Va avanti sempre più spedita la propaganda della “cultura militarizzata” di
Stefano Bertoldi, Osservatorio contro la militarizzazione delle Scuole e delle
Università Va avanti sempre più spedita la propaganda della “cultura
militarizzata” che punta da alcuni anni anche al pubblico dei fumetti, il quale,
a parte i nostalgici e/o affezionati storici, si avvicina anche alla […]
Tag - malapolizia
Si susseguono, nel nostro Paese, le segnalazioni di organismi internazionali e
nazionali sulla diffusione di controlli di polizia ingiustificati, determinati
dall’etnia o dal colore della pelle. Il Governo nega e si mostra scandalizzato.
Irresponsabilmente ché, per verificare l’attendibilità delle segnalazioni,
basterebbe introdurre forme di controllo indipendente, già sperimentate altrove,
sugli interventi di polizia. di Marianna […]
La banda spacciava, i poliziotti coprivano. Sequestri di hascisc manomessi e
verbali falsificati a Roma. Caos al commissariato di San Lorenzo: sei indagati,
due in arresto. Il lunedì nero della questura: altri tre agenti ai domiciliari
per rapina. di Mario Di Vito da il manifesto La storia è quella di una banda di
spacciatori come […]
Sono 15 gli agenti di polizia locale di Genova indagati, a vario titolo,
nell’ambito dell’inchiesta sulle lesioni causate a persone accompagnate negli
uffici e sul peculato. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori della
squadra mobile, coordinati dalla pm Sabrina Monteverde, sarebbero tre gli
episodi di pestaggi e due quelli di peculato avvenuti tra il primo gennaio […]
Un corpo a terra viene trattato come un mero dettaglio operativo. In quel corpo
si misura la tenuta di uno Stato di diritto. Il decreto-legge “Sicurezza” è
risposta pedestre e insensibile ai disagi che scavano la società come un tumore;
di fatto il farmaco è parimenti cancerogeno, forse perché il rimedio deve per
forza essere […]
In un video l’intervento della polizia: tre agenti per ammanettare il 30enne già
a terra. I sedici secondi del filmato depositati agli atti della procura di
Pescara. Un nuovo perito per ulteriori accertamenti sui risultati dell’autopsia
di Mario Di Vito da il manifesto Il filmato dura sedici secondi. Dalla distanza
di qualche decina di metri, […]
Un giovane di trent’anni è deceduto in Questura, a seguito di un intervento in
cui è stato impiegato un taser. Non si tratta di un episodio isolato né di un
mero incidente fortuito. È l’ennesima manifestazione di una prassi ormai
consolidata e diffusa: l’uso del taser come strumento “intermedio” nel
repertorio coercitivo delle forze dell’ordine.
di Associazione Yairaiha Ets
Un giovane di trent’anni è deceduto in Questura, a seguito di un intervento in
cui è stato impiegato un taser. Secondo l’esito dell’autopsia, la causa del
decesso è riconducibile a una “sommersione interna emorragica da trauma toracico
chiuso”, una massiccia emorragia compatibile con una compressione toracica
particolarmente intensa. Le autorità hanno escluso un nesso diretto tra l’uso
del taser e il decesso. Tuttavia, permangono dubbi gravi, legittimi e fondati
riguardo alle modalità dell’intervento, alle responsabilità complessive e alla
concatenazione degli eventi che hanno condotto alla tragica morte di Riccardo.
Non si tratta di un episodio isolato né di un mero incidente fortuito. È
l’ennesima manifestazione di una prassi ormai consolidata e diffusa: l’uso del
taser come strumento “intermedio” nel repertorio coercitivo delle forze
dell’ordine. Uno strumento che appare tutt’altro che neutro, specie quando
impiegato nei confronti di soggetti fragili, in condizioni di alterazione o
vulnerabilità fisica o psichica.
La morte di Riccardo non si configura solo come una tragedia individuale, ma
come uno specchio che riflette una trasformazione lenta ma inesorabile: la
repressione che soppianta la mediazione, l’abitudine all’eccezione, una gestione
dell’ordine pubblico che scivola sempre più velocemente verso la prevalenza
della forza. Non ci troviamo più davanti a un rischio teorico: lo Stato ha di
fatto rinunciato alla responsabilità di un intervento equilibrato, sostituendola
con l’automatismo della coercizione.
