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Ciao Gianfranco…… Ma chi ha detto che non c’è….
Quest’oggi io non voglio essere triste. Fu Gianfranco Manfredi a convincermi che ero uno scrittore. E’ morto all’età di 76 anni Gianfranco Manfredi: cantautore, fumettista, scrittore, attore, sceneggiatore. Il ricordo di Marco Sommariva di Marco Sommariva Nel 2008 Marco Tropea pubblicò un mio romanzo. S’intitolava Il venditore di pianeti ed era già uscito due anni prima per le edizioni di Sicilia Punto L. Come aveva fatto Tropea a scoprirmi? Semplice. Fu Gianfranco Manfredi, all’epoca edito da Marco, a segnalarmi. Gianfranco aveva letto alcune mie cose grazie a un mio lettore della provincia di Parma che gliele aveva spedite a casa perché riteneva io meritassi, bontà sua, una vetrina più ampia. Gianfranco cosa fece secondo voi? La cosa che nessuno s’aspetta da una persona che, solitamente, “ha ben altro da fare”: prese i miei libri inviatigli, li lesse, chiese il mio numero di cellulare al lettore che perorava la mia causa e mi chiamò per dirmi che, anche secondo lui, meritavo una vetrina più ampia spiegandomi che, tra Guanda e Marco Tropea, secondo lui, per i miei scritti, era meglio il secondo. In realtà, il mio numero di cellulare non era mio ma della ditta per cui lavoravo e così, quando lo vidi suonare molto oltre l’orario di lavoro, decisi di non rispondere a quel numero sconosciuto. Non un grande esordio, insomma, ma per fortuna mi richiamò poco dopo e per fortuna decisi di rispondere. Ora immaginatevi la scena del sottoscritto che, dall’altra parte del telefono, sente una persona col fiato corto che si presenta come Gianfranco Manfredi: non avreste risposto “Sì, va be’, e io sono Napoleone!”? Ma non ebbi il tempo di farlo perché la seconda cosa che subito mi disse Gianfranco fu: “Non sto scopando, ho il fiatone perché ho appena finito di spalare neve davanti a casa mia”. Pensai… questo dev’essere Manfredi veramente: da uno come lui mi aspetto proprio questa schiettezza. Ovviamente, al primo appuntamento a Milano con Marco Tropea – era l’11 marzo 2004, il giorno degli attentati a Madrid – e, poi, pure al secondo incontro, volle esserci anche lui: entrambe le volte pranzammo tutti e tre in un ristorante vicino alla casa di editrice di Marco. Era tutta un’altra Italia, si respirava tutta un’altra aria: la prima volta mi presentarono Massimo Coppola, in quel momento impegnato nel fondare la casa editrice ISBN, la seconda volta mi presentarono Enrico Deaglio che ho poi rivisto ultimamente alla Fiera del Libro di Torino quando ho rilasciato l’intervista sulla letteratura distopica, ai tipi del programma Wonderland di Rai4. I primi due pranzi furono, per me, una specie di terzo grado, ma non da parte di Gianfranco, bensì da parte di Tropea che aveva bisogno di capire chi fossi: lui non aveva ancora letto nulla di mio. I pranzi che duravano circa un paio d’ore, si svolgevano pressappoco così: Marco chiedeva, io rispondevo guardando Gianfranco e Gianfranco ascoltava e sorrideva soddisfatto. Credetemi, senza quei suoi sorrisi non avrei mai trovato il coraggio di dire a Marco Tropea ciò che pensavo, e ciò che pensavo non erano sempre cose bellissime da ascoltare. Mi spiego meglio. Quando Tropea mi chiese se avessi mai letto libri pubblicati dalla sua casa editrice e se questi mi erano piaciuti, risposi che li avevo letti ma che, specialmente l’ultimo, non mi erano piaciuti – non chiedetemi perché neppure in occasioni come queste non riesco a raccontare una balla, non lo so. Ovviamente, spiegai il perché di quella mia risposta, lo feci con calma e onestà intellettuale, ma sempre aggrappato al salvagente delle labbra di Gianfranco che parevano dirmi “Vai così che vai bene”. Pensate mi sia fermato qui? Macché! Son pure arrivato a parlar male di un romanzo di Sepúlveda, al che il buon Tropea, stavolta un po’ piccato, mi chiese: “Tu sai chi ha portato Sepúlveda in Italia?” Non lo sapevo e… esatto!