Tag - malapolizia

Caso Ramy: quattro carabinieri accusati di depistaggio
Per la morte di Ramy quattro carabinieri accusati di depistaggio, avrebbero costretto dei testimoni oculari a cancellare dai loro telefonini le immagini sull’ultima fase dell’inseguimento che ha portato alla morte del giovane, lo scorso novembre a Milano di Giansandro Merli da il manifesto La procura di Milano ha concluso le indagini nei confronti di altri […]
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Il meccanismo che garantisce l’impunità agli agenti di polizia in Italia
Per un archivio delle impunità di Salvatore Turi Palidda In Italia la disciplina degli agenti di polizia è un complesso insieme di norme contraddittorie che ne garantiscono quasi sempre l’impunità persino per gravi reati penali. L’articolo 8 del DPR 737/1981 prevedeva il licenziamento automatico.[1] Tuttavia, tale articolo è stato dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale con […]
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Graphic-novel di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza: la militarizzazione avanza
Va avanti sempre più spedita la propaganda della “cultura militarizzata” di Stefano Bertoldi, Osservatorio contro la militarizzazione delle Scuole e delle Università Va avanti sempre più spedita la propaganda della “cultura militarizzata” che punta da alcuni anni anche al pubblico dei fumetti, il quale, a parte i nostalgici e/o affezionati storici, si avvicina anche alla […]
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La polizia e le profilazioni etnico-razziali
Si susseguono, nel nostro Paese, le segnalazioni di organismi internazionali e nazionali sulla diffusione di controlli di polizia ingiustificati, determinati dall’etnia o dal colore della pelle. Il Governo nega e si mostra scandalizzato. Irresponsabilmente ché, per verificare l’attendibilità delle segnalazioni, basterebbe introdurre forme di controllo indipendente, già sperimentate altrove, sugli interventi di polizia. di Marianna […]
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Pestaggi e manganelli fuori ordinanza, sotto inchiesta 15 agenti della polizia locale a Genova
Sono 15 gli agenti di polizia locale di Genova indagati, a vario titolo, nell’ambito dell’inchiesta sulle lesioni causate a persone accompagnate negli uffici e sul peculato. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori della squadra mobile, coordinati dalla pm Sabrina Monteverde, sarebbero tre gli episodi di pestaggi e due quelli di peculato avvenuti tra il primo gennaio […]
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La morte di Riccardo non è una tragedia individuale
Un giovane di trent’anni è deceduto in Questura, a seguito di un intervento in cui è stato impiegato un taser. Non si tratta di un episodio isolato né di un mero incidente fortuito. È l’ennesima manifestazione di una prassi ormai consolidata e diffusa: l’uso del taser come strumento “intermedio” nel repertorio coercitivo delle forze dell’ordine. di Associazione Yairaiha Ets Un giovane di trent’anni è deceduto in Questura, a seguito di un intervento in cui è stato impiegato un taser. Secondo l’esito dell’autopsia, la causa del decesso è riconducibile a una “sommersione interna emorragica da trauma toracico chiuso”, una massiccia emorragia compatibile con una compressione toracica particolarmente intensa. Le autorità hanno escluso un nesso diretto tra l’uso del taser e il decesso. Tuttavia, permangono dubbi gravi, legittimi e fondati riguardo alle modalità dell’intervento, alle responsabilità complessive e alla concatenazione degli eventi che hanno condotto alla tragica morte di Riccardo. Non si tratta di un episodio isolato né di un mero incidente fortuito. È l’ennesima manifestazione di una prassi ormai consolidata e diffusa: l’uso del taser come strumento “intermedio” nel repertorio coercitivo delle forze dell’ordine. Uno strumento che appare tutt’altro che neutro, specie quando