Questa deriva trova ulteriore sostegno nel recente decreto sicurezza, che amplia
i poteri delle forze dell’ordine e legittima un impiego più esteso del taser,
anche in contesti in cui il contatto umano, il discernimento e la competenza
dovrebbero restare imprescindibili. Non è più la forza che interviene in casi
eccezionali, ma la forza che diventa automatica.
L’ambiguità con cui oggi si invocano termini quali “sicurezza”, “legalità”,
“difesa” crea una cortina fumogena. Ma i corpi non mentono. Non mentono le
vittime di decessi avvenuti “per errore”. Non mentono i corpi di coloro che non
rappresentavano una minaccia reale. Non mentono le famiglie a cui, finora, non è
stata data una spiegazione piena e trasparente su quanto accaduto e sulle cause
che vi hanno condotto.
In uno Stato che si definisce democratico, non è sostenibile che pretenda
fiducia mentre moltiplica i propri strumenti di violenza e abdica dalla sua
prerogativa fondamentale: proteggere, non punire. La questione non riguarda
esclusivamente la liceità del taser, bensì il modo in cui è stato
progressivamente sdoganato, automatizzato e normalizzato come una scorciatoia
operativa. L’arroganza di chi si ritiene sempre nel giusto e la sistematica
rimozione delle conseguenze sono elementi che destano profonda preoccupazione.
Non è accettabile che un corpo a terra venga trattato come un mero dettaglio
operativo. In quel corpo si misura la tenuta di uno Stato di diritto. Ed è
proprio lì che, qualora non si presti la dovuta attenzione, rischiamo di perdere
silenziosamente qualcosa di molto più grande di quanto siamo disposti ad
ammettere.
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Nuovi particolari sulla morte del trentenne colpito dal taser a Pescara: era
inerme. Il padre: perché gli hanno sparato?. Tre indagati per lesioni aggravate.
Il trentenne preso a colpi di bastone in testa. La polizia lo ha trovato già
ferito. Da diversi anni era in cura al Centro di salute mentale e a quello per
le dipendenze. Salvini spietato: «Le pistole elettriche salvano vite»
di Mario di Vito da il manifesto
Quando, poco dopo le 11 del mattino di martedì, la volante della polizia con due
agenti a bordo è arrivata in Strada Piana, nel quartiere periferico di San
Donato a Pescara, Riccardo Zappone era stato appena picchiato. Perdeva sangue
dalla testa. Forse, dicono alcuni testimoni, aveva cercato di derubare un
passante. Di sicuro era stato preso a bastonate da tre persone, ora iscritte nel
registro degli indagati per lesioni personali aggravate.
È in questa situazione, comunque, che il trentenne avrebbe avuto una crisi tale
che per i due poliziotti – «esperti», sostengono dalla questura – «è stato
necessario usare il taser». Se siano state le botte o la scarica elettrica a
causare l’infarto che lo ha colto in questura poco dopo ancora non si può dire.
Potrebbe essere d’aiuto l’autopsia effettuata ieri, ma difficilmente arriverà
una risposta chiara, perché in questi casi trovare un nesso causale è quasi
impossibile. Gli ultimi precedenti di persone decedute dopo essere state colpite
con il dissuasore elettrico parlano in maniera tragicamente chiara: gli esami
medici non sono mai risolutivi. E qui, come recitano gli atti firmati dal
sostituto procuratore Gennaro Varone, è anche ritenuta «presumibile
l’intossicazione da cocaina», un’altra possibile causa dell’arresto cardiaco.