… era stato proprio lui. Credetemi, in due pranzi ho inanellato una serie di risposte da far accapponar la pelle, tutte quelle che dovrebbe evitare chi brama d’esser pubblicato da un editore ben strutturato a livello nazionale, ma io ero sereno: già mi pubblicavano, e pazienza se era una casa editrice di dimensioni più ridotte ma, soprattutto, la tranquillità me la trasmetteva lui, Gianfranco che, e qui forse mi sto un po’ allargando, a volte pareva proprio gongolare per certe mie uscite: era lui che mi aveva portato a quel tavolo e pareva esserne fiero. Come al lettore che gli ha spedì i miei lavori, anche a Gianfranco devo molto: probabilmente non sarei neppure qui a scrivere di lui se non mi avesse instradato. Fu lui a scrivere una prefazione al mio romanzo Fischia il vento che già ne vantava una di don Gallo, e un’altra la scrisse per il mio saggio Pillole situazioniste. Si pose nei miei confronti sempre in maniera orizzontale, mai salì su alcun pulpito. Mi fece sempre dei gran complimenti, e forse il più grande fu l’unica volta in cui mi “sgridò”: più di vent’anni fa mi convinse che ero “un qualcosa” a cui non mi decidevo a credere, ossia, che ero uno scrittore, e usò più o meno queste parole: “Vengono pubblicati libri distribuiti in tutta Italia col tuo nome in copertina, quindi, quando ti firmi, quando ti presenti, devi dire che sei uno scrittore, se continuerai a nasconderti dietro il tuo lavoro in fabbrica sembrerà che non credi in quello che scrivi, e questo non è vero, io lo so, quindi, forza!, dài!” Ha sempre risposto alle mie mail e ai miei messaggi: quando a marzo dell’anno scorso gli scrissi che stavo andando alla Fiera del Libro di Torino per conoscere di persona Marco Philopat, perché occorreva che mi mettessi d’accordo per un libro che spero esca l’anno prossimo per Agenzia X, lui mi rispose: “Philopat è una brava persona. Ti troverai bene”. Un po’ quello che mi disse di Tropea, quando mancavano pochi giorni al primo appuntamento. Arrivammo persino a fantasticare di un romanzo da scrivere a quattro mani. Insomma, Gianfranco mi adottò a fine 2003 e non mi mollò più, neppure quando era già malato, a marzo dell’anno scorso, appunto. Col tempo s’allontanò leggermente rispetto ai primi anni, ma unicamente perché io crescessi ulteriormente, perché non mi venisse neanche lontanamente l’idea di restare nell’orbita di qualcun altro: dovevo camminare con le mie gambe, anzi, correre. Lo capii quasi subito, solo un leggero spiazzamento iniziale, poca roba: un po’ come quando si lascia la casa dei genitori per andare a vivere da soli. Mi fermo qui perché non vorrei finire con l’annoiare ma oggi, 24 gennaio 2025, ci ha lasciato una persona che, per come l’ho conosciuta io, si comportava nella vita di tutti i giorni così come ve l’ho raccontato, in linea con i suoi scritti, le sue sceneggiature, le sue canzoni e, quindi, per il mio modo di vedere, si comportava bene, in quel modo che mi appartiene molto: resistere sempre, ogni momento, anche nella quotidianità, anche da soli, con parole e fatti. Non so se ho fatto bene a ricordarlo in questa maniera, senza neppure elencare un’opera da lui realizzata, ma ho preferito così, e ho come l’impressione che ‘ste righe non gli sarebbero dispiaciute. Lo scrittore Marco Sommariva, oggi, si sente un po’ più solo ma, sapete che vi dico?, forse sono un po’ svanito ma il domani non esiste e quest’oggi io non voglio essere triste. www.marcosommariva.com   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. 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January 24, 2025 / Osservatorio Repressione
19-20 gennaio 2025. Un racconto della prima liberazione dell3 prigionier3 palestinesi
Il racconto della liberazione delle prime prigioniere a Ramallah di Compagn3 dalla Cisgiordania Libereeeeee. Infine. Nonostante tutto. Solo alcune. Ma libereeee. Sono le tre del mattino in piazza, a Beitunia, paesino alla periferia ovest di Ramallah. E inizia a non esserci più nessun3. Stanno infine tornando ciascun3 alle proprie case le prime 90 persone che l’entità sionista è stata costretta a tirare fuori dalle sue prigioni. E’ stata una giornata lunga quella di questo 19 gennaio 2025 appena finito. Era chiaro che l’entità sionista voleva far perdere tempo, arrivare a notte inoltrata e fare in modo che non ci fosse nessun3 ad accogliere le persone rilasciate. L’avevano già fatto nella prima liberazione di prigionier3 nel novembre 2023. Lo fanno ogni volta. Succede sempre a Beidunia, dove dal 1988 si trova la prigione di Ofer. E’ l’unico tra i 17 carceri israeliani che si trova