A Napoli la polizia attacca il picchetto operaio alla GLS e ferma il
coordinatore provinciale del SI Cobas, Peppe D’Alesio
da pungolo rosso
Gravissimo quanto successo nella mattinata di mercoledi 29 gennaio a Napoli,
giornata in cui in tutta Italia si sono moltiplicati gli scioperi a seguito
dell’apertura dello stato di agitazione in tutte filiere Fedit (SDA, BRT, GLS).
In questo momento, Giuseppe D’Alesio, coordinatore provincia di Napoli e
Caserta, è in Questura dopo che la celere ha sgomberato il picchetto operaio
fuori la GLS di Gianturco.
Da più di un mese e mezzo il SI Cobas sta lottando fuori ai cancelli GLS per il
reintegro dei 50 licenziati di Napoli, i quali sono stati buttati fuori dal
franchising TEMI (gruppo Tavassi) solo per aver detto basta al
super-sfruttamento e alla totale precarietà lavorativa, rivendicando la piena
applicazione del Ccnl così come hanno fatto quindici anni fa i lavoratori della
logistica quando si sono organizzati nel SI Cobas.
Il nostro sostegno a questa battaglia, fondato sulla giustezza delle ragioni di
questi lavoratori e fuori da ogni calcolo di bottega, nel corso di queste
settimane si è sempre accompagnato alla ricerca di un dialogo costruttivo con
GLS e con Fedit, affinché queste ultime si adoperassero per portare al tavolo
l’azienda Temi con la quale ha un intreccio commerciale fondamentale e si
individuassero soluzioni accettabili per entrambe le parti in conflitto.
In questo mese e mezzo abbiamo invece assistito al totale disinteresse sia di
GLS (trinceratasi dietro lo schermo di una presunta impossibilità ad intervenire
su un proprio franchising) sia di Fedit, la quale non è mai andata realmente al
di là di un’ipotesi di buonuscita per tutti i licenziati non svolgendo come nel
passato un forte ruolo mediazione con il sindacato.
Ciò ha determinato una radicalizzazione dello scontro, a malapena frenato dalla
Prefettura di Napoli, la quale ha convocato ben 9 incontri tra le parti nel
tentativo di individuare una soluzione alla vertenza, alle quali GLS non si è
mai presentata e TEMI si è limitata a fare da spettatore, lasciando al proprio
fornitore il compito (e l’onere istituzionale) di mantenere il pugno di ferro
contro i licenziati.
In realtà, questa lunga e difficile vertenza si inserisce in un clima di
sistematica chiusura delle aziende in franchising della GLS che non hanno
accettato di applicare l’accordo sul premio natalizio (vedi Brescia e
Siena).Tutto ciò si inserisce in un contesto generale che vede da un lato il
sostanziale peggioramento delle condizioni di tutti i lavoratori del trasporto
merci e logistica, grazie a un rinnovo del Ccnl che da un lato non recupera
neanche la metà del potere d’acquisto perso in questi anni a causa
dell’inflazione, dall’altro aumenta la precarietà attraverso l’innalzamento
delle soglie per l’utilizzo di manodopera in somministrazione, cioè il
principale strumento di ricatto usato dai padroni per minare l’unità degli
operai e indebolire la forza del sindacato nella contrattazione.
D’altro canto, stiamo assistendo in questi mesi a una chiara volontà da parte
dei 3 corrieri appartenenti a Fedit (SDA, BRT, GLS) di mettere in discussione le
conquiste strappate dai lavoratori negli ultimi anni: gli accordi-quadro di
secondo livello, che hanno permesso a migliaia di lavoratori in tutta Italia di
ottenere il riconoscimento dei ticket, dei passaggi automatici livello in base
all’anzianità, dei premi di risultato, del pagamento di indennità di disagio per
i turni spezzati, ecc., sono ormai scaduti e non è stata manifestata alcuna
volontà da parte padronale di procedere a un loro rinnovo ed adeguamento,
tuttalpiù l’intenzione è quella di spostare sui fornitori le totali
responsabilità contrattuali.
Chiaramente ciò frazionerebbe la forza dei lavoratori in tante situazioni.
Per questo, in questi giorni, l’azione di lotta nella filiera della Gls si è
rafforzata affinché si risolvano in particolar modo i problemi relativi ai
licenziamenti dei nostri compagni di Napoli e contemporaneamente apriamo uno
stato di agitazione con una prima giornata di lotta nei magazzini di Sda e
Bartolini in solidarietà a quelli di Gls a significare alla Fedit che assuma un
ruolo più attivo e positivo per la soluzione della vertenza su Napoli ma anche
per ritornare ad un confronto centrale per rinnovare i contratti di secondo
livello stabiliti con il SI Cobas.
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Tag - lotte sindacali
Si terrà venerdì 24 il processo che vede imputati attivisti e solidali della
campagna denominata “Mai più sfruttamento stagionale”: un procedimento penale
iniziato quattro anni fa, nel corso di un volantinaggio a Rimini in occasione
della “Notte Rosa”; per questa iniziativa furono denunciati in tre, tra
attiviste e attivisti solidali con la campagna anti sfruttamento.
di Slang-Usb
L’evento del turismo riminese che si ripete ogni estate dal 2006, è una cartina
di tornasole del modello turistico della riviera, con aperture fino a tardi di
locali ed eventi diffusi su tutta la provincia che portano aumento ulteriore
dello sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici stagionali.
