Paternalismo e disciplina. Le code davanti all’ufficio immigrazione di Torino

NapoliMONiTOR - Thursday, January 30, 2025
(disegno di dalila amendola)

Uomini e donne irriconoscibili sotto strati di coperte sono distesi per terra uno di fianco all’altro su un tratto di marciapiede delimitato da transenne metalliche, sotto la luce gialla dei lampioni. All’interno di un giaciglio improvvisato con teli di plastica sorretti da un bancale, degli uomini siedono scaldandosi intorno a una fiammella. Ecco alcune delle immagini che negli ultimi giorni sono state al centro della cronaca torinese, a testimoniare quella che è stata presto intitolata “la coda della vergogna” di corso Verona, dove ha sede l’ufficio immigrazione della questura che serve centinaia di comuni torinesi per le pratiche inerenti i permessi di soggiorno.

Dall’inizio dell’estate scorsa, infatti, la fila che si forma all’esterno della struttura, da sempre lunga ed estenuante, non è più limitata ai due giorni settimanali di apertura degli uffici, ma continua ininterrottamente tutta la settimana, giorno e notte, senza tenere conto delle condizioni climatiche avverse. Così, nonostante la pioggia e il gelo di queste giornate di gennaio, è diventato normale per chi passa davanti all’ufficio vedere anche un centinaio di persone, bambini e anziani compresi, accampate da giorni in attesa di entrare. Molti di loro arrivano nel fine settimana con la speranza di farcela, se tutto va bene, per l’apertura di giovedì: per rimanere in fila sono costretti a usare le proprie ferie e chi non ha un contratto regolare rischia di perdere il lavoro.

La narrazione sensazionalistica ed emergenziale della stampa lascia però poco spazio a un’analisi lucida degli eventi che sono all’origine della situazione attuale. Da anni attivisti e solidali denunciano non solo l’assurdità delle code, ma anche il trattamento vessatorio e umiliante che gli agenti di polizia hanno sempre riservato a chi si rivolge a questo ufficio. Nelle loro rivendicazioni, come nei racconti di chi ha passato giornate in attesa, questi fenomeni sono l’espressione tangibile del razzismo istituzionale. A marzo 2023, con una lettera inviata al questore, al prefetto e all’alto commissariato Onu per i rifugiati, anche Asgi (l’Associazione per gli Studi Giuridici dell’Immigrazione) e altre sessanta associazioni mettevano in luce le violazioni amministrative, i ritardi e gli abusi che sono all’ordine del giorno negli uffici di corso Verona.

A quel tempo era in corso un protocollo d’intesa tra sindacati (Cgil, Cisl, Uil), comune e questura, firmato nell’ottobre precedente al fine di prevenire “situazioni di assembramento” davanti all’ufficio. Allora istituzioni e sindacati di polizia attribuivano il malfunzionamento dei servizi alla carenza di personale (un vuoto ministeriale che aveva lasciato scoperti numerosi contratti scaduti), e alle condizioni fatiscenti della struttura demaniale. Quest’ultima fu dichiarata inagibile dal ministero e poco dopo alcuni servizi furono trasferiti presso la sede di via Tommaso Dorè. Così da ottobre 2023 in corso Verona sono attivi solo gli sportelli per il rilascio, il rinnovo, la conversione, l’aggiornamento e la duplicazione dei permessi di soggiorno.

Un’altra problematica sollevata nel corso degli anni è l’assenza di un servizio di prenotazione online, che, se attivato, potrebbe ridurre drasticamente l’attesa davanti all’ufficio. Se quest’ultima rivendicazione, oggi riproposta da Comune e sindacati, appare ciclicamente senza produrre risultati concreti, nuove informazioni sulla futura collocazione dell’ufficio sono arrivate solo negli ultimi giorni, quando la diocesi ha messo a disposizione gli spazi del complesso di Santo Volto accanto ai resti delle vecchie acciaierie Fiat. In attesa che la nuova struttura sia pronta, le istituzioni propongono di continuare a dislocare i servizi ancora attivi presso altre sedi della questura, frammentando ulteriormente una procedura in cui le code di corso Verona sono una sola delle tappe obbligate di un sistema molto più articolato e complesso.

Se oggi le condizioni di chi è costretto a rivolgersi agli uffici di corso Verona sono tornate alla ribalta mediatica è anche grazie all’iniziativa di attivisti e solidali che, rispondendo all’appello della casa del popolo Estella, nelle ultime settimane si sono organizzati per supportare le persone in coda con bevande calde, coperte e teli antipioggia. Intanto, diversi esponenti politici della sinistra cittadina hanno fatto a gara nell’esprimere la propria indignazione: il Pd torinese e Avs (Alleanza Verdi e Sinistra) hanno chiesto l’intervento tempestivo del ministero, e l’assessore alle politiche sociali Jacopo Rosatelli ha invitato sui suoi profili social a non cedere alle “pulsioni razziste alla Trump” della destra al governo.