dentro il territorio formalmente riconosciuto come sotto totale governo dell’autorità palestinese. Vi sono poi altri tre centri detentivi israeliani in Cisgiordania, ma usati per trattenere chi viene arrestat3 mentre vengono fatte le indagini, ovvero in settimane di interrogatori e isolamento. Ofer si trova in zona A. Eppure quest’oggi hanno dichiarato tutto lo spazio fuori dalla prigione, dove si erano radunat3 l3 familiari e solidali, zona militare chiusa. Mentre la croce rossa, incaricata come parte terza nella gestione dello scambio dell3 “ostaggi”, visitava ogni detenut3 che era confluita a Ofer per il rilascio, fuori si sparavano lacrimogeni e rubber bullets (proiettili ricoperti di plastica) contro chi si era radunat3, parenti, solidali e militanti. Ci sono stati tre feriti. E’ andata bene, a novembre del 2023 un ragazzo è stato ammazzato e un’altro ha perso un occhio negli scontri. Nel frattempo, era dalla notte precedente che, in giro per la Cisgiordania e in particolare a Gerusalemme est, l’esercito entrava in casa di alcun3 che sarebbero stat3 liberat3 per minacciare l3 parenti, imponendogli di non festeggiare. Nonostante tutto questo, in serata è arrivata molta più gente in piazza a Beitunia. C’era chi accendeva fuochi per scaldarsi e condivideva bevande calde. Non solo giovani e uomini, più o meno coperti, a tenere bandiere dei vari partiti e movimenti e lanciare e ripetere cori resistenti. Anche molte donne di tutta l’età: giovani ragazze con la kufia al collo e signore vestite elegantemente. Una ragazza, con un cappotto di lana, apparentemente non preparatasi per gli scontri, si era invece organizzata e distribuiva fazzolettini intrisi di alcool per lavarsi il gas dagli occhi. Da quella piazza una breve strada, un’altra rotonda e un’altra strada ancora a separare dal carcere. Poco meno di 2 km. L’entità sionista voleva questo tratto svuotato dall3 palestines3. Come vogliono sia tutta la Palestina. Così ci si è dovuti difendere la propria presenza lì. I più esperti in prima linea, a confrontarsi con i militari. Ma tutt3 determinat3 a restare. Ambulanze passavano e tornavano. Forse altri feriti. Alla fine si sono arresi, verso l’una i due autobus con le donne e i minori sono apparsi. Alcuni giovani sono saliti sul tetto degli autobus e han fatto il corteo da lì sopra, sventolando tutte le bandiere. Tanti corpi, attorno, urla e canti. Quando gli autobus son arrivati quasi alla piazza, le liberate sono iniziate a scendere e son cominciati gli abbracci. I mazzi di fiori, le teste delle donne vestite da ghirlande di fiori. A significare che sono delle vittoriose combattenti. I corpi, i pianti, la gioia, per alcune le prime parole pubbliche davanti alle telecamere dei giornalisti su quanto si è dovuto vivere. E niente.. come descrivere cosa si prova durante una liberazione di massa? Chi l’aveva mai vista prima. Come immaginarsene una, non solo qui in Palestina? Mentre succedeva tutto questo, un ragazzo di 22 anni è stato ammazzato in un altro carcere israeliano. E’ il 56esimo da quando è iniziata la guerra a gaza. Al cimitero dei martiri del campo profughi in cui è nato, il loculo è già pronto. Sono settimane che gl3 abitant3 hanno costruito nuovi loculi. Il corpo di Mohammed chissà quando potrà arrivarci. L’entità sionista si tiene i corpi, come vendetta per le famiglie, così impossibilitate a elaborare il lutto, e come repressione politica, impedendo la dimostrazione funebre per la persona divenuta martire. In piazza a Beitunia, mentre le persone scendevano dagli autobus, due droni israeliani sorvegliavano incessantemente tutto. Delle 240 persone rilasciate in novembre 2023, 27 sono state riarrestate. E tre dei ragazzi rilasciati sono poi stati ammazzati in operazioni da parte dei militari. La vendetta sionista non si ferma. E molt3 qua temono, o meglio sanno, che la fine, purtroppo forse tregua, della guerra a Gaza comporta l’incremento della guerra in Cisgiordania, dove da mesi vengono bombardati i campi di rifugiati nelle città del nord. La Cisgiordania tutta che diventa una nuova prigione. Non può non essere una liberazione di massa.   > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
January 22, 2025 / Osservatorio Repressione
Il messaggio del Governo: “Ragazzi state a casa!”
