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Corpi senza tomba. Storia di Mohamed Amine e gli altri dispersi di Bizerte
(disegno di irene servillo) Farah è una madre e una donna coraggiosa che si è rivolta alla nostra associazione per avere notizie di suo figlio Aouina Mohamed Amine, di soli sedici anni, scomparso durante un viaggio verso l’Europa. Mohamed Amine è partito la notte del 5 febbraio 2024 da Bizerte, a bordo di un gommone nero, insieme ad altre diciassette persone, tra le quali sono noti i nomi di Helmi, Yassim, Mohamed, Bilel, Ayoub, Seif, Fahmi, Mahdi, Maher, Mohamed Omar, Ghanim, Souahail e del piccolo Anas, di appena cinque anni. La destinazione era Cagliari, con arrivo previsto per il giorno successivo. Di lui non si sono mai più trovate tracce. Alla partenza da Bizerte, Mohamed Amine indossava un maglione nero, pantaloni da jogging, un giubbotto e scarpe Nike nere. Il giovane aveva una piccola cicatrice sulla gamba sinistra, poco sotto il ginocchio, ricordo sul suo corpo di un infortunio subito in passato. Tre giorni dopo la partenza sua madre Farah ha ricevuto un messaggio da un numero tedesco che riferiva di un possibile avvistamento del figlio in un ospedale di Cagliari. Tuttavia, nonostante il messaggio sia ancora disponibile, il numero a oggi risulta inesistente, rendendo impossibile sia risalire al mittente che verificare se la segnalazione sia veritiera. Contattata la polizia, all’ufficio immigrazione sostengono che le verifiche iniziali condotte dalle autorità non abbiano portato a risultati concreti. Tra gennaio e marzo 2024 non risultano sbarchi di cittadini tunisini a Cagliari, ma solo gruppi di algerini. Inoltre, il confronto tra la fotografia del passaporto di Mohamed Amine e le immagini delle persone sottoposte a foto-segnalamento in Italia non ha dato esito positivo. La questura di Palermo sostiene che sul territorio siciliano non risulti alcuna traccia del ragazzo, e che pertanto il nominativo rimane sconosciuto. Successivamente si viene a sapere che il 7 febbraio un attivista ed ex parlamentare tunisino, Majdi Karbai, noto per il suo impegno sui temi dell’immigrazione, era stato contattato da una persona, familiare di alcuni migranti in viaggio, per segnalare una situazione di emergenza. Un’imbarcazione partita da Bizerte e diretta a Cagliari si trovava bloccata in mezzo al mare a causa di un guasto al motore. I passeggeri a bordo, riusciti a raggiungere telefonicamente i propri parenti, avevano lanciato l’allarme. Karbai aveva immediatamente contattato la Guardia Costiera di Roma, quella di Cagliari e quella siciliana, oltre alla sala operativa della capitale. Nonostante l’intervento dei soccorsi, però, l’imbarcazione non venne intercettata. La barca su cui viaggiavano Mohamed Amine e gli altri dovrebbe essere naufragata al largo della Sardegna, in condizioni di mare tempestoso, il 6 febbraio del 2024. Con l’arrivo della scorsa primavera il mare iniziò a restituire corpi di vittime, e tra marzo e aprile diversi cadaveri furono ritrovati al largo delle Eolie e di Rodia, sulle coste della Sicilia, della Calabria e della Campania. Tra i corpi recuperati, alcuni furono identificati grazie a dettagli diffusi dalla stampa. Per esempio, il 13 aprile, il corpo di un’uomo fu trovato in stato di avanzata decomposizione dalla Capitaneria di Porto di Milazzo, nella zona di mare tra l’isola di Vulcano e il promontorio di Capo Tindari, nel comune di Patti (Messina). Il fratello della vittima lo riconobbe grazie a una serie di tatuaggi distintivi: un dragone, una tela di ragno e uno scorpione. Il giorno successivo, i resti del piccolo Anas furono rinvenuti da un pescatore nei pressi della zona industriale di Lamezia. Di suo padre Souahail, invece, non sembra essere rimasta nessuna traccia. Grazie all’intervento dell’associazione Mem. Med. Memoria Mediterranea, ulteriori indagini furono attivate. Tra le diciotto persone disperse si riuscì però a trovare e identificare solo cinque cadaveri. In quei giorni Farah si sottopose al test del Dna, ma l’esito fu negativo: nessuno di quei corpi era quello di suo figlio. A oggi, il nome di Mohamed Amine dovrebbe essere incluso nella lista ufficiale dei dispersi diffusa dal consolato tunisino a Roma all’epoca dei ritrovamenti, ma nonostante quattro solleciti, il consolato