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Graphic-novel di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza: la militarizzazione avanza
Va avanti sempre più spedita la propaganda della “cultura militarizzata” di Stefano Bertoldi, Osservatorio contro la militarizzazione delle Scuole e delle Università Va avanti sempre più spedita la propaganda della “cultura militarizzata” che punta da alcuni anni anche al pubblico dei fumetti, il quale, a parte i nostalgici e/o affezionati storici, si avvicina anche alla […]
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La polizia e le profilazioni etnico-razziali
Si susseguono, nel nostro Paese, le segnalazioni di organismi internazionali e nazionali sulla diffusione di controlli di polizia ingiustificati, determinati dall’etnia o dal colore della pelle. Il Governo nega e si mostra scandalizzato. Irresponsabilmente ché, per verificare l’attendibilità delle segnalazioni, basterebbe introdurre forme di controllo indipendente, già sperimentate altrove, sugli interventi di polizia. di Marianna […]
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Pestaggi e manganelli fuori ordinanza, sotto inchiesta 15 agenti della polizia locale a Genova
Sono 15 gli agenti di polizia locale di Genova indagati, a vario titolo, nell’ambito dell’inchiesta sulle lesioni causate a persone accompagnate negli uffici e sul peculato. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori della squadra mobile, coordinati dalla pm Sabrina Monteverde, sarebbero tre gli episodi di pestaggi e due quelli di peculato avvenuti tra il primo gennaio […]
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La morte di Riccardo non è una tragedia individuale
Un giovane di trent’anni è deceduto in Questura, a seguito di un intervento in cui è stato impiegato un taser. Non si tratta di un episodio isolato né di un mero incidente fortuito. È l’ennesima manifestazione di una prassi ormai consolidata e diffusa: l’uso del taser come strumento “intermedio” nel repertorio coercitivo delle forze dell’ordine. di Associazione Yairaiha Ets Un giovane di trent’anni è deceduto in Questura, a seguito di un intervento in cui è stato impiegato un taser. Secondo l’esito dell’autopsia, la causa del decesso è riconducibile a una “sommersione interna emorragica da trauma toracico chiuso”, una massiccia emorragia compatibile con una compressione toracica particolarmente intensa. Le autorità hanno escluso un nesso diretto tra l’uso del taser e il decesso. Tuttavia, permangono dubbi gravi, legittimi e fondati riguardo alle modalità dell’intervento, alle responsabilità complessive e alla concatenazione degli eventi che hanno condotto alla tragica morte di Riccardo. Non si tratta di un episodio isolato né di un mero incidente fortuito. È l’ennesima manifestazione di una prassi ormai consolidata e diffusa: l’uso del taser come strumento “intermedio” nel repertorio coercitivo delle forze dell’ordine. Uno strumento che appare tutt’altro che neutro, specie quando impiegato nei confronti di soggetti fragili, in condizioni di alterazione o vulnerabilità fisica o psichica. La morte di Riccardo non si configura solo come una tragedia individuale, ma come uno specchio che riflette una trasformazione lenta ma inesorabile: la repressione che soppianta la mediazione, l’abitudine all’eccezione, una gestione dell’ordine pubblico che scivola sempre più velocemente verso la prevalenza della forza. Non ci troviamo più davanti a un rischio teorico: lo Stato ha di fatto rinunciato alla responsabilità di un intervento equilibrato, sostituendola con l’automatismo della coercizione. Questa deriva trova ulteriore sostegno nel recente decreto sicurezza, che amplia i poteri delle forze dell’ordine e legittima un impiego più esteso del taser, anche in contesti in cui il contatto umano, il discernimento