“Ragazzi e ragazze, state a casa! Accontentatevi del presente e del probabile, smettete di sognare e di tentare di costruire l’impossibile, cioè un mondo più giusto”. È il messaggio del disegno di legge sicurezza che vuole trasformare i sogni e la rabbia dei giovani in reati, criminalizzando il dissenso e la resistenza, anche quando pacifica e non violenta. È una ragione di più per opporsi. di Elena de Filippo e Andrea Morniroli da Volere la Luna Del pessimo e pericoloso disegno di legge sicurezza presentato dal Governo molti hanno già scritto, invitando alla mobilitazione perché venga ritirato. Da un lato perché in molte sue parti è palesemente anticostituzionale, d’altro lato perché sancisce nei fatti una svolta autoritaria nella gestione del dissenso e della protesta. Un disegno di legge che non a caso viene proposto oggi in un momento in cui la prepotente ripresa della scelta economica neo-liberista alimenta in modo inevitabile un allargamento e un addensamento delle povertà e disuguaglianze con un conseguente forte aumento di rabbia e conflitto sociale che per essere contenuti, come per altro sta già avvenendo, hanno bisogno di una svolta autoritaria della nostra democrazia. Qui, però, proviamo a guardare a tale decreto in un’altra prospettiva. Abbiamo due figli che insieme a tante e tanti altri loro compagni e compagne provano a cambiare il mondo. A volte con qualche rigidità ma anche con contenuti giusti e competenza e investendo in formazione, con un impegno e un entusiasmo che ci colpiscono e che ci restituiscono un’idea di “giovane” ben diversa da quella offerta troppo spesso nel dibattito pubblico. Lo fanno occupando e gestendo spazi abbandonati che, invece di finire nelle braccia del mercato edilizio speculativo, si rigenerano e vengono restituiti a una funzione pubblica attraverso la proposta di interventi che rispondono a bisogni concreti (mense, consultori e ambulatori popolari, sportelli informativi e di orientamento alla cittadinanza e ai propri diritti), promuovono cultura e forme d’arte, offrono spazi di socialità che provano a rompere le troppe solitudini che vivono migliaia di ragazze e ragazzi, proponendo relazioni e divertimento, insieme al tentativo di costruire un noi collettivo. Lo fanno manifestando a fianco di chi viene scartato e non riconosciuto, prima ancora che nei diritti nel suo stesso essere persona, come nel caso dei migranti, o dei “matti” o di chi è considerato “diverso” – e per questo da rinchiudere, allontanare, escludere – in una sorta di dittatura della normalità che non accetta ed è rancorosa nei confronti di ogni alterità. Lo fanno stando a fianco dei popoli oppressi, come quello palestinese, stralciando le ipocrisie, gli interessi e i sensi di colpa che spesso impediscono a noi di fare altrettanto e con la stessa chiarezza (finendo, con la nostra impotenza e indifferenza, a essere complici di quel genocidio). E, ancora, manifestando per la riconversione ecologica e per un mondo senza guerra, sbattendo in faccia a noi adulti che il nostro Paese non è solo uno dei più vecchi al mondo ma anche uno tra i più egoisti: scarichiamo sulle loro spalle milioni di euro di debito e anche un futuro incerto, preoccupante, fatto da territori devastati e possibili guerre. Per farlo usano le parole, le assemblee e gli incontri. La cultura e la musica per veicolare con altri linguaggi narrazioni complesse, per provare a cambiare il senso comune. A volte lo fanno anche con i presìdi, bloccando strade, provando a sconfinare dai divieti di chi vive con fastidio ogni dissenso o forma di alterità. Sono arrabbiati, ma con ottimismo. Ideologici, ma anche capaci di parlare con quei pezzi di società con cui l’altra politica parla poco o per nulla, trovando linguaggi semplici spesso veicolati dal fare concreto. Eppure, in questo Paese, oggi tutto questo non solo non è visto di buon occhio, ma è anzi vissuto come fastidio. Perché svela e denuncia che lo Stato ha rinunciato alla sua funzione di garanzie dell’esigibilità dei diritti, piegandosi alle esigenze del mercato. Perché si oppone al terribile ministro Valditara, che propone una scuola che addestra