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Carcere ai ribell3: il carcere come strumento di repressione del dissenso
Osservatorio Repressione - Monday, February 10, 2025E’ uscito recentemente per l’Associazione Editoriale Multimage un libro che più necessario e attuale non sapremmo immaginare. Si intitola Carcere ai ribell3 ed è stato curato da Nicoletta Salvi Ouazzene in rappresentanza delle Mamme in piazza per la libertà del dissenso di Torino.
di Daniela Bezzi da pressenza
Un libro che ho letto con un misto di emozione, smarrimento, ammirazione…
Emozione perché parecchie delle storie documentate in queste pagine le ho raccontate un po’ anch’io, e proprio per questa testata, in alternanza con il collega Fabrizio Maffioletti. Smarrimento perché si fa fatica a credere che simili vicende di repressione del dissenso possano essere successe qui, a casa nostra, nella nostra ‘democratica’ Italia, nel cuore dell’Europa.
Ammirazione per la forza, la capacità di reazione e resilienza, la mirabile propensione a stemperare le proprie singolari sventure in un ‘noi’ che per un attimo diventa messa in pratica di ‘nuova società’, così autenticamente partecipata e solidale che persino quelle alte mura carcerarie diventano almeno per brevi sprazzi permeabili al ‘fuori’, a qualche azione concreta nella giusta direzione, dimostrativa di una qualche possibilità di miglioramento. E insomma sì: tanta roba ci arriva dalle storie così efficacemente ricostruite da Nicoletta Salvi in queste pagine.
Proviamo dunque a passarle in rassegna queste storie.
Storia di Dana (Lauriola) che un certo giorno, 17 settembre 2020, alla fine di un’estate già parecchio ‘calda’ in Val Susa, viene prelevata dalla casa in cui abita a Bussoleno per essere tradotta alla Casa Circondariale Lorusso Cotugno di Torino comunemente nota come Vallette. A nulla sono valsi i tentativi dei suoi Avvocati di vedere applicate misure meno restrittive: Dana è incensurata, è una giovane donna impegnata nel sociale, con un rapporto di lavoro stabile all’interno di una cooperativa, niente da fare. Due anni di carcere è la pena che la Procura di Torino si è sentita in dovere di prescrivere per il reato commesso in data 14 marzo 2012 nell’ambito di una manifestazione che il movimento NoTav aveva inscenato al casello di Avigliana, in bassa Val Susa. Un’azione che con lo slogan ‘Oggi Paga Monti’ si limitò a tenere aperti i tornelli per una quindicina di minuti, mentre Dana spiegava al microfono le ragioni della protesta e qualcuno dietro di lei (tra cui Nicoletta Dosio) sorreggeva uno striscione.
Particolare non da poco: solo qualche mese prima, 27 giugno 2011, le ruspe avevano sgomberato con violenza la ‘Libera Repubblica della Maddalena’, presidio che per settimane aveva cercato di opporsi all’apertura del cantiere di Chiomonte; e solo pochi giorni prima, 27 febbraio, l’attivista Luca Abbà era precipitato da un traliccio della luce, nel tentativo di dare visibilità allo scempio che si sarebbe mangiato la Val Clarea… e i giorni immediatamente successivi erano stati un susseguirsi di scontri, lacrimogeni e violenze, con le FFOO all’inseguimento degli attivisti fin dentro i bar, mentre Abbà era tra la vita e la morte.
Una situazione insomma di comprensibile rabbia e ansietà collettiva, che era sfociata in quell’azione ai caselli di Avigliana, durata in tutto una manciata di minuti, con un mancato incasso di € 777 che il Movimento NoTav aveva poi rimborsato in sede processuale. Ma niente da fare: due anni di carcere a Dana Lauriola per aver reiterato dentro un microfono le ragioni del No al TAV a nome di un’intera valle.
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” starebbe scritto nell’Art 21 della Costituzione a tutela del Diritto al Dissenso. Così non è.
In difesa di Dana si attiveranno a un certo punto anche le donne della Biblioteca UDI di Palermo, in particolare Ketty Giannilivigni e Daniela Dioguardi che oltre a dare vita a dei presidi ‘a distanza’ che da Palermo fino a Torino aggiungeranno anche le loro grida a quelle delle Mamme in Piazza, non perderanno occasione di scrivere lettere, raccogliere firme, indirizzare appelli, a Liliana Segre, a Sergio Mattarella, sulle colonne de Il Manifesto. “Quando finalmente ho avuto modo di soffermarmi sul caso della Lauriola non riuscivo a credere che le avessero dato due anni solo per aver speakerato al megafono!” ebbe a dichiarare poi la Dioguardi, ex parlamentare (tra il 2006 e il 2008) nelle fila di RC. “E quanti ergastoli avrei dovuto avere io, tutt3 noi, per le manifestazioni che ci siamo fatte in anni di impegno politico!”
