La testimonianza dal carcere di Cesare Battisti. Le giornate tutte uguali. Così
lunghe da passare una a una, ma a ripensarle tutte insieme non fanno un solo
giorno
di Cesare Battisti
Il materasso ridotto a una sfoglia sopporta male l’umorismo di Tchekhov, chiudo
il libro e mi rimetto a pensare al vuoto. Alle carceri lottate in permanenza,
non si sa dove mettere tutti questi corpi accantonati. È il pieno addizionale,
eppure è qui dove più impera il vuoto. Siamo ombre, lo spazio non lo occupiamo,
lo oscuriamo appena. Ognuno a modo suo cerca di annullare ciò che di lui rimane
sotto trecento gocce di valium, nel sorso di metadone rigurgitato da altre dieci
bocche. O, come ha fatto ieri Hasnawi, quando con la lametta ha tagliato il
cerotto di Fentanil con un po’ di pelle attaccata appartenente al suo compagno
di cella che dormiva. Questo è carcere, la parentesi, ci ostiniamo a voler
credere, mentre sarebbe più appropriato dire che le vere parentesi sono quelle
ogni volta più brevi che la maggior parte di noi trascorre a piede libero.
Hasnawi è un bravo ragazzo, ha subito una stomia intestinale perché dicono che
ha mangiato una ventina di batterie e queste gli hanno bucherellato l’intestino.
Fa mille volte al giorno il corridoio alla ricerca di pastiglie e quant’altro di
sballante gli è possibile ingoiare. Da me viene in cerca di zucchero per la
prossima sfornata di grappa. Devo avergli detto un centinaio di volte che non
uso zucchero, ma lui se lo dimentica e torna a chiedere. «Com’è andata la storia
del cerotto?» gli chiedo tanto per non lasciarlo a becco asciutto. Hasnawi
s’illumina, l’operazione è stata ampiamente commentata e anche con certa
ammirazione. «Bè, lui dormiva di brutto, il cerotto ce l’aveva sulla spalla, in
bella vista. Ho provato a tirarlo piano piano ma non veniva, allora ho usato la
lametta.» «Ma hanno dovuto medicarlo, sanguinava.» «Bè sì, mi è partita un po’
la mano ma lui non se n’è neanche accorto, si vede che del cerotto non aveva più
bisogno. Ma tu, piuttosto, come fai a stare senza zucchero?».
Se ne va un po’ gasato. Mentre, dal libro abbandonato sul materasso, mi sembra
di sentire Tchekhov mormorare: “È da così tanto tempo che non bevo champagne”. E
mi sembra di vederlo mentre si porta la coppa alle labbra e beve. Qualche
istante dopo la sua Olga gli prende la coppa vuota e la posa sul comodino. Lui
si gira sul fianco, chiude gli occhi, e sospira. L’istante successivo, ha
cessato di respirare. Frizzante fino all’ultimo; ma chissà se Tchekhov se ne
volesse veramente andare?
Io resto ancora un po’ a guardare questa giornata fatta come altre cento tutte
uguali. Così lunghe da passare una a una, ma a ripensarle tutte insieme non
fanno un solo giorno. Gli scherzi del tempo, dopo tanti calendari al chiuso
dovrei averci fatto l’abitudine. Invece, a ogni cambio di lenzuola mi faccio
sorprendere, è passata un’altra settimana, oddio, ma è stato ieri!
Anche con i giornali mi confondo, succede che mi consegnino d’un colpo gli
arretrati. Li stendo tutti sul letto e poi li ordino per data decrescente;
voglio sfogliare il tempo con le mani. Le date in cima alla pagina non mentono,
ma le notizie sono tutte uguali. È deprimente. Inverto l’ordine, li mischio, ne
apro uno caso e leggo un titolo di guerra. È un’altra guerra, ma le vittime sono
le stesse di ieri e di domani. Solo i nomi cambiano, ed è per sentire lo
scorrere del tempo che mi devo leggere gli annunci mortuari. O le pagine che ho
scritto ieri, che oggi mi sembrano insensate. “Beato te che ti piace scrivere”,
me lo sento dire qualche volta, da un’anima che cerca un po’ di pace. Non me la
sento di deluderlo, mettendomi a parlare dello struggimento per mettere in fila
due pensieri. Dell’abbattimento, o dell’impotenza atroce al ritrovarmi davanti
al PC fracassato durante una perquisizione. Alle pagine da rifare e al tempo che
regredisce. Non lo posso dire a chi mi sta guardando con occhi speranzosi di
mendicante bambino, e a chi tremano le mani. Anche se qui non è ciò che uno dice
che conta, ma sì dice qualsiasi cosa per riempire il vuoto.