e non educa (con buona pace di don Milani), in cui i percorsi scolastici dipendono da dove nasci, da quanti soldi hanno in tasca i tuoi genitori e dal genere (altro che merito, che ipocrisia signor ministro!). Perché questi ragazzi vorrebbero che si investisse su treni per i pendolari, sulla messa in sicurezza del territorio, per mettere le scuole a norma rispetto la normativa anti sismica invece sul faraonico Ponte sullo stretto o sul Tav. Ecco, allora, che chi ci governa tira fuori il disegno di legge sicurezza sicurezza che rende reato ogni forma di dissenso e di resistenza, anche quando pacifica e non violenta. Il processo è chiaro: intreccia marginalizzazione e colpevolizzazione di povertà, disagio e alterità; criminalizzazione del dissenso; potenziamento delle forme di controllo di polizia. Il messaggio veicolato insomma è: ragazzi e ragazze, state a casa! Accontentatevi del presente e del probabile, smettete di sognare e di tentare di costruire l’impossibile, e cioè un mondo più giusto dal punto di vista sociale e ambientale. Questo disegno di legge vuole trasformare i loro sogni e la loro rabbia in reati, penalmente perseguibili. Tanto più, allora, i ragazzi e le ragazze non possono essere lasciati soli nel loro opporsi al disegno di legge sicurezza che poi è il modo più giusto per difendere anche la nostra libertà e il nostro diritto a esprimere dissenso e agire il conflitto. Conflitto senza il quale, è bene ricordarlo, non si alimenta la democrazia. Serve una grande mobilitazione nazionale, dal basso, dai luoghi che più di altri portano con sé la fatica di povertà e disuguaglianze esasperate, e che per questo rischiano di pagare un prezzo alto in termini di repressione e di criminalizzazione del dissenso e delle protesta. È una doverosa battaglia di civiltà, per la libertà. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp L'articolo Il messaggio del Governo: “Ragazzi state a casa!” sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
October 18, 2024 / Osservatorio Repressione
5 ottobre: abusi in divisa
La ricostruzione dei fatti avvenuti sabato 5 ottobre e che ha visto coinvolti gli attivisti della Rete Bergamo per la Palestina  di Rete Bergamo per la Palestina Nonostante una martellante campagna di terrorismo mediatico atta a diffondere un generale sentimento di paura e incertezza, i/le solidali di questo Paese hanno deciso ugualmente di rispondere alla chiamata nazionale di sabato 5 ottobre. L’apparato poliziesco si è attivato in maniera a dir poco zelante per assicurare che la piazza non fosse raggiunta dai/dalle manifestanti: numerose le intercettazioni, i pedinamenti, i posti di blocco, i rastrellamenti su mezzi pubblici e la chiusura indiscriminata di stazioni ferroviarie e metropolitane. Anche Bergamo ha voluto fronteggiare il tentativo di instaurare la paura nelle menti di coloro che si oppongono al bellicismo e al neocolonialismo di questo governo, volontà diretta non solo dei potentati economici nazionali, ma soprattutto dall’imposizione del governo politico-militare della “madrepatria” USA. Nessun si aspettava di raggiungere facilmente la capitale, ma ciò che è successo nelle ore precedenti e contingenti la manifestazione ha superato ogni tipo di immaginazione. Di seguito cercheremo, per quanto possibile sinteticamente, di ripercorrere alcune tappe che la nostra “delegazione” ha dovuto affrontare.  Ore 11:00 Il pullman, non appena ha superato il casello, è stato prontamente fermato da una volante della polizia che, inizialmente intimandoci di tornare in autostrada, ha poi concesso allo stesso di raggiungere la stazione ferroviaria di Poggio Mirteto (provincia di Rieti).  Ore 11:30 Scortato dalla volante, il bus è arrivato alla stazione, trovando già presente una pattuglia dei carabinieri che ha chiesto i documenti identificativi di tutte le persone presenti sul pullman. Nessun ha posto resistenza e hanno tutt fornito i documenti come richiesto. I carabinieri hanno sottoposto a controllo tutti i documenti, per poi restituirli man mano a/alle proprietari/e, che dovevano aspettare il treno diretto a Roma previsto per le ore 13:24 da Poggio Mirteto. La tratta sarebbe durata circa un’ora.  