Mai fidarsi del Senato (politico o accademico)Ci auguriamo che questa infamia davvero sfacciata riaccenda la lotta per
spezzare le collaborazioni tra le università italiane e il sistema-Israele.
Sapienza, il bando «guerra» lo vince Israele
Università. Fondi speciali per visiting professor dal Medio Oriente: otto posti
su undici vanno a ricercatori israeliani. Gaza resta fuori dai radar. La corsia
preferenziale pensata per i gazawi è diventata un’autostrada riservata alle
università israeliane. E i palestinesi, con due rifiuti su tre, sono i più
penalizzati.
Dopo le proteste dello scorso aprile contro le collaborazioni con le università
israeliane finite con tafferugli e arresti, i vertici dell’università «Sapienza»
di Roma avevano proposto un compromesso. Nessun boicottaggio contro Israele
nonostante «crescenti sentimenti di dolore e orrore suscitati dall’escalation
militare e dalla conseguente crisi umanitaria alle quali si sta assistendo in
Palestina».
In compenso, il senato accademico e il Cda dell’ateneo romano si impegnavano in
«azioni di accoglienza, sostegno e solidarietà per le comunità accademiche che
sperimentano i tragici scenari di conflitto e a contribuire alla realizzazione
di corridoi umanitari», citando a esempio il partenariato con l’università
An-Najah di Nablus e il Palestinian Student Scholarship Fund.
INOLTRE, L’ATENEO avrebbe riservato «una quota pari al 10 per cento del budget
stanziato per il bando annuale di Visiting Professor (80mila euro su 800mila,
ndr) al finanziamento di visite di studiosi provenienti dalle zone del conflitto
in Medio Oriente».
L’obiettivo: permettere ai ricercatori palestinesi di trovare asilo nelle nostre
università visto che scuole e atenei di Gaza sono stati demoliti dalle bombe
israeliane. Invece, di quei fondi destinati alla protezione umanitaria hanno
approfittato soprattutto i ricercatori delle università israeliane. Su undici
«visiting professor» approvati dalla commissione nella quota riservata al Medio
Oriente, ben otto vengono dalle università di Tel Aviv, Gerusalemme, Be’er
Sheva. Le borse rimanenti sono andate a tre ricercatori di Beirut (Libano),
Erbil (Kurdistan) e Ramallah (Palestina).
Tra gli esclusi figurano un professore di ingegneria dell’ateneo di An-Najah di
Nablus e soprattutto un economista dell’università Al-Azhar di Gaza, distrutta a
novembre 2023 da un bombardamento aereo israeliano. Se la sua domanda fosse
stata accettata dalla Sapienza, avrebbe soggiornato a Roma da febbraio a maggio
2025.
I TEMPI LUNGHISSIMI della valutazione avrebbero comunque complicato le
lunghissime trafile burocratiche necessarie per lasciare Gaza. Ma, altra scelta
discutibile della Sapienza, alle domande relative a ricercatori in zone in
conflitto non è stata data precedenza.
Com’è possibile che un fondo per accogliere studiosi in pericolo venga quasi
interamente impegnato per i soggiorni di ricercatori provenienti dalle
università israeliane, tra le meglio finanziate al mondo? Interpellata dal
manifesto, la rettrice della Sapienza Antonell Polimeni fa sapere che «la
Commissione si è espressa valutando idonee tutte le domande pervenute,
assegnando tutti i fondi destinati a questa tipologia di finanziamento, nel
rispetto dei criteri espressi nel bando e in relazione al numero complessivo
delle domande pervenute».
PROPRIO IL BANDO, modificato dopo le proteste per rafforzare l’accoglienza dei
ricercatori palestinesi, è all’origine del «pasticcio». I criteri scelti per
l’accesso alla quota di finanziamenti riservata ai paesi in conflitto hanno
riguardato «impact factor» e «H index» (cioè la rilevanza in termini di
pubblicazioni scientifiche) degli ospiti, il «prestigio dell’istituzione di
provenienza» oltre agli obiettivi della ricerca e della didattica da svolgere in
Italia.
Mettere in competizione il curriculum e il «prestigio dell’istituzione di
provenienza» di ricercatori israeliani e palestinesi è il modo migliore per
escludere questi ultimi: per molti di loro le «istituzioni di provenienza» non
esistono più e l’«obiettivo della ricerca» da svolgere in Italia è innanzitutto
sopravvivere.
IN OGNI CASO, le condizioni di chi svolge ricerca in Israele e Palestina non
sono paragonabili. Difficile pensare che chi abbia scritto il bando non ne fosse
a conoscenza.
Grazie a questa poco credibile «svista», Israele è lo Stato al mondo che ha
avuto la maggiore percentuale di domande accettate, con quasi il 90% di risposte
affermative. Più di Olanda, Svizzera e Norvegia e anche di potenze come Regno
unito, Germania, Francia e Stati uniti.
Le istituzioni palestinesi, con due rifiuti su tre richieste, sono invece tra
quelle più penalizzate. Una corsia preferenziale pensata per i ricercatori di
Gaza si è trasformata in un’autostrada riservata alle università israeliane.
(Carlo Bevacqua su “il manifesto” del 20 dicembre 2024)