impiegato nei confronti di soggetti fragili, in condizioni di alterazione o vulnerabilità fisica o psichica. La morte di Riccardo non si configura solo come una tragedia individuale, ma come uno specchio che riflette una trasformazione lenta ma inesorabile: la repressione che soppianta la mediazione, l’abitudine all’eccezione, una gestione dell’ordine pubblico che scivola sempre più velocemente verso la prevalenza della forza. Non ci troviamo più davanti a un rischio teorico: lo Stato ha di fatto rinunciato alla responsabilità di un intervento equilibrato, sostituendola con l’automatismo della coercizione. Questa deriva trova ulteriore sostegno nel recente decreto sicurezza, che amplia i poteri delle forze dell’ordine e legittima un impiego più esteso del taser, anche in contesti in cui il contatto umano, il discernimento e la competenza dovrebbero restare imprescindibili. Non è più la forza che interviene in casi eccezionali, ma la forza che diventa automatica. L’ambiguità con cui oggi si invocano termini quali “sicurezza”, “legalità”, “difesa” crea una cortina fumogena. Ma i corpi non mentono. Non mentono le vittime di decessi avvenuti “per errore”. Non mentono i corpi di coloro che non rappresentavano una minaccia reale. Non mentono le famiglie a cui, finora, non è stata data una spiegazione piena e trasparente su quanto accaduto e sulle cause che vi hanno condotto. In uno Stato che si definisce democratico, non è sostenibile che pretenda fiducia mentre moltiplica i propri strumenti di violenza e abdica dalla sua prerogativa fondamentale: proteggere, non punire. La questione non riguarda esclusivamente la liceità del taser, bensì il modo in cui è stato progressivamente sdoganato, automatizzato e normalizzato come una scorciatoia operativa. L’arroganza di chi si ritiene sempre nel giusto e la sistematica rimozione delle conseguenze sono elementi che destano profonda preoccupazione. Non è accettabile che un corpo a terra venga trattato come un mero dettaglio operativo. In quel corpo si misura la tenuta di uno Stato di diritto. Ed è proprio lì che, qualora non si presti la dovuta attenzione, rischiamo di perdere silenziosamente qualcosa di molto più grande di quanto siamo disposti ad ammettere.       > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
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Riccardo era stato picchiato: «A cosa serviva il taser?»
Nuovi particolari sulla morte del trentenne colpito dal taser a Pescara: era inerme. Il padre: perché gli hanno sparato?. Tre indagati per lesioni aggravate. Il trentenne preso a colpi di bastone in testa. La polizia lo ha trovato già ferito. Da diversi anni era in cura al Centro di salute mentale e a quello per le dipendenze. Salvini spietato: «Le pistole elettriche salvano vite» di Mario di Vito da il manifesto Quando, poco dopo le 11 del mattino di martedì, la volante della polizia con due agenti a bordo è arrivata in Strada Piana, nel quartiere periferico di San Donato a Pescara, Riccardo Zappone era stato appena picchiato. Perdeva sangue dalla testa. Forse, dicono alcuni testimoni, aveva cercato di derubare un passante. Di sicuro era stato preso a bastonate da tre persone, ora iscritte nel registro degli indagati per lesioni personali aggravate. È in questa situazione, comunque, che il trentenne avrebbe avuto una crisi tale che per i due poliziotti – «esperti», sostengono dalla questura – «è stato necessario usare il taser». Se siano state le botte o la scarica elettrica a causare l’infarto che lo ha colto in questura poco dopo ancora non si può dire. Potrebbe essere d’aiuto l’autopsia effettuata ieri, ma difficilmente arriverà una risposta chiara, perché in questi casi trovare un nesso causale è quasi impossibile. Gli ultimi precedenti di persone decedute dopo essere state colpite con il dissuasore elettrico parlano in maniera tragicamente chiara: gli esami medici non sono mai risolutivi. E qui, come recitano gli atti firmati dal sostituto