Intanto il mondo gira e sforna nefandezze. Nel momento stesso in cui accadono i
fatti di oggi sono già notizia. Perfino nel chiuso di una cella crediamo di
essere costantemente collegati, anche se crederlo non è precisamente lo stesso
che stare al mondo. La nostra vita dietro le sbarre scorre a parte, mentre la TV
ci bombarda di notizie devastanti, che noi assorbiamo come gente libera e
normale e talvolta commentiamo pure, con sincera passione. Scottati dalle fiamme
che lo stanno divorando, ci palleggiamo il mondo che va male e ci crogioliamo
nella responsabilità civile, finché l’oblio torbido della prigionia non viene a
dirci che niente di tutto quanto succede ci riguarda veramente. Per lo spirito
in catene, non c’è disgrazia tanto grande che lo possa distrarre dall’angoscia
della libertà negata. (da l’Unità)
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Tag - Lettere dal carcere
Dichiarazione di Anan Yaeesh durante l’ultima udienza all’Aquila che lo ha
rinviato a giudizio insieme al altri due palestinesi.
Anan Yaeesh – dichiarazione spontanea ex art 421 cpp
“Desidero iniziare con i miei saluti alla Corte e a tutti i presenti.
Esiste sempre la legge, ma anche lo spirito della legge; pertanto, vorrei
chiedere all’Onorevole Giudice di concedermi il minimo diritto umano nei
confronti del mio Paese, osservando un minuto di silenzio per le anime dei
bambini, delle donne e dei martiri della Palestina.
Innanzitutto, desidero affermare la mia fiducia nel sistema giudiziario italiano
e riconoscerne la legittimità.
Tuttavia, mi oppongo all’essere processato in Italia, in quanto sono palestinese
e non ho commesso alcun reato né in Italia né in qualsiasi altro paese. Il mio
fascicolo, come resistente palestinese, è conosciuto dalle autorità di sicurezza
italiane, e ho ottenuto il permesso di soggiorno in Italia e la protezione
speciale dopo che la mia richiesta di asilo era stata respinta dal Tribunale di
Foggia. Pertanto, signor Presidente, considero il mio arresto e il mio processo
qui illegittimi, poiché l’arresto stesso, sin dal primo momento, è stato
compiuto in contrasto con il diritto internazionale umanitario, con lo statuto
delle Nazioni Unite, con la Convenzione di Ginevra e con i due protocolli
aggiuntivi, e tutto ciò che ne è derivato è anch’esso illegale; ciò che si fonda
sull’illegittimità, infatti, è anch’esso illegittimo.
Se riconoscete la legittimità dello Stato di Palestina, allora la richiesta di
estradizione avanzata nel gennaio dello scorso anno nei miei confronti avrebbe
dovuto essere presentata attraverso il governo del mio Paese. Se, invece,
considerate la Palestina come un territorio illegalmente occupato da una potenza
coloniale, allora la resistenza è un diritto legittimo e non dovreste arrestarmi
qui per tale motivo.
Sfortunatamente, signor Giudice, ho preso visione delle vostre osservazioni sul
caso e, con rammarico, ne ho dedotto che considerate il palestinese terrorista
non per la, legittima, resistenza che porta avanti contro uno stato occupante,
ma perché riconoscete Israele come uno Stato amico. Se in ballo vi fosse stato
un altro paese occupante, la Russia ad esempio, avreste riconosciuto la
legittimità della resistenza palestinese. Non mi state processando in base al
diritto internazionale, ma in base ai vostri rapporti diplomatici, solo perché
Israele è considerato un alleato del governo italiano, un partner commerciale, e
ritenete legittime tutte le azioni che esso porta avanti. Tanto vale allora
cambiare il nome delle corti internazionali e umanitarie in “Corti degli amici”.
