Riceviamo e diffondiamo:
Mente tre sono in ospedale con un forte deterioramento fisico, un settimo
prigioniero di Palestine Action si è unito allo sciopero:
https://prisonersforpalestine.org/seventh-prisoner-joins-prisoners-for-palestine-hunger-strike/
Tag - Carcere
A causa di ritardi nella comunicazione via posta, facciamo sapere solo adesso
che anche il compagno anarchico Juan Sorroche ha aderito alla protesta dei
“Prisoners for Palestine”, con uno sciopero dell’aria durato alcuni giorni. Di
seguito il suo comunicato, in cui ancora una volta il cuore del nostro amico
Juanito è un atto di accusa contro la meschinità di chi lo tiene rinchiuso.
Tutti liberi! Palestina libera!
Solidarietà ai/alle prigionieri/e palestinesi nel mondo
Solidarietà ai/alle prigionieri/e delle proteste di “Palestine Action”
Questo mio pensiero viene stimolato dalle proteste dei/delle prigionieri/e di
“Palestine Action” in sciopero della fame dal 14/11/2025 nelle carceri
britanniche e anche da chi si è unito in solidarietà a loro.
Il compagno anarchico Stecco, prigioniero in Italia, ha aderito allo sciopero
della fame dal 07/11 fino al 28/11, così come Massimo, compagno anarchico che si
trova in semilibertà nella prigione di Trento, che ha portato la sua solidarietà
e protesta rinunciando a una settimana di lavoro e quindi di uscite giornaliere.
Ho deciso di aderire il 26/11/2025 anch’io con un gesto simbolico e di
solidarietà alle ragioni di questa protesta rinunciando alle mie ore d’aria (nel
cortile) per una settimana nel carcere di TerniAS2, dove mi trovo prigioniero,
in solidarietà libertaria e internazionalista e che accompagno con queste
parole.
Per prima cosa vorrei ricordare che il mio cuore piange nel sapere il gran
numero di BAMBINI PRGIONIERI dello Stato israeliano! E innanzi tutto, la mia
solidarietà non può che andare ai 17.000 prigionieri dello Stato sionista in
Palestina e ai prigionieri palestinesi in tutto il mondo! La mia solidarietà
rivoluzionaria e il mio cuore batte per il coraggio della resistenza degli
oppressi palestinesi, i combattenti partigiani che resistono oggi con la
guerriglia armata di liberazione, che dura da settantacinque anni contro il
colonialismo israeliano sionista e occidentale!
E nello specifico mando la mia solidarietà in Italia ad Ali e a Mansour e in
special modo al mio amico e fratello Anan partigiano palestinese, trasferito
poco fa da qui, portato via e rinchiuso a Melfi in maniera punitiva per mano
dello Stato italiano che è complice obbediente dei sionisti dello Stato di
Isreale.
Così come vorrei ricordare gli oppressi che soffrono la guerra nel mondo! E il
popolo palestinese in particolare con le 67.000 persone assassinate dagli Stati
capitalisti occidentali, di cui 20.000 BAMBINI, cioè quasi la metà del totale!!
Questa guerra infame e queste violenze razziste strutturali, che sono
intrinseche a tutta la nostra società occidentale statalista-capitalista e
colonialista, che sono la genesi della società israeliana.
Per fare ciò in queste nostre società siamo stati in primo luogo assuefatti a
questa violenza e razzismo SISTEMICI degli Stati capitalisti ed educati ai
“grandi” valori politico-economici DEMOCRATICI e questo, DICIAMOLO, dev’essere
detto FORTE E CHIARO. Vorrei ricordare i genocidi programmati da secoli dalle
democrazie occidentali! Che OGGI ANCORA avanzano indisturbati in ogni momento e
adesso, a Gaza e in Cisgiordania, con la complicità dell’Occidente, che a parole
roboanti dell’ONU dà “diritti e pace” e nei fatti reali vende le bombe e le armi
che trucidano. Come sono anche programmate scientificamente da decenni LE
DIVERSE GUERRE STATALI-CAPITALISTE (a suon di leggi) nell’indifferenza delle
nostre società occidentali. Ne sono un “piccolo” esempio le infinite stragi
degli immigrati nel Mediterraneo che avvengono nell’indifferenza strutturale
razzista che continua nel silenzio complice di quasi tutta la nostra società
occidentale. Questi danni e tanto, tanto ancora è ciò che fa l’interclassismo
democratico nelle nostre vite-lotte, io credo che a livello pratico della lotta
autonoma e antiautoritaria quest’ultimo ci porti via le poche energie preziose,
indirizzandoci volutamente a forme spettacolari di solidarietà che vengono
svuotate completamente dalle poche forze reali che si hanno; tra l’altro così
non incidendo minimamente nella possibilità di cambiamenti radicali della lotta
di classe e rivoluzionaria e della realtà del cambiamento della nostra società
incanalandoci verso la pace sociale che è la continuità delle azioni di guerra
stataliste-capitaliste e della conseguente repressione esterna-interna. È giusto
anche ricordare che oggi ci sono compagni prigionieri rivoluzionari comunisti in
Italia, alcuni rinchiusi da più di 40 anni, che già decenni addietro lottavano
con la lotta armata contro l’imperialismo, ricordare che storicamente lottavano
anche con la resistenza armata palestinese, in solidarietà al popolo
palestinese, ci serve per ricordare la storia rivoluzionaria, per dare la giusta
dimensione solidale contro la repressione statale, come bussola, per dare le
giuste ragioni sociali e storiche per le future lotte rivoluzionarie-libertarie!
Solidarietà all’amico e compagno anarchico Alfredo Cospito rinchiuso al 41 bis
per azioni rivoluzionarie contro Ansaldo. Contro il 41 bis, fuori tutti!
Solidarietà alla compagna prigioniera Anna Beniamino e a tutti/e i/le
prigionieri/e anarchici e libertari nel mondo!
Lo Stato italiano come quello inglese è complice delle guerre coloniali di
Israele e del genocidio, della repressione interna, con l’imprigionamento
dei/delle compagni/e rivoluzionari comunisti e anarchici: in Italia di tre
partigiani palestinesi, uno dei quali è Anan Yaeshh; in Inghilterra con
l’arresto degli attivisti di “Palestine Action” e la detenzione degli
indipendentisti irlandesi. Questi Stati sono anche complici di aver rinchiuso i
17.000 prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane.
Tutto ciò è collegato!
Ciò che vogliono dare oggi lo Stato italiano e quello inglese sia nel processo
di Anan che di “Palestine Action”, accusandoli di terrorismo e non riconoscendo
la loro resistenza di liberazione del popolo palestinese e dal colonialismo
occidentale, è un chiaro messaggio di tutto il colonialismo occidentale e della
complicità italiana e inglese con il genocidio.
Solidarietà ai/alle prigionieri/e delle proteste di “Palestine Action”!
Libertà per tutti/e i/le prigionieri/e nel mondo!
Per la distruzione di tutte le carceri, delle frontiere, di tutti gli Stati e
del capitalismo!
Contro la guerra!
Rivoluzione-libertaria!
Juan Sorroche
(spedito il 24/11/2025
dalla sezione AS2 del carcere di Terni)
Vittoria allo sciopero
della fame di massa per Palestine Action - Schiacciamo l'alleanza 1+3
Dal 2 novembre è in corso uno sciopero della fame collettivo a rotazione nelle
carceri britanniche contro il coinvolgimento del Regno Unito nella guerra
coloniale in Palestina e la repressione dell’organizzazione Palestine Action.
Trentatré prigionieri si sono impegnati, Amu Gib e Qesser Zuhrah sono stati i
primi a iniziare e gradualmente il numero degli scioperanti sta aumentando. La
lotta all’interno delle prigioni ha già assunto carattere internazionale, con la
partecipazione dei compagni Massimo Passamani e Luca Dolce (Italia).
Le richieste:
– Fine immediata di ogni forma di censura e restrizione alla loro corrispondenza
e alle loro comunicazioni.
– Rilascio immediato e incondizionato su cauzione.
– Diritto a un processo equo e trasparente.
– Depenalizzazione di Palestine Action.
– Chiusura definitiva di tutte le strutture di Elbit Systems nel Regno Unito.
Tutte le richieste sono al servizio della resistenza palestinese e della lotta
comune contro la contro-rivoluzione capitalista. L’ultima richiesta colloca lo
sciopero della fame nell’ambito dell’obiettivo della campagna politica per cui
Palestine Action è stata inserita nella lista del “terrorismo”. La lotta
continua quindi dall’interno della prigione. L’azienda israeliana Elbit fornisce
gran parte delle attrezzature dell’esercito israeliano. Palestine Action,
attraverso sabotaggi e blocchi, ha causato gravi danni all’azienda e la chiusura
di fabbriche. Ha anche compiuto gravi sabotaggi alle basi e agli aerei della
RAF, portando le forme più moderate di resistenza antimilitarista al livello
delle esigenze oggettive determinate dal conflitto in Palestina.