e la competenza dovrebbero restare imprescindibili. Non è più la forza che interviene in casi eccezionali, ma la forza che diventa automatica. L’ambiguità con cui oggi si invocano termini quali “sicurezza”, “legalità”, “difesa” crea una cortina fumogena. Ma i corpi non mentono. Non mentono le vittime di decessi avvenuti “per errore”. Non mentono i corpi di coloro che non rappresentavano una minaccia reale. Non mentono le famiglie a cui, finora, non è stata data una spiegazione piena e trasparente su quanto accaduto e sulle cause che vi hanno condotto. In uno Stato che si definisce democratico, non è sostenibile che pretenda fiducia mentre moltiplica i propri strumenti di violenza e abdica dalla sua prerogativa fondamentale: proteggere, non punire. La questione non riguarda esclusivamente la liceità del taser, bensì il modo in cui è stato progressivamente sdoganato, automatizzato e normalizzato come una scorciatoia operativa. L’arroganza di chi si ritiene sempre nel giusto e la sistematica rimozione delle conseguenze sono elementi che destano profonda preoccupazione. Non è accettabile che un corpo a terra venga trattato come un mero dettaglio operativo. In quel corpo si misura la tenuta di uno Stato di diritto. Ed è proprio lì che, qualora non si presti la dovuta attenzione, rischiamo di perdere silenziosamente qualcosa di molto più grande di quanto siamo disposti ad ammettere.       > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
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Riccardo era stato picchiato: «A cosa serviva il taser?»
Nuovi particolari sulla morte del trentenne colpito dal taser a Pescara: era inerme. Il padre: perché gli hanno sparato?. Tre indagati per lesioni aggravate. Il trentenne preso a colpi di bastone in testa. La polizia lo ha trovato già ferito. Da diversi anni era in cura al Centro di salute mentale e a quello per le dipendenze. Salvini spietato: «Le pistole elettriche salvano vite» di Mario di Vito da il manifesto Quando, poco dopo le 11 del mattino di martedì, la volante della polizia con due agenti a bordo è arrivata in Strada Piana, nel quartiere periferico di San Donato a Pescara, Riccardo Zappone era stato appena picchiato. Perdeva sangue dalla testa. Forse, dicono alcuni testimoni, aveva cercato di derubare un passante. Di sicuro era stato preso a bastonate da tre persone, ora iscritte nel registro degli indagati per lesioni personali aggravate. È in questa situazione, comunque, che il trentenne avrebbe avuto una crisi tale che per i due poliziotti – «esperti», sostengono dalla questura – «è stato necessario usare il taser». Se siano state le botte o la scarica elettrica a causare l’infarto che lo ha colto in questura poco dopo ancora non si può dire. Potrebbe essere d’aiuto l’autopsia effettuata ieri, ma difficilmente arriverà una risposta chiara, perché in questi casi trovare un nesso causale è quasi impossibile. Gli ultimi precedenti di persone decedute dopo essere state colpite con il dissuasore elettrico parlano in maniera tragicamente chiara: gli esami medici non sono mai risolutivi. E qui, come recitano gli atti firmati dal sostituto procuratore Gennaro Varone, è anche ritenuta «presumibile l’intossicazione da cocaina», un’altra possibile causa dell’arresto cardiaco. Riccardo, da diversi anni, era in cura al Centro di salute mentale e al Servizio per le dipendenze di Chieti con una doppia diagnosi: una di problemi psichiatrici – per i quali gli venivano somministrati degli antipsicotici a cadenza mensile – e una di tossicodipendenza. Chi lo conosceva lo descrive come una persona di certo problematica ma non pericolosa: era stato sottoposto già in più occasioni a trattamento sanitario obbligatorio, altre volte era bastato un colloquio con la sua psichiatra per convincerlo a ricoverarsi, senza che fosse necessario