Riccardo, da diversi anni, era in cura al Centro di salute mentale e al Servizio
per le dipendenze di Chieti con una doppia diagnosi: una di problemi
psichiatrici – per i quali gli venivano somministrati degli antipsicotici a
cadenza mensile – e una di tossicodipendenza. Chi lo conosceva lo descrive come
una persona di certo problematica ma non pericolosa: era stato sottoposto già in
più occasioni a trattamento sanitario obbligatorio, altre volte era bastato un
colloquio con la sua psichiatra per convincerlo a ricoverarsi, senza che fosse
necessario l’uso della forza. Alto e molto magro, di aspetto debilitato e
oggetto poco prima di un violento pestaggio, viene quasi naturale da chiedersi
per quale motivo martedì mattina si sia reso necessario l’uso di uno storditore
per rendere Zappone inoffensivo. Lo stabiliranno le indagini affidate alla
squadra mobile, che però per ora non sfiorano gli agenti e sono concentrate
sulla fase precedente al loro intervento, tutta immortalata dalle telecamere
pubbliche presenti sulla via, grazie alle quali è stato possibile trovare due
dei tre indagati (il primo era stato identificato già martedì).
«Riccardo non aveva problemi cardiologici e poi soprattutto mi domando: che
motivo c’era di arrestarlo se le forze dell’ordine lo conoscevano bene e
sapevano chi fosse e che tipo di patologia avesse? Non era opportuno che fosse
chiamato il 118 e ordinato il ricovero in trattamento sanitario obbligatorio
come era stato fatto le altre volte? Era davvero necessario utilizzare quella
pistola elettrica?», ha detto in un’intervista al quotidiano il Centro Andrea
Varone, il padre della vittima.
La questione del taser è centrale: le controindicazioni mediche sono note,
Amnesty International ha parlato spesso di questo strumento che si è dimostrato
dannoso ovunque nel mondo sia stato sin qui utilizzato da parte delle forze
dell’ordine, la Cassazione, con una sentenza del 2019, lo ha descritto come
«arma comune da sparo sicuramente idonea a recare danno alla persona».
Il segretario di Rifondazione Comunista Maurizio Acerbo, pescarese, conclude
così: «La responsabilità di questa morte non ricade solo sulla destra ma è stata
bipartisan: la sperimentazione del taser è cominciata nel 2014 con il governo
Renzi e fu rilanciata nel 2018 su iniziativa di Salvini con il governo Conte 1.
Nel 2020 l’adozione della pistola elettronica è stata confermata dal governo
Conte 2 in cui c’erano Pd e Sinistra italiana con Leu. La gravità di quella
scelta sta nel fatto che la pericolosità della pistola elettronica era già nota
quando è stata adottata». Salvini replica con un’ode al taser, come se fosse uno
strumento salvavita e non un’arma letale: «Le forze dell’ordine non lo usano per
gioco, lo usano quando ce n’è bisogno: ha salvato centinaia di vite e prevenuto
migliaia di reati. Quindi o vogliamo mettere in discussione la libertà di azione
delle forze dell’ordine e sciogliamo polizia e carabinieri e viviamo
nell’anarchia. O altrimenti andiamo avanti su quello che è una maggiore
sicurezza, che è necessaria».
Il ministro degli Interni Matteo Piantedosi, intervenuto ieri mattina a Sky
Tg24, pure ha difeso la pistola elettrica («È un’alternativa a strumenti molto
più offensivi come le armi da fuoco») ma almeno, a differenza del vicepremier, è
riuscito a non dimenticarsi che in questa storia c’è una vittima: «Andranno
sviluppati tutti gli accertamenti perché è interesse anche nostro capire se ci
sia una correlazione con l’uso del taser qualche minuto prima». Alla fine, oltre
le indagini e le domande ancora prive di risposta, resta un’immagine sola:
quella di un trentenne come tanti altri. Un morto di sicurezza come troppi
altri.
> Il taser uccide. Morire a 30 anni a Pescara
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Ennesima vittima degli abusi di polizia. Ieri 3 giugno, a Pescara, un 30enne
coinvolto poco prima in una lite stradale e morto a causa dell’uso del taser da
parte gli agenti di polizia
di Mario Di Vito da il manifesto
Una rissa in strada a Pescara ieri mattina, l’arrivo della polizia, un colpo di
taser. Poi l’arresto, il trasferimento in questura, il malore in sala d’attesa,
l’arrivo del 118 e la corsa in ospedale. Dove però i medici non hanno potuto
fare altro che constatare il decesso. Questa è la prima ricostruzione delle
ultime ore di Riccardo Zappone, trent’anni, originario di San Giovanni Teatino,
paese a pochi chilometri a ovest di Pescara.