Dalla nascita della campagna denunciamo questo evento come emblematico dello
sfruttamento in riviera, una auto-promozione fortemente voluta dalle istituzioni
locali in totale accordo con il mondo dell’impresa turistico-balneare.
Evento che propone l’idea di un turismo armonioso e maschera le reali
contraddizioni che attraversano il settore, a partire dalla condizione di chi
ogni anno si trova a lavorare in nero e grigio, con bassi salari, per sempre
meno settimane all’anno.
Questa kermesse del turismo locale è da noi sempre stata contestata con forza e
ripetutamente, ed ha trovato sostegno in molti lavoratori e lavoratrici del
settore che chiedono aumenti salariali, rispetto della turnazione e dei giorni
di riposo, ed emersione dal grigio e dal nero.
Perciò esprimiamo la nostra solidarietà agli attivisti e le attiviste che
affronteranno il processo questo venerdì 24 gennaio.
Mai più sfruttamento stagionale / Slang-Usb
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La multinazionale del lusso Montblanc ha chiesto alla sezione civile del
Tribunale di Firenze il “daspo antisindacale per mettere il bavaglio ai
lavoratori”.
Lo ha denunciato il sindacato di base Sudd Cobas. Se il Tribunale accogliesse la
richiesta, a lavoratori e lavoratrici Sudd Cobas sarebbe vietato manifestare nel
raggio di 500 metri dal negozio di via Tornabuoni a Firenze, pena sanzioni da
5.000 euro.
Il 6 febbraio l’udienza nella quale il giudice deciderà sulla “domanda di
urgenza” presentata dal brand, dove le lotte di lavoratori e lavoratrici Sudd
Cobas hanno fatto emergere le condizioni di pesante sfruttamento e la
“delocalizzazione puntitiva messa in atto contro la loro sindacalizzazione”.
Montblanc è un’azienda tedesca con sede ad Amburgo, nota in particolare per la
produzione di penne, orologi, gioielli e pelletteria di lusso. In seguito alle
denunce di Sudd Cobas, che ha evidenziato tra l’altro turni da 12 ore al giorno
e salari da fame, l’azienda ha risposto “di non avere alcuna responsabilità,
neppure indiretta”.
Ai microfoni di Radio Onda d’Urto, per raccontare della vertenza, Luca Toscano
coordinatore Sudd Cobas. Ascolta o scarica
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In queste ore è arrivato un ordine di carcerazione domiciliare di due anni per
il referente Si Cobas di Modena, Enrico Semprini.
Tale ordine riguarderebbe una condanna collegata alle lotte No Tav ed alla
partecipazione ad alcune iniziative di solidarietà
Il compagno non ha ottenuto di espiare la pena utilizzando i servizi sociali a
seguito delle denunce per gli scioperi e per l’attività svolta col nostro
sindacato al fianco di operai/e.
Da anni rispondiamo colpo su colpo all’arsenale repressivo che Stato e padroni
scagliano contro le lotte dentro e fuori i magazzini che conduciamo senza tregua
evidenziando la l’escalation repressiva in atto.
In particolare da mesi indichiamo nel ddl 1660 un tassello di questo processo.
La “legge-manganello” da Stato di polizia con la quale il governo vuole
“regolare i conti” con le lotte operaie e tutte le realtà ed esperienze di lotta
in corso e creare gli strumenti giuridici necessari per stroncare sul nascere i
futuri, inevitabili conflitti sociali. La sempre più marcata tendenza alla
guerra sul fronte esterno richiede sul fronte interno un contesto sociale
pacificato, e a questo “lavorano” tutti gli apparati dello stato.
SOLIDARIETÀ AD ENRICO! RISPONDIAMO UNITI CONTRO LA REPRESSIONE
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Sindacalisti sotto attacco della magistratura per le proteste e manifestazioni
avvenute nel rispetto della Costituzione. Un’azione di repressione di lotte
cruciali, quelle della logistica, che saranno rese molto più pesanti dal Ddl
Sicurezza in discussione al Senato
di Leonardo Bison da Jacobin Italia
Un numero alto, enorme, che pure nessuno si era arrischiato a quantificare. Lo
ha fatto lo studio milanese dell’avvocato Eugenio Losco, affidandolo a LaPresse.
È il numero di sindacalisti indagati o imputati, negli ultimi anni, per proteste
o manifestazioni avvenute in ambito sindacale. Lo studio, specializzatosi dal
2016 in poi nella difesa di operai e esponenti sindacali nel settore della
logistica, ne ha contati circa tremila, solo nei territori seguiti: in
particolare Milano e Piacenza, ma anche Bologna, Alessandria, Pavia, Brescia,
Novara, Mantova, Cremona, Bergamo. Significa che il numero totale italiano è
molto più alto: almeno 500 le denunce arrivate nello stesso lasso di tempo in
territorio emiliano, tra Modena e Parma; almeno 200 – solo dal 2018, quando sono
iniziati gli scioperi con blocchi merci anche lì – nel distretto industriale
(tessile e mobilifici) tra Firenze, Prato e Pistoia. Dunque a livello nazionale,
in meno di dieci anni, possiamo contare circa quattromila sindacalisti o operai
indagati o mandati a processo per azioni commesse nell’ambito di scioperi e
manifestazioni. Centinaia e centinaia di procedimenti ancora in corso.
«Attualmente sto seguendo 300 procedimenti penali», ha chiarito Losco.