Il 28 novembre, l’attivista palestinese Anan Yaeesh, che è stato un prigioniero
politico nella Palestina occupata, sarà processato dallo Stato italiano. È
accusato, senza prove, di collaborare con le Brigate di Tulkarm (Cisgiordania),
legate alle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, una componente armata di Fatah che
resiste all’occupazione. L’UE sta combattendo in prima linea con l’occupazione
sionista con tutti i mezzi a sua disposizione.
Il compagno Anan ha dichiarato: “Volete che mi difenda dalle accuse contro di
me, ma mi vergogno di chiedere l’assoluzione per accuse che, per me,
rappresentano una fonte di onore. Non voglio difendermi dall’accusa di avere
dei diritti e di averli rivendicati, o di aver cercato di liberare il mio
popolo e il mio paese dall’oppressione coloniale. Giuro che non ho alcuna
intenzione di essere assolto dalla legittima resistenza contro l’occupazione
sionista. La resistenza palestinese è uno dei fenomeni più nobili conosciuti
dalla storia”.
Esprimo il mio rispetto per la memoria dei due martiri dell’attacco suicida
contro un insediamento israeliano a sud di Betlemme il 18 novembre. Come hanno
scritto le Brigate di Al-Shahid Abu Ali Mustafa, del Fronte Popolare per la
Liberazione della Palestina, nel loro annuncio commemorativo: “Il nostro impegno
è una vendetta eterna che non svanisce. Domani la nebbia si diraderà dalle
colline”.
Lo sciopero della fame di massa è stato annunciato per l’anniversario della
Dichiarazione Balfour, il mandato britannico per attuare il piano sionista. Lo
sviluppo storico del capitale si è fondato su un genocidio implacabile. Dobbiamo
considerare i genocidi da una prospettiva antistatale e anticapitalista. Il
massacro e la carestia a Gaza e la guerra centenaria di distruzione e
sfollamento del popolo palestinese sono processi di accumulazione primitiva,
disciplinamento di classe e sterminio del proletariato in eccedenza. La
brutalità della macchina da guerra imperialista e della sua avanguardia sionista
è apertamente mostrata con l’obiettivo di affermare il suo terrorismo in tutto
il mondo. Di fronte alla resistenza eroica di un popolo, i macellai capitalisti
hanno fatto del pane e dell’acqua del popolo l’oggetto dei negoziati di guerra.
La decisione unanime del Consiglio di sicurezza dell’ONU (17 novembre), con
l’accordo degli imperialisti cinesi e russi, proclama l’assunzione di
responsabilità per il completamento dell’occupazione. Ciò che il sionismo non è
riuscito a ottenere attraverso guerre costanti, lo stanno ottenendo ora i suoi
protettori. La prevista Forza Internazionale di Stabilizzazione ha il compito di
disarmare la resistenza “con tutti i mezzi necessari”, cioè continuando la
guerra genocida.
Come hanno dichiarato lo stesso giorno i Comitati di Resistenza Popolare, “Non
accetteremo lo schieramento di forze internazionali o straniere all’interno
della Striscia di Gaza per sostituire l’occupazione, né accetteremo un ruolo
americano nel controllo dell’amministrazione di Gaza. Qualsiasi sostegno
internazionale a questa decisione sarà considerato allineamento e legittimazione
della presenza straniera sul territorio di Gaza”.
La resistenza palestinese non torna indietro sui suoi obiettivi politici: la
liberazione di Gaza, militarmente ed economicamente; la fine degli insediamenti
in Cisgiordania, approvati dalla Knesset sionista; il rilascio di tutti i
prigionieri. Punizione per tutti i criminali di guerra. Nessuna pace con
l’occupazione. L’unico linguaggio che il nemico capisce è il linguaggio della
forza.
Due anni dopo che l’iniziativa rivoluzionaria del 7 ottobre è riuscita a
riportare in primo piano, più forte che mai, la causa della distruzione della
colonia imperialista, ripeto e dirò tutte le volte che sarà necessario che
qualsiasi compromesso sulle richieste di libertà popolare in nome della pace,
svalutando e seppellendo la resistenza nel silenzio o nel crogiolo dei diritti
borghesi, affila le armi della controrivoluzione. Se la sinistra è perseguitata
dalla maledizione storica della socialdemocrazia coloniale, la corrente
antiautoritaria e il marxismo accademico sono perseguitati dalla maledizione
dell’idealismo utopistico elitario, che trasforma convenientemente i padroni in
vittime. Ma non c’è federalismo senza giustizia, né socialismo senza terra e
libertà.
L’obiettrice di coscienza israeliana Daniela Schultz con la sua dichiarazione ha
sventato tutti coloro che minano la resistenza palestinese: “La società
israeliana nel suo insieme ha un ruolo nel plasmare l’orribile realtà del popolo
palestinese. Non è ‘complicato’, non ci sono ‘eccezioni alla regola’, e i
discorsi sull’innocenza o la moralità degli individui in una società la cui
essenza è lo spargimento di sangue e la supremazia razziale sono irrilevanti”.
Sul volontarismo fascista, che il neoliberismo e la sua post-socialdemocrazia
presentano come alternativismo: “Il genocidio di Gaza ha avuto un impatto anche
sulla società israeliana, ma invece di ribellarsi, le ONG civili hanno fatto di
tutto per assecondarlo. Sostenendo le famiglie dei riservisti, ristrutturando i
rifugi, le sale operatorie civili, tutto per ridurre al minimo il prezzo che gli
israeliani pagano per il genocidio. Invece della disobbedienza civile, abbiamo
creato una spina dorsale civile. Invece di resistere al genocidio, gli
oppositori del governo si lamentano della scarsa efficienza della gestione della
“guerra””. E per quanto riguarda l’opposizione “sociale”, così altamente
considerata dai pacifisti occidentali: “Invece di rifiutarsi di arruolarsi,
essi competono nel numero di giorni di servizio di riserva. L’opposizione e i
gruppi di protesta dichiarano non a “nome nostro” e contemporaneamente
salutano l’IDF e i suoi combattenti”. In questo modo lei mette la
disobbedienza dei cittadini israeliani nella sua vera prospettiva: “Il mio
rifiuto non è un atto eroico. Non mi rifiuto perché credo che la mia azione
individuale cambierà la realtà, e non penso che le mie scelte come israeliana
meritino un’attenzione centrale nella conversazione sulla liberazione
palestinese. Mi rifiuto perché è la cosa più umana da fare”.
Il movimento antimilitarista dello Stato occupante riconosce l’obiettivo della
resistenza: “Un Paese la cui sicurezza richiede lo sterminio di un altro
popolo non ha diritto alla sicurezza. Un popolo determinato a commettere un
olocausto su un altro popolo non ha diritto all’autodeterminazione”.
Questo vale anche per il nazionalismo greco e il suo Stato. Il blocco strategico
America-Israele-Grecia-Cipro (1+3) ha una responsabilità politica congiunta per
la guerra genocida. La borghesia greca, insieme alle classi medie ad essa
associate, è legata al piano imperialista di un “Nuovo Medio Oriente”, del
“Grande Israele” dell’IMEC, del massacro e dello sterminio senza fine delle
società nella guerra globale con il concorrente cinese e del terrorismo
militarista. Lo Stato greco è, per sua natura, una base d’assalto del
capitalismo cristiano occidentale. Dalla campagna controrivoluzionaria in
Ucraina, alla guerra civile e alla guerra in Corea, Somalia e Afghanistan, al
genocidio trentennale del proletariato migrante, all’ultimo decennio contro lo
Yemen ribelle, all’alleanza coloniale per il Sahel e al fronte NATO-nazista in
Ucraina, l’esercito greco è uno strumento mortale della metropoli capitalista.
Solidarietà rivoluzionaria significa collegare organicamente tutti i movimenti
di resistenza sulla Terra ed estendere ogni linea del fronte ovunque ci
troviamo. Qui, nel territorio greco-NATO, la solidarietà con la Palestina
significa guerra civile di classe. Lo stesso vale, ovviamente, per tutti i
regimi collaborazionisti arabi e islamici. La borghesia greca, con i suoi
partiti politici, tecnocrati e accademici, difende cinicamente il sostegno
strategico alla guerra genocida in Palestina in nome dell’interesse nazionale.
Non è una novità. Kostas Simitis aveva sostenuto il bombardamento della
Jugoslavia con lo slogan “Prima la Grecia”. Eterni collaboratori, lacchè del
potere dominante.
