Piantedosi contro gli scioperi, anche i picchetti diventano reato

Osservatorio Repressione - Thursday, September 26, 2024

Nella sua foga di sorvegliare e soprattutto punire chi manifesta, il ddl 1660 contiene anche un attacco al diritto di sciopero. Lo dice, quasi come se niente fosse, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che ieri è intervenuto al question time della Camera.

di Mario Di Vito da il manifesto

Rispondendo a un’interrogazione (prima firma: Maurizio Lupi) sui blocchi nei centri logistici della grande distribuzione, l’uomo del Viminale, il ministro di Polizia Piantedosi,  ha spiegato che verrà introdotto un nuovo reato sulla base del quale «colui che impedisca con il proprio corpo la libera circolazione su strada ordinaria o ferrata commette un delitto, e non più un illecito amministrativo. Di più: se a farlo sono «più persone» è prevista la reclusione da sei mesi a due anni.

Il tema giuridico, già spesso dibattuto in passato, riguarda il picchettaggio, pratica tendenzialmente legittima salvo nei casi in cui si verifichino violenze o minacce contro chi non vuole aderire allo sciopero. In queste circostanze, di solito, i reati che vengono contestati sono quelli di violenza privata e, talvolta, di resistenza a pubblico ufficiale. Il concetto di fondo è che non si può ledere il diritto all’autodeterminazione altrui.

Fino a qui tutto bene: la giurisprudenza è chiara e di processi per risolvere i casi più controversi se ne fanno abbastanza. Il problema è che quanto annunciato da Piantedosi rende un reato quello che prima equivaleva a un illecito amministrativo, andando in sostanza a punire anche chi non compromette le volontà degli altri.

Il ministro, rispondendo a Lupi, l’ha messa così: «È certamente mia intenzione richiamare l’attenzione delle autorità di pubblica sicurezza su tutte le attività di carattere preventivo, anche in termini di mediazione, per scongiurare gli episodi di compromissione dei diritti delle imprese e dei lavoratori». Il dito è puntato contro gli scioperi nella logistica («complessivamente 240» dall’inizio dell’anno). «Anche nel recente passato sono state numerose le proteste organizzate a ridosso delle più importanti piattaforme distributive, in molti casi realizzate senza alcun preavviso – ha aggiunto Piantedosi -, queste proteste sono state caratterizzate anche da momenti di tensione con le forze di polizia, blocchi agli accessi dei siti industriali e rallentamenti delle attività produttive».

Gli organizzatori sono sempre gli stessi: «le organizzazioni sindacali di base, in particolare Si Cobas».

Il punto qui è politico, perché il sindacato di base non partecipa alle trattative per il rinnovo del contratto di categoria e utilizza la formula dei picchettaggi per cercare di far pesare la propria posizione.

Tra gli altri argomenti trattati da Piantedosi durante il question time, si segnala un lungo capitolo dedicato alla gestione delle manifestazioni di piazza. Il ddl 1660 prevede sì l’uso delle body cam da parte degli agenti, ma in ogni caso non saranno accompagnate dai numeri identificativi sulle divise. Sostiene il ministro che «non è da ritenersi sussistente» l’argomento della riconoscibilità degli agenti perché «nell’ordinanza di servizio emanata dal questore» già è indicato «il funzionario di pubblica sicurezza responsabile della direzione del servizio e anche gli addetti ai singoli settori di impiego».

E in ogni caso, dice ancora Piantedosi, «sono gli stessi operatori, quando occorre, a collaborare per la propria identificazione». E così anche le body cam non sono da intendere come un mezzo per controllare gli eventuali episodi di violenza indiscriminata contro i manifestanti, ma come il risultato di una richiesta fatta dagli stessi agenti «a garanzia della trasparenza del proprio operato». Perché, nonostante le cronache e le inchieste giudiziarie c’è alcun problema con le manganellate e l’obiettivo resta quello di «proteggere i cittadini e gli stessi operatori di polizia dalle azioni violente che spesso vengono poste in essere dalle frange estreme di manifestanti».

I sindacati di polizia, in tutto questo, non sembrano aver molto da dire sul ddl sicurezza, impegnati come sono nella riapertura del tavolo con il governo sulla previdenza dedicata. Una promessa antica fatta da Meloni agli uomini e alle donne in divisa. Ancora però sprovvista di leggi attuattive.

 

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