l’uso della forza. Alto e molto magro, di aspetto debilitato e oggetto poco prima di un violento pestaggio, viene quasi naturale da chiedersi per quale motivo martedì mattina si sia reso necessario l’uso di uno storditore per rendere Zappone inoffensivo. Lo stabiliranno le indagini affidate alla squadra mobile, che però per ora non sfiorano gli agenti e sono concentrate sulla fase precedente al loro intervento, tutta immortalata dalle telecamere pubbliche presenti sulla via, grazie alle quali è stato possibile trovare due dei tre indagati (il primo era stato identificato già martedì). «Riccardo non aveva problemi cardiologici e poi soprattutto mi domando: che motivo c’era di arrestarlo se le forze dell’ordine lo conoscevano bene e sapevano chi fosse e che tipo di patologia avesse? Non era opportuno che fosse chiamato il 118 e ordinato il ricovero in trattamento sanitario obbligatorio come era stato fatto le altre volte? Era davvero necessario utilizzare quella pistola elettrica?», ha detto in un’intervista al quotidiano il Centro Andrea Varone, il padre della vittima. La questione del taser è centrale: le controindicazioni mediche sono note, Amnesty International ha parlato spesso di questo strumento che si è dimostrato dannoso ovunque nel mondo sia stato sin qui utilizzato da parte delle forze dell’ordine, la Cassazione, con una sentenza del 2019, lo ha descritto come «arma comune da sparo sicuramente idonea a recare danno alla persona». Il segretario di Rifondazione Comunista Maurizio Acerbo, pescarese, conclude così: «La responsabilità di questa morte non ricade solo sulla destra ma è stata bipartisan: la sperimentazione del taser è cominciata nel 2014 con il governo Renzi e fu rilanciata nel 2018 su iniziativa di Salvini con il governo Conte 1. Nel 2020 l’adozione della pistola elettronica è stata confermata dal governo Conte 2 in cui c’erano Pd e Sinistra italiana con Leu. La gravità di quella scelta sta nel fatto che la pericolosità della pistola elettronica era già nota quando è stata adottata». Salvini replica con un’ode al taser, come se fosse uno strumento salvavita e non un’arma letale: «Le forze dell’ordine non lo usano per gioco, lo usano quando ce n’è bisogno: ha salvato centinaia di vite e prevenuto migliaia di reati. Quindi o vogliamo mettere in discussione la libertà di azione delle forze dell’ordine e sciogliamo polizia e carabinieri e viviamo nell’anarchia. O altrimenti andiamo avanti su quello che è una maggiore sicurezza, che è necessaria». Il ministro degli Interni Matteo Piantedosi, intervenuto ieri mattina a Sky Tg24, pure ha difeso la pistola elettrica («È un’alternativa a strumenti molto più offensivi come le armi da fuoco») ma almeno, a differenza del vicepremier, è riuscito a non dimenticarsi che in questa storia c’è una vittima: «Andranno sviluppati tutti gli accertamenti perché è interesse anche nostro capire se ci sia una correlazione con l’uso del taser qualche minuto prima». Alla fine, oltre le indagini e le domande ancora prive di risposta, resta un’immagine sola: quella di un trentenne come tanti altri. Un morto di sicurezza come troppi altri. > Il taser uccide. Morire a 30 anni a Pescara     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
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Il taser uccide. Morire a 30 anni a Pescara