Numeri impressionanti, diffusi alla vigilia del convegno «Lotta sindacale:
diritto o delitto?», organizzato dall’associazione di giuslavoristi Comma 2 e
tenutosi venerdì 22 novembre a Piacenza. Ma che da soli rischiano di non dire
abbastanza. Soprattutto nel momento in cui al Senato è in discussione il Ddl
1660, cosiddetto Ddl sicurezza, che quei numeri rischia di peggiorarli
ulteriormente.
Fino al Ddl Sicurezza
Come ci siamo arrivati? Da quando i sindacati di base, in Emilia e non solo,
hanno ricominciato sistematicamente a utilizzare il blocco delle merci e il
picchettaggio come mezzo di mobilitazione, l’utilizzo delle denunce – ma anche
di altri mezzi meno normati, come i fogli di via o gli ammonimenti – è diventato
altrettanto sistemico, come già raccontava Jacobin qualche anno fa. Scioperi di
mesi e mesi, sgomberi non di rado a forza di manganelli, nuovi picchetti, che
creavano e creano il panico e danni evidenti, milionari, per le aziende della
logistica – settore non delocalizzabile, il cui fatturato è passato dai 71
miliardi del 2009 ai 112 del 2023 – e conseguente raffica di denunce, per reati
quali resistenza a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata, violenza
privata, sabotaggio e, dal 2018 (anno del decreto Salvini), blocco stradale.
Spesso i comunicati stampa recitavano più o meno così: «Nella giornata di ieri
sono stati denunciati dal Commissariato di Polizia di Stato di Carpi, per il
reato di violenza privata, due sindacalisti dei Si Cobas, e quattro operai. I
fatti risalgono al 2017, quando i sei soggetti hanno effettuato un presidio non
preannunciato davanti ai cancelli della ditta di trasporti Ups. I manifestanti
avevano bloccato l’accesso e l’uscita dei mezzi diretti ai magazzini/logistica
dalle ore 16.00 alle ore 22.00. Questo blocco dell’attività lavorativa, mai
autorizzato, ha messo in difficoltà – ancor prima della Ups – gli operai addetti
al carico scarico merci».
Nel dicembre 2023, la Guardia di Finanza ha sequestrato 86 milioni di euro a Ups
per frode fiscale, attraverso quel sistema di appalti fittizi e serbatoi di
manodopera – già riconosciuto dalla procura di Milano dal 2017 in poi in
moltissime altre multinazionali della logistica – che i sindacati denunciavano.
In alcuni casi si è arrivati anche a maxi processi con oltre 80 imputati, come
nei casi di ItalPizza e Alcar Uno, a Modena. Ma, insieme a netti miglioramenti
per i lavoratori – oggi nella logistica il Contratto collettivo nazionale della
Logistica è la norma, dieci anni fa lo era il molto più povero Multiservizi –
arrivano anche montagne di assoluzioni. Nonostante in questi anni le aziende
siano arrivate in alcuni casi a chiedere che il sindacato pagasse i danni
economici legati al calo della produzione dovuta agli scioperi, i tribunali
hanno quasi sempre riconosciuto che queste azioni, nell’ambito dello sciopero,
sono tutelate dalla Costituzione, e che un blocco delle merci non può essere
considerato un sabotaggio industriale.
Ma le denunce continuano a piovere. Poche settimane fa, altre 19 al Si Cobas di
Piacenza, per reati legati alle proteste del 2023 volte ad evitare che circa 370
lavoratori del magazzino Leroy Merlin perdessero il posto dopo l’addio della
multinazionale. La procura ha contestato reati come violenza privata e
sabotaggio, per un’azione che prevedeva un volantinaggio mentre gli operai
riempivano i carrelli della spesa e li lasciavano in mezzo alle corsie. Per la
procura si è impedito «il normale svolgimento del lavoro» recando «minaccia»
agli operatori del centro commerciale a causa della «suggestione emotiva di una
folla in tumulto che inneggia ad una forte protesta».
Condanne contro le lotte
Ciò non significa che il problema in questi anni per i sindacati sia stato solo
quello – non irrilevante – dei migliaia e migliaia di euro l’anno spesi in
avvocati. A maggio 2024 cinque sindacalisti della Cgil di Genova sono stati
condannati in primo grado a pene tra 8 e 14 mesi per il blocco del centro città
e l’occupazione dell’aeroporto di Genova seguita alla minaccia di chiusura dello
stabilimento Ansaldo dell’ottobre 2022. Nel 2022 due dirigenti di Usb sono stati
condannati (con la condizionale) a 4 mesi per le manifestazioni esplose dopo la
morte di un sindacalista ucciso, investito da un tir, durante un picchetto alla
Gls di Piacenza. Nell’aprile 2024 due coordinatori dei Si Cobas sono stati
condannati in primo grado per estorsione, 7 lavoratori per boicottaggio,
nell’ambito degli scioperi al Penny Market di Desenzano del 2018-2019 Solo per
citare alcuni casi in cui, in seguito alla manifestazione «non autorizzata», il
sindacato ha ottenuto quello che chiedeva per lavoratori e lavoratrici, dal
mantenimento dei posti di lavoro all’aumento di salari e sicurezza.