IL COMUNICATO con cui la procura di Pescara ha diffuso nel pomeriggio la notizia
parla dell’arresto di Zappone, «apparentemente coinvolto poco prima in un
alterco da strada», per resistenza a pubblico ufficiale «che è stato necessario
vincere con l’uso del taser».
Ed è proprio su questo uso «necessario» che si concentreranno le indagini
delegate alla squadra mobile. Nel mentre, dalla questura, sia pure
informalmente, vengono soffiate altre possibili cause, perché «non è emersa una
correlazione accertata tra l’uso del taser e l’arresto cardiaco». Quindi, dicono
i poliziotti, bisogna valutare attentamente la dinamica della rissa, perché pare
che Zappone avesse avuto la peggio. Poi bisogna capire se il trentenne fosse
sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. E c’è un dettaglio biografico che
viene sottolineato: parliamo di un tossicodipendente con precedenti.
Quindi se da una parte si suggerisce che il cuore di Zappone potrebbe essersi
fermato per motivi non legati alla scarica elettrica subita, dall’altra siamo
indubbiamente davanti all’identikit della tipica vittima di malapolizia: un
marginale per il quale non è necessario usare tante accortezze.
I PRECEDENTI, almeno in fatto di taser, parlano chiaro. Poco meno di due anni
fa, nell’agosto del 2023, proprio a San Giovanni Teatino è morto Simone Di
Gregorio, 35enne in cura presso un centro psichiatrico di Pescara. Nel suo caso
lo storditore venne usato dai carabinieri perché l’uomo «stava dando in
escandescenze» e, completamente nudo, correva verso i binari della ferrovia. La
procura di Chieti aprì un fascicolo contro ignoti per omicidio colposo, ma
l’autopsia escluse che la morte fosse arrivata a causa della scossa elettrica.
Un anno dopo, nel luglio 2024, in Alto Adige, il taser è stato usato contro
Carlo Lattanzio, un operaio 42enne di Barletta salito a Vipiteno per lavorare in
un’azienda edile. Era stato lui a chiamare i carabinieri, che lo avrebbero
trovato in stato confusionale, forse ubriaco. E lui prima avrebbe provato ad
aggredirli e poi si sarebbe lanciato da una finestra. Sopravvissuto alla caduta,
avrebbe tentato di nuovo di aggredire i militari che a quel punto lo hanno
colpito col taser. L’indagine condotta dalla procura di Bolzano non ha portato a
nulla, perché l’autopsia non ha rilevato una correlazione diretta tra il decesso
e l’intervento dei carabinieri. Il problema degli accertamenti medici per queste
vicende appare evidente: da un punto di vista strettamente legale, stabilire un
nesso causale tra taser e arresto cardiaco è pressoché impossibile nel momento
in cui esistono altri elementi che potrebbero causare una morte improvvisa.
Restano le parole con cui, nella sentenza numero 5.830 del 2019 la Cassazione ha
descritto il taser: «Arma comune da sparo sicuramente idonea a recare danno alla
persona». Chi produce e commercia questi strumenti, da parte sua, insiste molto
sul fatto che parliamo di «dispositivi non letali». Almeno in teoria perché, in
più rapporti, Amnesty International ha spiegato che, per quanto riguarda l’uso
di pistole elettriche, «il rischio zero non esiste» e che «gli studi medici a
disposizione sono concordi nel ritenere che l’uso dei taser abbia avuto
conseguenze mortali su soggetti con disturbi cardiaci o le cui funzioni, nel
momento in cui erano stati colpiti, erano compromesse da alcool o droga o,
ancora, che erano sotto sforzo, ad esempio al termine di una colluttazione o di
una corsa».
SIA NEL CASO di Zappone, sia nei precedenti di Di Gregorio e Lattanzio, in ogni
caso, parliamo dell’uso di un’arma comune da sparo contro persone evidentemente
disarmate.