Ennesima vittima degli abusi di polizia. Ieri 3 giugno, a Pescara, un 30enne coinvolto poco prima in una lite stradale e morto a causa dell’uso del taser da parte gli agenti di polizia di Mario Di Vito da il manifesto Una rissa in strada a Pescara ieri mattina, l’arrivo della polizia, un colpo di taser. Poi l’arresto, il trasferimento in questura, il malore in sala d’attesa, l’arrivo del 118 e la corsa in ospedale. Dove però i medici non hanno potuto fare altro che constatare il decesso. Questa è la prima ricostruzione delle ultime ore di Riccardo Zappone, trent’anni, originario di San Giovanni Teatino, paese a pochi chilometri a ovest di Pescara. IL COMUNICATO con cui la procura di Pescara ha diffuso nel pomeriggio la notizia parla dell’arresto di Zappone, «apparentemente coinvolto poco prima in un alterco da strada», per resistenza a pubblico ufficiale «che è stato necessario vincere con l’uso del taser». Ed è proprio su questo uso «necessario» che si concentreranno le indagini delegate alla squadra mobile. Nel mentre, dalla questura, sia pure informalmente, vengono soffiate altre possibili cause, perché «non è emersa una correlazione accertata tra l’uso del taser e l’arresto cardiaco». Quindi, dicono i poliziotti, bisogna valutare attentamente la dinamica della rissa, perché pare che Zappone avesse avuto la peggio. Poi bisogna capire se il trentenne fosse sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. E c’è un dettaglio biografico che viene sottolineato: parliamo di un tossicodipendente con precedenti. Quindi se da una parte si suggerisce che il cuore di Zappone potrebbe essersi fermato per motivi non legati alla scarica elettrica subita, dall’altra siamo indubbiamente davanti all’identikit della tipica vittima di malapolizia: un marginale per il quale non è necessario usare tante accortezze. I PRECEDENTI, almeno in fatto di taser, parlano chiaro. Poco meno di due anni fa, nell’agosto del 2023, proprio a San Giovanni Teatino è morto Simone Di Gregorio, 35enne in cura presso un centro psichiatrico di Pescara. Nel suo caso lo storditore venne usato dai carabinieri perché l’uomo «stava dando in escandescenze» e, completamente nudo, correva verso i binari della ferrovia. La procura di Chieti aprì un fascicolo contro ignoti per omicidio colposo, ma l’autopsia escluse che la morte fosse arrivata a causa della scossa elettrica. Un anno dopo, nel luglio 2024, in Alto Adige, il taser è stato usato contro Carlo Lattanzio, un operaio 42enne di Barletta salito a Vipiteno per lavorare in un’azienda edile. Era stato lui a chiamare i carabinieri, che lo avrebbero trovato in stato confusionale, forse ubriaco. E lui prima avrebbe provato ad aggredirli e poi si sarebbe lanciato da una finestra. Sopravvissuto alla caduta, avrebbe tentato di nuovo di aggredire i militari che a quel punto lo hanno colpito col taser. L’indagine condotta dalla procura di Bolzano non ha portato a nulla, perché l’autopsia non ha rilevato una correlazione diretta tra il decesso e l’intervento dei carabinieri. Il problema degli accertamenti medici per queste vicende appare evidente: da un punto di vista strettamente legale, stabilire un nesso causale tra taser e arresto cardiaco è pressoché impossibile nel momento in cui esistono altri elementi che potrebbero causare una morte improvvisa. Restano le parole con cui, nella sentenza numero 5.830 del 2019 la Cassazione ha descritto il taser: «Arma comune da sparo sicuramente idonea a recare danno alla persona». Chi produce e commercia questi strumenti, da parte sua, insiste molto sul fatto che parliamo di «dispositivi non letali». Almeno in teoria perché, in più rapporti, Amnesty International ha spiegato che, per quanto riguarda l’uso di pistole elettriche, «il rischio zero non esiste» e che «gli studi medici a disposizione sono concordi nel ritenere che l’uso dei taser abbia avuto conseguenze mortali su soggetti con disturbi cardiaci o le cui funzioni, nel momento in cui erano stati colpiti, erano compromesse da alcool o droga o, ancora, che erano sotto sforzo, ad esempio al termine di una colluttazione o di una corsa». SIA NEL CASO di Zappone, sia nei precedenti di Di Gregorio e Lattanzio, in ogni caso, parliamo dell’uso di un’arma comune da sparo contro persone evidentemente disarmate. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto il commento di Susanna Marietti, dell’Associazione Antigone. Ascolta o scarica. Maurizio Acerbo, pescarese e segretario nazionale di Rifondazione comunista a così commentato: “Abbiamo sempre contestato la decisione politica di dotare le forze dell’ordine di taser. Se verrà confermato che la causa della morte del trentenne a Pescara è stata causata dall’uso del taser non sarà il primo caso. La responsabilità di questa morte non ricade solo sulla destra ma è stata bipartisan. La sperimentazione del taser è cominciata nel 2014 con il governo Renzi e fu rilanciata nel 2018 su iniziativa di Salvini con il governo Conte 1. Nel 2020 l’adozione della pistola elettronica è stata confermata dal governo Conte 2 in cui c’erano PD e Sinistra Italiana con LeU. La gravità di quella scelta sta nel fatto che la pericolosità della pistola elettronica era già nota quando è stata adottata. Ricordo che vari organismi internazionali intergovernativi e non governativi avevano stigmatizzato l’uso del Taser in quanto potenzialmente mortale e mai realmente sostitutivo delle armi da fuoco. Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura aveva già affermato che l’introduzione dei Taser apriva la porta a risposte sproporzionate. La Reuters aveva già documentato che dal 2001 erano almeno 1.042 i casi di persone colpite a morte con un taser dalla polizia. La stessa azienda produttrice, la Taser International Incoporated, aveva già dovuto riconoscere un fattore di rischio mortale che si aggira intorno allo 0,25%. Una persona su 400, tra quelle colpite da Taser, rischia cioè il decesso. Denunciammo inascoltati essendo fuori dal parlamento e delle TV che sarebbe stato più utile investire risorse in formazione delle forze di polizia o in strumenti logistici (autovetture, vestiario e altre strumentazioni utili al contrasto della criminalità). Da anni assistiamo a una deriva sicuritaria di imitazione delle modalità di gestione dell’ordine pubblico tipiche degli Stati Uniti e che si accompagnano a un modello sociale neoliberista. Segnaliamo che l’Europa dello stato sociale ha indici di sicurezza infinitamente superiori agli USA che collezionano non invidiabili record di omicidi, nonostante un altissimo numero di persone detenute e metodi polizieschi raccapriccianti. Anche per le politiche della sicurezza – come per l’economia e il lavoro – va ripresa la via maestra della Costituzione. Il taser va vietato“. Nel decreto “Milleproroghe“, approvato in via definitiva dalla Camera dei Deputati, nel febbraio 2025,  è previsto che tutti i Comuni – non solo i capoluoghi di provincia o quelli con più di 20mila abitanti – potranno dotare la Polizia Municipale della letale pistole elettronica “taser”. > I taser in dotazione alla polizia non sono affatto sicuri > Attenti al Taser: per l’Onu è uno strumento di tortura > Il Taser è buono solo per chi lo vende > Taser ai poliziotti. Uno strumento di tortura gira per le città > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. 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Cercasi “mele sane”: a Verona, nove poliziotti delle volanti accusati di torture. E Meloni attacca il Consiglio d’Europa
A Verona, nove poliziotti delle volanti accusati di torture e lesioni in questura. Il governo inventa una polemica per una vecchia raccomandazione sulla profilazione razziale durante fermi e perquisizioni.  