesi: Italia, Canada, Regno Unito, Croazia e… Israele! Un progetto quello di SHIELD iniziato a marzo 2025 e che si concluderà nel febbraio 2028 (un informazione visibile ad oggi sul sito del Manta Lab). Mentre inizierà il 1° luglio un altro progetto che coinvolge il Disi: TRUMAN, legato allo sviluppo dell’IA, di cui è responsabile Fausto Giunchiglia e che ha tra i partner IBM Israel. La presenza di IBM Israel, che fornisce tecnologie di schedatura funzionali al controllo dei palestinesi e collabora attraverso una sussidiaria con l’esercito israeliano, ha fatto sì che stia circolando tra i dipendenti di Unitn una raccolta firme per chiedere lo stop al progetto. Deflorian lo ha detto anche a Casari e a Giunchiglia che non ci sono collaborazioni tra Unitn e l’accademia israeliana? Anche questi progetti rientrano nei «temi di pace» di cui scrive Deflorian? Ma, lasciando stare i singoli progetti – di cui evidentemente il rettore non è informato – ci sono vari dati di fatto che consolidano l’immagine dell’Università come “luogo di guerra”, su cui Deflorian elegantemente sorvola nel suo editoriale. Non solamente la sua personale partecipazione a MedOr, fondazione “culturale” di Leonardo, da cui è uscito in sordina proprio dopo le proteste. Si tratta più in generale della presenza dentro l’Ateneo di Leonardo stessa e di altre aziende belliche (Iveco Defence, Fincantieri…). Aziende che finanziano e partecipano ai programmi di dottorato, che presenziano agli eventi di orientamento post-laurea come il Career Fair, che sponsorizzano il Festival dell’Economia co-organizzato da Unitn. Contro questa presenza ci sono stati negli ultimi anni presidii, cortei, scioperi e anche due occupazioni dell’università. Un’opposizione portata avanti da più realtà, da tutti e tutte coloro che non hanno voluto restare testimoni passivi di un genocidio e che come gesto concreto hanno deciso di andare a puntare il dito sulle collaborazioni tra Occidente e colonialismo d’insediamento israeliano. Troppo comodo, come fa nel suo testo Deflorian, dire che lui e l’Ateneo sono colpevoli al pari di tutti delle «tragedia» in atto: in questi due anni c’è stata certamente «l’ignavia» di chi non ha fatto niente, ma soprattutto l’aperta di complicità di chi ha continuato a fare quello che faceva prima e ha ostacolato chi cercava invece di fare qualcosa. Le istituzioni europee, italiane e trentine sono attori di questa tragedia nella misura in cui hanno instaurato legami e continuano ad averne con il colonialismo d’insediamento israeliano. Se Unitn appende teli bianchi per coprire le proprie responsabilità, bisogna invece continuare a scrivere nero su bianco sugli striscioni che Unitn continua a essere complice di genocidio e un ateneo che va alla guerra. Deflorian vuole che si smetta di associare il suo nome e quello dell’Università di Trento al genocidio e alla guerra? Si adoperi allora per la cessazione immediata di tutti i progetti e le collaborazioni tra Unitn e Israele, nonché per l’uscita di tutte le aziende belliche dai dipartimenti, fornendone prove ben più solide delle sue fumose dichiarazioni. Mentre lo Stato israeliano annega nel sangue che ha versato e, attaccando l’Iran, si adopera per arrivare a una guerra mondiale, riprendiamo con forza l’opposizione alle collaborazioni trentine col genocidio e colla guerra, come forma concreta di solidarietà alla resistenza palestinese e come opposizione al riarmo! 16 giugno 2025 Assemblea di solidarietà con la resistenza palestinese In pdf: Risposta a Deflorian RIVISTO  
Rompere le righe
Stato di emergenza
Sardegna: arrestato un compagno a seguito di una manifestazione antimiltarista