Tale è la moralità capitalista, che esige la responsabilità collettiva nazionale
per i suoi crimini atroci, con il voto delle classi lavoratrici. Come ha detto
Daniela Shultz a proposito della sicurezza sionista: “Il discorso pubblico
israeliano ha sempre subordinato la libertà del popolo palestinese – persino il
suo diritto all’esistenza – all’impatto sulla ‘sicurezza’ israeliana. Dalla
destra, che sostiene che la sicurezza può essere raggiunta solo attraverso
l’occupazione e gli insediamenti, alla sinistra sionista, che afferma che ‘la
sicurezza porterà la pace'”.
La resistenza palestinese chiede di punire i criminali di guerra. Il primo
ministro greco è stato il primo a incontrare Netanyahu dopo che questi era stato
incriminato dalla Corte internazionale di giustizia. Nessun pubblico ministero
greco ha incriminato Mitsotakis per aver dato rifugio a un criminale di guerra
internazionale. È stato il governo di sinistra, con la complicità di tutte le
sue attuali fazioni, ad aggiornare l’alleanza strategica con il sionismo dieci
anni fa.
Essi hanno una responsabilità politica collettiva per la distruzione di Gaza,
per la colonizzazione della Cisgiordania, per le torture di massa e le
esecuzioni indiscriminate di civili a Gaza e nelle prigioni, per gli ospedali
bombardati, per le centinaia di medici, infermieri e giornalisti assassinati,
per le scuole, le moschee e le chiese che sono state trasformate da rifugi a
fosse comuni. Tutto questo ha la firma dello slogan “Prima la Grecia”. Nello
stesso spirito nazionale, i governatori di destra e di sinistra chiedono alle
classi lavoratrici ulteriori sacrifici per armare l’imperialismo dell’Europa
occidentale, provocando apertamente una guerra interimperialista. Qualche giorno
fa, il ministro della Guerra greco ha consigliato ai popoli europei di
prepararsi a vedere i propri figli nelle bare, sottintendendo che i greci sono
già pronti a ricevere i propri giovani nelle bare. Punire questi assassini
genocidi non è responsabilità della resistenza palestinese, e nessun tribunale
del loro sistema li giudicherà.
Ci stanno prendendo le misure da molto tempo ormai, ma hanno calcolato male.
Prendiamo le nostre misure, inchiodiamoli alla tavola con gli stessi chiodi che
hanno preparato per le nostre bare. Come ha recentemente affermato Macron, per
sopravvivere nel mondo di oggi bisogna essere temuti, e per essere temuti
bisogna essere forti.
In solidarietà con la lotta nelle prigioni britanniche, da domenica 30 novembre
2025 farò uno sciopero della fame di una settimana (bevendo acqua) e dopo, per
un giorno alla settimana o a seconda dell’evoluzione della situazione degli
scioperanti della fame che sono in prima linea.
La storia ci ha insegnato che la prigione è un campo cruciale di resistenza. Ma
non confondiamoci, i prigionieri politici che resistono sono una luna piena sul
lato oscuro della Terra. Il lato soleggiato è dove la ribellione e l’azione
diretta sono in aumento. Diffondiamo Palestine Action ovunque. Infittiamo la
foresta dell’internazionalismo rivoluzionario (con il vero parallelo tracciato
dal compagno Massimo).
Libertà ai combattenti di Palestine Action
Libertà per Elias Rodriguez e Casey Goonan
Onore al rivoluzionario anarchico Aaron Bushnell
Libertà a tutti gli ostaggi del campo sionista
“Ho paura della fame, di perdere le persone, di non avere nulla da perdere, dei
fiumi che si prosciugano, della terra avvelenata, degli incendi boschivi,
dell’invenzione, della produzione e del lancio di bombe che possono far
evaporare le persone e lasciare buchi nella terra dove si trovavano. Ho paura
del nostro silenzio e di ciò che sembra possibile normalizzare. Ho paura di ciò
che siamo in grado di sopportare. Ho paura di quanto sia facile finire in
prigione per non avere soldi. Ho paura della guerra, che nessuno venga quando
abbiamo bisogno di loro. Ma il nostro silenzio, la nostra paura, la nostra
produttività non ci proteggeranno”, Amu Gib.
“Elbit, mentre ti vanti di come le tue armi siano state ‘testate in battaglia
sui palestinesi’, la nostra Resistenza ti informerà che i tuoi test hanno
fallito. Perché Gaza si rialzerà e la Palestina non morirà mai”, gli scioperanti
della fame.
Ai nostri compagni anarchici della teoria post-industriale: non abbiamo timore
reverenziale nei confronti della marcia tecnologia capitalista di Stato.
L’algoritmo non fa nulla di reale: è solo una metonimia, un velo su una morte
improvvisa. È ingannevole e incapacitante vedere il potere dove non c’è altro
che la paura autoreferenziale dell’innovazione della vita.
“La differenza tra una nazione radicata nella sua terra e le campagne di
invasione che si sono ripetutamente infrante contro la roccia della sua
determinazione non è stata ancora compresa”, Fronte Popolare per la Liberazione
della Palestina.
Nessun atto di solidarietà dovrebbe essere fatto a mio nome. L’obiettivo
immediato è quello di far cedere lo Stato britannico di fronte alla lotta
comune. Nel territorio greco-NATO, l’obiettivo è la macchina da guerra
dell’alleanza 1+3. Come ha detto il compagno Anan: “Mi vergogno di trovarmi in
una stanza calda, anche in prigione, mentre i bambini di Gaza muoiono di freddo,
fame e sete”.
Dimitris Chatzivasileiadis
Prigione di Domokos
Grecia
____
For solidarity with the hunger strikers for Palestine:
Victory to the mass hunger strike for Palestine Action - Let's crush the
alliance 1+3
Since the 2nd of November, a rolling collective hunger strike has been
taking place in British prisons against the UK's involvement in the
colonial war in Palestine and the crackdown on the Palestine Action
organisation. Thirty-three prisoners have committed themselves in
advance, Amu Gib and Qesser Zuhrah were the first to start, and
gradually the number of strikers is increasing. The struggle inside the
prisons has already gone international, with the participation of
comrades Massimo Passamani and Luca Dolce (Italy).
The demands:
- Immediate end to all censorship and restrictions on their
correspondence and communications.
- Immediate and unconditional release on bail.
- Right to a fair and transparent trial.
- Deproscription of Palestine Action.
- Permanent closure of all Elbit Systems facilities in the United
Kingdom.
All demands serve the Palestinian resistance and the common struggle
against capitalist counter-revolution. The last demand places the hunger
strike within the objective aim of the political campaign for which
Palestine Action was placed on the "terrorism" list. Thus, the struggle
continues from within prison.
The Israeli company Elbit supplies a big part of the Israeli army's
equipment. Palestine Action, through sabotage and blockades, has caused
serious damage to the company and the closure of factories. It has also
carried out serious sabotage at RAF bases and aircrafts, upgrading the
more moderate forms of anti-militarist resistance to the level of the
objective needs determined by the conflict in Palestine.
On the 28th of November, Palestinian activist Anan Yaeesh, who was a
political prisoner in occupied Palestine, will be tried by the Italian
state. He is accused, without evidence, of collaborating with the
Tulkarm Brigades (West Bank), which are linked to the Al-Aqsa Martyrs
Brigades, an armed component of Fateh that resists the occupation. The
EU is fighting on the front lines of the Zionist occupation with all
means at its disposal. Comrade Anan stated: "You want me to defend
myself against the accusations against me, but I am ashamed to seek
acquittal on charges that, for me, represent a source of honour. I
do not want to defend myself against the accusation of having rights and
having claimed them, or of having tried to liberate my people and my
country from colonial oppression. I swear that I have no intention of
being acquitted of the legitimate resistance against the Zionist
occupation. The Palestinian resistance is one of the noblest phenomena
known to history."
I express my respect for the memory of the two martyrs of the
self-sacrificing attack on an Israeli settlement south of Bethlehem on
18/11. As the Brigades of Al-Shahid Abu Ali Mustafa, of the Popular
Front for the Liberation of Palestine wrote in their commemorative
announcement, "Our plegde is eternal revenge that does not fade.
Tomorrow the fog will clear from the hills."