Ematomi al volto e ferite al labbro. Ma anche calci, sberle e spintoni nella sala Aquario, nella sala redazione atti e nel corridoio. Queste azioni violente sarebbero avvenute in questura a Verona nell’agosto e nel novembre del 2022 nei confronti di due fermati: Mattia Tacchi, già da tempo noto alle forze dell’ordine e con problemi di tossicodipendenza, e il marocchino Amiri Tororo. Gli autori di queste aggressioni, secondo la procura che ha chiuso qualche settimana fa le indagini sulle violenze in questura, sarebbero nove poliziotti della squadra volanti, indagati per lesioni o tortura. Alcuni di loro sono accusati, assieme ad altri sette, anche di peculato, dell’omissione di denuncia di reato o di identificazione di alcuni loro conoscenti e della falsificazione di alcuni verbali. Tutti e 16 gli indagati dovranno presentarsi all’udienza preliminare, fissata davanti alla giudice Arianna Busato il prossimo 22 settembre. Gli episodi di violenza Per quel che riguarda l’aggressione nei confronti di Mattia Tacchi, due colleghi avrebbero agito in concorso con l’ex poliziotto Alessandro Migliore, tuttora a processo assieme all’ex collega Loris Colpini. Secondo l’accusa, Mattia Tacchi sarebbe stato trascinato fuori dalla sala Acquario e sarebbe stato colpito più volte. Dieci minuti dopo Alessandro Migliore avrebbe tirato a Tacchi uno schiaffo facendogli perdere i sensi per alcuni minuti. Un altro episodio di violenza, stando all’accusa, si sarebbe verificato nei confronti del marocchino Amiri Tororo che sarebbe stato colpito con calci, sberle e spintoni. Gli sarebbe poi stato spruzzato lo spray al peperoncino, «facendogli urtare violentemente il capo contro una panca in cemento», si legge nel capo d’imputazione. Gli indagati lo avrebbero poi «trattenuto all’interno della stanza fermati circa un’ora e trenta senza decontaminarlo . riporta l’accusa –, sebbene egli avesse più volte rappresentato come l’irritante gli provocasse dolore». Dopo l’aggressione Amiri Tororo si sarebbe ritrovato con diverse lesioni sul corpo e l’ematoma a un occhio.  Cacciaviti e cutter Tra gli episodi contestati ci sarebbe stata da parte di alcuni degli indagati anche l’interruzione di una perquisizione domiciliare per la ricerca di armi da sparo nell’abitazione di un loro conoscente. Nella sua auto sarebbero però stati trovati una decina di cacciaviti e un cutter che l’uomo avrebbe usato per bloccare e minacciare l’ex fidanzata. In quella circostanza i poliziotti che erano intervenuti avrebbero dovuto denunciare l’uomo. In un’altra occasione invece uno degli indagati si sarebbe intascato 40 euro e due pacchetti di sigarette, contenenti nel borsello di una donna che era stata portata in questura per un controllo. L’inchiesta Le indagini sono state svolte dalla squadra mobile tra il 2022 e il 2025 e coordinate dai sostituti procuratori Carlo Boranga e Chiara Bisso. Su 28 indagati sono stati chiesti 16 rinvii a giudizio, 2 giudizi immediati (Migliore e Colpini), 2 patteggiamenti e 8 archiviazioni. A far partire l’inchiesta sono state le denunce di alcune persone fermate che avevano raccontato di essere state maltrattate. A quel punto erano scattate le intercettazioni delle conversazioni tra gli indagati. Alcuni episodi di violenza sono stati poi immortalati da una telecamera presente nella sala Acquario dove venivano portati i fermati. (di Beatrice Branca da il Corriere del Veneto) «Avevamo raccomandato al governo italiano di realizzare uno studio indipendente sulla profilazione razziale [da parte delle forze dell’ordine, ndr] per valutare il fenomeno». È bastata questa frase pronunciata ieri da Bertil Cottier, presidente della Commissione europea contro razzismo e intolleranza (Ecri) del Consiglio d’Europa (Coe), per scatenare un circo politico. Al centro la maggioranza, con Giorgia Meloni in testa, a difendere a spada tratta una polizia che nessuno aveva attaccato. Le parole del giurista svizzero sono il dito, la luna è la nuova aggressione alle istituzioni internazionali. La linea è la stessa della recente lettera contro la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che ricade sempre sotto il Consiglio d’Europa, per limitarne l’indipendenza in materia di diritti dei migranti. Cottier, infatti, era semplicemente intervenuto nella conferenza stampa di presentazione del