Ai microfoni di Radio Onda d’Urto il commento di Susanna Marietti,
dell’Associazione Antigone. Ascolta o scarica.
Maurizio Acerbo, pescarese e segretario nazionale di Rifondazione comunista a
così commentato: “Abbiamo sempre contestato la decisione politica di dotare le
forze dell’ordine di taser. Se verrà confermato che la causa della morte del
trentenne a Pescara è stata causata dall’uso del taser non sarà il primo caso.
La responsabilità di questa morte non ricade solo sulla destra ma è stata
bipartisan. La sperimentazione del taser è cominciata nel 2014 con il governo
Renzi e fu rilanciata nel 2018 su iniziativa di Salvini con il governo Conte 1.
Nel 2020 l’adozione della pistola elettronica è stata confermata dal governo
Conte 2 in cui c’erano PD e Sinistra Italiana con LeU. La gravità di quella
scelta sta nel fatto che la pericolosità della pistola elettronica era già nota
quando è stata adottata. Ricordo che vari organismi internazionali
intergovernativi e non governativi avevano stigmatizzato l’uso del Taser in
quanto potenzialmente mortale e mai realmente sostitutivo delle armi da fuoco.
Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura aveva già affermato che
l’introduzione dei Taser apriva la porta a risposte sproporzionate. La Reuters
aveva già documentato che dal 2001 erano almeno 1.042 i casi di persone colpite
a morte con un taser dalla polizia. La stessa azienda produttrice, la Taser
International Incoporated, aveva già dovuto riconoscere un fattore di rischio
mortale che si aggira intorno allo 0,25%. Una persona su 400, tra quelle colpite
da Taser, rischia cioè il decesso. Denunciammo inascoltati essendo fuori dal
parlamento e delle TV che sarebbe stato più utile investire risorse in
formazione delle forze di polizia o in strumenti logistici (autovetture,
vestiario e altre strumentazioni utili al contrasto della criminalità). Da anni
assistiamo a una deriva sicuritaria di imitazione delle modalità di gestione
dell’ordine pubblico tipiche degli Stati Uniti e che si accompagnano a un
modello sociale neoliberista. Segnaliamo che l’Europa dello stato sociale ha
indici di sicurezza infinitamente superiori agli USA che collezionano non
invidiabili record di omicidi, nonostante un altissimo numero di persone
detenute e metodi polizieschi raccapriccianti. Anche per le politiche della
sicurezza – come per l’economia e il lavoro – va ripresa la via maestra della
Costituzione. Il taser va vietato“.
Nel decreto “Milleproroghe“, approvato in via definitiva dalla Camera dei
Deputati, nel febbraio 2025, è previsto che tutti i Comuni – non solo i
capoluoghi di provincia o quelli con più di 20mila abitanti – potranno dotare la
Polizia Municipale della letale pistole elettronica “taser”.
> I taser in dotazione alla polizia non sono affatto sicuri
> Attenti al Taser: per l’Onu è uno strumento di tortura
> Il Taser è buono solo per chi lo vende
> Taser ai poliziotti. Uno strumento di tortura gira per le città
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A Verona, nove poliziotti delle volanti accusati di torture e lesioni in
questura. Il governo inventa una polemica per una vecchia raccomandazione sulla
profilazione razziale durante fermi e perquisizioni.
Ematomi al volto e ferite al labbro. Ma anche calci, sberle e spintoni nella
sala Aquario, nella sala redazione atti e nel corridoio. Queste azioni violente
sarebbero avvenute in questura a Verona nell’agosto e nel novembre del 2022 nei
confronti di due fermati: Mattia Tacchi, già da tempo noto alle forze
dell’ordine e con problemi di tossicodipendenza, e il marocchino Amiri Tororo.
Gli autori di queste aggressioni, secondo la procura che ha chiuso qualche
settimana fa le indagini sulle violenze in questura, sarebbero nove poliziotti
della squadra volanti, indagati per lesioni o tortura. Alcuni di loro sono
accusati, assieme ad altri sette, anche di peculato, dell’omissione di denuncia
di reato o di identificazione di alcuni loro conoscenti e della falsificazione
di alcuni verbali. Tutti e 16 gli indagati dovranno presentarsi all’udienza
preliminare, fissata davanti alla giudice Arianna Busato il prossimo 22
settembre.
Gli episodi di violenza
Per quel che riguarda l’aggressione nei confronti di Mattia Tacchi, due colleghi
avrebbero agito in concorso con l’ex poliziotto Alessandro Migliore, tuttora a
processo assieme all’ex collega Loris Colpini. Secondo l’accusa, Mattia Tacchi
sarebbe stato trascinato fuori dalla sala Acquario e sarebbe stato colpito più
volte. Dieci minuti dopo Alessandro Migliore avrebbe tirato a Tacchi uno
schiaffo facendogli perdere i sensi per alcuni minuti. Un altro episodio di
violenza, stando all’accusa, si sarebbe verificato nei confronti del marocchino
Amiri Tororo che sarebbe stato colpito con calci, sberle e spintoni. Gli sarebbe
poi stato spruzzato lo spray al peperoncino, «facendogli urtare violentemente il
capo contro una panca in cemento», si legge nel capo d’imputazione. Gli indagati
lo avrebbero poi «trattenuto all’interno della stanza fermati circa un’ora e
trenta senza decontaminarlo . riporta l’accusa –, sebbene egli avesse più volte
rappresentato come l’irritante gli provocasse dolore». Dopo l’aggressione Amiri
Tororo si sarebbe ritrovato con diverse lesioni sul corpo e l’ematoma a un
occhio.
Cacciaviti e cutter
Tra gli episodi contestati ci sarebbe stata da parte di alcuni degli indagati
anche l’interruzione di una perquisizione domiciliare per la ricerca di armi da
sparo nell’abitazione di un loro conoscente. Nella sua auto sarebbero però stati
trovati una decina di cacciaviti e un cutter che l’uomo avrebbe usato per
bloccare e minacciare l’ex fidanzata. In quella circostanza i poliziotti che
erano intervenuti avrebbero dovuto denunciare l’uomo. In un’altra occasione
invece uno degli indagati si sarebbe intascato 40 euro e due pacchetti di
sigarette, contenenti nel borsello di una donna che era stata portata in
questura per un controllo.
L’inchiesta
Le indagini sono state svolte dalla squadra mobile tra il 2022 e il 2025 e
coordinate dai sostituti procuratori Carlo Boranga e Chiara Bisso. Su 28
indagati sono stati chiesti 16 rinvii a giudizio, 2 giudizi immediati (Migliore
e Colpini), 2 patteggiamenti e 8 archiviazioni. A far partire l’inchiesta sono
state le denunce di alcune persone fermate che avevano raccontato di essere
state maltrattate. A quel punto erano scattate le intercettazioni delle
conversazioni tra gli indagati. Alcuni episodi di violenza sono stati poi
immortalati da una telecamera presente nella sala Acquario dove venivano portati
i fermati. (di Beatrice Branca da il Corriere del Veneto)
«Avevamo raccomandato al governo italiano di realizzare uno studio indipendente
sulla profilazione razziale [da parte delle forze dell’ordine, ndr] per valutare
il fenomeno». È bastata questa frase pronunciata ieri da Bertil Cottier,
presidente della Commissione europea contro razzismo e intolleranza (Ecri) del
Consiglio d’Europa (Coe), per scatenare un circo politico. Al centro la
maggioranza, con Giorgia Meloni in testa, a difendere a spada tratta una polizia
che nessuno aveva attaccato.
Le parole del giurista svizzero sono il dito, la luna è la nuova aggressione
alle istituzioni internazionali. La linea è la stessa della recente lettera
contro la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che ricade sempre sotto il
Consiglio d’Europa, per limitarne l’indipendenza in materia di diritti dei
migranti.