Dana uscirà dalle Vallette il 16 marzo 2021, solo per proseguire la sua detenzione ai domiciliari, situazione non meno (e per molti versi più) penosa del carcere, perché non sei libera comunque, e sei da sola. “A Dana è permesso uscire solo per recarsi al lavoro” leggiamo infatti nel libro. “Chiami i carabinieri, li avvisi che stai uscendo di casa, poi li chiami per avvisarli che sei arrivata a destinazione e al rientro stesso teatrino. Sabato e domenica due ore d’aria (…) In casa non può ricevere nessuno, previo permesso del magistrato di sorveglianza…” Una non vita che durerà fino ai primi di maggio 2022, quando verrà dichiarata ‘rieducata’ e rimessa in libertà.
Ci siamo particolarmente soffermati sul caso di Dana perché tra tutti i casi che Nicoletta Salvi ricostruisce con mirabile puntualità e frequente, utilissimo, ricorso al QRCode, è quello che riuscì a catalizzare un certo seguito, nonostante la pandemia.
Ma non meno meritevoli di attenzione sono le ‘storie di carcere’ delle pagine successive. La storia di Fabiola Di Costanzo, implicata nello stesso caso di blocco stradale dei tornelli di Avigliana. E le storie di Stella, Francesco, Mattia, Stefano, Emilio, e tanti altri attivisti NoTav che si trovarono a condividere pesanti restrizioni nello stesso periodo di Dana: sospensione dei colloqui, scioperi della fame, difficoltà di far fronte a situazioni già molto penalizzanti in condizioni di “normale amministrazione” figurarsi in tempi di emergenza e pandemia!
E poi passa anche la pandemia e solo pochi giorni dopo la riconquistata libertà di Dana, ecco il 12 maggio l’azione in grande stile della Digos che colpisce tre studenti universitari, anche loro giovanissimi, incensurati, rei di aver partecipato qualche mese prima alle sacrosante proteste di piazza per la morte di Lorenzo Parrelli, martire di quell’indecenza che si chiama “alternanza scuola-lavoro”. Si era ancora in regime di restrizioni, la polizia risponde con pesanti cariche ad ogni tentativo di corteo e a fine giornata il bilancio è: 40 feriti, parecchie teste rotte, molti al Pronto Soccorso, una violenza inaudita contro ragazzi inermi.
Il 14 febbraio la stessa “alternanza scuola-lavoro” registra una nuova vittima, Giuseppe Lenoci. Di nuovo gli studenti cercano di inscenare manifestazioni di protesta, con scontri dinnanzi alla sede della Confindustria – e dai primi di maggio 2022 ha inizio l’allucinante calvario giudiziario per i “capri espiatori” Emiliano e Jacopo (22 anni) e Francesco (20 anni) oltre alla compagna Sara, con i legali che cercano invano di ridimensionare le penalità a loro carico.
Passano i mesi, si arriva al 13 novembre 2023 con una sentenza che punisce il summenzionato gruppetto più altri a condanne variabili tra i cinque e nove mei di reclusione, però con la condizionale e la facoltà di ‘non menzione nel casellario giudiziario”. “La mitezza delle condanne conferma che le pesanti restrizioni della libertà personale, comminate come misure cautelari erano state ‘incongrue e sproporzionate’” fa notare Nicoletta Salvi a pag 56 del libro. E insomma tante ansietà, dolore, difficoltà, per i ragazzi e per le loro famiglie, tanto tempo che avrebbe potuto essere dedicato allo studio, a qualcosa di costruttivo, tante risorse buttate, per esempio per i braccialetti elettronici… per nulla. Questa l’amara conclusione di Emiliano, Francesco e Jacopo nelle testimonianze che concludono il loro capitolo.