report annuale Ecri, che per il 2024 affronta quattro fenomeni «strutturali»: selezione delle persone fermate e perquisite in base a origini nazionali o etniche; segregazione scolastica dei bambini rom; discriminazioni contro le persone trans e intersessuali. Nel rapporto presentato ieri non ci sono numeri, né riferimenti ai singoli Stati nazionali. Perciò un giornalista dell’Ansa ha chiesto a Cottier se aveva raccomandazioni specifiche per qualche paese, in particolare l’Italia. Il presidente ha rimandato allo studio pubblicato lo scorso ottobre e ribadito quanto l’Ecri aveva consigliato in quell’occasione: uno studio indipendente sul fenomeno della profilazione razziale. La notizia in pratica non esisteva, non c’era nulla di nuovo. Ma a prescindere da qualsiasi dato di realtà, la maggioranza è partita all’attacco seguendo l’ordine di scuderia: tutti insieme contro Ecri e Coe. «Osservazioni astruse e false», ha detto il vicepremier Antonio Tajani (Fi), che evidentemente il report non lo ha nemmeno visto. Per il presidente di Noi moderati Maurizio Lupi: «La Commissione europea contro razzismo e intolleranza del Consiglio d’Europa prende un’altra cantonata dopo quella dell’ottobre 2024, quando con una relazione fotocopia accusò di razzismo le nostre forze dell’ordine». La cantonata è solo sua, lo studio è lo stesso. La vera posta in gioco emerge invece dalle dichiarazioni di Meloni e della Lega. «L’Italia fu, nel 1949, tra i dieci Stati fondatori del Coe, nato nel dopoguerra per difendere la democrazia, i diritti umani e lo Stato di diritto. Eppure oggi quello spirito originario sembra smarrito, sostituito da dichiarazioni sempre più faziose e lontane dalla realtà», dice la premier. È la stessa tesi sostenuta nella lettera contro la Cedu promossa da Italia e Danimarca e firmata da altri sette Paesi Ue. In sostanza diceva che i diritti costituzionalizzati dopo il secondo conflitto mondiale e le istituzioni di garanzia create per garantirli sono ormai superati. Almeno per gli stranieri (si comincia sempre da là). E infatti la Lega va dritta al punto: «Consiglio d’Europa? Altro ente inutile, da sciogliere. Giù le mani dalle nostre forze di Polizia!», scrive su X. Il Coe fu istituito per promuovere democrazia e diritti umani, con lo scopo di evitare che gli orrori del nazifascismo e della guerra mondiale potessero ripetersi. Ne fanno parte 46 paesi, di cui i 27 Ue, e non va confusa con le istituzioni dell’Unione europea. Nel 2022 è stato abbandonato dalla Russia, esclusa. Forse a Meloni o ai suoi alleati leghisti piacerebbe seguire le orme di Putin. Più probabilmente dovranno accontentarsi di colpire il Coe dall’interno. A questo serviva la bordata contro la Cedu. Un attacco inedito a cui sabato aveva replicato Alain Berset, presidente del Consiglio d’Europa. «La Cedu è il braccio giuridico del Coe – ha dichiarato Berset – Il rispetto dell’indipendenza e dell’imparzialità della Corte è il nostro fondamento». In tale contesto colpisce la mossa di ieri del Quirinale, che ha convocato il capo della polizia Vittorio Pisani per rinnovare «stima e fiducia». A ottobre il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si era detto «stupito» dal rapporto dell’Ecri, stavolta stupito è chi confida nel Colle per frenare la deriva sovranista di Meloni: l’incontro che si terrà questa mattina non serve a coprire le forze dell’ordine, serve a coprire il governo. (di Giansandro Merli da il manifesto)   > Verona: cinque poliziotti arrestati per tortura > Torture nella questura di Verona: Un modus operandi consolidato > Tutto nuovo alla Questura di Verona? > Violenza e tortura in divisa, un dibattito necessario > Dure accuse del Consiglio d’Europa e Onu: Razzismo nella polizia > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp    
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