(quadro di fernando eros caro dal braccio della morte, san quentin)
Si può vivere, si può morire
ma non si può vivere aspettando di morire
(fernando eros caro)
In Italia la pena di morte è stata abolita nel nuovo codice penale militare di
guerra nel 1994 e in Costituzione solo nel 2007. Nel codice penale vige tuttavia
la pena dell’ergastolo che non costituisce un’alternativa alla pena di morte, in
quanto essa stessa è una pena fino alla morte. La stessa pena di morte nel
mondo non è più lo spettacolo patibolare del passato, ma una esecuzione
durevole nel tempo, che si consuma nei bracci della morte e che si può
protrarre anche per molti anni prima dell’azione del boia. Pena di morte ed
ergastolo sono quindi due istituti penali che inducono uno stato di agonia nelle
persone che vi vengono condannate, decretandone la morte ad ogni prospettiva
sociale e un lento “vivere morendo”.
Al 31 dicembre 2024 in Italia le persone recluse in questo stato agonico indotto
erano 1890, 143 di cittadinanza non italiana, 38 le donne. […] Utilizzando
strumentalmente come apripista il femminicidio, il governo italiano sta cercando
di introdurre una ulteriore fattispecie di ergastolo. Il disegno di legge
governativo finalizzato all’introduzione nel codice penale del delitto specifico
di femminicidio, prevede infatti come pena una forma di ergastolo automatico,
sottratto alla valutazione del giudice. […]
Già nella precedente edizione di Arte contro le pene capitali osservavamo che
in un momento storico in cui l’istituzione della guerra ha preso il sopravvento,
ergastolo e pena di morte estendono la loro presenza e prendono nuove forme. Per
esempio, la lotta contro la pena di morte non può esimersi dal condannare le
esecuzioni extragiudiziali praticate nello scenario globale da Stati Uniti e
Israele contro coloro che, considerati nemici dell’Occidente ed etichettati come
“terroristi”, subiscono condanne a morte senza procedimenti giudiziari, che
vengono eseguite uccidendo intenzionalmente chiunque si trovi nei pressi della
persona designata. […] Ancora, se si prende come esempio lo stato di Israele e i
tribunali militari che nella Palestina occupata erogano le condanne
all’ergastolo e ogni altra pena a uomini e donne palestinesi, si vede come
questa pena di morte extra giudiziaria tende a sovra determinare ogni altra
forma di condanna giudiziaria. È bene dire, inoltre, che il popolo palestinese
di Gaza, con l’affermarsi dell’intenzione genocida da parte di Israele e
l’istituzione dei dispositivi che realizzano questa intenzione, è stato
schiacciato in una condizione agonica. Costretto quindi a “vivere morendo”.
Riproponiamo quindi anche quest’anno a Napoli una giornata dedicata
all’esposizione di opere d’arte, ad azioni visuali, teatrali, letterarie,
musicali, danzanti e relative a ogni altra forma creativa, per sensibilizzare la
cittadinanza intorno al tema delle condanne capitali. È, il nostro, un percorso
che intendiamo sul lungo periodo, che intende battersi contro la pena di morte e
la pena fino alla morte, e che non può esimersi, in questo periodo storico, dal
considerare le diverse forme che va assumendo il potere di dare la morte. Questo
potere va anche al di là delle forme che la guerra ha assunto storicamente come
guerra fra Stati: viene esercitato verso i popoli colonizzati, le classi
sfruttate, i poveri del mondo, nonché gli umani che resistono, e che riescono a
generare, malgrado tutto, momenti di vita.
È stato scelto per l’evento l’ex Ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli
perché i manicomi criminali sono stati luoghi di internamento per persone che,
dichiarate incapaci di intendere e di volere al momento dell’esecuzione di un
reato, venivano sottoposte a misure di sicurezza detentive prorogabili
indefinitamente e dette per questo: “ergastoli bianchi”. Ciò sollecita lo
sguardo abolizionista a prestare attenzione a tutte le forme indeterminate, sia
di pena che di misura di sicurezza, basare sull’attribuzione della pericolosità
sociale, che ancora perdurano e si rinnovano.
Il programma dettagliato della giornata del 2 novembre si può leggere qui.
A seguire invece pubblichiamo Pinocchio in carcere, un testo ricevuto da Claudio
Furnari, condannato all’ergastolo e attualmente detenuto nel carcere di Sulmona.
Pinocchio come tutte le mattine esce di casa per andare nella sua campagna,
essendo primavera. Con lui aveva un piccolo paniere, pensando che le ciliegie
erano mature, quindi cammina spensierato nella strada. Di colpo viene fermato
dalle guardie del re che senza nessuna spiegazione lo portano in carcere.
Durante la strada Pinocchio chiede il perché viene arrestato e come risposta il
capo guardia gli dice: «Abbiamo ordini dall’alto», ma Pinocchio non capisce
visto che non aveva fatto nessun male. Lo portano in un grande camera e, là
trova un sacco di persone, ognuno scontava la loro pena. Alla vista di Pinocchio
ci fu una gran curiosità da parte di tutti, ognuno gli chiedeva: «Cosa hai fatto
che ti hanno arrestato?». Lui rispondeva dicendo: «Io non ho fatto niente, le
guardie del re mi dissero che su di me c’è ordine dall’alto. E voi perché vi
trovate qui?». Ognuno spiegava il suo reato, chi diceva: «Io devo fare altri sei
mesi»; altri un anno ancora, comunque ognuno aveva il suo reato.
Dopo due-tre giorni che Pinocchio si trova in carcere insieme a tutti gli altri,
la mattina del 10 aprile la prima figlia del re annuncia il suo matrimonio e
chiede al padre un anno di amnistia (ammistizia) per ogni carcerato. Il re
acconsente quindi la mattina dopo il maresciallo per ordine di lettere
incomincia a chiamare: «Tizio fatti la roba che sei stato graziato». A seguito
chiama tutti gli altri. Pinocchio chiede spiegazioni a un suo paesano: «Come mai
che mi dicesti ieri che dovevi scontare altri cinque mesi e ora te ne vai!».
«Non l’hai capito, la principessa si sposa e diede a tutti i carcerati un anno
di grazia!». Pinocchio pensava che anche lui veniva scarcerato. Passano due tre
giorni ed era rimasto quasi solo. Si fa coraggio e chiama il secondino e gli
dice: «Ma dimmi un po’, a me quando mi chiami per uscire?». Il secondino gli
chiede: «Ma tu che reato hai?». «Io nessun reato». «E come ti può graziare senza
reato!».
Ancora oggi Pinocchio si chiede perché quelli che vengono arrestati con ordine
dall’alto, anche se non hanno fatto reato, sono predestinati a morire in carcere
senza nessuna grazia.