procuratore Gennaro Varone, è anche ritenuta «presumibile l’intossicazione da cocaina», un’altra possibile causa dell’arresto cardiaco. Riccardo, da diversi anni, era in cura al Centro di salute mentale e al Servizio per le dipendenze di Chieti con una doppia diagnosi: una di problemi psichiatrici – per i quali gli venivano somministrati degli antipsicotici a cadenza mensile – e una di tossicodipendenza. Chi lo conosceva lo descrive come una persona di certo problematica ma non pericolosa: era stato sottoposto già in più occasioni a trattamento sanitario obbligatorio, altre volte era bastato un colloquio con la sua psichiatra per convincerlo a ricoverarsi, senza che fosse necessario l’uso della forza. Alto e molto magro, di aspetto debilitato e oggetto poco prima di un violento pestaggio, viene quasi naturale da chiedersi per quale motivo martedì mattina si sia reso necessario l’uso di uno storditore per rendere Zappone inoffensivo. Lo stabiliranno le indagini affidate alla squadra mobile, che però per ora non sfiorano gli agenti e sono concentrate sulla fase precedente al loro intervento, tutta immortalata dalle telecamere pubbliche presenti sulla via, grazie alle quali è stato possibile trovare due dei tre indagati (il primo era stato identificato già martedì). «Riccardo non aveva problemi cardiologici e poi soprattutto mi domando: che motivo c’era di arrestarlo se le forze dell’ordine lo conoscevano bene e sapevano chi fosse e che tipo di patologia avesse? Non era opportuno che fosse chiamato il 118 e ordinato il ricovero in trattamento sanitario obbligatorio come era stato fatto le altre volte? Era davvero necessario utilizzare quella pistola elettrica?», ha detto in un’intervista al quotidiano il Centro Andrea Varone, il padre della vittima. La questione del taser è centrale: le controindicazioni mediche sono note, Amnesty International ha parlato spesso di questo strumento che si è dimostrato dannoso ovunque nel mondo sia stato sin qui utilizzato da parte delle forze dell’ordine, la Cassazione, con una sentenza del 2019, lo ha descritto come «arma comune da sparo sicuramente idonea a recare danno alla persona». Il segretario di Rifondazione Comunista Maurizio Acerbo, pescarese, conclude così: «La responsabilità di questa morte non ricade solo sulla destra ma è stata bipartisan: la sperimentazione del taser è cominciata nel 2014 con il governo Renzi e fu rilanciata nel 2018 su iniziativa di Salvini con il governo Conte 1. Nel 2020 l’adozione della pistola elettronica è stata confermata dal governo Conte 2 in cui c’erano Pd e Sinistra italiana con Leu. La gravità di quella scelta sta nel fatto che la pericolosità della pistola elettronica era già nota quando è stata adottata». Salvini replica con un’ode al taser, come se fosse uno strumento salvavita e non un’arma letale: «Le forze dell’ordine non lo usano per gioco, lo usano quando ce n’è bisogno: ha salvato centinaia di vite e prevenuto migliaia di reati. Quindi o vogliamo mettere in discussione la libertà di azione delle forze dell’ordine e sciogliamo polizia e carabinieri e viviamo nell’anarchia. O altrimenti andiamo avanti su quello che è una maggiore sicurezza, che è necessaria». Il ministro degli Interni Matteo Piantedosi, intervenuto ieri mattina a Sky Tg24, pure ha difeso la pistola elettrica («È un’alternativa a strumenti molto più offensivi come le armi da fuoco») ma almeno, a differenza del vicepremier, è riuscito a non dimenticarsi che in questa storia c’è una vittima: «Andranno sviluppati tutti gli accertamenti perché è interesse anche nostro capire se ci sia una correlazione con l’uso del taser qualche minuto prima». Alla fine, oltre le indagini e le domande ancora prive di risposta, resta un’immagine sola: quella di un trentenne come tanti altri. Un morto di sicurezza come troppi altri. > Il taser uccide. Morire a 30 anni a Pescara     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
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