The mass hunger strike was announced to be launched on the anniversary
day of the Balfour Declaration, the British mandate to implement the
Zionist plan. The historical development of capital has been founded on
relentless genocide. We need to view genocides from an anti-state,
anti-capitalist perspective. The massacre and famine in Gaza and the
hundred-year war of destruction and displacement of the Palestinian
people are processes of primitive accumulation, class discipline and of
extermination of surplus proletariat. The brutality of the imperialist
war machine and its Zionist vanguard is openly displayed with the aim of
establishing its terrorism worldwide. Faced with the heroic resistance
of a people, the capitalist butchers have made the people's bread and
water the subject of war negotiations. The unanimous decision of the UN
Security Council (17/11), with the agreement of the Chinese and Russian
imperialists, proclaims the assumption of responsibility for the
completion of the occupation. What Zionism failed to achieve through
constant wars, its patrons are now taking over. The planned
International Stabilisation Force is tasked with disarming the
resistance "by all necessary means", i.e. by continuing the genocidal
war. As the Popular Resistance Committees stated on the same day, "We
will not accept the deployment of any international or foreign forces
inside the Gaza Strip to replace the occupation, nor will we accept an
American role in controlling the administration of Gaza. Any
international support for this decision will be considered alignment,
bias, and legitimization of the foreign presence on the land of Gaza."
The Palestinian resistance does not go back on its political goals: the
liberation of Gaza, militarily and economically; a halt to the
settlement of the West Bank, which was approved by the Zionist Knesset;
and the release of all prisoners. Punishment of all war criminals. No
peace with the occupation. The only language the enemy understands is
the language of force.
Two years after the revolutionary initiative of October 7 managed to
bring back to the fore, more strongly than ever before, the cause of the
destruction of the imperialist colony, I repeat and will say as many
times as necessary, that any compromise on the demands of popular
freedom for the sake of peace, by devaluing and burying resistance in
silence or in the melting pot of bourgeois rights, sharpens the weapons
of counter-revolution. If the left is haunted by the historical curse of
colonial social democracy, the anti-authoritarian current and academic
Marxism are haunted by the curse of elitist utopian idealism, which
conveniently transforms masters into victims. But there is no federalism
without justice, nor socialism without land and freedom.
Israeli conscientious objector Daniela Schultz with her statement,
thwarted all those who undermine the Palestinian resistance: "Israeli
society in its entirety has a role in shaping the horrible reality of
the Palestinian people. It isn't 'complicated', there aren't 'exceptions
to the rule', and talks of the innocence or morality of individuals in a
society whose whole essence is bloodshed and racial supremacy are
irrelevant". On fascist voluntarism, which neoliberalism and its
post-socialdemocracy present as alternativism: "The Gaza genocide has
also taken its toll on Israeli society – but instead of rising against
it, civil NGOs went out of their way to accommodate it. Supporting
reservists' families, renovating shelters, civil operation rooms, all
meant to minimise the price Israelis pay for the genocide. Instead of
civil disobedience, we created a civil backbone. Instead of resisting
the genocide, the government's critics complain about the efficiency of
managing the 'war'". And as for the 'social' opposition, so highly
regarded by Western pacifists: "Instead of refusing to enlist, they
compete in the number of days of reserve service. The opposition and
protest groups declare 'not in our name' and simultaneously salute the
IDF and its combatants". In this way she puts the disobedience of
Israeli citizens into its true perspective: "My refusal isn't a heroic
act. I'm not refusing because I believe my individual action will
change reality, and I don't think my choices as an Israeli deserve
central attention in the conversation of Palestinian liberation. I'm
refusing because it is the most human thing to do". The
anti-militarist movement of the occupying state recognizes the goal of
resistance: "A country whose security requires the extermination of
another people has no right to security. A people determined to commit
a Holocaust on another people has no right to self-determination".
This also applies to Greek nationalism and its state. The strategic
bloc of America-Israel-Greece-Cyprus (1+3) has joint political
responsibility for the genocidal war. The Greek bourgeoisie, along with
the middle classes associated with it, is tied to the imperialist plan
of a "New Middle East", of the "Greater Israel" of IMEC, of the endless
slaughter and extermination of societies in the global war with the
Chinese competitor and of militaristic terrorism. The Greek state is by
its foundation a storming base of Western Christian capitalism. From the
counter-revolutionary campaign in Ukraine, to the civil war and the war
in Korea, Somalia and Afghanistan, to the thirty-year genocide of the
migrant proletariat, to the last decade against rebellious Yemen, the
colonial alliance for the Sahel and the NATO-Nazi front in Ukraine, the
Greek army is a deadly tool of the capitalist metropolis.
Revolutionary solidarity means organically connecting all resistance
movements on Earth and extending every front line wherever we are. Here,
in the Greek-NATO territory, solidarity with Palestine means civil class
war. The same is true, of course, for all collaborative Arab and Islamic
regimes. The Greek bourgeoisie, with its political parties, technocrats
and academics, cynically defends the strategic support for the genocidal
war in Palestine in the name of the national interest. This is nothing
new. Kostas Simitis had supported the bombing of Yugoslavia with the
slogan 'Greece first'. Eternal collaborators, lackeys of the ruling
power. Such is capitalist morality, which demands national collective
responsibility for its heinous crimes, with the vote of the working
classes. As Daniela Shultz said about Zionist security: "Israeli public
discourse has always made the freedom of the Palestinian people — even
their right to exist — conditional on the impact on Israeli 'security'.
From the right, which claims that security can only be achieved through
occupation and settlements, to the Zionist left, which says 'security
will bring peace'".
The Palestinian resistance demands the punishment of war criminals. The
Greek prime minister was the first to meet with Netanyahu after he was
indicted by the International Court of Justice. No Greek prosecutor has
indicted Mitsotakis for harbouring an international war criminal. It was
the left-wing government, with the complicity of all its current
factions, that upgraded the strategic alliance with Zionism ten years
ago.
They bear collective political responsibility for the levelling of
Gaza, for the colonisation of the West Bank, for the mass torture and
indiscriminate executions of civilians in Gaza and in prisons, for the
bombed hospitals, for the hundreds of murdered doctors, nurses and
journalists, for the schools, mosques and churches that have been turned
from shelters into mass graves. All of this has the signature of the
slogan, 'Greece first'. In the same national spirit, right-wing and
left-wing governors are demanding that the working classes make further
sacrifices to arm Western European imperialism, openly provoking an
inter-imperialist war. A few days ago, the Greek Minister of War advised
the European peoples to be prepared to see their children in coffins,
implying that the Greeks are already prepared to receive their youth in
coffins. The punishment of these genocidal murderers is not the
responsibility of the Palestinian resistance, and no court of their own
system will judge them.
They have been taking our measurements for a long time now, but they
have miscalculated. Let us take our measures, let us nail them to the
board with the same nails they have for our coffins. As Macron recently
said, to survive in today's world, you have to be feared, and to be
feared, you have to be strong.
In solidarity with the struggle in British prisons, from Sunday 30/11 I
will go on a week-long hunger strike (drinking water) and after that,
for one day a week or depending on the progress of the situation of the
hunger strikers who are on the front line.
History has taught us that prison is a crucial field of resistance. But
let's not get confused, the resisting political prisoners are a full
moon on the dark side of the Earth. The sunny side is where rebellion
and direct action are on the rise. Let us spread Palestine Action
everywhere. Let us thicken the forest of revolutionary internationalism
(with the real parallel drawn by comrade Massimo).
Freedom to the fighters of Palestine Action
Freedom for Elias Rodriguez and Casey Goonan
Honour to the anarchist revolutionary Aaron Bushnell
Freedom to all the hostages of the Zionist camp
"I am afraid of hunger, of losing people, of having nothing to lose, of
rivers running dry, of poisoned land, of forest fires, of the invention,
manufacture, and release of bombs that can evaporate people and leave
holes in the earth where they stood. I'm scared of our silence, and what
it's apparently possible to normalise. I'm scared of what we can
stomach. I'm scared of how easily you can be put in prison for not
having money. I'm scared of war, of no one coming when we need them. But
our silence, our fear, our productivity will not protect us," Amu Gib
"Elbit, while you boast of how your weapons have been 'battle tested on
Palestinians', our Resistance will inform you that your tests have
failed. Because Gaza will rise and Palestine will never die," the hunger
strikers.
To our anarchist comrades of post-industrial theory: No awe is due to
the rotten state capitalist technology. The algorithm does nothing real:
it is merely a metonymy, a veil over sweeping death. It is deceptive and
incapacitating to see power where there is nothing but self-referential
fear of the innovation of life.
"The difference between a nation rooted in its land and the campaigns
of invasion that have repeatedly broken against the rock of its
determination has not yet been understood", Popular Front for the
Liberation of Palestine
(No act of solidarity should be done in my name. The immediate goal is
to make the British state yield in the face of the common struggle. In
the Greek-NATO territory, the target is the war machine of the 1+3
alliance. As Comrade Anan said: "I am ashamed to find myself in a warm
room, even in prison, while children in Gaza die of cold, hunger, and
thirst".
