
Libertà per Tarek, Anan, Alì e Mansour. Presìdi al carcere di Regina Coeli e al Tribunale de L’Aquila
il Rovescio - Wednesday, May 14, 2025Il 5 ottobre è piovuto tantissimo. Finita la pioggia, i lacrimogeni: hanno fatto di tutto per impedire che il sole illuminasse le bandiere della Palestina.
Hanno fatto di tutto affinché in quella giornata, a Roma, non ci fosse una manifestazione contro il genocidio. Hanno fatto di tutto e nonostante ciò, non ci sono riusciti. Lo Stato italiano ha scelto quel giorno da che parte stare, ma lo ha scelto anche il giorno in cui ha deciso di arrestare Anan, Ali e Mansour, perché facenti parte della resistenza palestinese. È chiara la scelta di campo.
In un contesto generale così radicale, fatto di migliaia di morti, altrettanti che resistono e lo Stato italiano che attacca la solidarietà, non c’è spazio per ambiguità. Ci possono essere differenze, diversi modi, ma è indubbia la scelta di campo e il processo al quale appartengono. Non è filosofia quanto realtà concreta.
La storia di Tarek racconta questa realtà qui: molto chiara, molto concreta, molto ingiusta. Un ragazzo tunisino, arrivato in Italia nel 2008 e che il 5 ottobre, quando ha visto la polizia caricare le bandiere della Palestina, non ha avuto dubbi su che parte prendere. Si è messo in mezzo, come poteva, come ha creduto più opportuno. Racconta la storia di un ragazzo come tanti, uno dei tanti dannati di questa terra, che in quanto tale, per un reato di resistenza, è stato condannato a 4 anni e 8 con rito abbreviato (più di quanto avesse chiesto il pm). Tarek è la storia di questo tempo, di questa democrazia coloniale, perché non è ricco, non è bianco, non ha reti di solidarietà, e quel giorno ha preso parte a una manifestazione per la Palestina in cui ci sono stati scontri con le f.d.o. Quanto basta per esercitare tutta la (“legittima”) violenza di uno Stato occidentale e colonialista.
Quello che però racconta quella giornata è anche un’altra realtà, fatta di persone che a questo stato di cose non ci stanno. Che contro i valori razzisti e prevaricatori di questo mondo hanno sfidato i filtri della polizia, preso le botte, respirato l’odore acre dei lacrimogeni.
Dire che in quella piazza c’eravamo tutti e tutte non è solo uno slogan, eravamo realmente tantissim*. Come anche tantissime sono le persone che in piazza non sono mai riuscite ad arrivare, a causa della militarizzazione della città, ma quel giorno c’erano ugualmente.
L’obiettivo della giornata era fare un corteo per la città, gli scontri, poi, sono stati l’inevitabile conseguenza. I filtri della polizia all’ingresso della piazza, la politica sorda che, per impedire la giornata, fa una levata di scudi unitaria, l’informazione che stigmatizza le ragioni. Nulla di nuovo, l’aspetto inedito è stata la quantità, e la determinazione, delle persone che quel giorno sono scese in strada. Lo Stato italiano ha scelto da che parte stare, e per difendere la propria ragione è disposto a tutto. Ad esempio approva, sotto forma di decreto, quello che era il ddl1660, ennesimo passaggio che riduce gli spazi di libertà.
Quel giorno la realtà è stata chiara: la libertà non si concede, si prende a spinta.
CI VEDIAMO MERCOLEDÌ 21 MAGGIO ORE 9:30 AL TRIBUNALE A L’AQUILA PER IL PROCESSO DI ANAN, ALÌ E MANSOUR.
CI VEDIAMO GIOVEDÌ 22 MAGGIO ORE 17:30 AL FARO DEL GIANICOLO PER ROMPERE IL SILENZIO E PORTARE SOLIDARIETÀ A TAREK.