non fornisce alcuna conferma a riguardo. Se così non fosse, sarebbe ancora più difficile che eventuali tracce del corpo di Mohamed Amine vengano associate al suo nome, in caso di ritrovamento. Intanto, l’incertezza è diventata per questa donna un tormento insostenibile. Da un lato, la speranza che Mohamed Amine possa essere sopravvissuto le dà la forza di continuare a cercarlo e di non arrendersi. Dall’altra, il timore che il mare, silenzioso custode di innumerevoli tragedie, possa un giorno restituirle il corpo del figlio non le dà pace. In bilico tra questa speranza e questo dolore Farah continua a lottare per la verità, e perché anche di fronte all’immensità del mare ogni vita venga ricordata; e ogni storia, per quanto tragica, raccontata. (luna casarotti – yairaiha ets)
February 20, 2025 / NapoliMONiTOR
Paternalismo e disciplina. Le code davanti all’ufficio immigrazione di Torino
(disegno di dalila amendola) Uomini e donne irriconoscibili sotto strati di coperte sono distesi per terra uno di fianco all’altro su un tratto di marciapiede delimitato da transenne metalliche, sotto la luce gialla dei lampioni. All’interno di un giaciglio improvvisato con teli di plastica sorretti da un bancale, degli uomini siedono scaldandosi intorno a una fiammella. Ecco alcune delle immagini che negli ultimi giorni sono state al centro della cronaca torinese, a testimoniare quella che è stata presto intitolata “la coda della vergogna” di corso Verona, dove ha sede l’ufficio immigrazione della questura che serve centinaia di comuni torinesi per le pratiche inerenti i permessi di soggiorno. Dall’inizio dell’estate scorsa, infatti, la fila che si forma all’esterno della struttura, da sempre lunga ed estenuante, non è più limitata ai due giorni settimanali di apertura degli uffici, ma continua ininterrottamente tutta la settimana, giorno e notte, senza tenere conto delle condizioni climatiche avverse. Così, nonostante la pioggia e il gelo di queste giornate di gennaio, è diventato normale per chi passa davanti all’ufficio vedere anche un centinaio di persone, bambini e anziani compresi, accampate da giorni in attesa di entrare. Molti di loro arrivano nel fine settimana con la speranza di farcela, se tutto va bene, per l’apertura di giovedì: per rimanere in fila sono costretti a usare le proprie ferie e chi non ha un contratto regolare rischia di perdere il lavoro. La narrazione sensazionalistica ed emergenziale della stampa lascia però poco spazio a un’analisi lucida degli eventi che sono all’origine della situazione attuale. Da anni attivisti e solidali denunciano non solo l’assurdità delle code, ma anche il trattamento vessatorio e umiliante che gli agenti di polizia hanno sempre riservato a chi si rivolge a questo ufficio. Nelle loro rivendicazioni, come nei racconti di chi ha passato giornate in attesa, questi fenomeni sono l’espressione tangibile del razzismo istituzionale. A marzo 2023, con una lettera inviata al questore, al prefetto e all’alto commissariato Onu per i rifugiati, anche Asgi (l’Associazione per gli Studi Giuridici dell’Immigrazione) e altre sessanta associazioni mettevano in luce le violazioni amministrative, i ritardi e gli abusi che sono all’ordine del giorno negli uffici di corso Verona. A quel tempo era in corso un protocollo d’intesa tra sindacati (Cgil, Cisl, Uil), comune e questura, firmato nell’ottobre precedente al fine di prevenire “situazioni di assembramento” davanti all’ufficio. Allora istituzioni e sindacati di polizia attribuivano il malfunzionamento dei servizi alla carenza di personale (un vuoto ministeriale che aveva lasciato scoperti numerosi contratti scaduti), e alle condizioni fatiscenti della struttura demaniale. Quest’ultima fu dichiarata inagibile dal ministero e poco dopo alcuni servizi furono trasferiti presso la sede di via Tommaso Dorè. Così da ottobre 2023 in corso Verona sono attivi solo gli sportelli per il rilascio, il rinnovo, la conversione, l’aggiornamento e la duplicazione dei permessi di soggiorno. Un’altra problematica sollevata nel corso degli anni è l’assenza di un servizio di prenotazione online, che, se attivato, potrebbe ridurre drasticamente l’attesa davanti all’ufficio. Se quest’ultima rivendicazione, oggi riproposta da Comune e sindacati, appare ciclicamente senza produrre risultati