Dimitris Chatzivasileiadis
Domokos Prison
Greece
____________________________________________________
Per Anan Yaeesh:
Il 28 novembre 2025, l'attivista palestinese Anan Yaeesh, che è stato un prigioniero politico nella Palestina occupata, sarà processato dallo Stato italiano. È accusato, senza prove, di aver collaborato con le Brigate di Tulkarem (Cisgiordania), un'organizzazione legata alle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, un gruppo armato di Fatah che resiste all'occupazione.
L'UE sta combattendo in prima linea con l'occupazione sionista con tutti i mezzi a sua disposizione. Il compagno Anan ha dichiarato: "Voi volete che mi difenda dalle accuse che mi vengono rivolte, ma mi vergogno di cercare l'assoluzione da accuse che, per me, rappresentano una fonte d'onore. Non voglio difendermi dall'accusa di avere diritti e di averli rivendicati, o di aver cercato di liberare il mio popolo e il mio paese dall'oppressione coloniale. Giuro che non ho alcuna intenzione di essere assolto dalla legittima resistenza contro l'occupazione sionista. La resistenza palestinese è uno dei fenomeni più nobili che la storia conosca".
Esprimo il mio rispetto per la memoria dei due martiri dell'attacco suicida a un insediamento israeliano a sud di Betlemme il 18 novembre.
Come hanno scritto le Brigate Al-Shahid Abu Ali Mustafa del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina nel loro tributo, "Il nostro impegno è una vendetta eterna che non svanisce. Domani la nebbia si dissiperà dalle colline".
Solidarietà all'attivista palestinese Anan Yaeesh.
Libertà per gli attivisti di Palestine Action.
Libertà per Elias Rodriguez e Casey Goonan.
Onore al rivoluzionario anarchico Aaron Bushnell.
Libertà per tutti gli ostaggi del campo sionista.
Dimitris Chatzivasileiadis
27 novembre
Prigione di Domokos
Grecia
___
For Anan Yaeesh:
On November 28 2025, the Palestinian activist Anan Yaeesh, who was a
political prisoner in occupied Palestine, will be tried by the Italian
state. He is accused, without evidence, of collaborating with the
Tulkarm Brigades (West Bank), an organisation linked to the Al-Aqsa
Martyrs Brigades, an armed group of Fateh that resists the occupation.
The EU is fighting on the front lines of the Zionist occupation with all
means at its disposal. Comrade Anan stated: "You want me to defend
myself against the accusations against me, but I am ashamed to seek
acquittal on charges that, for me, represent a source of honor. I do not
want to defend myself against the accusation of having rights and having
claimed them, or of having tried to liberate my people and my country
from colonial oppression. I swear that I have no intention of being
acquitted of the legitimate resistance against the Zionist occupation.
The Palestinian resistance is one of the noblest phenomena known to
history".
I express my respect for the memory of the two martyrs of the
self-sacrificing attack on an Israeli settlement south of Bethlehem on
November 18. As the Al-Shahid Abu Ali Mustafa Brigades of the Popular
Front for the Liberation of Palestine wrote in their tribute, "Our
pledge is eternal revenge that does not fade. Tomorrow, fog will clear
from hills"
Solidarity with Palestinian activist Anan Yaeesh
Freedom for the activists of Palestinian Action
Freedom for Elias Rodriguez and Casey Goonan
Honor to the anarchist revolutionary Aaron Bushnell
Freedom for all the hostages of the Zionist camp
Dimitris Chatzivasileiadis
27th of November
Domokos prison
Greece
Ci segnalano questa importante e incresciosa notizia, che a nostra volta
diffondiamo.
Da https://pungolorosso.com/2025/11/19/il-caso-di-ahmad-salem-in-carcere-da-6-mesi-per-aver-chiamato-alla-mobilitazione-contro-il-genocidio/
Ahmad Salem è un giovane palestinese di 24 anni, nato e cresciuto nel campo
profughi palestinese al-Baddawi in Libano, arrivato in Italia in cerca di
protezione internazionale e che dopo il suo arrivo, si è recato a Campobasso per
presentare richiesta di asilo politico.
Durante l’audizione davanti alla Commissione territoriale, il suo telefono è
stato sequestrato e perquisito ed a Salem sono stati contestati gli articoli 414
(istigazione a delinquere) e 270 quinquies (autoaddestramento con finalità di
terrorismo) del cp.
Le autorità italiane, così come la stampa, lo hanno descritto come un
“jihadista” che incitava all’odio e istigava a compiere atti terroristici,
sostenendo che sul suo telefono fossero presenti “materiali istruttivi” utili a
fini terroristici.
L’intero impianto accusatorio si basa su un paio di frasi decontestualizzate
estratte da un video di otto minuti pubblicato online, in cui Ahmad invitava
alla mobilitazione contro il genocidio in corso a Gaza, alla sollevazione in
Cisgiordania e a scendere nelle piazze in Libano; e per un passaggio del video
in cui Ahmad condanna il silenzio e l’immobilismo del mondo arabo e musulmano
davanti ai crimini commessi da Israele, diventa, per la Digos di Campobasso, un
video di “propaganda jihadista”.
Quanto ai presunti “video istruttivi”, è emerso che si trattava di filmati degli
attacchi della resistenza palestinese a Gaza contro mezzi militari israeliani,
gli stessi video che per mesi sono circolati su canali e mezzi d’informazione;
questi si sono rivelati non contenere alcuna indicazione di natura tecnica o
addestrativa come sostenuto dall’accusa; tant’è che gli stessi video diffusi
dalla resistenza palestinese a Gaza sono stati a più riprese, negli ultimi due
anni, pubblicamente resi accessibili e trasmessi da testate italiane tra cui Rai
News, La Repubblica, La Stampa e altre.
Nonostante ciò, Ahmad si trova da oltre sei mesi in carcere, in regime di alta
sicurezza, a Rossano Calabro, in attesa di giudizio. I suoi legali hanno
presentato ricorso in Cassazione e hanno sollevato la questione di
costituzionalità dell’articolo 270 quinquies, articolo noto come “terrorismo
della parola” recentemente introdotto con il “DL Sicurezza” (ex DDL 1660) ad
aprile, ampliando ulteriormente il margine repressivo in Italia.
Riceviamo e diffondiamo:
Le rivolte carcerarie del marzo 2020 sono state le più potenti dell’intera
storia dello stato italiano e hanno mostrato un’anticipazione di una torsione
autoritaria su tutta la società, fino a quel momento inedita. In risposta alla
crisi sanitaria e alla richiesta di scarcerazione temporanea da parte dei
detenuti, che si sentirono immediatamente in trappola, lo Stato rispose
sospendendo colloqui, permessi e con altre misure punitive. In risposta alle
giuste rivolte dei detenuti, lo Stato reagì sparando e manganellando. Claudio,
uno dei cinque detenuti che decisero di esporsi nel 2020 presentando un esposto
in cui denunciavano ciò che lo Stato aveva agito in quei giorni, ha scritto un
libro che ripercorre dalla sua prospettiva gli accadimenti di quelle giornate.
La pubblicazione di questo libro, che sta per approdare alla fase di stampa,
rappresenta una coraggiosa presa di parola da parte di chi vive l’oppressione e
non vi si rassegna. Per questo è importante sostenerla e diffonderla il più
possibile.
SOSTENIAMO IL LIBRO DI CLAUDIO!
CENA SOCIALE BENEFIT
SABATO 22 NOVEMBRE 2025 ORE 20.00
SPAZIO AUTOGESTITO DI UDINE
V. DE RUBEIS 43
Riceviamo e pubblichiamo questo profondo testo del nostro amico e compagno
Massimo, ora detenuto in regime di semilibertà nel carcere di Trento. Quello che
segue contiene le motivazioni di un gesto di solidarietà, al fianco di Stecco e
dei prigionieri di Palestine Action in sciopero della fame, di Anan, Alì e
Mansour, dei prigionieri palestinesi.
Un cesto di pensieri
In quella sorta di interregno in cui mi trovo – né libero né del tutto carcerato
–, ho deciso di rinunciare per la prossima settimana alle uscite giornaliere
dalla prigione, come gesto di solidarietà con le compagne e i compagni di
Palestine Action in sciopero della fame nelle carceri britanniche, sciopero a
cui si è unito anche il mio amico e fratello Stecco. So che stando in prigione
invece di andare al lavoro non impensierisco certo l’amministrazione
penitenziaria. Ma il mio messaggio non è rivolto alla direzione del carcere – a
cui non ho niente da dire né da chiedere –, bensì a chi si sta battendo contro
il genocidio del popolo palestinese, al fianco della sua indomita resistenza.
Quello che posso offrire, insieme a questo mio piccolo gesto, è un cesto di
pensieri, un pugno di parole con cui esprimere ciò che ho nel cuore.