Ore 13:15 Dopo più di un’ora di attesa, le persone si sono mosse verso il binario del treno, il binario 2 della stazione di Poggio Mirteto. Per arrivarvi bisognava salire una scala inferriata. All’imbocco della scala, le forze dell’ordine si sono schierate, richiedendo a tutt i/le presenti di identificarsi, lasciando passare alcun e bloccando altr senza inizialmente spiegarne il motivo. Chi è riuscit a passare si è recat al binario 2 per prendere il treno, ovviamente ormai in partenza data la perdita di tempo all’ultimo. Nonostante le richieste fatte al capotreno, il mezzo è dovuto partire. Nel frattempo, è stato detto a chi era stat bloccat, cioè a 8 persone, che non sarebbe potut andare a Roma (ricordiamo, a un presidio AUTORIZZATO) a causa di precedenti per “manifestazione non autorizzata”. Parlando con le persone interessate, si è concluso che alcune di loro non avevano in realtà mai subito una condanna per questo motivo. Si sono immediatamente sentit gli/le avvocat del Legal Team che seguiva la mobilitazione di Roma, che hanno confermato che situazioni analoghe si sono verificate nei confronti di tant di quell che, da tutta Italia, si stavano recando nella capitale. A moltissim è stato dato un foglio di via da Roma, senza neanche averla raggiunta. Ore 14:00 Chi ha potuto prendere il treno, è andat al presidio. Le 8 persone fermate, più tre solidali, sono invece rimaste presso la stazione di Poggio Mirteto, attendendo di capire cosa fare, dal momento che le forze dell’ordine avevano loro ritirato i documenti d’identità. Uno dei carabinieri (specifichiamo che erano present 10 macchine, tra polizia e carabinieri) ha riunito le persone interessate per dire, testualmente (citiamo da una delle molteplici documentazioni audiovisive fatte durante la giornata) che “il questore di Roma vi invita a non andare alla manifestazione; se volete andare venite con noi [in caserma] e vi facciamo il foglio di via”. Questa minaccia, compiuta verbalmente e non tramite comunicazione ufficiale scritta, non ha intimorito le persone interessate, che hanno deciso di rimanere in stazione semplicemente perché indignate dall’abuso di potere che stavano subendo, e hanno preteso che venisse dato loro un verbale ufficiale, stilato dalle forze dell’ordine, che giustificasse quello che era di fatto un fermo: un documento, insomma, che esplicitasse i fatti avvenuti e che spiegasse motivazioni e cause del divieto di spostarsi verso Roma e dalla stazione di Poggio Mirteto in generale, oltre il ritiro dei documenti d’identità. L’ufficiale che aveva posto la minaccia del foglio di via, ha intimato di aspettarlo: si sarebbe recato in caserma per stilare il verbale richiesto.  Ore 15:00 Le persone in stato di fermo si sono mobilitate per sentire avvocat, giornalist, associazioni e collettivi del territorio di Bergamo e nazionale per far girare il più possibile la notizia dell’abuso in corso. Sono state tenute in diretta telefonica interviste e colloqui con professionist legali; quest ultim hanno specificato, come già detto, che situazioni simili si stavano verificando nei confronti di altr provenienti da tutta Italia e inoltre hanno confermato il dubbio che attanagliava gli/le interessat: il fermo, così posto, risultava illegittimo. Ore 16:00 Durante le ore passate in stato di fermo (non volontario, ma dovuto alle imposizioni dei carabinieri), senza avere più notizie dell’ufficiale che aveva garantito che sarebbe tornato a breve con un verbale, senza avere alcun tipo di spiegazione dagli agenti dell’arma dei carabinieri lì presenti (circa una ventina) è stata più volte sentita la Caserma di Poggio Mirteto per chiedere chiarimenti; l’attesa, infatti, ha provato psicologicamente le persone lì trattenute, che dopo ore e ore hanno iniziato ad avvertire l’angoscia e lo stress dovuto alla situazione (senza possibilità di spostarsi, anche solo per mangiare, e vedendosi anche negati i servizi igienici dai luoghi limitrofi). Dalla caserma, ripetiamo, sentita diverse volte, giungevano solo promesse di immediato intervento, con l’arrivo del verbale: promesse, è logico, non