concreti, nuove informazioni sulla futura collocazione dell’ufficio sono arrivate solo negli ultimi giorni, quando la diocesi ha messo a disposizione gli spazi del complesso di Santo Volto accanto ai resti delle vecchie acciaierie Fiat. In attesa che la nuova struttura sia pronta, le istituzioni propongono di continuare a dislocare i servizi ancora attivi presso altre sedi della questura, frammentando ulteriormente una procedura in cui le code di corso Verona sono una sola delle tappe obbligate di un sistema molto più articolato e complesso. Se oggi le condizioni di chi è costretto a rivolgersi agli uffici di corso Verona sono tornate alla ribalta mediatica è anche grazie all’iniziativa di attivisti e solidali che, rispondendo all’appello della casa del popolo Estella, nelle ultime settimane si sono organizzati per supportare le persone in coda con bevande calde, coperte e teli antipioggia. Intanto, diversi esponenti politici della sinistra cittadina hanno fatto a gara nell’esprimere la propria indignazione: il Pd torinese e Avs (Alleanza Verdi e Sinistra) hanno chiesto l’intervento tempestivo del ministero, e l’assessore alle politiche sociali Jacopo Rosatelli ha invitato sui suoi profili social a non cedere alle “pulsioni razziste alla Trump” della destra al governo. Il trionfo delle istituzioni è assicurato questo 22 gennaio, quando viene annunciato un presidio notturno congiunto di Croce Rossa e Protezione Civile. Quest’ultima, al seguito dell’assessore comunale Francesco Tresso, installa finalmente due gazebo come riparo dalla pioggia incessante e colloca delle latrine. L’evento coincide con un’apertura straordinaria non annunciata dell’ufficio, che per la prima volta dopo mesi riesce a ricevere tutte le persone in attesa. Intanto, fuori dall’edificio prende forma un assembramento di personaggi politici e rappresentanti della società civile che celebrano il risultato raggiunto rilasciando dichiarazioni fiduciose ai giornalisti in cerca di scoop. A poche ore dalla passerella delle istituzioni, una nuova fila di persone si prepara per la notte. Nei giorni successivi, tra notizie contraddittorie e prive di fonti, sui giornali viene menzionata la possibilità di un’apertura straordinaria degli uffici per la settimana seguente, dal lunedì al giovedì, ma il sito web della questura non offre conferme. Il lunedì seguente, gli uffici vengono aperti ma la questura rivela i dettagli sugli orari e sul numero di accessi quotidiani solo alle persone di volta in volta presenti. La diffusione degli aggiornamenti viene informalmente affidata alle reti sociali delle persone in attesa, che per tutto il tempo, di fatto, continuano a gestire la coda in autonomia, organizzandosi con turni e passaparola. Un certo grado di informalità caratterizza anche le pratiche degli agenti di polizia che regolano gli ingressi durante i giorni di apertura: se interrogati sulle modalità di accesso all’ufficio, danno informazioni vaghe e discrepanti, al punto che spesso, arrivate allo sportello, molte persone vengono respinte. Può succedere che siano gli agenti stessi a dare il consiglio di provare a conquistarsi un posto sicuro mettendosi in fila diverse sere prima. Quella che nella narrazione ufficiale è denunciata come una situazione scandalosa, nella gestione quotidiana si rivela essere una prassi normalizzata dalla stessa questura. Le dichiarazioni rilasciate sui giornali dalle personalità dell’associazionismo di stampo cattolico e della filantropia torinese alimentano il discorso pubblico che descrive le lunghe code in corso Verona come frutto di un’emergenza umanitaria risolvibile attraverso interventi di natura burocratica. Al rituale appello ai valori dell’accoglienza si accompagnano, in questo caso, affermazioni dai tratti allarmistici: secondo Sergio Durando, direttore della Pastorale Migranti, “bisogna continuare a cercare un dialogo altrimenti può esplodere la rabbia”. In modo simile, Ernesto Olivero, fondatore del Sermig (Servizio Missionario Giovani), dichiara che ostacolare il processo di “integrazione” delle persone straniere rischia di favorire fenomeni di “microcriminalità”. Le entità storicamente dedite al governo cittadino dei poveri e degli ultimi non vedono di buon occhio una potenziale ribellione di quelle classi sociali subalterne che dipendono dal sistema