Volete che mi difenda dalle accuse a mio carico, ma mi vergogno di cercare
l’assoluzione da accuse che per me rappresentano un motivo di onore. Non voglio
difendermi dall’accusa di avere dei diritti e di averli rivendicati, o di aver
tentato di liberare la mia gente e il mio Paese dall’oppressione coloniale.
Giuro che non intendo essere assolto dalla legittima resistenza contro
l’occupazione sionista. La resistenza palestinese è uno dei fenomeni più nobili
conosciuti dalla storia.
Piuttosto, mi vergogno di trovarmi in una stanza calda, anche se in carcere,
mentre i bambini di Gaza muoiono di freddo, fame e sete. Mi vergogno del buon
trattamento ricevuto dalle autorità carcerarie qui, mentre i miei fratelli
prigionieri nelle carceri israeliane vengono sottoposti ai peggiori tipi di
tortura, oppressione, sevizie.
Signor Giudice, su tutti i miei documenti rilasciati in Italia non è riportato
il nome “Palestina”, ma quello di “Territori occupati”. Quindi, sapete che
quella terra è occupata e, di conseguenza, in base alle convenzioni firmate dal
vostro Paese, dovete ritenere legittima la resistenza contro l’entità occupante.
Perché allora mi ritrovo oggi detenuto da parte vostra?
Come partigiano palestinese sono costretto ad osservare che da un punto di vista
politico il mondo adotta due pesi e due misure: colui che è più forte e
appoggiato dagli USA è colui che prevale.
Ma la Giustizia, il diritto, utilizza anch’esso lo stesso metro di giudizio, due
pesi e due misure, oppure saranno le leggi a prevalere nelle aule di Tribunale?
Sarebbe giusto, se considerando i coloni che occupano la terra di Palestina
senza diritto né legittimità, dei civili, solo perché non indossano le divise
dell’esercito israeliano, aveste lo stesso giudizio nei confronti della
resistenza palestinese, anch’essa infatti è composta da civili e non da
militari, in quanto la Palestina non possiede uno Stato e neppure un esercito
con cui difendersi dagli aggressori. Entrambi impugnano le armi e uccidono;
l’unica differenza è che la resistenza palestinese difende la propria terra, il
proprio popolo e i propri diritti negati, e non uccide bambini, donne o civili
se non per errore. Nel corso degli anni, questi errori non hanno mai superato
l’uno per cento, mentre i coloni sistematicamente attaccano i civili indifesi.
Da anni uccidono donne e bambini, bruciandoli addirittura all’interno delle loro
case, come hanno fatto a Hebron uccidendo oltre 30 fedeli nella Moschea di
Abramo, o come hanno fatto con la famiglia Dawabsha, con Iman Hejju, con
Mohammad al-Durrah, o come hanno fatto nel villaggio di Jatt il 16 agosto e in
molte altre occasioni, con lo scopo di incutere terrore nei palestinesi e
obbligarli a lasciare la propria terra; i coloni seguono gli insegnamenti della
Haganah e dell’Irgun.
Nulla può testimoniarlo meglio di quanto recentemente dichiarato in una lettera
dal Direttore dello Shin Bet israeliano, che ha riconosciuto che i coloni sono
gruppi terroristici e che le autorità israeliane dovrebbero arrestarli e
reprimerli. Tuttavia, la risposta di Benjamin Netanyahu è stata fornire ai
coloni oltre10.000 fucili.
Ma d’altronde cosa aspettarsi da Netanyahu riconosciuto dalla Corte Penale
Internazionale come criminale di guerra per i massacri compiuti nei confronti
dei palestinesi.
Il Tribunale dell’Aja ha emesso un mandato di cattura nei suoi confronti nel
caso arrivasse in Europa, ma, nonostante ciò, il governo italiano ha dichiarato
che sarà il benvenuto in Italia e ha rifiutato la decisione della Corte,
disconoscendone la legittimità.
È il governo che ha deciso di arrestarmi su richiesta israeliana, attribuendomi
l’appellativo di terrorista. Alla luce di ciò, posso affermare di non vedere
nessuna legge in questo paese che non sia quella del più forte; tutto il resto
sono solo finzioni che vengono, con la forza, imposte ai più deboli.
