Ciao Gianfranco…… Ma chi ha detto che non c’è….

Osservatorio Repressione - Friday, January 24, 2025

Quest’oggi io non voglio essere triste. Fu Gianfranco Manfredi a convincermi che ero uno scrittore. E’ morto all’età di 76 anni Gianfranco Manfredi: cantautore, fumettista, scrittore, attore, sceneggiatore. Il ricordo di Marco Sommariva

di Marco Sommariva

Nel 2008 Marco Tropea pubblicò un mio romanzo. S’intitolava Il venditore di pianeti ed era già uscito due anni prima per le edizioni di Sicilia Punto L. Come aveva fatto Tropea a scoprirmi? Semplice. Fu Gianfranco Manfredi, all’epoca edito da Marco, a segnalarmi. Gianfranco aveva letto alcune mie cose grazie a un mio lettore della provincia di Parma che gliele aveva spedite a casa perché riteneva io meritassi, bontà sua, una vetrina più ampia. Gianfranco cosa fece secondo voi? La cosa che nessuno s’aspetta da una persona che, solitamente, “ha ben altro da fare”: prese i miei libri inviatigli, li lesse, chiese il mio numero di cellulare al lettore che perorava la mia causa e mi chiamò per dirmi che, anche secondo lui, meritavo una vetrina più ampia spiegandomi che, tra Guanda e Marco Tropea, secondo lui, per i miei scritti, era meglio il secondo.

In realtà, il mio numero di cellulare non era mio ma della ditta per cui lavoravo e così, quando lo vidi suonare molto oltre l’orario di lavoro, decisi di non rispondere a quel numero sconosciuto. Non un grande esordio, insomma, ma per fortuna mi richiamò poco dopo e per fortuna decisi di rispondere.

Ora immaginatevi la scena del sottoscritto che, dall’altra parte del telefono, sente una persona col fiato corto che si presenta come Gianfranco Manfredi: non avreste risposto “Sì, va be’, e io sono Napoleone!”? Ma non ebbi il tempo di farlo perché la seconda cosa che subito mi disse Gianfranco fu: “Non sto scopando, ho il fiatone perché ho appena finito di spalare neve davanti a casa mia”. Pensai… questo dev’essere Manfredi veramente: da uno come lui mi aspetto proprio questa schiettezza.

Ovviamente, al primo appuntamento a Milano con Marco Tropea – era l’11 marzo 2004, il giorno degli attentati a Madrid – e, poi, pure al secondo incontro, volle esserci anche lui: entrambe le volte pranzammo tutti e tre in un ristorante vicino alla casa di editrice di Marco. Era tutta un’altra Italia, si respirava tutta un’altra aria: la prima volta mi presentarono Massimo Coppola, in quel momento impegnato nel fondare la casa editrice ISBN, la seconda volta mi presentarono Enrico Deaglio che ho poi rivisto ultimamente alla Fiera del Libro di Torino quando ho rilasciato l’intervista sulla letteratura distopica, ai tipi del programma Wonderland di Rai4.

I primi due pranzi furono, per me, una specie di terzo grado, ma non da parte di Gianfranco, bensì da parte di Tropea che aveva bisogno di capire chi fossi: lui non aveva ancora letto nulla di mio.

I pranzi che duravano circa un paio d’ore, si svolgevano pressappoco così: Marco chiedeva, io rispondevo guardando Gianfranco e Gianfranco ascoltava e sorrideva soddisfatto. Credetemi, senza quei suoi sorrisi non avrei mai trovato il coraggio di dire a Marco Tropea ciò che pensavo, e ciò che pensavo non erano sempre cose bellissime da ascoltare. Mi spiego meglio. Quando Tropea mi chiese se avessi mai letto libri pubblicati dalla sua casa editrice e se questi mi erano piaciuti, risposi che li avevo letti ma che, specialmente l’ultimo, non mi erano piaciuti – non chiedetemi perché neppure in occasioni come queste non riesco a raccontare una balla, non lo so.

Ovviamente, spiegai il perché di quella mia risposta, lo feci con calma e onestà intellettuale, ma sempre aggrappato al salvagente delle labbra di Gianfranco che parevano dirmi “Vai così che vai bene”.

