
La continua riproduzione degli affari sporchi italo-libici
Osservatorio Repressione - Monday, February 10, 2025Il recente crimine del governo italiano con la liberazione del boia Almastri accompagnato a casa sua con un volo di stato fa ricordare i vecchi e orribili rapporti tra Italia e Libia
di Salvatore Palidda
Come tutti i paesi colonizzatori, l’Italia continua a fare affari sporchi con la Libia. Massacri di migranti, accaparramento di petrolio, terre rare ecc. Dopo Gheddafi, l’accordo con i criminali diventati i padroni della loro sicurezza è sacro per qualsiasi governo italiano, a sbafo di ogni legalità nazionale e internazionale, inchinandosi persino al boia Almastri.
Il recente crimine del governo italiano con la liberazione del boia Almastri accompagnato a casa sua con un volo di stato fa ricordare i vecchi e orribili rapporti tra Italia e Libia.
La colonizzazione italiana della Libia fu l’ultima grande guerra di Mussolini, i cui crimini di guerra furono insabbiati dagli inglesi e dagli americani e poi, per molto tempo, dalle autorità italiane, dopo la seconda guerra mondiale. Il più coraggioso e importante storico delle vicende coloniali italiane, Angelo Del Boca, fu a lungo bandito perché rivelò crimini di guerra che l’Italia non voleva riconoscere e pagare.
Fu Berlusconi a stabilire nel 2008 con Gheddafi un trattato “dopo 40 anni di incomprensioni” … per “Meno immigrati clandestini sulle nostre coste e più petrolio” e per “Amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia”. Gheddafi fu accolto a Roma con tutti i più grandi onori, offrendogli ampi spazi per allestire il suo accampamento e quello del suo foltissimo seguito. L’Italia accettò di risarcire l’ex colonia con cinque miliardi di dollari in vent’anni.
Ricordiamo che l’Italia era contraria all’eliminazione di Gheddafi, ma poi ha sperimentato ogni sorta di stratagemmi incredibili per mantenere relazioni privilegiate con la Libia, in dura competizione con la Francia, gli inglesi e altre potenze neocoloniali.
Fu l’allora ministro dell’Interno Minniti del Partito Democratico (PD, ex-sinistra) a perseguire nel 2010 l’intesa a tutti i costi con i libici (vedi anche Carine Fouteau, e anche qui). Con l’opera dell’altro importante dirigente del PD Violante e di D’Alema, questo partito è diventato il primo referente politico della lobby militare e di polizia in Italia; oggi Minniti e Violante sono diventati alti dirigenti della Leonardo, la multinazionale italiana degli armamenti e anche i nuovi grandi amici della duce Meloni.
Fu Minniti lui ad inviare agenti dei servizi segreti italiani all’hotel Gammarth di Tunisi (si veda questo video-reportage) per consegnare 10 milioni di dollari al fratello del criminale (vedi anche un altro reportage di Lorenzo Cremonesi). Non è un caso che Minniti sia stato definito dal New York Times “Lord of the spies”. Secondo le testimonianze di alcuni migranti e della presidente di Medici senza Frontiere, Joanne Liu (cfr. la sua lettera inviata alle autorità europee), e anche secondo la commissaria europea Cecilia Malmström, i migranti arrestati da tale milizia erano alla mercé di rapine, brutalità, torture, schiavitù e violenze sessuali.
I reportage di Lorenzo Cremonesi, dal 2010, sono preziosi (qui un dei primi).
