Nordio si erge ad avvocato di Almasri giustificando la tortura

Osservatorio Repressione - Thursday, February 6, 2025

Attacco alla Corte penale internazionale. Omissioni, inesattezze e buchi temporali in serie. Il modo nel quale Nordio ha difeso Almasri e polemizzato con la Corte dell’Aia non si regge in piedi. Le leggi sono chiare, lui doveva conoscerle e fare eseguire l’arresto

di Gianfranco Schiavone da l’Unità

La difesa dell’operato del Governo sul caso Almasri da parte del ministro Nordio si basa sulle seguenti argomentazioni; innanzitutto il mandato di cattura emesso da parte della CPI e l’intero incartamento è arrivato in lingua inglese senza essere tradotto, con una serie di criticità che avrebbero reso impossibile l’immediata adesione del ministero alla richiesta arrivata dalla Corte d’appello.

A quali criticità si riferisca Nordio lo spiega lo stesso ministro quando mette in evidenza come la richiesta della CPI consta di “una sessantina di paragrafi in cui vi è tutta la sequenza di crimini orribili addebitati al catturando, vi è un incomprensibile salto logico. Le conclusioni del mandato di arresto risultavano differenti rispetto alla parte motivazionale e rispetto alle conclusioni”. Nordio dunque ha ritenuto opportuno e legittimo entrare nelle motivazioni addotte dalla CPI rivendicando come “ Il ruolo del ministro non è solo di transito e di passacarte, è un ruolo politico: ho il potere e dovere di interloquire con altri organi dello Stato sulla richiesta della Cpi, sui dettagli e sulla coerenza delle conclusioni cui arriva la Corte. Coerenza che per noi manca assolutamente”.

Nella sua alquanto sorprendente conclusione il Ministro Nordio ribadisce la sua posizione sul fatto di avere seguito le regole affermando che “noi non possiamo scavalcare le procedure, altrimenti legittimeremmo tutto” e chiude accusando nientemeno la Corte Penale stessa di non aver seguito le regole del diritto. Cosa dicono dunque le regole che sarebbero state rispettate con così estremo rigore da Nordio e violate dalla Corte? Lo statuto di Roma della Corte Penale Internazionale entrato in vigore il 1.02. 2022 con legge 12 luglio 1999, n. 232 (ratifica ed esecuzione dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale) prevede innanzitutto che “Lo Stato Parte che ha ricevuto una richiesta di fermo, o di arresto e di consegna prende immediatamente provvedimenti per fare arrestare la persona di cui trattasi, secondo la sua legislazione e le disposizioni del capitolo IX del presente Statuto”. (Art. 59 par. 1).

Sulla base di quanto disposto dallo stesso articolo 59 (par.2) spetta all’autorità giudiziaria dello Stato in cui è stato effettuato l’arreso accertare, secondo la sua legislazione che il mandato concerne elettivamente tale persona, che sia stata arrestata secondo una procedura regolare e che i suoi diritti sono stati rispettati. Però lo stesso articolo (par.4) precisa che “l’autorità competente dello Stato di detenzione non è abilitata a verificare se il mandato d’arresto é stato regolarmente rilasciato secondo i capoversi a) e b) del paragrafo 1 dell’articolo 58”. Le autorità dello Stato in cui viene effettuato l’arresto devono vigilare sul rispetto dei diritti della persona ricercata dalla Corte ma non possono sindacare le valutazioni effettuate dalla Corte sulla sussistenza dei presupposti per emettere il mandato di arresto; spetta infatti solo alla CPI stabilire “se vi sono fondati motivi di ritenere che tale persona ha commesso un reato di competenza della Corte (e se) “l’arresto di tale persona sembra necessario per garantire la comparizione della persona al processo” oppure se è parimenti necessario “per impedire che la persona continui in quel crimine o in un crimine commesso che ricade sotto la giurisdizione della Corte o che avviene nelle stesse circostanze”.

Scuserà il lettore la scelta di entrare in questioni procedurali così di dettaglio ma farlo è necessario per mettere in evidenza come lo Statuto della CPI esclude tassativamente che le autorità dello Stato che effettua l’arresto possano sindacare le ragioni addotte dalla CPI per spiccare il mandato di arresto, o addirittura entrare nel merito della presunta incoerenza delle motivazioni della CPI come invece rivendica di poter fare il ministro Nordio, senza alcun fondamento. Il contenuto della richiesta di arresto e di consegna è altresì disciplinato dall’articolo 91 dello stesso Statuto della CPI che prevede che la richiesta debba contenere o essere accompagnata da un fascicolo che contenga “ i documenti dichiarazioni ed informazioni che possono essere pretesi nello Stato richiesto per procedere alla consegna” purché però non siano eccessivamente onerose.

È altresì disciplinata anche l’ipotesi (art.92 par.1) in cui ricorra una situazione di emergenza; in tal caso “la Corte può chiedere il fermo della persona ricercata in attesa che siano presentate la richiesta di consegna ed i documenti giustificativi di cui all’articolo 91”. Solo se tali documenti giustificativi non giungono successivamente nei tempi stabiliti la “persona in stato di fermo può essere rimessa in libertà” (par.3) e comunque ciò “non pregiudica il suo successivo arresto e la sua consegna, se la richiesta di consegna accompagnata dai documenti giustificativi viene presentata in seguito”. Il Ministro Nordio non ha sostenuto nella sua audizione in Parlamento che il fascicolo inviato dalla CPI fosse fortemente incompleto; anzi il ministro sembra essersi lamentato (!) proprio dalla corposità della documentazione pervenuta.

Ho ritenuto tuttavia utile ricordare anche l’ipotesi della carenza documentale al fine di sottolineare come i principi giuridici che disciplinano la procedura di arresto della persona ricercata dalla Corte siano chiari: il Ministro della Giustizia non aveva la facoltà di entrare nel merito delle valutazioni della Corte Penale Internazionale in relazione alle ragioni del mandato di cattura e alla valutazione sulla pericolosità del soggetto, nè poteva sindacare su presunte incoerenze nella ricostruzione dei fatti. Ma anche volendo spingersi fino a ritenere che le asserite incongruenze nella documentazione ricevuta fossero così forti e dirimenti da dover essere chiarite, in ogni caso, il Ministro avrebbe dovuto chiedere alla Corte con immediatezza chiarimenti ed integrazioni documentali e solo nella remota ipotesi nella quale la Corte fosse rimasta tenacemente inerte l’ultima estrema ipotesi, ovvero liberazione del ricercato Almarsi, avrebbe potuto avvenire.

Non sembra tuttavia dalla ricostruzione dei fatti e dall’analisi di quanto previsto dalla procedura che regola i mandati di arresto emessi dalla CPI, che le tesi sostenute dal focoso ministro della Giustizia siano dunque in alcun modo sostenibili. La liberazione di Almasri ha vanificato il mandato di arresto emesso dalla Corte penale Internazionale e il suo successivo solerte accompagnamento in Libia ha annullato il primo e prioritario obiettivo che la Corte Penale Internazionale intendeva perseguire, ovvero impedire che la persona possa continuare, come invece farà, a perpetrare i crimini per i quali era ricercato. La pratica della tortura è salva.

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