dell’accoglienza. Una ulteriore chiave di lettura viene data da un’intervista pubblicata il 25 gennaio su La Stampa, in cui Marco Gilli, presidente di Fondazione Compagnia di San Paolo, dopo aver annunciato la disponibilità della fondazione nell’affiancare le pubbliche istituzioni in corso Verona, afferma che investire nell’accoglienza vuol dire anche “aumentare la competitività del territorio”. Viene celebrata l’epopea di uno sviluppo sostenuto dal duro lavoro dei cittadini stranieri: così le persone in fila per ottenere un documento valido sono rappresentate come desiderose di “integrarsi” attraverso la partecipazione al sistema produttivo. Nonostante enti caritatevoli e politici di sinistra ostentino avversione per le destre razziste, il loro discorso è complementare alla narrazione securitaria che vede nell’immigrato una minaccia all’ordine sociale. Infatti, solo chi “rispetta le regole” può sperare di vedere garantiti i diritti fondamentali legati al possesso di un documento. Coloro che non vogliono, o non possono, “integrarsi”, sono considerati criminali o reietti portatori di “degrado”, condannati senza appello alla violenza quotidiana delle politiche securitarie, o in alternativa, a rimanere impigliati nelle maglie del paternalismo assistenzialistico. Le lunghe file e le vessazioni agite dalla polizia in corso Verona sono la dimostrazione eclatante che da questo processo di disciplinamento non è possibile salvarsi, come vorrebbero i benpensanti, nemmeno “rispettando le regole” che la società impone. Dipanata la coltre di fumo delle false promesse e delle facili indignazioni, esse possono allora suggerire che se il gioco è truccato, forse vale la pena giocare secondo le proprie regole. (alessandra ferlito, flavia tumminello)
January 30, 2025 / NapoliMONiTOR
Oltre i confini. Storie di vite, viaggi e ritorni
In uno degli ultimi incontri del "laboratorio di narrazione" che alcuni dei nostri redattori organizzano con un gruppo di ragazzi e ragazze negli spazi di Villa Medusa a Bagnoli, abbiamo chiesto ai partecipanti di raccogliere e raccontare [...] L'articolo Oltre i confini. Storie di vite, viaggi e ritorni sembra essere il primo su NapoliMONiTOR.
December 5, 2023 / NapoliMONiTOR
Niger: una nuova politica sulla migrazione?
In un comunicato diffuso tramite radio e tv pubblica, il presidente del Niger, il generale Abdourahamane Tchiani, ha firmato il 25 novembre un’ordinanza che abroga la legge del 26 maggio 2015 sul traffico illegale di migranti.  Sempre il comunicato riporta come tali norme fossero state approvate su pressione di potenze straniere e criminalizzassero attività regolari […]
December 1, 2023 / Radio Blackout 105.25FM
Un viaggio che non finirà. La storia di Moussa, dal Mali a Torino
«Sono vissuto in Mali fino a quindici anni. Ho fatto per otto anni la scuola dell’obbligo nella mia città. Sono andato via perché le persone della mia famiglia sono povere, ho cominciato a cercare dei modi per fare dei soldi [...] L'articolo Un viaggio che non finirà. La storia di Moussa, dal Mali a Torino sembra essere il primo su NapoliMONiTOR.
October 11, 2023 / NapoliMONiTOR
Lo scafista immaginario
Spesso, davanti ai gravi problemi della modernità e alle grandi paure collettive che evocano, le società contemporanee reagiscono in modalità arcaiche. Se qualcosa di oscuro e inafferrabile minaccia gli equilibri dati, sentiamo il [...] L'articolo Lo scafista immaginario sembra essere il primo su NapoliMONiTOR.
October 3, 2023 / NapoliMONiTOR
Lo scafista immaginario
Spesso, davanti ai gravi problemi della modernità e alle grandi paure collettive che evocano, le società contemporanee reagiscono in modalità arcaiche. Se qualcosa di oscuro e inafferrabile minaccia gli equilibri dati, sentiamo il [...] L'articolo Lo scafista immaginario sembra essere il primo su NapoliMONiTOR.
October 3, 2023 / NapoliMONiTOR
Trattenere e umiliare: procedure hotspot a Porto Empedocle
“No care, no help, no travel, no food”. Sono queste le parole scritte su un foglio di carta che Khaled sventola in mezzo alla strada principale di Porto Empedocle. Lui e Mohamed sono due minori somali approdati sull’isola di Lampedusa [...] L'articolo Trattenere e umiliare: procedure hotspot a Porto Empedocle sembra essere il primo su NapoliMONiTOR.
September 22, 2023 / NapoliMONiTOR