Riceviamo e diffondiamo, mandando un abbraccio solidale a Luca: CUNCORDANT SA GHERRA SI SPANTANT PO UNU GUETU Poche ore fa un nostro compagno è stato posto agli arresti domiciliari. La DIGOS lo ha fermato in macchina e dopo le pratiche di rito tra questura e scientifica lo ha accompagnato nel suo domicilio, con le consuete restrizioni. Come al solito grande coordinazione tra questura e “Unione sarda”, che ancora prima che l’avvocato potesse raggiungerlo già pubblicava un articolo on-line. L’ accusa è quella di aver esploso un petardo in una manifestazione svoltasi al porto di Cagliari qualche settimana fa, per protestare contro la presenza di navi militari in città, navi presenti nelle acque sarde per l’esercitazione Joint stars, navi che esportano la guerra nel mondo. Il petardo avrebbe ferito lievemente un agente della Digos, che – probabilmente piagnucolando – è riuscito a farsi refertare ben due settimane di prognosi, peccato che tre giorni dopo il corteo sgambettasse in città per effettuare le perquisizioni. L’esito di quella perquisizione è risultato negativo. Lo stesso giorno è stata perquisita anche l’Officina Autogestita Kasteddu, dove invece sono stati rinvenuti 7 petardi che oggi pare siano diventati il motivo per cui il GIP ha firmato le misure cautelari. Nasce spontaneo chiedersi come abbia fatto un GIP ad attribuire proprio a Luca il possesso di quei 7 petardi trovati in un luogo collettivo attraversato da molte persone. Nasce spontaneo anche chiedersi se sia casuale che il giorno dell’arresto sia oggi, cioè alla vigilia del corteo di Decimomannu previsto per domani alle 15. In uno Stato in cui la guerra e il riarmo diventano un’economia fiorente suona bizzarro condannare una persona per aver forse esploso un petardo davanti a delle navi piene di missili. Ma ormai siamo abituati alle tortuosità della legge dello Stato italiano e alle interpretazioni che giudici e magistrati ne danno. Le forzature sono ormai un’abitudine, e il processo Lince è la forzatura più evidente fra i processi a noi vicini: 40 persone imputate, alcune con accuse di terrorismo, per aver bloccato delle esercitazioni e tagliato delle reti. Pochi giorni fa è diventato legge il nuovo Decreto sicurezza che sancisce un altro evidente passo verso la repressione e la criminalizzazione di qualunque tipo di dissenso. Come tante altre volte, non ci interessa sapere se un compagno abbia lanciato o meno un petardo, chiunque lotti per la liberazione della nostra terra dall’oppressione ha il nostro pieno sostegno e complicità. Nello scenario di guerra attuale, che ha visto oggi l’ennesima prova di forza di Israele, mentre continua il genocidio in Palestina e il dissenso preoccupa più della guerra stessa, la migliore risposta a questo attacco repressivo la possiamo già dare domani, al corteo di Decimomannu. Andiamoci in tanti e tante, con più determinazione che mai, mostrando a polizia e giudici che le lotte non si fermano. ND’ ACAPIANTA UNU SI FURRIANTA IN MILLI SEMPRE DALLA PARTE DI CHI LOTTA. LUCA LIBERO CASSA ANTIREPRESSIONE SARDA I COMPAGNI E LE COMPAGNE DELL’OFFICINA AUTOGESTITA KASTEDDU [ricevuto il 15 giugno 2025]
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Milano, 17 giugno: Prevista la sentenza per il corteo in solidarietà ad Alfredo Cospito. Giornata di mobilitazione
Riceviamo e diffondiamo: Il 17 giugno ci sarà la sentenza del processo per il corteo dell’11 febbraio 2023, contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo, per cui sono state richieste condanne che vanno dai 6 mesi ai 6 anni per undici nostrx compagnx. NON LASCEREMO NESSUNX DA SOLX Per questa giornata chiamiamo due appuntamenti per esprimere la nostra solidarietà ai compagnx e ribadire che quel giorno c’eravamo tuttx e che continueremo a lottare contro questo mondo fatto di miseria, guerre e prigioni! Ci vediamo MARTEDÌ 17 GIUGNO alle 9 IN PRESIDIO AL TRIBUNALE DI MILANO (ingresso corso di porta Vittoria) alle 19 ALLE COLONNE DI SAN LORENZO AL FIANCO DI ALFREDO ANCORA IN 41 BIS AL FIANCO DI CHI LOTTA DENTRO E FUORI LE PRIGIONI FUOCO ALLE GALERE FUOCO AI TRIBUNALI
Iniziative
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Faciteve ‘e cazze vuoste! A Napoli trovate microspie nelle auto di due compagne
Riceviamo e diffondiamo: Faciteve ‘e cazze vuoste! Trovati a Napoli nelle macchine di due compagne dei dispositivi BO8CH composti da 2 microfoni + GPS collegati a scheda sim della Tim, ben infilati sotto la tappezzeria delle auto lato passeggero e alimentati tramite cavo alla batteria della macchina. Alle orecchie impiccione che ci hanno ascoltato possiamo solo dire che ciò che più ci indispone è l’aver elargito le nostre spassosissime playlist musicali concedendo attimi di gioia alle vostre noiose vite infami. [nella foto il reperto]
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