Ci sono stati casi di indagini, in questo senso, più preoccupanti. Nel 2022 a
Piacenza i vertici locali dei Si Cobas e dell’Usb sono stati messi agli arresti
domiciliari con l’accusa di aver creato due diverse associazioni a delinquere, e
aver sfruttato gli operai per ottenere i soldi delle tessere. Il Riesame non
convalidò gli arresti smontando di fatto l’intero impianto accusatorio,
costruito, peraltro, anche con mesi di intercettazioni, e relegando i fatti
descritti a semplici dinamiche sindacali. Già nel 2017, il segretario del Si
Cobas, Aldo Milani, veniva arrestato con l’accusa di estorsione ai danni della
famiglia Levoni, proprietaria di Alcar Uno. La procura di Modena allora diffuse
un video in cui si assisteva al passaggio di una busta con cinquemila euro
durante una trattativa tra Milani e i Levoni. La difesa fu capace di dimostrare
che la persona che prendeva la busta era un consulente dei Levoni, non Milani.
Un dirigente della Digos di Modena, in un’intercettazione, diceva ai Levoni:
«Abbiamo devastato i Cobas a livello nazionale. Sono contento per voi
innanzitutto, voglio dire siete usciti da un incubo, e per noi perché abbiamo
fatto una cosa pazzesca». Milani fu assolto nel 2019 perché il fatto non
sussisteva.
E poi c’è il tema, enorme, dei lavoratori migranti: solo la presenza di una
denuncia penale porta a difficoltà nell’ottenere il rinnovo del permesso di
soggiorno, o la cittadinanza. Un tema che rischia di crescere ulteriormente con
il Ddl 1660. «Si prevede esplicitamente il reato di blocco stradale pacifico,
non violento. Questo, oltre a portare a condanne in più, dopo anni in cui,
contestando la violenza privata, non ci sono riusciti, creerà un deterrente
enorme per i lavoratori extracomunitari, che sono poi la maggior parte di quelli
che hanno bisogno di scioperare», chiarisce Marina Prosperi, giuslavorista di
Bologna che segue i Si Cobas.
Le novità del Ddl 1660
Che il Ddl 1660 sia – anche – contro i sindacati di base della logistica, ormai
è indubbio. Il ministro Matteo Piantedosi già in ottobre, rispondendo a
un’interrogazione parlamentare, ha chiarito che dato che gli scioperi nel
settore sono egemonizzati da sigle che utilizzano i blocchi delle merci,
confliggendo «con il legittimo interesse dell’impresa» di proseguire con il
lavoro, nel nuovo Ddl 1660 è previsto che chi «impedisca anche solo col proprio
corpo» il transito dei veicoli in strada commetterà un delitto, non più un
illecito amministrativo: pena da 6 mesi a due anni se il fatto è commesso in più
persone. Il ministro ha anche spiegato che sarà sua intenzione, con il nuovo
Ddl, «richiamare le autorità di pubblica sicurezza affinché siano rafforzate
tutte le attività di carattere preventivo» per evitare questi blocchi sindacali.
Nel Ddl non c’è solo il reato di blocco stradale pacifico, ma anche l’estensione
dell’uso dei fogli di via e dello strumento del Daspo urbano – facilissimamente
utilizzabili per allontanare leader sindacali da aree di manifestazioni –, o
l’aumento della pena per resistenza a pubblico ufficiale vietando le attenuanti,
tra le altre cose.
«Se passa la legge così com’è, qualche giudice sarà costretto a condannare» in
caso di picchetti sindacali pacifici, ammette con preoccupazione Lorenzo Venini,
avvocato milanese, che come Prosperi riconosce che, nonostante l’enorme numero
di denunce e processi, in questi anni le condanne sono state pochissime. Venini
sottolinea anche il punto dei fogli di via, strumento che il Questore può
adoperare con facilità, e con tempi di ricorso che non permettono di intervenire
efficacemente. «L’utilizzo è aumentato già da anni, da tempo non veniva
utilizzato contro i sindacalisti». Con il Ddl, per la prima volta, arriverebbe
un esplicito rinforzo legislativo. Uno dei tanti temi, insieme alla
preoccupazione per i lavoratori migranti, che agita i giuslavoristi italiani.
Eppure, nonostante questi rischi enormi già esistenti, gli scioperi in questi
anni non sono calati. Anzi si sono allargati, ad esempio al distretto tessile di
Prato, dove i lavoratori pakistani, nonostante una serie di rappresaglie
violente, stanno riuscendo anche in questi mesi a ottenere i diritti di base che
non gli erano concessi: lavorare 8 ore al giorno per 5 giorni a settimana,
godere di misure di sicurezza, ferie, malattia. Prima che arrivasse il sindacato
Sudd Cobas – separatosi l’anno scorso dai Si Cobas – la regola (che ancora vale
per la maggior parte delle aziende del distretto) era il lavoro 12 ore al
giorno, 7 giorni su 7. «Quello che non si capisce è che questi lavoratori, se
sindacalizzati, non hanno paura», mi spiega Sarah Caudiero del Sudd Cobas quando
le chiedo come facciano, nonostante il rischio di perdere documenti e
cittadinanza, a convincerli a scioperare. «Vengono da anni di lavoro in
condizioni di semischiavitù, arrivano da luoghi in cui il livello di violenza è
molto più alto. Ci dicono ‘al mio Paese gli sparano, pensi che abbia paura di
una denuncia?’». Ciò non toglie che, in un paese di diritto europeo, lo sciopero
andrebbe garantito, non perseguito: soprattutto se nello stesso paese esistono
persone che lavorano 12 ore al giorno o prive di qualsivoglia dispositivo di
sicurezza.