Nella prima udienza estradizionale di febbraio 2024, ho chiesto alla Corte di
Appello e al Procuratore Generale di non consegnare i contenuti dei miei
telefoni cellulari agli israeliani, in quanto contenevano informazioni riservate
che detenevo in qualità di resistente palestinese, di comandante partigiano. Mi
è stato risposto che ciò non sarebbe accaduto, poiché erano consapevoli che
eravamo in guerra e che l’Italia è neutrale. Tuttavia, sono rimasto sorpreso nel
sapere che ad aprile scorso tutte le informazioni contenute nei miei cellari
sono state passate agli israeliani. In questo modo, avete violato ogni principio
di sicurezza e lo stesso diritto internazionale, diventando di fatto partecipi
degli israeliani in questa guerra, aiutandoli nella repressione delle legittime
aspirazioni di un popolo oppresso.
Le donne di tutta la terra non sono state capaci di dare vita a resistenti come
quelli palestinesi.
Signor Giudice, contro di noi si sono schierate tutte le nazioni e gli eserciti
del mondo, pensando di liquidare la nostra causa. Ma la nostra causa non finirà
finché ci sarà un solo bambino palestinese in vita. I nostri diritti li
riavremo. Non chiediamo pietà a nessuno, non ci inchiniamo davanti a nessuno,
anche a costo di essere tutti uccisi, arrestati o deportati. I palestinesi non
abbasseranno la testa né mendicheranno pietà, perché abbiamo dalla nostra parte
la ragione. E se nessuno ci restituirà i nostri diritti in vita, crediamo che,
dopo la morte, ci ritroveremo davanti a un giudizio che sarà il più giusto:
quello di Dio, che non negherà il diritto a nessuno e ridarà a ogni oppresso i
suoi diritti, forte o debole che sia, perché tutti, il giorno del giudizio,
saranno uguali.
Signor Giudice, in passato, sono stato sottoposto decine di volte alla tortura.
Sono anche stato vittima di tentati assassinii da parte di Israele, sia in
Palestina che all’estero. Nel mio corpo vi sono 11 proiettili e oltre 40
schegge; non ho un osso che non sia stato rotto. Non ho un passato, se non
alcuni ricordi e foto di amici uccisi per mano dell’occupazione, e di un’amica
giustiziata a sangue freddo davanti ai miei occhi. Ho una famiglia che non vedo
da lunghi anni e due genitori morti senza realizzare il loro sogno di rivederci
un’ultima volta. Ho una patria devastata, un popolo sfollato, e persino le
nostre case sono state demolite dai bulldozer israeliani.
Ciononostante, non ho mai fatto un passo indietro né esitato nel rivendicare il
diritto del mio paese alla libertà, e non ho mai chinato il capo davanti a
nessuno. Questo perché credo fermamente in questa causa. Cosa sarà mai essere
ucciso per la libertà del mio paese e del mio popolo? Cosa sarà mai trascorrere
anni in carcere per la mia causa? Specie considerando che vi sono oltre 10.000
prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, e io sono una parte
indivisibile di loro. Se vi è una cosa che mi rattrista, è che tutti i miei
compagni hanno avuto l’onore di cadere martiri, lottando per la Palestina,
nutrendo con il loro sangue quella terra di pace e amore, violata
dall’occupazione sionista. E io non ero al loro fianco.
Non amiamo la morte; al contrario, siamo un popolo che ama la vita più di ogni
altra cosa. Tuttavia, preferiamo la morte con dignità e onore al vivere
nell’umiliazione, con i nostri diritti negati. Signor Giudice, noi crediamo che
la Palestina lo meriti e che la nostra amata Gerusalemme abbia un caro costo,
che ogni palestinese è disposto a pagare con la propria anima.
Quando la Palestina chiama, ferita, ha solo noi, suoi figli, disposti a
difenderla con l’anima e con il sangue. Chi non difende la propria madre quando
ha bisogno di lui, un domani non avrà il diritto di essere seppellito nella sua
stessa terra, annaffiata dal sangue dei martiri. È un figlio indegno, che verrà
respinto dalla sua stessa terra e non sentirà mai calore, né in vita né in
morte.
Tutti voi avete una patria nella quale vivere in tranquillità e sicurezza,
tranne noi palestinesi. La nostra patria vive in noi, e siamo disposti a
sacrificare l’anima in sua difesa. È lei che ci dà dignità e onore, e questo lo
possono comprendere solo i liberi di questa terra; siamo un popolo che non si
arrende, è vittoria o morte.