mantenute. Ore 16:30 Dopo essere stat ferm presso la stazione di Poggio Mirteto dalle 11:30 (e, per gli/le 8 interessat, senza documenti dalle 13:15), finalmente l’ufficiale in questione si è ripresentato, con un’altra macchina, portando il verbale appena scritto, subito revisionato dalle persone interessate. E’ risultato immediatamente lampante quanto il verbale non fosse affatto veritiero e non riportasse i fatti realmente accaduti: nello scritto, infatti, diverse informazioni sono state omesse o risultano false. L’orario del primo controllo, per esempio, sul verbale viene ritardato di un’ora (fortunatamente, ci sono circa 50 testimoni che possono confermare l’ora corretta); viene scritto che, per le persone interessate, dovevano essere svolti controlli più specifici (stranamente, però, questi controlli indispensabili sono stati dichiarati solo dopo due ore di attesa dalle 11:30, durante le quali le forze dell’ordine si sono limitate a stazionare alla loro postazione, senza comunicare alcunché- le stesse forze dell’ordine che, solo all’ultimo, nel momento in cui si sarebbe dovuto prendere il treno, hanno fermato 8 persone). Inoltre, nel verbale stilato dalla legione dei carabinieri, non viene riportata l’informazione, più volte richiesta e giustamente pretesa dai/dalle diretti/e interessati/e, ovvero il motivo per cui sono stat fermat per ore e ore in stazione, senza documenti d’identità, con il divieto categorico di muoversi verso la capitale, e con la minaccia di ricevere un foglio di via se solo l’avessero fatto. Nel verbale non sono presenti giustificazioni a tutto ciò: per questo motivo, le persone interessate hanno deciso di non firmarlo, specificando che non ne condividevano il contenuto. Nel momento in cui una delle persone solidali ha dichiarato di voler fotografare il verbale per sottoporlo al controllo di un legale rappresentate, il foglio le è stato bruscamente tolto dalle mani da uno dei carabinieri presenti, che ha intimato paradossalmente a firmarlo, prima di farlo revisionare. I carabinieri hanno cercato di avanzare ridicole scuse, dando la responsabilità dell’intera situazione a un “errore di comunicazione” con i superiori. Cosa che, è evidente, non ha affatto consolato chi è dovuto rimanere per circa sei ore nel piazzale di una stazione ferroviaria, senza poter dignitosamente mangiare, usufruire dei servizi igienici essenziali, e senza alcuna giustificazione legale legittima.  Ore 17:10 Finalmente, le 11 persone sono riuscite a prendere un treno diretto a Roma, per raggiungere l’autobus che li avrebbe riportat a Bergamo, assieme a tutt gli/le altr.  Questi i fatti avvenuti a Poggio Mirteto. Sappiamo che in tantissim hanno subito lo stesso trattamento alle porte di Roma: il nostro, dunque, non è un caso isolato e si inserisce in un quadro premeditato di repressione del diritto di manifestazione e della libertà di movimento. Il fatto specifico, che ha visto coinvolti ben 10 mezzi di pubblica sicurezza per occuparsi della mera identificazione di 8 persone, è simbolico della quantità di uomini e mezzi mobilitati sotto diretta indicazione di un governo che teme il dissenso; mezzi di repressione che hanno un costo non indifferente sul bilancio della spesa pubblica. Ribadiamo che, nelle settimane precedenti e nella giornata stessa del 5 ottobre, si sono evidenziate palesi privazioni di diritti costituzionalmente garantiti. Le misure straordinarie a colpi di decreti per situazioni cosiddette “emergenziali” si stanno sempre più imponendo nel silenzio totale delle istituzioni e degli apparati dello Stato sulla nostra carta fondamentale. Ci chiediamo quanto in là i governi di turno si spingeranno per garantire il proprio operato senza che questo venga pubblicamente giudicato e processato dalla volontà popolare che, come la storia ci insegna, e come la costituzione stabilisce, è l’unica che dovrebbe avere realmente voce in capitolo. Consapevoli che le nostre ragioni si ispirano alla causa della liberazione dei popoli da ogni forma di oppressione, e che i nostri mezzi per esprimerle sono tutelati da un numeroso corpo di leggi e convenzioni, ribadiamo che nessun