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Borrelli Luigi RSU e RLS delegato sindacale dell’USB all’aeroporto di
Montichiari, ha subito un provvedimento disciplinare di sei giorni di
sospensione a seguito delle denunce e delle iniziative sindacali intraprese dai
lavoratori dell’aeroporto civile Montichiari di Brescia contro l’invio di armi
belliche dall’aeroporto civile di Brescia
di USB Lavoro Privato
A seguito delle denunce e delle iniziative sindacali intraprese dai lavoratori
dell’aeroporto civile Montichiari di Brescia negli ultimi mesi, contro l’invio
di armi belliche, contro tutte le guerre e per la tutela della salute e
sicurezza dei lavoratori e della popolazione dei comuni limitrofi all’aeroporto,
oggi pomeriggio la direzione della GDA Handling a seguito della contestazione
disciplinare, ha fatto pervenire al sig. Borrelli Luigi RSU e RLS di USB
all’aeroporto di Montichiari, il provvedimento disciplinare di sei giorni di
sospensione.
Perché tanta violenza?
Un provvedimento disciplinare evidentemente pretestuoso e strumentale, che segue
una contestazione al lavoratore non per le rivendicazioni ma per aver in qualche
modo reso pubblica una situazione di pericolo, “colpire uno per educarne cento”
Questa è la scelta della direzione GDA Handling?
Dare un avvertimento a chi vuole difendere “la missione” civile dello scalo
monteclarense, a chi difende i diritti e la salute e sicurezza dei lavoratori e
dei cittadini dei comuni limitrofi, a chi non vuole essere partecipe e complice
delle guerre che hanno e continuano a produrre migliaia di morti civili,
innocenti.
Montichiari è un aeroporto civile, perché allora si spediscono le armi?
Anche domani potrebbe esserci un volo “segreto”; nuovo invio di armi o pezzi di
esse, con conseguente chiusura dello spazio aereo, un altro aereo che viene
collocato in fondo all’aeroporto, che tutti notano contro ogni dubbio.
Abbiamo chiesto incontro al sig. Prefetto e alle istituzioni senza risposta,
oltre alle interrogazioni parlamentari di AVS e 5 stelle che non hanno ancora
avuto alcuna risposta.
Perché Montichiari deve rischiare di diventare un obiettivo sensibile? Perché si
tiene all’oscuro cittadini e lavoratori?
NON ci fermeremo e non ci faremo mettere nessun bavaglio, NON vogliamo essere
complici e chiederemo al Tribunale ed in ogni altra sede di salvaguardare e
difendere i diritti sindacali del nostro rappresentante e delle lavoratrici e
lavoratori; perché non vogliamo essere complici.
APPELLO: IO STO CON LUIGI
Stanno cercando di mettere a tacere la voce coraggiosa di un lavoratore che da
tempo sta denunciando l’utilizzo ripetuto e sistematico dell’aeroporto civile di
Montichiari di Brescia per la movimentazione di materiale bellico. Gli hanno
comminato tre provvedimenti disciplinari, una multa, sei giorni di sospensione,
ed ora altri 8 giorni di sospensione.
Luigi Borrelli lavora nell’aeroporto di Montichiari da più di vent’anni presso
la GDA HANDLING SPA, un’azienda che fornisce assistenza a terra. Quando si è
accorto che in aeroporto si procedeva ad attività di carico e scarico di
missili, materiale esplosivo ed altri armamenti e che lui e i suoi colleghi
dovevano provvedere a movimentare gli ordigni, spesso senza neanche esserne
consapevoli, ha posto il problema e insieme all’USB, di cui è delegato, ha
informato l’azienda e le istituzioni dell’uso improprio dell’aeroporto civile.
Per tutta risposta l’azienda lo sta sanzionando, contestandogli di rendere note
informazioni riservate che quindi non dovrebbero essere rese pubbliche.
Nell’azienda, nonostante l’USB sia largamente maggioritaria, la direzione si è
sempre rifiutata di riconoscere l’organizzazione più rappresentativa tra i suoi
dipendenti. Luigi è stato eletto come RSU ed è Rappresentante dei lavoratori per
la sicurezza (RLS).
Io sto con Luigi perché sta denunciando l’utilizzo militare di un aeroporto
civile.
Io sto con Luigi perché, in qualità di delegato sindacale e di rappresentante
per la salute e sicurezza sul lavoro, sta difendendo l’incolumità dei suoi
colleghi.
Io sto con Luigi perché sono contro tutte le guerre e non voglio essere complice
di nessuna politica di guerra.
Io sto con Luigi perché ha il coraggio di raccontare la verità.
Sostieni anche tu Luigi, manda una tua foto con cartello a lombardia@usb.it!
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Il preposto di fatto: come penalizzare i lavoratori e renderli penalmente
perseguibili senza assegnare loro effettivo potere rispetto ai datori
Il Tribunale di Udine, chiamato a individuare le responsabilità della morte di
Lorenzo Parelli, studente impegnato nello stage scuola lavoro in una fabbrica,
ha condannato a 3 anni di reclusione l’operaio incaricato quel giorno di
affiancare lo stagista, a 2 anni e 4 mesi il tutor aziendale che in quel giorno
era assente dal lavoro causa covid, patteggiando infine una multa di 23 mila
euro con la proprietà della azienda.
Ora non entreremo nel merito di questa sentenza consapevoli che a pagare non
saranno quanti hanno pensato a questi assurdi stages che dovrebbero partire da
laboratori scolastici moderni, efficienti e funzionanti per essere poi
accompagnati nelle aziende solo ed esclusivamente per acquisire informazioni e
conoscenze senza essere impiegati direttamente nelle attività produttive.