Pensate mi sia fermato qui? Macché! Son pure arrivato a parlar male di un romanzo di Sepúlveda, al che il buon Tropea, stavolta un po’ piccato, mi chiese: “Tu sai chi ha portato Sepúlveda in Italia?” Non lo sapevo e… esatto!… era stato proprio lui.

Credetemi, in due pranzi ho inanellato una serie di risposte da far accapponar la pelle, tutte quelle che dovrebbe evitare chi brama d’esser pubblicato da un editore ben strutturato a livello nazionale, ma io ero sereno: già mi pubblicavano, e pazienza se era una casa editrice di dimensioni più ridotte ma, soprattutto, la tranquillità me la trasmetteva lui, Gianfranco che, e qui forse mi sto un po’ allargando, a volte pareva proprio gongolare per certe mie uscite: era lui che mi aveva portato a quel tavolo e pareva esserne fiero.

Come al lettore che gli ha spedì i miei lavori, anche a Gianfranco devo molto: probabilmente non sarei neppure qui a scrivere di lui se non mi avesse instradato.

Fu lui a scrivere una prefazione al mio romanzo Fischia il vento che già ne vantava una di don Gallo, e un’altra la scrisse per il mio saggio Pillole situazioniste.

Si pose nei miei confronti sempre in maniera orizzontale, mai salì su alcun pulpito.

Mi fece sempre dei gran complimenti, e forse il più grande fu l’unica volta in cui mi “sgridò”: più di vent’anni fa mi convinse che ero “un qualcosa” a cui non mi decidevo a credere, ossia, che ero uno scrittore, e usò più o meno queste parole: “Vengono pubblicati libri distribuiti in tutta Italia col tuo nome in copertina, quindi, quando ti firmi, quando ti presenti, devi dire che sei uno scrittore, se continuerai a nasconderti dietro il tuo lavoro in fabbrica sembrerà che non credi in quello che scrivi, e questo non è vero, io lo so, quindi, forza!, dài!”

Ha sempre risposto alle mie mail e ai miei messaggi: quando a marzo dell’anno scorso gli scrissi che stavo andando alla Fiera del Libro di Torino per conoscere di persona Marco Philopat, perché occorreva che mi mettessi d’accordo per un libro che spero esca l’anno prossimo per Agenzia X, lui mi rispose: “Philopat è una brava persona. Ti troverai bene”. Un po’ quello che mi disse di Tropea, quando mancavano pochi giorni al primo appuntamento.

Arrivammo persino a fantasticare di un romanzo da scrivere a quattro mani.

Insomma, Gianfranco mi adottò a fine 2003 e non mi mollò più, neppure quando era già malato, a marzo dell’anno scorso, appunto.

Col tempo s’allontanò leggermente rispetto ai primi anni, ma unicamente perché io crescessi ulteriormente, perché non mi venisse neanche lontanamente l’idea di restare nell’orbita di qualcun altro: dovevo camminare con le mie gambe, anzi, correre. Lo capii quasi subito, solo un leggero spiazzamento iniziale, poca roba: un po’ come quando si lascia la casa dei genitori per andare a vivere da soli.

Mi fermo qui perché non vorrei finire con l’annoiare ma oggi, 24 gennaio 2025, ci ha lasciato una persona che, per come l’ho conosciuta io, si comportava nella vita di tutti i giorni così come ve l’ho raccontato, in linea con i suoi scritti, le sue sceneggiature, le sue canzoni e, quindi, per il mio modo di vedere, si comportava bene, in quel modo che mi appartiene molto: resistere sempre, ogni momento, anche nella quotidianità, anche da soli, con parole e fatti.

Non so se ho fatto bene a ricordarlo in questa maniera, senza neppure elencare un’opera da lui realizzata, ma ho preferito così, e ho come l’impressione che ‘ste righe non gli sarebbero dispiaciute.

Lo scrittore Marco Sommariva, oggi, si sente un po’ più solo ma, sapete che vi dico?, forse sono un po’ svanito ma il domani non esiste e quest’oggi io non voglio essere triste.

www.marcosommariva.com

 

Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi sostenerci donando il tuo 5×1000 

News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp