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Palestina e carcere
Carcere e Palestina sono da sempre strettamente intrecciati. Il popolo palestinese vive rinchiuso in una “prigione a cielo aperto” in Cisgiordania e in un “carcere di massima sicurezza” a Gaza. Dal 1948 a oggi, lo Stato israeliano ha incarcerato qualcosa come 800 mila palestinesi (tra cui molti ragazzi e addirittura bambini). La liberazione dei prigionieri è un obiettivo costante della resistenza palestinese (e infatti esso è stato alla base dell’azione del 7 ottobre ed è ancora centrale per raggiungere il cessate il fuoco). Il movimento internazionale contro il genocidio, che attraversa e taglia in due la società, è entrato nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro, nei quartieri, persino negli stadi. Certo non poteva né può lasciare indifferenti i prigionieri, vista anche l’ampia presenza nelle carceri di arabi e musulmani. Chiunque abbia organizzato presìdi sotto le carceri in questi due anni sa per esperienza che “Palestina libera!” è l’urlo che più abbatte simbolicamente le mura e le sbarre. Questo movimento “dentro-fuori” non solo si gioca sul piano internazionale (per quanto più o meno acuta ne sia la consapevolezza), ma rende potenzialmente reciproca e non univoca la direzione della solidarietà. Si può pensare in tal senso all’intreccio che si è creato tra la protesta di Teuta Hoxha nel carcere britannico di Peterborough (dove la militante di Palestine Action ha raggiunto i suoi obiettivi dopo 28 giorni di sciopero della fame) e quella che hanno fatto in suo sostegno negli Stati Uniti i prigionieri Casey Goonan (accusato di aver incendiato delle auto della polizia durante gli accampamenti per Gaza nelle università) e Malik Muhammad (un compagno palestinese incarcerato per una serie di azioni avvenute durante la Floyd Rebellion). Anche dalle carceri italiane arriva qualche segnale. La scelta del nostro amico e compagno Massimo, in “semi-libertà” nel carcere di Trento, di scioperare per Gaza il 30 maggio scorso (https://ilrovescio.info/2025/05/26/preferisco-di-no/), poi il 20 giugno, il 22 settembre e il 3 ottobre, non è un caso isolato. Abbiamo appreso che un gruppo – non sappiamo quanto numeroso – di detenuti in “semi-libertà” (art. 21) del carcere bolognese della Dozza ha scioperato il 3 ottobre. Questo il loro comunicato: «Preso atto di quello che sta succedendo a Gaza, noi dipendenti della F.I.D. abbiamo deciso di scioperare il 3/10/25. Per noi reclusi andare a lavorare è un movimento di libertà dal contesto carcerario in cui viviamo. Nonostante ciò, rinunciamo a un giorno di libertà e di stipendio. Questa decisione è stata presa per manifestare tutta la nostra indignazione per il genocidio tutt’ora in atto e per manifestare il nostro supporto alle persone della Flotilla arrestate con l’unica colpa di essere ambasciatori di umanità». Ci sembra allora urgente porre e porci alcune questioni. Come stare in carcere è un dibattito da cominciare quando si è liberi. Arresti come quelli avvenuti il 22 settembre e il 3-4 ottobre potrebbero diventare più frequenti (e duraturi) se i blocchi e gli scontri dovessero continuare. Nello specifico, più gli arrestati hanno da dire e da fare per la liberazione della Palestina, simbolo oggi di una rivolta globale, più la lotta a fianco della resistenza palestinese può coinvolgere le carceri. Più ci si mette d’accordo prima, più l’iniziativa può risultare comune, tempestiva e basata sull’adeguato sostegno esterno. Viviamo in tempi di guerra. L’esempio degli arresti di massa in Gran Bretagna dopo la messa al bando di Palestine Action suggerisce due cose: che il carcere può tornare ad essere un’esperienza collettiva; e che lottare al suo interno è parte di una lotta di liberazione sociale. Questo rende necessario un coordinamento nella traduzione e circolazione dei materiali e allo stesso tempo un impegno per allargare la portata del dibattito e le possibili iniziative di lotta. Nel senso che compagne e compagni sparsi nelle carceri di diversi paesi possono sostenersi a vicenda (come e più di quanto è successo finora), ma anche intraprendere delle proteste comuni maturate da un confronto comune. E questo non solo per migliorare le condizioni detentive di qualcuno o di tutte e tutti, o per sostenere questa o quella scarcerazione là dove ci sono le condizioni per una pressione efficace in tal senso; ma anche per partecipare da dentro agli scioperi, alle campagne o ai movimenti che si sviluppano all’esterno. La battaglia per la liberazione del prigioniero palestinese Anan Yaeesh è in tal senso, oltre che doverosa, un’occasione per legare carcere e Palestina, per unire i quartieri, le strade e i porti alle celle dove sono rinchiusi i nostri compagni e le nostre compagne. Soprattutto ora, visto che Anan, nel frattempo trasferito nel carcere di Melfi, il 4 ottobre è entrato in sciopero della fame. Non sapremmo trovare parole migliori di quelle scritte da Casey Goonan: «Come prigionieri incarcerati per la nostra partecipazione al movimento di liberazione palestinese in Occidente, abbiamo la responsabilità reciproca, oltre i confini, di vivere la nostra vita in prigione con la stessa fermezza del movimento dei prigionieri palestinesi tenuti prigionieri nelle prigioni “israeliane”. Gli stati da cui siamo stati catturati sono i facilitatori del genocidio accelerato dei palestinesi da parte dell’entità sionista, così come dei genocidi in corso dei neri e degli indigeni, le cui terre continuano a occupare. Mentre la sinistra occidentale continua a passare da una crisi all’altra, evitando le proprie responsabilità nei confronti della Palestina, noi siamo tutto ciò che abbiamo».