Sarebbe poi da rimettere in discussione proprio lo stage tra scuola e lavoro
alla luce di tante testimonianze dei diretti interessati che evidenziano le
innumerevoli criticità e contraddizioni di questa alternanza.
Ci soffermeremo invece sulla figura del preposto ricordando che in molti luoghi
di lavoro la responsabilità del dipendente in materia di salute e sicurezza
viene anche barattata con briciole salariali o con la promessa di un avanzamento
di carriera.
Ma ancora più numerosi sono i casi nei quali il preposto viene ritenuto tale
anche senza alcun incarico formale, è il cosiddetto preposto di fatto
considerato responsabile in concorso e al pari del datore in caso di infortuni e
morti sul lavoro.
A distanza di un anno dalla sentenza che puniva il Rappresentante dei lavoratori
alla sicurezza giudicandolo parte integrante della sicurezza aziendale quando
invece è, o dovrebbe essere, una figura conflittuale con il datore eletto o
nominato dai lavoratori a tutela della loro salute e sicurezza, qualche
riflessione va fatta proprio sui preposti di fatto
Perché le sentenze in Cassazione fanno giurisprudenza e il lavoratore anziano,
con maggiore esperienza, viene considerato corresponsabile in caso di eventi
infortunistici anche quando esegue ordini e non ha alcun ruolo nella filiera
della sicurezza aziendale. Ci chiediamo come sia possibile in una squadra
operaia che un lavoratore anziano possa interrompere la produzione quando un
gesto del genere potrebbe dare adito a provvedimenti disciplinari, sanzioni e
licenziamento.
Crediamo quindi opportuno che i lavoratori e le lavoratrici siano messi a
conoscenza dei rischi derivanti dal ricoprire il ruolo di preposto sapendo al
contempo che in caso di infortunio il lavoratore anziano potrebbe essere
ritenuto in ogni caso responsabile al pari del datore solo in base alla sua
esperienza e senza mai prendere in esame la mera subalternità ai superiori.
Il preposto, designato o di fatto, deve infatti
1. a) sovrintendere e vigilare sull’osservanza da parte dei singoli lavoratori
dei loro obblighi di legge e in caso di inadempienza informare subito i
superiori;
2. b) verificare che solo i lavoratori formati siano presenti nei luoghi di
lavoro senza avere alcuna opportunità di appurare la effettiva presenza
degli stessi ai corsi formativi (e in assenza di corsi resta del tutto
impotente);
3. c) richiedere l’osservanza delle misure intimando l’abbandono del posto di
lavoro o la zona pericolosa salvo poi non essere minimamente tutelato in
caso di ritorsione del datore di lavoro per avere bloccato una produzione;
4. d) informare i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e
immediato anche se non è nel suo potere chiedere e ricevere immediatamente
dpi, non è nelle sue possibilità suggerire cambiamenti produttivi a tutela
della salute sua e dei colleghi
Il preposto di fatto salva allora i datori dalle loro responsabilità in caso di
infortuni e incidenti sul lavoro. Sarà il caso di rivedere le normative evitando
di riproporre logiche formali e senza sostanza a giustificare il crescente
disimpegno datoriale in materia di salute e sicurezza.
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Nuova aggressione a un operaio pakistano che aveva denunciato al Sudd Cobas
turni di 12-14, lavoro nero e abusi di ogni genere da parte di un’azienda di
confezionamento di divani a Quarrata, gestita da imprenditori cinesi. Scioperi e
manifestazioni anche in altre due ditte riconducibii alla stessa proprietà
di Riccardo Chiari da il manifesto
“Sappiamo che sei stato al sindacato”. E giù bastonate, alle braccia e al volto,
a un operaio pakistano di 22 anni che aveva denunciato al Sudd Cobas turni di
12-14 ore al giorno, lavoro nero e abusi di ogni genere da parte dell’azienda e
del caporale che ne gestisce la forza lavoro. Questa volta è successo a
Quarrata, ai confini occidentali del “distretto parallelo” del settore del
pronto moda, del tessile e delle confezioni, perlopiù a conduzione cinese, che
si è via via allargato in tutta la Piana fiorentina, pratese e pistoiese.
La risposta dei lavoratori e del sindacato di base non si è fatta attendere.
Dopo che Tahla, l’operaio aggredito, si è fatto medicare (sette i giorni di
prognosi) al pronto soccorso dell’ospedale Santo Stefano di Prato, sotto
l’azienda Vot International è partita la contestazione: “Sciopero, sciopero.
Toccano uno, toccano tutti”. La mobilitazione non ha riguardato solo la Vot
International, dove si confezionano divani. Anche in altre due aziende del
pistoiese, riconducibili agli stessi proprietari, i lavoratori sono entrati in
agitazione e hanno incrociato le braccia.
Il sindacato di base ricorda che l’azienda di Quarrata “è stata oggetto
recentemente di controllo da parte dell’Ispettorato del lavoro, che aveva avuto
modo di riscontrare diverse irregolarità. Ma lo sfruttamento in fabbrica è
proseguito già dal giorno dopo il controllo, proprio come avveniva prima”.
Appena quattro giorni fa il Pd di Prato aveva organizzato la sua assemblea
provinciale a Seano, dove all’inizio del mese c’era stata un vera e propria
aggressione squadrista a un presidio di protesta nell’ambito dello Strike Day,
mobilitazione messa in cantiere dal Sudd Cobas per chiedere il rispetto dei
contratti collettivi nazionali di settore e orari regolari di lavoro, 40 ore la
settimana e non 70 come molto spesso accade nella maggior parte delle aziende
del comprensorio.