La forza che mi arriva dalle carceri britanniche – che a sua volta riflette la
tenacia di quella resistenza che le prigioni e i centri di detenzione
amministrativa sionisti non riescono a piegare, nonostante l’isolamento, la
tortura e gli stupri – non ha solo la forma della condivisione etica e ideale,
ma anche l’intensità delle emozioni che provo nel leggere le dichiarazioni di
sciopero. Sono convinto – perché lo sento con tutte le fibre dell’animo – che il
moto internazionale contro il genocidio a Gaza e contro il sistema globale che
lo rende possibile sia un nuovo inizio, un cominciamento.
In aggiunta a quello che è successo nelle strade, nei porti, nelle università;
in aggiunta ai sabotaggi avvenuti di giorno e di notte, anche le proteste che
collegano prigioniere e prigionieri al di là delle sbarre, dei Paesi e dei
continenti ne sono un segnale importante. Innanzitutto perché tra “dentro” e
“fuori” si sta creando un rapporto di reciprocità e di circolarità, non solo di
sostegno da “fuori” a “dentro”. Il fatto che tra le rivendicazioni dei
prigionieri per la Palestina ci sia la chiusura di tutti gli stabilimenti di
Elbit Systems UK dimostra la volontà di non separare la propria sorte dalla
liberazione della Palestina, la quale implica niente meno che la sovversione
globale dei rapporti di potere e di sfruttamento, di cui il colonialismo
d’insediamento sionista è un ganglio fondamentale.
Il genocidio algoritmico del popolo palestinese è l’espressione più atroce di un
sistema scientifico-militare-industriale in guerra con gli oppressi, con gli
immigrati, con le donne, con i diversi, con i bambini, con tutto il vivente e
ormai con gli umani in quanto tali.
Se, come ha scritto Mohammed El-Kurd, ci sono «semi che germogliano
all’inferno», la rivolta contro l’inferno di Gaza sta facendo germogliare
un’Internazionale del genere umano.
Che i terroristi di Stato strillino al «terrorismo» di fronte ai tentativi di
sabotare almeno in parte la loro violenza sterminatrice significa che cominciano
ad avere paura. E fanno bene. Perché i cuori ardenti, a differenza degli
algoritmi, non sono prevedibili. E non sono prevedibili perché non subordinano
al calcolo costi-benefici la propria ricerca della libertà e della giustizia.
Come un albero non ha bisogno di vedere l’insieme della foresta per sapere che
la grande quercia è stata abbattuta – perché lo avverte attraverso la fitta rete
delle sue radici –, anche gli umani che si rifiutano di diventare macchine
sentono la sofferenza e la gioia di altri umani che non incontreranno mai. La
solidarietà tra sorelle e fratelli sconosciuti, le cui azioni e parole ci fanno
vibrare, è il lievito morale di ogni Intifada, il dono più prezioso nel cesto.
Forza e coraggio ai prigionieri palestinesi. Forza e coraggio ai prigionieri per
la Palestina. Solidarietà con Anan, Alì e Mansour. Fianco a fianco con il mio
amico e compagno Stecco.
Carcere di Trento, 12 novembre 2025
Massimo Passamani
Veniamo a sapere in queste ore che il nostro compagno Luca Dolce, detto Stecco,
attualmente rinchiuso nel carcere di Sanremo, inizierà da domani sabato 8
novembre uno sciopero della fame unendosi a quello intrapreso dai “Prisoners for
Palestine” nelle carceri inglesi a partire dal 2 novembre. Mentre attendiamo
ulteriori notizie dal compagno, quello che possiamo dire è che siamo al suo
fianco esprimendogli tutta la nostra solidarietà e complicità.
Seguiranno aggiornamenti al più presto.
Per scrivergli:
Luca Dolce
c/o Casa Circondariale Sanremo
Strada Armea, 144
18038, Sanremo (IM)
Riceviamo e diffondiamo:
Il 12 novembre lo Stato italiano con ogni probabilità celebrerà il processo
contro il nostro compagno Paolo e altri due nostri amici. Non sappiamo e non ci
interessa sapere se siano o meno gli autori di ciò per cui vengono accusati.
Come anarchici, siamo sempre solidali e complici con chi si oppone a una società
che produce miseria, disuguaglianze, violenze, morte e genocidi. Ci preme
sottolineare come ancora una volta il sistema tramite i suoi servi si accanisca,
con continue ritorsioni e tormenti, contro chi, in libertà e in detenzione, non
ha mai piegato la testa, schierandosi sempre dalla parte dei più deboli,
denunciando le violenze degli sbirri, le torture dello Stato che, nel carcere di
Uta, nega ai prigionierx persino l’acqua potabile, contro chi svela la
complicità arrogante del tribunale di Sorveglianza e dei garanti che tacciono
sui soprusi e sulle torture subiti quotidianamente dai prigionierx.
Per questi e per tanti altri motivi Paolo ha portato avanti uno sciopero della
fame per 44 giorni tra maggio e giugno.
I tribunali sono strumenti per esercitare la violenza della legalità pertanto
pensiamo che il verdetto sarà usato come punizione esemplare, per mandare a
loro, e a tuttx i proletari, il messaggio che non bisogna ribellarsi, ma bisogna
accettare in silenzio ogni violenza e tortura dello Stato. Per questo non
accetteremo i verdetti di giudici che rappresentano questo sistema assassino.
Siamo solidali e complici con Paolo, Joan e Walter e non li lasceremo soli né
nelle galere, né nei tribunali.
PRESIDIO DI FRONTE AL TRIBUNALE DI CAGLIARI
MERCOLEDÌ 12/11 ALLE ORE 9
PAOLO LIBERO
TUTTX LIBERI
FUOCO ALLE GALERE
Da: https://calla.substack.com/p/imminent-mass-hunger-strike-across
Sugli scioperi della fame precedenti, si veda
qui: https://ilrovescio.info/2025/08/31/dagli-usa-al-regno-unito-da-carcere-a-carcere-comunicato-di-casy-goonan-in-sciopero-della-fame/
Imminente sciopero della fame di massa nelle carceri del Regno Unito
Decine di prigionieri politici nel cosiddetto Regno Unito, che hanno sopportato
mesi di abusi mirati dietro le sbarre a causa del loro sostegno alla liberazione
della Palestina, annunciano la loro intenzione di avviare uno sciopero della
fame.
Audrey Corno, rappresentante dei Prigionieri per la Palestina (che
ho intervistato il mese scorso), afferma che si tratterebbe del più grande
sciopero della fame coordinato dei prigionieri nel Regno Unito dai tempi dello
sciopero della fame dell’Esercito Repubblicano Irlandese/Esercito di Liberazione
Nazionale Irlandese nell’Irlanda del Nord occupata nel 1981, quando dieci
prigionieri di guerra furono martirizzati.
Il 20 ottobre, Audrey e Francesca Nadin, entrambe in carcere per azioni dirette
contro le aziende di armi sioniste, hanno consegnato una lettera al Ministro
degli Interni del Regno Unito “a nome delle 33 persone ingiustamente incarcerate
a seguito di azioni intraprese per fermare il genocidio in Palestina”.
Hanno cinque richieste: la fine di ogni censura sulla loro posta e sulle loro
comunicazioni; il rilascio immediato e incondizionato su cauzione; il diritto a
un giusto processo; la rimozione di Pal Action dalla lista dei “terroristi”
proibiti; e la chiusura di tutte le strutture di Elbit Systems nel Regno Unito.
I prigionieri, tra cui figurano membri del Filton 24 e del Brize Norton 5 , sono
detenuti senza accusa in diverse carceri del Regno Unito ai sensi del “Terrorism
Act”, in alcuni casi per oltre un anno. Finora, i ricorsi per il rilascio su
cauzione dei prigionieri non hanno avuto successo.
Gli scioperi della fame collettivi su larga scala hanno il potere di avanzare
richieste coraggiose e di vasta portata che vanno oltre il miglioramento delle
condizioni immediate dei prigionieri. I Prigionieri per la Palestina ne sono
chiaramente consapevoli, come dimostra il modo strategico in cui hanno integrato
richieste più immediate relative ai loro casi legali e alle condizioni
carcerarie in attacchi più ampi alla Elbit Systems. Ad esempio, sostengono che
il loro diritto a un giusto processo dovrebbe includere la trasparenza riguardo
a tutti gli incontri che hanno avuto luogo tra funzionari britannici, israeliani
ed Elbit, nonché “a chiunque altro sia coinvolto nel coordinamento della caccia
alle streghe in corso contro attiviste e attivisti”. In questo modo, lo sciopero
della fame è una continuazione delle azioni dirette che presumibilmente hanno
intrapreso contro lo stesso obiettivo nemico fuori dalle mura del carcere:
stanno solo lottando su un terreno nuovo.
Lo sciopero della fame segna una significativa escalation nella resistenza in
risposta alla discriminazione e ai maltrattamenti estesi che i prigionieri della
Pal Action hanno subito dietro le sbarre: privazione di adeguati servizi
religiosi e del Corano, impedimento ai contatti e alle visite con i familiari,
isolamento in strutture rurali, aggressioni violente e confisca della posta e
dei beni, nonché al fallimento dei loro ripetuti tentativi di appellarsi
all’amministrazione penitenziaria del Regno Unito e alle autorità governative.
Si basa anche sulla scia di uno sciopero della fame di 28 giorni intrapreso con
successo da Teuta “T” Hoxha , una delle 24 di Filton, all’inizio di quest’anno,
quando ha esercitato una forte pressione internazionale contro la prigione di
Peterborough affinché le venissero ripristinati il lavoro di posta, le attività
ricreative e biblioteca. Sebbene il suo lavoro in prigione non sia stato alla
fine ripristinato, Hoxha ha ottenuto il riconoscimento di tutte le altre sue
richieste ed è riuscita a denunciare l’esistenza di un’Unità Congiunta per
l’Estremismo (JEU) appositamente incaricata di individuare, isolare e punire i
prigionieri per la Palestina.
Oltre a questi successi, lo sciopero di T. Hoxha ha avuto effetti di vasta
portata sul movimento internazionale di solidarietà con la Palestina, attirando
un’attenzione senza precedenti sulla draconiana repressione subita dagli
attivisti di tutto il mondo che hanno scelto di agire direttamente contro la
partecipazione dei loro Paesi al genocidio palestinese. Nei cosiddetti Stati
Uniti, i prigionieri politici Casey Goonan e Malik Muhammad hanno aderito a
scioperi della fame di solidarietà con Hoxha, dopo aver subito simili attacchi e
abusi politici. (E vale la pena notare che la prigioniera politicizzata Shine
White è attualmente in sciopero della fame nella Carolina del Nord per ragioni
simili.)
La pressione e la solidarietà internazionale suscitate dallo sciopero della fame
di T. Hoxha, così come il suo successo nell’ottenere le sue richieste, hanno
sensibilizzato i suoi coimputati e i prigionieri politici, compresi quelli
incarcerati per motivi non apertamente politici. La sua azione ha dimostrato
loro che quando si lotta, si vince. Gli attivisti hanno lasciato intendere che
questo imminente sciopero della fame avrebbe un più ampio sostegno da parte
della popolazione carceraria in generale.
“I prigionieri sono fermamente convinti di poter contare su un enorme sostegno,
sia qui che a livello internazionale, e che la gente si unirà per agire in loro
nome. Questo è il risultato diretto non solo delle terribili azioni del governo
nei confronti dei prigionieri, ma anche della loro partecipazione attiva al
genocidio a Gaza”, ha affermato il Dott. Asim Qureshi , Direttore di Ricerca
presso CAGE International , partner negoziale per gli scioperanti della fame
insieme a Prisoners for Palestine.
“Questo sciopero della fame, se andrà avanti, sarà il primo del suo genere in
almeno due decenni. Porta in primo piano la violenza del sistema carcerario nel
Regno Unito, una violenza che spesso associamo a luoghi lontani. Da Guantanamo a
Gaza, l’infrastruttura delle leggi autoritarie sul terrorismo costruita per
imprigionare, mettere a tacere e reprimere le azioni per la Palestina e le voci
che contestano guerre e genocidio deve essere smantellata”, ha aggiunto Qureshi.
“I prigionieri sono il cuore pulsante del nostro movimento per la giustizia.
Dobbiamo onorare i loro sacrifici e opporci alle ingiustizie che subiscono”.
Audrey ha sottolineato nella nostra precedente intervista che sarebbe
fondamentale dare il tempo necessario ai sostenitori esterni per prepararsi allo
sciopero e massimizzarne l’impatto e la portata. L’annuncio di uno sciopero
della fame collettivo con settimane di anticipo solleva la questione se questa
volta parteciperanno più prigionieri internazionali e quanto crescerà. I membri
del movimento dei prigionieri politici dovrebbero allertare il maggior numero
possibile di compagni all’interno, in modo che sappiano che questo atto di
resistenza collettiva è in atto e possano scegliere di mostrare la loro
solidarietà con parole o azioni, se lo desiderano.
Prisoners for Palestine e CAGE International hanno dato al governo del Regno
Unito tempo fino al 24 ottobre per rispondere alle loro richieste. Lo sciopero
inizierà il 2 novembre, una data di risonanza storica che segna l’anniversario
della Dichiarazione Balfour del 1917, quando il Regno Unito concesse il suo
sostegno ufficiale al colonialismo sionista in Palestina. Gli attivisti del
movimento dei prigionieri politici di tutto il mondo dovrebbero prendere atto
del modo in cui i prigionieri e i loro sostenitori si sono rifiutati di fare
marcia indietro anche di fronte a un’enorme repressione, insistendo nel
politicizzare ogni aspetto dello sciopero.
SUI PRIGIONIERI COME SOGGETTI POLITICI
Gli scioperi della fame hanno avuto un ruolo centrale nel movimento dei
prigionieri palestinesi, nel movimento di liberazione nazionale irlandese, nella
Frazione dell’Armata Rossa nella Germania Ovest, in Sudafrica , in India e
altrove.
Nel corso dell’occupazione sionista, i prigionieri palestinesi hanno intrapreso
scioperi della fame di massa, spesso a migliaia alla volta, uniti da diverse
fazioni politiche. Negli anni ’70 e ’80, diversi prigionieri palestinesi sono
morti a causa dell’alimentazione forzata, una pratica ripristinata
dall’occupazione sionista nel 2012. Questi scioperi hanno plasmato il movimento
più ampio: la Rete di Solidarietà con i Prigionieri Palestinesi
Samidoun, nata dallo sciopero della fame dei prigionieri del FPLP di
settembre/ottobre 2011 per liberare Ahmad Sa’adat, segretario generale del
partito, dall’isolamento. “Da Ansar [Palestina] ad Attica [New York] a
Lannemezan [la prigione francese dove fu detenuto Georges Abdallah], la prigione
non è solo uno spazio fisico di reclusione, ma un luogo di lotta degli oppressi
che si confrontano con l’oppressore”, ha scritto Sa’adat .
Allo stesso modo, nel 2013, i detenuti statunitensi in isolamento a lungo
termine presso la prigione statale di Pelican Bay hanno organizzato uno sciopero
di massa, che ha portato 29.000 prigionieri californiani a protestare,
rifiutando lavoro e lezioni, e 100 detenuti in due prigioni a rifiutare il cibo
finché non avessero ottenuto riforme. Nel campo di detenzione militare
statunitense di Guantanamo Bay (in territorio cubano illegalmente occupato),
centinaia di prigionieri hanno iniziato lo sciopero della fame e sono stati
alimentati forzatamente con violenza dal 2002, con la censura militare che ha
represso le notizie. Mansoor Adayfi , uno yemenita detenuto a tempo
indeterminato senza accusa, ha iniziato lo sciopero della fame ed è stato
alimentato forzatamente per due anni. Ora libero, collabora con CAGE
International e sostiene l’imminente sciopero dei prigionieri politici nel Regno
Unito, con cui parlerà in una chiamata il 25 ottobre .
Lo sciopero della fame non è una tattica da prendere alla leggera. È una scelta
di resistenza fatta in condizioni di prigionia, quando il corpo è l’unica arma
rimasta, poiché lo Stato ha eliminato ogni altro mezzo di resistenza.
Non stiamo parlando delle acrobazie performative di digiuni da uno a tre giorni
intrapresi da non prigionieri, etichettati in modo ridicolo come “scioperi della
fame” per Gaza. Questi sono inefficaci perché vengono condotti al di fuori del
contesto della prigionia e quindi non hanno alcuna influenza; sono anche
offensivi, in quanto ridicolizzano gli scioperi della fame, cooptando e
annacquando quella che in realtà è una tattica disponibile solo come ultima
risorsa per i prigionieri in condizioni di estrema costrizione, che a volte
muoiono di una morte lenta e straziante nel corso dei loro scioperi. (Per quelli
di noi che sono all’esterno, con più mezzi a disposizione per resistere, il
nostro dovere non è indebolire passivamente i nostri corpi, ma rafforzarci per
passare all’offensiva.)
Scrivendo del rivoluzionario palestinese martirizzato Walid Daqqa e della sua
lunga storia di prigionia nelle prigioni sioniste, Kaleem Hawa ha osservato come
lo sciopero della fame, quando praticato in cattività, provochi un’inversione
dei rapporti di potere:
> “Lo [sciopero della fame] capovolge il copione abituale, della docilità come
> condanna, della fame come giuria. [È] uno schiocco degli strumenti dei coloni,
> un promemoria che la dignità persiste nel soggetto colonizzato, una
> riconfigurazione dell’ordine coloniale sia all’interno della prigione che al
> di fuori di essa… chi fa lo sciopero della fame non fugge dalla vita, ma va
> verso la libertà; il suo atto ricongiunge il corpo in stasi e l’autoisolamento
> verso un tutto politicamente impegnato… che insiste sul diritto di narrare la
> propria prigionia”.
Purtroppo, alcuni attivisti esterni hanno scelto di condannare l’atto di
resistenza di T. Hoxha, definendo l’impulso a intraprendere uno sciopero della
fame come suicida e quindi intrinsecamente immorale. Si sono chiesti perché
avesse scelto di rischiare la vita per richieste apparentemente insignificanti
come il ripristino di un posto di lavoro nella biblioteca del carcere. Non
poteva semplicemente lasciar perdere? Eppure, come ha sottolineato la stessa
Hoxha in un messaggio registrato a Casey Goonan: “Sappiamo entrambi che non si
tratta di un posto di lavoro in biblioteca, ma del principio che lo
sostiene”. L’insistenza di Hoxha sul fatto che non sia il contenuto della
richiesta in sé a essere importante, ma il principio che la sostiene, è
condivisa da migliaia di altri scioperanti della fame nel corso della storia,
che hanno preferito rischiare e in molti casi sacrificare la propria vita
piuttosto che accettare le condizioni disumanizzanti della vita in carcere.
Dopo che Casey iniziò il suo sciopero della fame in solidarietà con T. Hoxha,
circa due settimane dopo aver iniziato il suo, alcuni attivisti esterni negli
Stati Uniti condannarono analogamente la loro azione come una forma di
autolesionismo, arrivando persino a equipararla a un’overdose di droghe. Questo
“autolesionismo” fu definito sia in termini fisici che legali, sebbene non
politici. Poiché Casey era diabetico, si sosteneva, e la loro condanna non era
ancora stata emessa, uno sciopero della fame solidale non solo avrebbe
comportato gravi conseguenze per la salute, ma avrebbe anche potuto
compromettere la loro causa legale. Questi attivisti esterni sostennero inoltre
che non c’era nulla che i sostenitori statunitensi potessero fare per aiutare T.
Hoxha, poiché era incarcerata in un altro Paese, insistendo così sul fatto che
l’atto di solidarietà di Casey fosse non solo sconsiderato, ma anche inutile. I
compagni che sostenevano lo sciopero della fame di Casey e sostenevano
attivamente la militanza delle loro azioni furono pubblicamente calunniati e
persino incolpati della dura condanna a 19 anni di carcere inflitta dallo Stato
poche settimane dopo la fine dello sciopero.
Tali episodi di attacco e denuncia di atti di coraggio, solidarietà e resistenza
basata su principi in nome della “preoccupazione” e della “sicurezza” non sono
isolati. Ironicamente, mentre queste voci affermano che sono coloro che
sostengono la resistenza basata su principi a rappresentare una minaccia e un
pericolo per i prigionieri, è proprio l’insistenza nel condannare e scoraggiare
la resistenza alla repressione statale a rappresentare la tendenza più
pericolosa di tutte. Come ha osservato Shaka Shakur, un prigioniero politico di
New Afrikan, in una recente intervista :
> “È una tendenza per noi [della sinistra statunitense] cercare di lottare entro
> i limiti stabiliti dall’oppressore. Non puoi dire di essere anti-stato, o
> anti-governativo, anti-capitalista, anti-imperialista, e che tutta la tua
> organizzazione e il tuo concetto di resistenza rientrano nella legalità, nei
> confini, nei limiti della tua opposizione, permettendo così alla controparte
> di dettare quali siano le tue strategie e tattiche. Questo riconosce una certa
> legittimità allo stesso sistema che dici di voler distruggere, abbattere o
> cambiare. Quindi sei già condannato”.
Nella stessa intervista, Shakur estende la sua critica al pacifismo che, a suo
avviso, ostacola il progresso della sinistra statunitense in generale, alla
cultura del sostegno ai prigionieri e all’organizzazione carceraria in
particolare:
> “Sai, penso che sia un errore tattico, un errore strategico, che quando si
> parla di sostenere i prigionieri, i prigionieri politici in
> particolare – beh, un movimento che dice di sostenere i prigionieri politici o
> i prigionieri di guerra e che si limita a brontolare ma si rifiuta di mordere,
> è un movimento farsa. È un movimento farsa. Se lo Stato sa che può entrare qui
> e uccidermi, orchestrare il mio omicidio, senza alcun tipo di ripercussione
> reale, o alcun effetto a catena, allora questo la dice lunga sulla serietà del
> movimento che ci sostiene. E questa è una tragedia. E purtroppo, troppi di noi
> ci sono caduti”.
Shakur osserva inoltre come il concetto di solidarietà con i detenuti sia stato
annacquato, limitandosi a fornire loro un mero supporto materiale o tecnico – ad
esempio tramite l’invio di denaro o lettere – ma non politico, una critica che
abbiamo sollevato anche altrove . Il risultato è che quando i prigionieri
vengono presi di mira con repressione o addirittura omicidio per le loro
opinioni e azioni politiche, non vi è alcuna conseguenza equivalente sul sistema
carcerario da parte di sostenitori esterni. Shakur prosegue:
> Quindi, quando si parla di mutuo soccorso e sostegno, dove si colloca questo
> concetto rispetto ad altre cose, come altri livelli di resistenza, lotta e
> azione diretta? Sapete, perché tutti i nostri anziani devono aspettare di
> avere 70, 80 anni e di essere sul letto di morte per essere liberati, per
> essere rilasciati? Sapete cosa intendo? E quindi, quando parliamo del concetto
> di abolizione nel suo complesso, cosa significa veramente? Come possiamo
> renderlo manifesto? Quali sono le fasi di sviluppo in termini di acutizzazione
> di queste contraddizioni e di intensificazione della lotta e della resistenza
> per realizzare effettivamente l’abolizione? Stiamo cercando di sostenere la
> nostra gente, i nostri compagni in prigione, per farli stare bene, o stiamo
> cercando di rendere questi figli di puttana ingovernabili? Ovvero, stiamo
> cercando di mandare soldi o stiamo cercando di liberare alcune persone?”.
Di fronte alla brutale repressione statale, non possiamo permetterci di lasciare
che concetti di “sicurezza” o di “consulenza legale” prendano il sopravvento
sulla nostra strategia politica e sulla nostra lotta collettiva. Se tutti noi
diamo priorità alla nostra sicurezza individuale rispetto alla liberazione
collettiva, la nostra lotta non progredirà mai. I prigionieri politici vengono
incarcerati per atti politici di resistenza allo Stato, quindi la loro lotta per
la libertà deve essere condotta anche su un terreno e in termini politici.
La storia degli scioperi della fame dei prigionieri dimostra che si tratta in
realtà dell’opposto di un impulso suicida. Si tratta piuttosto della
riaffermazione della vita e dell’umanità di un prigioniero nelle condizioni più
disumanizzanti immaginabili, dell’insistenza sulla propria soggettività
rivoluzionaria quando lo Stato lo ha ridotto a un oggetto passivo. Per noi che
siamo fuori, è nostro dovere sostenere questa narrazione e i rischi che i nostri
compagni scelgono di correre, nonostante le nostre preoccupazioni personali per
la loro sicurezza e il loro benessere.
Il silenzio è fatale. Anche se lo sciopero di T. Hoxha e Casey ha attirato
l’attenzione, molte importanti organizzazioni di solidarietà con la Palestina
non hanno fatto nulla, o si sono addirittura rifiutate, di rinnovare le loro
semplici richieste di chiamare e inviare email al carcere per chiedere che T.
Hoxha ricevesse le cure mediche urgenti di cui aveva bisogno. A meno che il
governo imperialista e genocida del Regno Unito non riacquisti improvvisamente
una coscienza e non accolga le cinque semplici richieste dell’imminente e questa
volta molto più ampio sciopero della fame, è nostro dovere offrire il nostro
sostegno incondizionato a coloro che, all’interno, intraprendono questi atti di
coraggio.
Circondate le segrete dove sono tenuti prigionieri.
Facciamo in modo che la loro resistenza e i loro sacrifici risuonino così forte
e così ampiamente da far crollare le mura della prigione.
Per concludere con le parole di uno dei 10 repubblicani irlandesi martirizzati
nello sciopero della fame del 1981, Patsy O’Hara dell’Esercito di Liberazione
Nazionale Irlandese: “Quando non ci saremo più, cosa direte di aver fatto?
Direte di essere stati con noi nella nostra lotta o di esservi conformati allo
stesso sistema che ci ha condotti alla morte?”.
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