Carcere
Processo all’italiana. Aggiornamenti sul processo a Mansour, Alì e Anan (trasferito nel carcere di Melfi)
Riceviamo e diffondiamo: Processo all’italiana Si allungano i tempi del processo ai tre palestinesi ed Anan viene trasferito Aggiornamenti di settembre sul processo ad Anan, Alì e Mansour. Il processo ad Anan, Alì, e Mansour si è contraddistinto per numerose anomalie, a partire dal fatto che non si comprende né di quali fatti specifici siano accusati né se il loro presunto reato, cioè sostenere la legittima resistenza contro l’occupazione coloniale, sia perseguibile da un tribunale Italiano, a meno che la corte di assise dell’Aquila non pretenda di sostenere che difendersi da un genocidio, che è sotto gli occhi del mondo, sia un reato. Queste anomalie accompagnano il processo dal suo inizio. Infatti Anan era stato originariamente arrestato per una richiesta di estradizione da parte delle autorità israeliane, la richiesta era stata rifiutata ma l’esule palestinese non è potuto uscire di prigione perché è immediatamente stato raggiunto da un mandato di cattura da parte delle autorità italiane. Questo fatto è già di per se un inequivocabile esempio del servilismo dello stato italiano verso quello israeliano. A questo va aggiunto il fatto che la pubblico ministero ha presentato come prove documenti dei servizi segreti israeliani che non sono utilizzabili in un processo penale, ed il fatto che che le memorie dei telefoni di Anan, sequestrate dagli inquirenti italiani, sono state passate ai colleghi israeliani ed utilizzate per individuare ed uccidere persone in Cisgiordania, fornendo una drammatica prova di come le istituzioni italiane sostengano la guerra algoritmica, ovvero la capacità di Israele di utilizzare tecnologie avanzate per identificare, controllare ed uccidere persone. Da tutti questi elementi si deduce il forte intreccio sul piano militare, poliziesco e dei servizi segreti tra Italia e Israele di cui questo processo è un lampante esempio. Siamo di fronte ad un processo per procura, istruito in Italia al fine di compiacere e sostenere gli alleati israeliani. Per quanto riguarda le anomalie va aggiunto che nella udienza dell’8 settembre scorso c’è stata una novità, la giudice a latere è stata trasferita ad altra sede. Se Prima di questo fuoriprogramma era stata stabilita la data della sentenza, ora il termine del processo si prolunga a tempi non ancora definiti. La fretta di chiudere questo procedimento è sempre stata evidente tanto che si stava arrivando a sentenza dopo pochi mesi dall’inizio. Per raggiungere questo obiettivo la corte aveva addirittura rifiutato la maggior parte dei testi della difesa e le udienze si susseguivano a tappe forzate, creando difficoltà agli avvocati e limitando il loro diritto a prepararsi adeguatamente. Il giudice si proponeva di concludere il processo entro l’estate, nel momento in cui l’attenzione sul caso e la capacità di mobilitazione dei solidali è più bassa. Ma il processo non è finito nei tempi previsti ed ora rischia di andare a sentenza proprio nel momento in cui c’è la massima attenzione verso la questione palestinese. Concludere il processo ora, con l’Italia che rischia di essere paralizzata dalle proteste, trasformerebbe in un autogol quello che doveva essere un assist ad Israele, visto che il caso dei tre palestinesi è uno degli argomenti della mobilitazione. Concludere ora, qualsiasi sia l’esito, sarebbe un danno per i sostenitori di Israele. Infatti, se i tre venissero condannati, questa sarebbe ritenuta, dal movimento di sostegno alla Palestina, una prova della complicità delle istituzioni italiane con il genocidio in corso e quindi un’ulteriore ragione per mobilitarsi. Se invece venissero assolti, il governo italiano si ritroverebbe un simbolo della resistenza palestinese, Anan Yaeesh, al cento dell’attenzione, libero di parlare e di dare il suo contributo, nel pieno di una mobilitazione permanente che si fa di giorno in giorno più diffusa e radicale e che spaventa i nostri governanti. Proprio