“Ancora nel 2010 Ahmad Dabbashi era un facchino appena ventenne al mercato … si prestava per lavoretti a ore di ogni tipo, trasportava cassette della frutta, scaricava camion e aiutava anche nei traslochi … ‘Un poveraccio a cui non avresti dato un soldo … Chi avrebbe mai detto che in pochissimi anni sarebbe diventato il bandito più famoso della regione, contrabbandiere di petrolio e trafficante di esseri umani, sino a trasformarsi in poliziotto anti-migranti che tratta con il governo di Tripoli e persino con quello italiano?’. Sono le parole di Mohammad, un suo vecchio vicino di casa. Nel caos seguito alla rivoluzione ‘assistita’ dalla Nato, allo sfascio violento del post-Gheddafi, ha prosperato. …
La Reuters e della Associated Press ha raccontato come Dabbashi sia diventato collaboratore di primo piano nel progetto del governo italiano per il blocco dei flussi migratori. Un agente dell’intelligence locale dice ‘ultimamente avrebbe ricevuto almeno 5 milioni di euro dall’Italia, se non il doppio, con la piena collaborazione del premier del governo di unità nazionale riconosciuto dall’Onu, Fayez Sarraj’. …
Questa è la realtà della Libia. … Con la milizia di Dabbashi c’era poco da fare. Combatterla significa rilanciare il bagno di sangue e per giunta con nessuna prospettiva di vittoria. Il modo migliore era integrarla, agire pragmatici. Cosa che i servizi d’informazione italiani e Minniti, con il quale mi sono incontrato più volte in Libia e a Roma, hanno ben intuito (è quanto asserisce Hussein Dhwadi, sindaco di Sabratha). … ‘È un mafioso, un bandito, che sino a poche settimane fa ha assassinato i nostri agenti e prosperato nell’illegalità, nell’arbitrio. Non potrà mai essere nostro alleato’, dice Basel Algrabli, 36 anni, direttore della locale Unità Anti-Migranti. …
Nel 2014 Al Ammu comanda la «Brigata Anis Dabbashi» e un’altra Brigata, la «48», diretta dal fratello più giovane, Mehemmed con la partecipazione dei cugini Yahia Mabruk e Hassan Dabbashi. Nel 2015 hanno il monopolio dei movimenti dei camion verso il deserto e lungo la costa dal confine con la Tunisia al porticciolo di Zawiya. … e anche la protezione dei cantieri e terminali di petrolio e gas a Mellitah: le attività dell’Eni. … Probabilmente è lui che ha i primi contatti con gli 007 italiani. … che poi si approfondiscono a seguito del rapimento di 4 tecnici italiani della Bonatti (di cui due assassinati) …
I Dabbashi sono una garanzia. … ‘efficienti nel traffico di esseri umani e tanto bravi nel bloccarlo. … si erano assicurati l’80% delle partenze dalle nostre coste, un affare milionario. Il loro slogan rivolto ai migranti africani era che si doveva pagare almeno 1.000 dollari a testa, ma i loro trasporti erano i più certi. … avevano contatti anche con organizzazioni criminali italiane. …
Si stima siano circa 600.000 gli «imprigionati» nell’imbuto libico. Le storie di persecuzione, terrore e disperazione non si contano”.
Da dopo la fine di Gheddafi il controllo dei siti della multinazionale italiana del petrolio ENI è in mano alle bande criminali libiche che gestiscono anche la tratta dei migranti, hanno pervaso tutto l’apparato statale libico e hanno stabilito accordi ben pagati con l’Italia.
Nella sua intervista con il Corriere della sera, Minniti afferma: “La Libia è strategica; è giusto fare accordi. Sul caso Almasri il governo avrebbe dovuto parlare di sicurezza nazionale”. Ciò perché, secondo lui, si tratta dell’“incolumità anche fisica di ogni cittadino italiano. Un grande pezzo della sicurezza nazionale si gioca fuori dalle frontiere nazionali poiché è la base la più avanzata dei trafficanti. Secondo, vi si gioca una partita energetica essenziale ». Allude all’interesse dell’Eni che lui -come tante altre figure istituzionali- considera interesse nazionale al pari della produzione e esportazione di armi per cui si giustificano le decine di missioni militari all’estero.
A proposito del caso Almastri, il boia di cui la Corte Internazionale aveva chiesto l’arresto e che invece il governo italiano ha liberato e accompagnato a casa sua con un volo di stato, Minniti ha detto: “Sin dall’inizio avrei utilizzato il tema della sicurezza nazionale: è netto. … » E ha aggiunti : « No, il caso di Bija non ha niente a che vedere .. Non l’ho mai incontrato”. La biografia di questo altro trafficante di migranti è assai simile a quella di Almastri. Nel 2017 fu invitato dall’OIM in Italia, per trattare un accordo alfine di ‘fermare le migrazioni dalla Libia. Il celebre giornalista dell’Osservatore romano, Nello Scavo, racconta qui la riunione al cara di Mineo alla quale Bija aveva partecipato. Malgrado decine di reportage su questo criminale in tanti importanti media europei, Bija fu presentato in Italia come “uno dei comandanti della Guardia costiera libica (ibidem). E’ a tale riunione che i libici chiesero: “Quanto spende il governo italiano per ospitare qui ogni migrante?” E fecero capire che il “modello del Cara di Mineo poteva essere esportato in Libia se l’Italia l’avrebbe finanziato risparmiando così soldi e problemi” (ibidem). E’ il suggerimento che Minniti ha fatto suo e che oggi Meloni difende a spada tratta con in più la reverenza vergognosa per il boia Almastri.
Ma, Minniti, con l’aria di grande esperto, afferma “Lo stato non è una ONG” e quindi attacca chi osa denigrare il governo Meloni. Da notare che il senso dello stato di mister Minniti include il baratto con le bande criminali che, al pari delle mafie, rubano, saccheggiano, sabotano, uccidono per imporsi come protettori, come garanti di una sicurezza che solo loro possono assicurare. Quindi secondo questa logica lo stato italiano avrebbe dovuto sempre negoziare con le mafie. Ma Minniti pensa all’interesse dell’ENI e della vendita degli armamenti di Leonardo, ergo business is business e bisogna farlo passare per «interesse nazionale» (il neoliberismo del capitalismo assoluto lo impone più che mai).