Nell’occasione il segretario pratese dei dem Marco Biagioni aveva lanciato un
appello: “Siamo chiamati a fare tutti gli sforzi possibili per salvaguardare il
distretto e le tante imprese che operano nella legalità, combattere la
concorrenza sleale, tutelare chi lavora. Non ci voltiamo dall’altra parte: il
fenomeno dello sfruttamento nel nostro territorio esiste, va riconosciuto e
combattuto con tutte le nostre forze”.
Impietosa l’analisi della situazione: se in Toscana oltre il 9% dei lavoratori è
irregolare, nella Piana della Toscana centrale la percentuale del lavoro nero,
grigio e a cottimo si alza in maniera impressionante. Di qui l’esigenza di
contrastare l’illegalità e lo sfruttamento con maggiori controlli, come ha
scandito il presidente regionale Eugenio Giani: “Occorre una forte azione di
controllo da parte delle forze dell’ordine, così come già avvenuto anche in
passato grazie al progetto ‘Lavoro sicuro’”.
Al tempo stesso, visto che i soli controlli non bastano almeno a giudicare dalla
puntuale denuncia del Sudd Cobas, dall’assemblea dem è emersa anche la
necessità, quanto mai urgente, di incentivare la formazione dei lavoratori,
quasi tutti migranti, assicurando loro i più elementari diritti civili e sociali
a partire dalle regolarizzazioni. In parallelo, il Pd propone di “sostenere la
buona impresa anche attivandoci per offrire sgravi fiscali a chi assume
lavoratori che hanno presentato denunce di sfruttamento”.
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Assalto di stampo mafioso al picchetto degli operai pakistani e del sindacato di
base Sudd Cobas, quattro feriti. “La prossima volta vi spariamo”. In risposta
scioperi del turno di notte degli operai migranti del “distretto parallelo”, e
domenica manifestazione davanti ai cancelli dell’azienda dove si stava svolgendo
il presidio di protesta. “Lottiamo per il diritto di lavorare con dignità 40 ore
a settimana, invece che 12 ore al giorno sette giorni su sette, e contratti
regolari”
Stava avendo successo lo “Strike Day” avviato lo scorso fine settimana dal
sindacato di base Sudd Coba insieme agli operai pakistani, per contrastare il
sistema di sfruttamento che connota molte piccole aziende del “distretto
parallelo” cinese di Prato. Accordi per la giornata di otto ore per cinque
giorni la settimana erano stati chiusi con l’azienda Zipper di Seano, la
tessitura Sofia di Montemurlo e la stireria Tang di Prato. Ma la scorsa notte il
presidio ai cancelli della pelletteria Confezione Lin Weidong a Seano è stato
aggredito a colpi di spranghe di ferro da almeno una mezza dozzine di persone
incappucciate. “La prossima volta vi spariamo”, hanno urlato gli aggressori
allontanandosi dopo il pestaggio.
Quattro i feriti, due operai pakistani e due sindacalisti del Sudd Cobas, fra
cui il coordinatore Luca Toscano, portati in ospedale per essere medicati.
Appena avuta la notizia dell’assalto al picchetto, i lavoratori migranti di
altre ditte della zona sono entrati in sciopero per tutto il turno notturno, e
hanno dato vita a una manifestazione nel centro di Prato. “È inaccettabile che
chi manifesta per i propri diritti sia aggredito – ha detto la sindaca Ilaria
Bugetti – chiedo alle autorità competenti di intervenire per riportare sul piano
del confronto civile la vertenza”. “Non si può stare in silenzio di fronte a
questo modo di sfruttare il lavoro”, ha aggiunto il sindaco di Carmignano,
Edoardo Prestanti.
«Il fatto che lo sciopero sia iniziato di domenica non è un caso»,racconta il
sindacalista di Sudd Cobas Luca Toscano: «Le aziende dovrebbero essere chiuse e
invece lavorano tutte». Dalle cinque microimprese che il 6 ottobre
avevano avviato i picchetti, l’8×5 strike day è riuscito a portare benefici per
quattro di queste: a Stireria Sofia lo scioperò è durante soltanto domenica
visto che i lavoratori, già con un contratto regolare, si battevano per avere
anche gli straordinari pagati. Alla fabbrica Zipper e alla Stireria Tang gli
operai hanno firmato un accordo di lavoro che permette loro di lavorare otto ore
al giorno per cinque giorni alla settimana. All’azienda 3Desy sono iniziate le
trattative per la regolarizzazione degli operai.
La procura ha aperto un’inchiesta per lesioni e minacce gravi, sul caso sono al
lavoro i carabinieri. “A compiere l’attacco squadrista al picchetto sono stati
degli italiani – racconta lo stesso Toscano – assoldati da un sistema mafioso
che controlla il distretto e cerca di mettere a tacere i lavoratori e il
sindacato che li organizza. Lavoratori che lottano per il diritto di lavorare
con dignità 40 ore a settimana, invece che 12 ore al giorno sette giorni su
sette. Operai che chiedono l’applicazione di contratti regolari e orari di
lavoro dignitosi”.
In risposta il Sudd Cobas annuncia una mobilitazione ancora più forte, e una
“manifestazione antimafia” proprio a Seano, nel comune di Carmignano, con
concentramento domenica prossima alle 17.30 in via Galilei, dove ha sede la
pelletteria Confezione Lin Weidong. Il sindacato lancia un appello “al
territorio, ai comitati, alla società civile, al mondo dell’associazionismo, per
manifestare e reagire agli attacchi ai lavoratori, che avvengono perché gli
scioperi vincono e trasformano pezzo dopo pezzo questo distretto, come
dimostrato in questi giorni di Strike day”.
Nel dare la loro totale solidarietà a Toscano, i fiorentini Antonella Bundu e
Dmitrij Palagi di Sinistra progetto comune ricordano: “Lo ripetiamo da anni, c’è
un intero ambito di criminalità ignorato o sottovalutato dal sistema politico e
istituzionale. Il tema non riguarda solo il comparto moda, è evidente la
necessità di una scomoda riflessione sulla sostenibilità del nostro tessuto
produttivo, e sulle condizioni su cui almeno in parte si fonda”.
Racconta i fatti a Radio Onda d’Urto Arturo dei Sudd Cobas Prato e Firenze
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L'articolo Prato: Ronde armate di spranghe contro chi sciopera sembra essere il
primo su Osservatorio Repressione.
Nella sua foga di sorvegliare e soprattutto punire chi manifesta, il ddl 1660
contiene anche un attacco al diritto di sciopero. Lo dice, quasi come se niente
fosse, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che ieri è intervenuto al
question time della Camera.
di Mario Di Vito da il manifesto
Rispondendo a un’interrogazione (prima firma: Maurizio Lupi) sui blocchi nei
centri logistici della grande distribuzione, l’uomo del Viminale, il ministro di
Polizia Piantedosi, ha spiegato che verrà introdotto un nuovo reato sulla base
del quale «colui che impedisca con il proprio corpo la libera circolazione su
strada ordinaria o ferrata commette un delitto, e non più un illecito
amministrativo. Di più: se a farlo sono «più persone» è prevista la reclusione
da sei mesi a due anni.
Il tema giuridico, già spesso dibattuto in passato, riguarda il picchettaggio,
pratica tendenzialmente legittima salvo nei casi in cui si verifichino violenze
o minacce contro chi non vuole aderire allo sciopero. In queste circostanze, di
solito, i reati che vengono contestati sono quelli di violenza privata e,
talvolta, di resistenza a pubblico ufficiale. Il concetto di fondo è che non si
può ledere il diritto all’autodeterminazione altrui.
Fino a qui tutto bene: la giurisprudenza è chiara e di processi per risolvere i
casi più controversi se ne fanno abbastanza. Il problema è che quanto annunciato
da Piantedosi rende un reato quello che prima equivaleva a un illecito
amministrativo, andando in sostanza a punire anche chi non compromette le
volontà degli altri.
Il ministro, rispondendo a Lupi, l’ha messa così: «È certamente mia intenzione
richiamare l’attenzione delle autorità di pubblica sicurezza su tutte le
attività di carattere preventivo, anche in termini di mediazione, per
scongiurare gli episodi di compromissione dei diritti delle imprese e dei
lavoratori». Il dito è puntato contro gli scioperi nella logistica
(«complessivamente 240» dall’inizio dell’anno). «Anche nel recente passato sono
state numerose le proteste organizzate a ridosso delle più importanti
piattaforme distributive, in molti casi realizzate senza alcun preavviso – ha
aggiunto Piantedosi -, queste proteste sono state caratterizzate anche da
momenti di tensione con le forze di polizia, blocchi agli accessi dei siti
industriali e rallentamenti delle attività produttive».
Gli organizzatori sono sempre gli stessi: «le organizzazioni sindacali di base,
in particolare Si Cobas».
Il punto qui è politico, perché il sindacato di base non partecipa alle
trattative per il rinnovo del contratto di categoria e utilizza la formula dei
picchettaggi per cercare di far pesare la propria posizione.
Tra gli altri argomenti trattati da Piantedosi durante il question time, si
segnala un lungo capitolo dedicato alla gestione delle manifestazioni di piazza.
Il ddl 1660 prevede sì l’uso delle body cam da parte degli agenti, ma in ogni
caso non saranno accompagnate dai numeri identificativi sulle divise. Sostiene
il ministro che «non è da ritenersi sussistente» l’argomento della
riconoscibilità degli agenti perché «nell’ordinanza di servizio emanata dal
questore» già è indicato «il funzionario di pubblica sicurezza responsabile
della direzione del servizio e anche gli addetti ai singoli settori di impiego».
E in ogni caso, dice ancora Piantedosi, «sono gli stessi operatori, quando
occorre, a collaborare per la propria identificazione». E così anche le body cam
non sono da intendere come un mezzo per controllare gli eventuali episodi di
violenza indiscriminata contro i manifestanti, ma come il risultato di una
richiesta fatta dagli stessi agenti «a garanzia della trasparenza del proprio
operato». Perché, nonostante le cronache e le inchieste giudiziarie c’è alcun
problema con le manganellate e l’obiettivo resta quello di «proteggere i
cittadini e gli stessi operatori di polizia dalle azioni violente che spesso
vengono poste in essere dalle frange estreme di manifestanti».
I sindacati di polizia, in tutto questo, non sembrano aver molto da dire sul ddl
sicurezza, impegnati come sono nella riapertura del tavolo con il governo sulla
previdenza dedicata. Una promessa antica fatta da Meloni agli uomini e alle
donne in divisa. Ancora però sprovvista di leggi attuattive.
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