Come potete accusarmi di terrorismo, mentre riconoscete la legittimità del
movimento Fatah, del quale esistono uffici e rappresentanze in tutto il mondo,
tra cui l’Italia, non è un atteggiamento falso e ipocrita?
L’Italia ha anche accolto il leader e fondatore del nostro movimento al
Parlamento italiano per ben due volte. In quell’occasione, egli venne in Italia
vestito con la propria divisa militare e armato, e dall’Italia pronunciò un
discorso che fu ascoltato dal mondo intero. Lo stesso è stato fatto con
l’attuale presidente, Mahmoud Abbas.
Se lo sguardo strabico della giustizia affermerà che i resistenti palestinesi
sono terroristi e non partigiani avallerà la politica del più forte, la legge
della giungla, dove il più forte e brutale prevale.
Signor Giudice, il popolo italiano non è e non sarà mai nostro nemico; merita
tutto il meglio e il nostro rispetto, è un popolo amico che ha sempre sostenuto
la causa palestinese. I nostri nemici sono gli israeliani che occupano la nostra
terra, e nessun altro.
L’entità israeliana è un’entità occupante e terrorista, che non rispetta e non
ha mai rispettato, nella sua storia, le leggi internazionali. Ha una storia
colma di tradimenti. Hanno assassinato, nel corso degli anni, molti palestinesi
in tutto il mondo: in Norvegia, Ungheria, Bulgaria, anche qui in Italia, in
Malesia e in diversi paesi arabi. Essi non riconoscono nessuna legge che non sia
la loro, nessuna legittimità che non sia la loro, e guardano a tutti coloro che
non sono israeliani come loro subordinati.
Oggi definiscono le organizzazioni delle Nazioni Unite come terroristiche, come
l’UNRWA, e l’ONU come un covo di antisemiti, e con tutta insolenza attaccano
anche il Papa con la stessa accusa infamante. Diventa un nemico da prendere di
mira chiunque non si allinei con loro.
Noi Palestinesi siamo un popolo libero e non accetteremo mai di essere gli
schiavi di nessuno.
In questi ultimi giorni, davanti agli occhi dell’intero mondo, l’esercito
israeliano ha sfollato oltre 40 mila palestinesi dalle proprie case a Tulkarem,
bruciando abitazioni, devastando strade, ospedali, uccidendo donne e bambini; lo
stesso accade anche a Jenin. Continuano a occupare anche ora, mentre mi trovo in
quest’aula, commettendo i peggiori massacri contro i civili inermi, mentre voi
tacciate il nostro difenderci di terrorismo; su quanto accade siete divenuti
ciechi e sordi, perché non vi esprimete?
Signor Giudice, l’entità sionista uccide e distrugge in Palestina sin dal 1947,
e non dal 7 ottobre. Ma il mondo è rimasto immobile e in silenzio, e il dolore
lo prova solo chi riceve la ferita.
Ci troviamo ad affrontare una violenza squadrista, nazi-fascista, così come il
popolo italiano ha affrontato l’aggressione e la violenza nazista tedesca. La
differenza tra noi e voi, però, è che dopo più o meno 20 anni, voi siete
riusciti a liberarvi, mentre noi, dopo 75 anni, ci ritroviamo ancora a
resistere.
Signor Giudice, se la resistenza palestinese, legittimata da tutte le corti
internazionali, a cui l’Italia ha aderito e riconosce legittimità, oggi la
considerate terrorismo, allora, stando allo stesso principio, anche la
resistenza italiana contro Mussolini, il fascismo e la Germania nazista dovrebbe
essere definita terrorismo.
Signor Giudice, nel corso della sua storia l’occupazione israeliana non ha
rispettato né le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza né le decisioni della
Corte Internazionale, potete dirmi che fine hanno fatto gli Accordi di Oslo e
Camp David, e che fine hanno fatto le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza 242
e 338?
Riuscite a censire i palestinesi uccisi nel corso dell’aggressione israeliana a
partire dal 1947 fino al giorno d’oggi? Oppure il numero di profughi cacciati?
Come si esprime su questo il vostro diritto e la vostra legge?
Signor Giudice, la madre palestinese è come tutte le madri di questa terra.
Immaginate con me di svegliarvi ogni mattina, mandare vostro figlio a scuola,
preparargli da mangiare e, al momento di riaccoglierlo a casa al suo ritorno,
vederlo tornare avvolto in un telo bianco, ucciso da un soldato israeliano, e
doverlo stringere per l’ultima volta.
Immaginate, a Gaza, un padre con sua moglie e nove figli che si trovano senza
cibo. Il padre esce per cercare qualcosa da mangiare; al suo ritorno ritrova
tutta la famiglia morta sotto le macerie, uccisa da un bombardamento sionista.
Qualcuno di voi può alzarsi e dire che Israele è uno Stato occupante, oppressore
e terrorista? Questa verità la sapete tutti in cuor vostro, ma nessuno di voi
può dirla ad alta voce, perché vi ritrovereste accusati di antisemitismo,
perdereste il vostro lavoro o potreste trovarvi a dividere con me il tavolo a
pranzo in carcere, con un’accusa di terrorismo. Per questo dico e ripeto che
forse i palestinesi sono i soli liberi in questo mondo di schiavi.
Viva la Palestina libera e araba
Viva Gerusalemme, sua eterna capitale
Pace all’anima dei martiri e dei bambini di Palestina
Saremo sempre la prima linea di difesa fino alla liberazione”
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Una ragazza detenuta decide di smettere con la scuola. Si apre uno squarcio
sulle relazioni all’interno del carcere. Nel caso, della sezione femminile, dove
nulla può essere fatto alla luce del sole. Il controllo è totale: oltre alla
polizia, il gruppo dei pari è onnipresente. Tutto è difficile, anche gestire le
emozioni, i rifiuti, gli abbandoni.
di Tazio Brusasco da Volere la Luna
Il carcere è, per la “società libera” un’isola sconosciuta: per disinteresse,
per mancanza di informazioni da parte dei media, perché è una “istituzione
totale” per eccellenza, priva di contatti con l’esterno. E poi perché, per i
più, i suoi ospiti – i detenuti e le detenute – non meritano alcuna attenzione e
anzi, dopo il loro ingresso in carcere, si dovrebbe semplicemente “buttare la
chiave”. Neanche l’ormai interminabile sequenza di suicidi e di atti di
autolesionismo basta a rompere l’isolamento di una realtà che accoglie e
rinchiude, ogni giorno, 62.000 persone, in gran parte senza diritti e senza
speranza. Per contribuire a uno sguardo diverso e alla considerazione del
carcere come un “pezzo” della società ospitiamo (e lo faremo periodicamente) le
noterelle di un insegnate in un istituto penitenziario del Paese, non importa
quale. Sono affreschi di vita quotidiana finalizzati a restituire dignità e
umanità a una condizione che spesso non ce l’ha (la redazione).
– Ragazze, dov’è Silvia (*nome di fantasia)? Come mai non è venuta a lezione?
– È qualche giorno che non viene, prof. Dice che si ritira.
– Scherzate?
– …
– Ma perché?!? Ho preso io la sua iscrizione poche settimane fa, era
convintissima di venire a scuola. Poi è giovane, brava, l’avete visto. Vorrei
almeno che mi spiegasse.
– Non sappiamo perché. Prova a parlarle.
Prova a parlarle. Un invito che qui è un messaggio chiaro. Per la mia
esperienza, se davvero l’allieva non volesse più venire a scuola, le compagne
direbbero semplicemente: non vuole più venire! e mostrerebbero una sostanziale
indifferenza. Invece stavolta anche loro sono pensierose e quella mezza frase va
colta al volo perché, evidentemente, non può essere resa più esplicitamente.
Parlare degli altri qui può costare.
Non perdo tempo. Esco dall’aula e chiedo all’assistente (cioè al personale di
polizia penitenziaria addetto al controllo dei piani e delle sezioni) di
chiamarla. Lei telefona alla collega del piano ov’è reclusa, ne comunica il nome
e chiede di farla venire a scuola.
Ringrazio, torno in classe e aspetto. Non si presenta. Continuo a fare lezione,
ma credo traspaia che sono teso. Anche le ragazze scrivono, ma si guardano tra
loro. Sto, stiamo aspettando a vuoto.
Dopo qualche minuto torno alla carica, l’assistente, gentile, telefona
nuovamente al piano e questa volta la vedo comparire. Quando mi si avvicina
atteggio il volto a gravità. Lei ha gli occhi bassi, ma alza lo sguardo e
accenna un sorriso. Ecco la porta: abbandono l’espressione seria e sorrido anche
io, serve certamente di più.
– Allora?
– Non vengo più, prof.
– Perché? Cos’è successo?
– Non posso.
– Perché?
Riabbassa gli occhi e scuote il capo. Insisto, ci metto quasi due minuti a
vincerne la reticenza, ma ogni secondo che passa mi convinco che vuole parlare.
Alla fine, tra allusioni e mezze frasi, spiega che una compagna di sezione è
invidiosa del fatto che vada a scuola. Ci metto un altro po’ (homo sum) e
capisco che non è invidia: è gelosia.
Partita delicata. La reclusione soffoca l’affetto, non il bisogno di sentirsi
amati. Qui però nulla può essere fatto alla luce del sole, il controllo è
totale: oltre alla polizia, il gruppo dei pari è onnipresente. Tutto è più
difficile e molte persone hanno problemi a gestire le emozioni, soprattutto i
rifiuti e gli abbandoni. Così, fisiologicamente, anzi, sociologicamente, tra
queste mura spesso amore e possesso si confondono, la protezione diventa
controllo. Come fuori, in queste vicende tutti soffrono, il più debole paga.
Ma questa volta posso intervenire, provare a modificare almeno alcuni aspetti
della storia. Le spiego l’ovvio: chi ama non soffoca. Le propongo di invitare
anche la sua compagna a lezione, scuote il capo, niente da fare. Però sento che
ha bisogno delle mie parole un po’ retoriche. Mi fissa, annuisce, sorride. È un
travaso di risorse, la condivisione momentanea tra chi ha avuto la fortuna di
un’educazione e chi no. Quando le dico che la voglio a scuola e non intendo
mollarla s’illumina e ha un piccolo fremito, mi ringrazia e per un attimo mi
sento il padre che non ha avuto.
Non so se da domani verrà. Ma so che nel caso, con le mie colleghe, andrò a
cercarla.
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Lettera di Anan dal carcere di Terni. E’ stata scritta il 24 settembre, ma solo
oggi ha avuto l’ok del suo avvocato a divulgarla. Il 10 novembre si terrà un
presidio sotto il carcere di Terni, dalle 14 alle 18
A tutti i palestinesi in questo mondo. Su ogni terra e sotto ogni cielo, lì in
Cisgiordania della resistenza, lì a Gaza dell’orgoglio, lì all’interno dei
territori occupati, e lì nei campi profughi e nella diaspora. A voi, che avete
messo la pazienza a dura prova e la dignità si inchina davanti a voi, vi dico:
non rattristatevi e non disperate, perché per Dio, dopo la difficoltà arriva il
sollievo e dopo la pazienza arriva la vittoria. E sappiate tutti che ogni
palestinese in questo mondo è un resistente. Il resistente non è solo colui che
impugna un’arma, ma tu sei un resistente se respiri, sei un resistente se
dipingi, sei un resistente se scrivi, sei un resistente se sogni. Basta essere
palestinese per essere un resistente.
Non pensate che questo governo terroristico guidato da Benjamin Netanyahu e dal
nazista Ben Gvir uccida solo i resistenti palestinesi che impugnano le armi! Ma
uccidono anche neonati, anziani, donne e bambini, persino gli alberi e le pietre
non sfuggono alla loro barbarie.
Vogliono eliminare il popolo palestinese perché sanno che voi siete gli unici
liberi in questo mondo schiavizzato, ma si sbagliano. Non finiamo mai: se uno di
noi muore, ne nascono altri dieci al suo posto, e tutti noi siamo resistenza.
Escono sui loro canali e nei loro media falsi per mostrare il resistente
palestinese come un terrorista e per far apparire la resistenza come terrorismo.
Giuro su Dio, vi siete sbagliati e avete fallito. Noi vi diciamo che le donne
del mondo non sono più capaci di dare alla luce qualcuno come il resistente
palestinese, colui che sacrifica la sua giovinezza e la sua vita per la sua
patria e il suo popolo. Colui che non teme la morte né la prigione, cammina a
testa alta, con i piedi sulla terra e la testa nel cielo, fiero come le
montagne, con gli occhi fissi su Al-Aqsa. E quando se ne va, se ne va con
coraggio, mai in fuga.