Il trionfo delle istituzioni è assicurato questo 22 gennaio, quando viene annunciato un presidio notturno congiunto di Croce Rossa e Protezione Civile. Quest’ultima, al seguito dell’assessore comunale Francesco Tresso, installa finalmente due gazebo come riparo dalla pioggia incessante e colloca delle latrine. L’evento coincide con un’apertura straordinaria non annunciata dell’ufficio, che per la prima volta dopo mesi riesce a ricevere tutte le persone in attesa. Intanto, fuori dall’edificio prende forma un assembramento di personaggi politici e rappresentanti della società civile che celebrano il risultato raggiunto rilasciando dichiarazioni fiduciose ai giornalisti in cerca di scoop. A poche ore dalla passerella delle istituzioni, una nuova fila di persone si prepara per la notte. Nei giorni successivi, tra notizie contraddittorie e prive di fonti, sui giornali viene menzionata la possibilità di un’apertura straordinaria degli uffici per la settimana seguente, dal lunedì al giovedì, ma il sito web della questura non offre conferme. Il lunedì seguente, gli uffici vengono aperti ma la questura rivela i dettagli sugli orari e sul numero di accessi quotidiani solo alle persone di volta in volta presenti.

La diffusione degli aggiornamenti viene informalmente affidata alle reti sociali delle persone in attesa, che per tutto il tempo, di fatto, continuano a gestire la coda in autonomia, organizzandosi con turni e passaparola. Un certo grado di informalità caratterizza anche le pratiche degli agenti di polizia che regolano gli ingressi durante i giorni di apertura: se interrogati sulle modalità di accesso all’ufficio, danno informazioni vaghe e discrepanti, al punto che spesso, arrivate allo sportello, molte persone vengono respinte. Può succedere che siano gli agenti stessi a dare il consiglio di provare a conquistarsi un posto sicuro mettendosi in fila diverse sere prima. Quella che nella narrazione ufficiale è denunciata come una situazione scandalosa, nella gestione quotidiana si rivela essere una prassi normalizzata dalla stessa questura.

Le dichiarazioni rilasciate sui giornali dalle personalità dell’associazionismo di stampo cattolico e della filantropia torinese alimentano il discorso pubblico che descrive le lunghe code in corso Verona come frutto di un’emergenza umanitaria risolvibile attraverso interventi di natura burocratica. Al rituale appello ai valori dell’accoglienza si accompagnano, in questo caso, affermazioni dai tratti allarmistici: secondo Sergio Durando, direttore della Pastorale Migranti, “bisogna continuare a cercare un dialogo altrimenti può esplodere la rabbia”. In modo simile, Ernesto Olivero, fondatore del Sermig (Servizio Missionario Giovani), dichiara che ostacolare il processo di “integrazione” delle persone straniere rischia di favorire fenomeni di “microcriminalità”. Le entità storicamente dedite al governo cittadino dei poveri e degli ultimi non vedono di buon occhio una potenziale ribellione di quelle classi sociali subalterne che dipendono dal sistema dell’accoglienza.

Una ulteriore chiave di lettura viene data da un’intervista pubblicata il 25 gennaio su La Stampa, in cui Marco Gilli, presidente di Fondazione Compagnia di San Paolo, dopo aver annunciato la disponibilità della fondazione nell’affiancare le pubbliche istituzioni in corso Verona, afferma che investire nell’accoglienza vuol dire anche “aumentare la competitività del territorio”. Viene celebrata l’epopea di uno sviluppo sostenuto dal duro lavoro dei cittadini stranieri: così le persone in fila per ottenere un documento valido sono rappresentate come desiderose di “integrarsi” attraverso la partecipazione al sistema produttivo.

Nonostante enti caritatevoli e politici di sinistra ostentino avversione per le destre razziste, il loro discorso è complementare alla narrazione securitaria che vede nell’immigrato una minaccia all’ordine sociale. Infatti, solo chi “rispetta le regole” può sperare di vedere garantiti i diritti fondamentali legati al possesso di un documento. Coloro che non vogliono, o non possono, “integrarsi”, sono considerati criminali o reietti portatori di “degrado”, condannati senza appello alla violenza quotidiana delle politiche securitarie, o in alternativa, a rimanere impigliati nelle maglie del paternalismo assistenzialistico. Le lunghe file e le vessazioni agite dalla polizia in corso Verona sono la dimostrazione eclatante che da questo processo di disciplinamento non è possibile salvarsi, come vorrebbero i benpensanti, nemmeno “rispettando le regole” che la società impone. Dipanata la coltre di fumo delle false promesse e delle facili indignazioni, esse possono allora suggerire che se il gioco è truccato, forse vale la pena giocare secondo le proprie regole. (alessandra ferlito, flavia tumminello)