Ed eccoci alla storia di Francesca Lucchetto. Personalità estroversa, solare, concreta, Cecca (come tutti la chiamano) fa parte del Centro Sociale Askatasuna ed è impegnata nel movimento NoTav, per la libertà in Kurdistan, per la fine dell’occupazione in Palestina, per i senza casa che crescono a vista d’occhio a Torino. Finirà dietro le sbarre il 7 febbraio 2023 e vi resterà fino al 17 settembre dello stesso anno, proseguendo poi la detenzione ai domiciliari fino al 1 dicembre 2023. Il reato? Di nuovo un nonnulla: aver tentato (e solo tentato, perché la polizia partì subito alla carica con gran dispiego di violenza e manganelli) di appendere uno striscione davanti al Tribunale di Torino, per esprimere solidarietà alla 1ma udienza (nel lontano 2013) a carico della compagna Marta, che non solo era stata malmenata e molestata sessualmente durante una manifestazione al Cantiere Tav di Chiomonte, ma si era beccata appunto una denuncia. Una semplice, pacifica, inoffensiva manifestazione di dissenso, che ci aspetteremmo di veder tutelata da uno ‘stato di diritto’. E dieci anni dopo quei lontani fatti, febbraio 2023, la procura di Torino decide di punire con il carcere anche Cecca.
Una reclusione che lei affronta fin da subito con gran determinazione e concretezza, facendosi portavoce delle istanze, bisogni, desideri delle altre recluse, con cui entra subito in sintonia, instaurando un ponte tra il ‘dentro’ e il ‘fuori’, con il puntuale, affettuoso, immancabile sostegno delle Mamme. Che ogni giovedì hanno ricominciato ad essere lì, presenti, sotto le mura delle Vallette: con il banchetto, il megafono per gli interventi, la musica a palla trasmessa dagli altoparlanti, come ai tempi di Dana e di nuovo per un’intera comunità di detenute, un terzo delle quali soffre di disturbi psichiatrici, “curati” a suon di psicofarmaci.
La detenzione di Cecca sarà infatti scandita da una serie di suicidi:
- il 28 giugno si impicca Graziana, che aveva quasi finito di scontare la sua pena: “la prospettiva di tornare in libertà ha scatenato in lei un malessere che pure erano stati notati, segnalati…” ma senza alcun concreto intervento;
- solo pochi giorni dopo, 12 luglio, toccherà ad Angelo, 44 anni anche lui impiccato;
- il 9 agosto muore la nigeriana Susan George, che era in sciopero della fame dal 22 luglio, a quanto pare nessuno sapeva di lei;
- il giorno dopo si impicca Azzurra, ventotto anni, con già alle spalle un tentativo di suicidio presso il carcere di Genova.
“E’ la cronaca di un inferno” scrive Nicoletta Salvi a pag 79 del libro. “Un inferno cui si assiste impotenti ma non silenti. Raccogliamo la voce delle donne detenute, la diffondiamo, contrastiamo gli articoli pietistici e giudicanti con articoli scritti da noi, che raccontano la realtà per come Cecca e le altre donne ce la fanno conoscere…” E nel suo piccolo anche questa testata farà la sua parte, inaugurando una rubrica fissa per questi preziosi contributi di controinformazione che ci arrivano dalle Mamme in Piazza per la Libertà di Dissenso di Torino, che il libro non manca di riproporre a mo’ di appendice conclusiva.
Un libro dunque che ripercorre anche la loro storia, da quando nel 2015 si trovarono a condividere le udienze in tribunale per vicende (in tutto simili a quelle ricostruite in queste pagine) che vedevano protagonisti i loro figli “e ci venne spontaneo concludere che erano proprio figli nostri, che le mostruosità di cui erano accusati erano in fondo l’espressione di un forte impegno sociale che avevamo trasmesso noi stesse, per cui dovevamo fare qualcosa!”
Un libro che le racconta nel loro mirabile lavoro di rete, di continua tessitura di relazioni, ciascuna con una propria distinta personalità, ma all’occorrenza tutte compatte e unite, in straordinaria sintonia di gesti, suddivisione dei compiti, reciproca valorizzazione, capacità di comunicazione.
Arricchiscono questa pubblicazione la bella prefazione di Debora Del Pistoia, ricercatrice per Amnesty International, e le autorevoli conclusioni dell’Avv. Claudio Novaro, che di tutte le vicende giudiziarie passate in rassegna è stato il difensore. Ed entrambi i contributi ci invitano a tenere alta l’attenzione, a non arrenderci, anzi a moltiplicare le iniziative di risposta, da parte di noi cosiddetta ‘società civile’, che non può accontentarsi di restare alla finestra. Perché tra DDL Sicurezza e quella mostruosità di processo definito ‘del sovrano’, che sta per concludersi al Tribunale di Torino, il peggio deve ancora venire.
Per saperne di più e/o organizzare presentazioni del libro: https://www.facebook.com/mammeinpiazza oppure contattando Multimage.
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