Il palestinese che lesina la sua anima e il suo sangue per la Palestina non ha
diritto di essere chiamato palestinese e non ha diritto di essere sepolto nella
sua terra, intrisa del sangue dei martiri. La terra lo rifiuterà, non troverà né
calore né conforto, né in vita né dopo la morte.
Il terrorismo organizzato israeliano, sconfitto nella sua battaglia a Gaza e in
Cisgiordania, si sposta ora verso il Libano. Sebbene abbia causato morte,
distruzione e lo sfollamento di migliaia di persone, resta sconfitto di fronte
alla determinazione invincibile di un popolo che non si piega. Il suo obiettivo
successivo sarà probabilmente la Siria, la Giordania, l’Iraq e lo Yemen, nel
tentativo di realizzare il sogno illusorio di uno Stato più grande. Tuttavia,
con l’aiuto di Dio, questo segnerà l’inizio della fine per questo regime
occupante.
Dove siete, leader del mondo arabo? Dove sono i comandanti degli eserciti che
ogni anno si vantano della forza dei loro uomini, dei loro mezzi e dei loro
aerei? Se solo avessimo un quarto delle risorse che possedete, non avremmo
liberato solo la Palestina, ma l’intero mondo. Ma dove siete? Non vi chiedo in
nome della vostra religione, perché sembra non esserci più. Ma è forse scomparso
anche l’orgoglio e l’onore che un tempo contraddistingueva i vostri antenati?
C’è qualcosa che riesce ancora a scuotervi?
Giuro che tutti voi sarete interrogati riguardo al sangue versato in Palestina e
sui bambini uccisi, in un giorno in cui non potrete sfuggire alle domande. Non
piango per coloro che ci hanno preceduto nel martirio, poiché hanno ottenuto una
vittoria straordinaria, hanno creduto in Dio e mantenuto le loro promesse.
Preghiamo Dio di riunirci a loro nel Paradiso e che li onori nell’aldilà come ci
hanno onorato nella vita.
Chiediamo a Dio di elevare il loro rango nell’aldilà, come hanno elevato il
nostro nella vita, poiché sono i veri custodi della dignità e del sacrificio.
Sono loro che hanno illuminato il cammino dopo un lungo periodo di oscurità.
Preghiamo Dio per la libertà dei nostri valorosi prigionieri nelle carceri
dell’occupazione israeliana, per la guarigione dei feriti, e che conceda
pazienza e conforto ai cuori della nostra gente in Palestina e Libano. Un saluto
a quelle mani che stringono il grilletto nonostante tutte le sofferenze e le
sfide. E vergogna a coloro che osservano senza agire, privi di pietà e umanità
verso la Palestina e i suoi bambini. Che tutte le donne della terra piangano se
le donne di Palestina non possono gioire.
Un saluto e un grande rispetto agli uomini e alle donne liberi del mondo, in
particolare al popolo italiano, che sfida tutte le difficoltà e rompe il
silenzio per far sentire al mondo la voce della libertà e degli oppressi, dando
lezioni di umanità e dicendo al tiranno ‘basta’.
Come non farlo, quando voi stessi avete resistito per anni all’occupazione
nazista e fascista su questa terra?
Un omaggio di grande rispetto alla voce della verità e al faro della giustizia,
Al Jazeera, che è sempre stata la voce dei popoli e a sostegno degli oppressi,
senza temere il giudizio di chi critica. Che Dio vi sostenga come voce per la
Palestina e la resistenza.
“Viva la Palestina libera e araba!
Viva la Palestina, la sua terra e il suo popolo!
Viva la resistenza, che Dio la sostenga!
Gloria e immortalità ai nostri martiri nobili!
Libertà per i prigionieri della libertà!
Una pronta guarigione ai nostri valorosi feriti!
O popolo palestinese, non dico altro che ciò che ha detto Allah, l’Onnipotente
nel Sacro Corano: 104.( Non scoraggiatevi nell’inseguimento di questa gente; se
voi soffrite, anche loro soffrono come voi, ma voi sperate da Allah ciò che essi
non sperano. Allah è saggio, sapiente.)
Anan Kamal Yaeesh
C.C Terni-Italia
24/09/2024
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