Nel suo nuovo reportage, Lorenzo Cremonesi scrive pezzi di biografia del criminale Almastri che oggi ha il titolo di generale capo della polizia giudiziaria libica!
Nel 2014 Almasri si fece reclutare nella Rada, la milizia emanazione del fronte islamico e contribuì a arrestare le truppe del generale Haftar. “La Rada utilizza Almastri per le operazioni sporche. Lui è un killer, è incaricato di eliminare gli indesiderati e per far ciò assume sicari e uomini disposti a tutto reclutati tra i carcerati nelle prigioni che controlla lui stesso”. Le vite di circa 15.000 carcerati nelle tre prigioni sono alla sua mercé. Nella prigione di Jedaida ci sono soprattutto dei trafficanti di droga e criminali accusati di delitti gravi. In quella di Rueni ci sono i migranti africani e arabi dei paesi vicini (tunisini e egiziani).
Tutte le più alte autorità libiche -scrive Cremonesi- hanno fatto pressione sull’Italia per ottenere il ritorno rapido di Almasri in Libia. Se l’Italia non l’avesse fatto ci sarebbe stato un grave rischio immediato per le strutture dell’Eni, i lavoratori e tutti gli italiani in Libia e l’ambasciata italiana.
L’Italia non aveva alternative e peraltro Turchia, Francia, Egitto e Russia avrebbero subito potuto dividersi i contratti italo-libici e i cittadini italiani in Libia sarebbero stati sequestrati per imporre lo scambio con Almastri. Centinaia di messaggi libici sono apparsi su TikTok e Facebook dicendo: “Dite a Roma che ha 48 ore per restituirci Almasri, poi attaccheremo l’Eni … La loro ambasciata sarà distrutta”.
Ecco quindi le vere ragioni che hanno costretto il governo italiano alla grave operazione di reverenza inaudita per i criminali libici mentre Meloni si nasconde e sbraita che lei non subisce alcun ricatto.
La sicurezza dell’attuale primo ministro libico Abdul Hamid Dbeibeh e del suo governo è garantita dagli uomini armati di tre milizie, tra cui quelle controllate da Almastri. “Le milizie e in particolare la Rada sono veri e propri stati nello stato. Nessuno può toccarli. Hanno sovranità e autonomia proporzionali alla loro forza militare e alla debolezza dell’autorità centrale. Chiunque voglia trattare con la Libia e agire sul suo territorio deve negoziare con queste milizie”.
Il caso Almastri è ormai diventato un grave caso di abuso di potere da parte del governo italiano anche a causa di maldestri errori della Corte di giustizia di Roma, del Ministro Nordio e sicuramente anche del sottosegretario Mantovano, del ministro Piantedosi e della duce Meloni. Come scrive il magistrato Aniello Nappi, già consigliere della Corte di cassazione italiana, la CPI ha trasmesso la richiesta di arresto di Almastri all’Interpol tramite una ‘notifica rossa’, che legittima l’arresto diretto della polizia giudiziaria. I magistrati romani commisero quindi un grave errore di diritto rifiutando di convalidare l’arresto e l’incarcerazione di Almasri. Da parte sua, il Ministro della Giustizia italiano avrebbe dovuto comunicare di non essere legittimato a intervenire in un procedimento di competenza esclusiva del Procuratore Generale di Roma, poiché la legge non gli attribuisce alcuna autorità in materia.
La Corte penale internazionale (CPI) ha pertanto aperto un’indagine nei confronti del governo italiano per determinare se l’espulsione del funzionario libico Osama Almasri Najim da parte dell’Italia costituisca un ostacolo alla giustizia.
Da parte sua, il governo italiano ha respinto l’indagine della CPI, ha messo in dubbio la condotta della corte internazionale e ha suggerito che la Corte stessa dovrebbe essere indagata (Meloni imita Trump).
È chiaro che Almastri è senza dubbio un criminale non meno orribile di un Riina. Un paese che lo libera dall’arresto legittimo e lo accompagna a casa con un volo di Stato è complice di un boia accusato di omicidio, tortura, stupro, ecc.
L’atteggiamento di questo governo neofascista italiano non può che ricordare quello di Mussolini che, dopo l’assassinio del leader socialista Matteotti, dichiarò davanti al Parlamento di essere stato lui a darne l’ordine.
l’articolo è stato pubblicato in francese su mediapart.fr
Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi sostenerci donando il tuo 5×1000
News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp