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Le troppe amnesie su carcere e repressione
Osservatorio Repressione - Friday, February 14, 2025L’approccio a carcere e repressione non potrà essere mai esaustivo e corretto senza partire dalla realtà che ci trasmette da tempo un’egemonia schiacciante delle culture e pratiche sicuritarie.
di Federico Giusti
Possiamo discutere all’infinito sull’approccio alle tematiche repressive ma alla fine andremo a sovrapporre i nostri desiderata alla realtà con la quale bisogna invece sempre e comunque fare i conti.
E la realtà ricorda che oggi alcuni concetti la fanno da padrone tanto a sinistra quanto a destra, sono ormai punti comuni delle analisi provenienti dai vari schieramenti, parliamo di certezza della pena, di sicurezza nei centri abitati, di lotta alla microcriminalità, di telecamere diffuse ad ogni angolo cittadino. E quando ci imbattiamo negli infortuni e nelle morti sul lavoro la richiesta di molti è la istituzione di un reato per omicidio sul lavoro sperando che l’ennesimo reato nel codice penale a tutela dei lavoratori possa in qualche modo restituire dignità e giustizia alle vittime del profitto.
Sia ben chiaro: il nostro codice penale introduce ogni mese reati nuovi per colpire devianze e soggetti sociali, l’elenco sarebbe lungo e i nostri ascoltatori o lettori ne sono già al corrente, la speranza che infortuni e morti sul lavoro possano ridursi per la istituzione di pene severe anche contro i mancati controlli della committenza stride con la subalternità dei Rappresentanti dei lavoratori alla filiera aziendale, alle dinamiche decise dai vertici aziendali, pubblici e privati, a norme, incluso il testo unico sulla sicurezza, che non hanno attribuito potere contrattuale alle figure sindacali che si occupano di salute e prevenzione.
Sta qui il problema, pensare che una legge determini lo spostamento del punto di vista generale, le legislazioni avanzate in materia di salute e sicurezza sono figlie di lunghe stagioni di lotte e di iniziative culturali e sociali ma anche di pratiche politiche e sociali avanzate.
Chi oggi ragiona sull’abolizione del carcere pensando sia possibile farlo alla luce di quanto avvenuto negli anni settanta con i manicomi dovrebbe prima studiare e contestualizzare il problema e magari anche chiedersi dove siano finiti tutti gli interventi sociali di accompagnamento della Basaglia di cui si è subito perso traccia all’indomani dei processi attuativi della Legge
Perchè il modo migliore per vanificare dei percorsi di riforma è quello di abbandonare al proprio destino la transizione scaricandone gli oneri sociali sulla collettività o, meglio ancora, sulle singole famiglie che poi si troveranno a fare i salti mortali per la soluzione dei problemi.
Dobbiamo quindi ripartire da alcuni luoghi di comuni come la certezza della pena in un paese nel quale a pagare sono sempre i meno abbienti con le carceri ridotte a discarica sociale, con i percorsi di studio e di lavoro di fatto ridotti ai minimi termini, con le misure alternative alla pena rese impossibili dall’assenza di una rete di welfare fino alla privatizzazione della pena e del carcere sul modello Usa con le carceri affidate ai privati e a costi decisamente più bassi.
Ma non possiamo eludere anche la necessità di un approccio meno caritatevole e sociologico alla questione detentiva recuperando invece una chiave di lettura politica e politicizzata, del resto il 1660 è la risposta al conflitto interno ai paesi a capitalismo avanzato che vanno imponendo economie di guerra e sacrifici economici e sociali. E in questo approccio allargato non possiamo eludere la questione dell’emergenza trasformata in strumento ordinario, pensare che i recinti urbani non siano figli di una diffusa cultura che spazia dalla sicurezza urbana alle logiche del mercato immobiliare fino ai progetti che andranno a ridefinire i confini e le dinamiche della città con una sorta di selezione preventiva della tipologia di abitante da collocare in ogni singolo quartiere.
Quello che serve oggi è mettere insieme i vari approcci e trasformarli in una contro narrazione che per essere credibile dovrà affrontare, e non eludere, le contraddizioni emerse nel tempo attorno alle tematiche securitarie, il securitarismo si afferma dopo decenni di egemonia culturale e politica dei dominanti e tra i dominanti non mancano anche settori dell’attuale opposizione parlamentare a cui dobbiamo ad esempio i pacchetti sicurezza o avere minimizzato la situazione di vita nei campi in Libia per ragioni legate alla salvaguardia della sicurezza nazionale.
Proviamo a uscire allora dalle nostre zone comfort siano esse ideologiche o di gruppo politico, di approccio intellettuale o di ribellismo fino a sè stesso. La questione carceraria, in un paese dove a distanza di 40 anni ci sono ancora detenuti politici, è uno spaccato della società e come tale va affrontata, farlo ora prima di trovarci davanti al modello usa, ai carceri gestiti da privati nei quali i diritti umani e civili saranno letteralmente sospesi.
l’articolo è uno Stralcio dell’ intervento della Cub alla presentazione pisana del numero di Jacobin “Regime di Massima sicurezza”
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