quella della resistenza è una questione fondamentale che si pone al variegato movimento di solidarietà con la Palestina. Un argomento che fa paura a chi governa, infatti è evidente che è solo grazie alla sua formidabile resistenza che il popolo Palestinese esiste e vive sulla sua terra. Questa resistenza ci riguarda non solo perché è l’elemento centrale della lotta in difesa della Palestina, ma anche perché ci aiuta a comprendere come non siamo noi a difendere i palestinesi ma i palestinesi a difendere noi, lottando contro un sistema capitalista inumano e pronto ad uccidere centinaia di migliaia di persone per fare profitti, lo stesso sistema che decide delle nostre vite. Quanto accade il Palestina è un monito per tutti gli sfruttati. Nel frattempo, il 21 settembre scorso si è svolto presso il carcere di Terni un presidio molto partecipato in solidarietà ad Anan. Nei giorni seguenti il partigiano palestinese è stato trasferito nel penitenziario di Melfi. Si tratta di un’ennesima vigliacca ritorsione contro un prigioniero che è già in una sezione di Alta Sicurezza da due anni in seguito ad un processo farsa. In queste carceri speciali sono già rinchiuse molte persone con l’accusa di terrorismo internazionale. Nei processi per questi reati spesso le prove sono incerte ma le condanne sicure. Questo permette a magistrati e sbirri di fare carriera ed allo Stato di sventolare lo spettro del terrorismo per limitare la libertà di tutti e per spaventare ed assoggettare la popolazione. Solitamente a questi casi quasi nessuno si interessa e probabilmente, in maniera analoga a questi casi, si sarebbe dovuta concludere la vicenda dei tre palestinesi. Ma chi li ha perseguitarli ha fatto dei calcoli sbagliati, i tre sono colpevoli di essere palestinesi, e grazie al grande sostegno per la loro causa un processo per procura si sta trasformando in una grande figuraccia per lo Stato. Abbiamo sempre visto questo processo come un processo politico con la sentenza già scritta, oggi che la questione è uscita dall’ombra di un tribunale di provincia, condannare senza conseguenze i tre non è più così scontato. Complici e solidali
Carcere
Stato di emergenza
Non ci affidiamo alle amnesie di Nordio! Manifesto contro il rinnovo del 41-bis ad Alfredo Cospito
Riceviamo e diffondiamo: Non ci affidiamo alle amnesie di Nordio! Torniamo in piazza contro il rinnovo del 41 bis ad Alfredo Cospito! Da maggio 2022 il compagno anarchico Alfredo Cospito è stato trasferito nel regime detentivo di 41 bis. Il carcere duro che prevede una socialità estremamente ristretta, la censura permanente sulla posta e svariati divieti per l’accesso ai libri. Colloqui previsti rigorosamente per familiari autorizzati, separati da un vetro divisorio. Un’area di passeggio volta a limitarti lo sguardo con mura alte fino al cielo e una rete come soffitto. Una pressione costante dello Stato sul detenuto, i suoi familiari, i suoi avvocati. Un messaggio unico per tutti coloro che sono costretti a orbitare intorno a questo universo: quello che succede al 41 bis non può essere comunicato. L’obbiettivo è distruggere il prigioniero, torturarlo fino al punto di spingerlo alla collaborazione. Un dogma intoccabile che non viene messo in discussione nemmeno di fronte alla morte. Un regime – visto dallo stesso diritto borghese che l’ha creato come un’eccezione a sé stesso – il cui rinnovo deve per forza essere avallato dal Ministro della cosiddetta “Grazia e Giustizia”, con decreto motivato in cui si giustifica la sua proroga. Questo iter amministrativo, suonerebbe come una buona notizia considerando che il preposto a tale dicastero è Carlo Nordio. Un uomo affetto da una sbadataggine cronica, preda di amnesie folgoranti che lo portano a rimpatriare in terra d’origine, con voli di Stato, noti torturatori come il generale libico Almasri, dimentico, improvvisamente, dei mandati d’arresto pendenti su di lui da parte di corti internazionali. Purtroppo la patologia di cui è affetto il ministro risulta oggettivamente selettiva e