divieto fermerà il movimento di solidarietà alla lotta palestinese, il quale continuerà a riempire le strade e le piazze che le appartengono. Comunichiamo la nostra più totale solidarietà a tutte le persone presenti in piazza a Roma, e a quelle che non hanno potuto parteciparvi a causa dei capillari abusi di potere avvenuti per mano delle forze dell’ordine. SOLIDALI CON LE PERSONE FERMATE SOLIDALI CON TIZIANO CONTRO OGNI ABUSO DI POTERE CON LA RESISTENZA PALESTINESE FINO ALLA VITTORIA         > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp L'articolo 5 ottobre: abusi in divisa sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
October 7, 2024 / Osservatorio Repressione
Bologna: contro galere e cpr, Jonathan libero, tuttx liberx
Negli scorsi giorni, in San Donato, è avvenuto un fatto gravissimo, l’ennesimo atto di repressione e abuso da parte della polizia e degli apparati di potere: forme di violenza in divisa che negli ultimi mesi si stanno moltiplicando nel quartiere. A dicembre ci manganellavano davanti alla sede della RAI, proprio sotto i palazzi della Regione […] L'articolo Bologna: contro galere e cpr, Jonathan libero, tuttx liberx sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
May 31, 2024 / Osservatorio Repressione
Dissenso, repressione, democrazia. Dove stiamo andando?
Il racconto della repressione che stanno subendo  sei attivisti, cittadini bolognesi,  che sono stati allontanati dalla città metropolitana di Bologna con un provvedimento di divieto di dimora. Una riflessione  per farci nuove domande  su come si cambia questa società. Proprio perché abbiamo viaggiato più volte in Ucraina per vedere con i nostri occhi la guerra […] L'articolo Dissenso, repressione, democrazia. Dove stiamo andando? sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
March 7, 2024 / Osservatorio Repressione
Pisa: “Era ferita alla testa, e la polizia non voleva far passare l’ambulanza”
Cariche a Pisa: “Siamo sconcertati da quanto accaduto in via San Frediano, di fronte alla nostra scuola dove studenti per lo più minorenni sono stati manganellati senza motivo, perché il corteo che chiedeva il cessate il fuoco in Palestina, assolutamente pacifico, chissà mai perché, non avrebbe dovuto sfilare in Piazza Cavalieri”. Così in una lettera […] L'articolo Pisa: “Era ferita alla testa, e la polizia non voleva far passare l’ambulanza” sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
February 24, 2024 / Osservatorio Repressione
Notizie dall’isola frontiera
Mercoledì 24 gennaio, all’Università di Agrigento, il Ministero per la Protezione Civile e le Politiche del Mare, la Polizia di Stato e la Regione Sicilia hanno organizzato un convegno nazionale dal titolo “Migranti alla frontiera dei diritti, una questione storica, giuridica, culturale”. Una conferenza a cui studentx erano esclusx, pensata per giornalisti e personale medico, […] L'articolo Notizie dall’isola frontiera sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
January 27, 2024 / Osservatorio Repressione
Picchiata dalla polizia insieme ai miei studenti
La repressione del dissenso provata sulla testa. La testimonianza della Professoressa Alessandra Algostino delle cariche della polizia all’università di Torino di Alessandra Algostino da il manifesto Poco più di un mese fa la polizia in assetto antisommossa saliva le scale del Campus Luigi Einaudi, università di Torino. Un’immagine forte, inquietante, per chi, come chi scrive, […] L'articolo Picchiata dalla polizia insieme ai miei studenti sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
December 11, 2023 / Osservatorio Repressione
Ciao Giulio
E’ deceduto all’ospedale di Avezzano dove era ricoverato per una embolia polmonare Giulio Petrilli, storico esponente della sinistra abruzzese impegnato soprattutto nelle lotte contro le torture, le ingiuste detenzioni, i mancati risarcimenti per quelle ingiustizie, l’ergastolo e il 41 bis. Nell’Italia degli anni 80 Giulio Petrilli si fece 5 anni nelle carceri speciali da innocente, […] L'articolo Ciao Giulio sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
September 29, 2023 / Osservatorio Repressione