Cottier, infatti, era semplicemente intervenuto nella conferenza stampa di
presentazione del report annuale Ecri, che per il 2024 affronta quattro fenomeni
«strutturali»: selezione delle persone fermate e perquisite in base a origini
nazionali o etniche; segregazione scolastica dei bambini rom; discriminazioni
contro le persone trans e intersessuali. Nel rapporto presentato ieri non ci
sono numeri, né riferimenti ai singoli Stati nazionali.
Perciò un giornalista dell’Ansa ha chiesto a Cottier se aveva raccomandazioni
specifiche per qualche paese, in particolare l’Italia. Il presidente ha
rimandato allo studio pubblicato lo scorso ottobre e ribadito quanto l’Ecri
aveva consigliato in quell’occasione: uno studio indipendente sul fenomeno della
profilazione razziale. La notizia in pratica non esisteva, non c’era nulla di
nuovo. Ma a prescindere da qualsiasi dato di realtà, la maggioranza è partita
all’attacco seguendo l’ordine di scuderia: tutti insieme contro Ecri e Coe.
«Osservazioni astruse e false», ha detto il vicepremier Antonio Tajani (Fi), che
evidentemente il report non lo ha nemmeno visto. Per il presidente di Noi
moderati Maurizio Lupi: «La Commissione europea contro razzismo e intolleranza
del Consiglio d’Europa prende un’altra cantonata dopo quella dell’ottobre 2024,
quando con una relazione fotocopia accusò di razzismo le nostre forze
dell’ordine». La cantonata è solo sua, lo studio è lo stesso.
La vera posta in gioco emerge invece dalle dichiarazioni di Meloni e della Lega.
«L’Italia fu, nel 1949, tra i dieci Stati fondatori del Coe, nato nel dopoguerra
per difendere la democrazia, i diritti umani e lo Stato di diritto. Eppure oggi
quello spirito originario sembra smarrito, sostituito da dichiarazioni sempre
più faziose e lontane dalla realtà», dice la premier. È la stessa tesi sostenuta
nella lettera contro la Cedu promossa da Italia e Danimarca e firmata da altri
sette Paesi Ue. In sostanza diceva che i diritti costituzionalizzati dopo il
secondo conflitto mondiale e le istituzioni di garanzia create per garantirli
sono ormai superati. Almeno per gli stranieri (si comincia sempre da là). E
infatti la Lega va dritta al punto: «Consiglio d’Europa? Altro ente inutile, da
sciogliere. Giù le mani dalle nostre forze di Polizia!», scrive su X.
Il Coe fu istituito per promuovere democrazia e diritti umani, con lo scopo di
evitare che gli orrori del nazifascismo e della guerra mondiale potessero
ripetersi. Ne fanno parte 46 paesi, di cui i 27 Ue, e non va confusa con le
istituzioni dell’Unione europea. Nel 2022 è stato abbandonato dalla Russia,
esclusa. Forse a Meloni o ai suoi alleati leghisti piacerebbe seguire le orme di
Putin. Più probabilmente dovranno accontentarsi di colpire il Coe dall’interno.
A questo serviva la bordata contro la Cedu. Un attacco inedito a cui sabato
aveva replicato Alain Berset, presidente del Consiglio d’Europa. «La Cedu è il
braccio giuridico del Coe – ha dichiarato Berset – Il rispetto dell’indipendenza
e dell’imparzialità della Corte è il nostro fondamento».
In tale contesto colpisce la mossa di ieri del Quirinale, che ha convocato il
capo della polizia Vittorio Pisani per rinnovare «stima e fiducia». A ottobre il
presidente della Repubblica Sergio Mattarella si era detto «stupito» dal
rapporto dell’Ecri, stavolta stupito è chi confida nel Colle per frenare la
deriva sovranista di Meloni: l’incontro che si terrà questa mattina non serve a
coprire le forze dell’ordine, serve a coprire il governo. (di Giansandro Merli
da il manifesto)
> Verona: cinque poliziotti arrestati per tortura
> Torture nella questura di Verona: Un modus operandi consolidato
> Tutto nuovo alla Questura di Verona?
> Violenza e tortura in divisa, un dibattito necessario
> Dure accuse del Consiglio d’Europa e Onu: Razzismo nella polizia
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