colpisce solo quando qualche potente ha qualcosa da perdere. Quindi, per le sorti detentive del compagno Alfredo Cospito, c’è poco da sperare nella malattia di Nordio. D’altronde Alfredo non è ricercato per reati di pluriomicidio su persone in condizione di minorata difesa (detenuti nelle carceri che il generale amministrava, reclusi principalmente per aver tentato clandestinamente la fuga dagli orrori e dalla miseria dei luoghi d’origine), non è accusato di sevizie e stupri, praticati con maggior sadismo su prigionieri accusati d’ateismo od omosessualità, finalizzati all’estorsione, non è capo di bande di miliziani al soldo di potere e denaro. Soprattutto, non è accusato di aver fatto questo e altro al servizio dell’imperialismo italiano, internando e torturando i rifugiati in nostra vece e combattendo la propria parte di guerra civile per le fazioni sponsorizzate dal nostro Paese e dall’Eni. Alfredo è, invece, un anarchico che crede, come credono gli anarchici, che un po’ di giustizia, differente da quella comunemente chiamata legge, si possa realmente portare in questo mondo dannato, affetto da logiche di predominio. Per questo ha rivendicato di aver gambizzato, in una splendida mattina di maggio del 2012, uno tra i massimi dirigenti del nucleare in Italia. Alfredo è un anarchico e come gli anarchici, come la compagna Anna Beniamino, non si fanno piegare da uno Stato che prima li accusa e poi li condanna con capi d’imputazione totalmente sproporzionati, come quello di “strage politica”, rimanendo a testa alta e, seppur sottoposti a un processo farlocco, ribadendo attraverso dichiarazioni spontanee la vera natura stragista dello Stato italiano. Alfredo, quindi, non è un leader e non ricopre ruoli apicali. Gli anarchici capi e gerarchie non ne hanno. È solo un uomo coerente in un mondo nel quale la coerenza fa paura. Per questo Alfredo non godrà delle amnesie selettive dei potenti. Per tirarlo fuori dal 41 bis serve la nostra determinazione.
Carcere
Materiali
Contro il ponte, contro la repressione! Solidarietà agli arrestati No Ponte (con gli indirizzi per scrivere ai compagni e indicazioni per il sostegno economico)
Riceviamo e diffondiamo: CONTRO IL PONTE, CONTRO LA REPRESSIONE SOLIDARIETÀ AD ANDRE, BAK E GUI Negli scorsi giorni tre compagni, Andre e Bak di Bari e Gui di Varese, sono stati arrestati per eventi relativi al corteo del carnevale No ponte del 1 Marzo di quest’anno a Messina. Una manifestazione che ha dato una scossa alla lotta contro il progetto del ponte sullo Stretto, ribadendo l’inevitabilità del conflitto con lo Stato e i suoi apparati di sicurezza. Varie le accuse tra cui resistenza e lesioni gravissime. In concomitanza degli arresti sono state effettuate diverse perquisizioni, anche a casa di altre compagne e compagni, con il sequestro di materiale informatico e di propaganda. Bak è stato arrestato a Napoli ed è rinchiuso nel carcere di Poggioreale, Andre è stato trasferito oggi dal carcere di Bari a quello di Potenza come probabile ritorsione, mentre Gui è al momento rinchiuso nel carcere di Varese. Riteniamo sia di grande importanza mostrare vicinanza e affetto ai compagni privati della libertà e invitiamo tutte e tutti a scrivere lettere e telegrammi. Guido Chiarappa C/o Casa Circondariale di Varese, Via Felicità Morandi, 5, 21100 Varese (VA). Gabriele Maria Venturi C/o C.c. di Napoli Poggioreale “Giuseppe Salvia” Via nuova Poggioreale 167, 80143 – Napoli Andrea Berardi C/o C. c. di Potenza “Andrea Santoro” Via Appia 175, 85100 Potenza (PZ) Per il sostegno economico è possibile mandare dei  contributi alla cassa anticarceraria caricando la postepay numero 4023601012012746 intestata a Daniele Giaccone (causale: solidarietà  NOPONTE). Per contattarci scrivere a: vumsec@canaglie.net SOLIDARIETÀ AD ANDRE, BAK E GUI VOGLIO UN MONDO SENZA CARCERE CONTRO IL PONTE CONTRO QUESTO MONDO Cassa Anticarceraria VUMSeC
Carcere
Tre arresti e una perquisizione per il Carnevale No Ponte
Riceviamo e diffondiamo, esprimendo solidarietà ai compagni arrestati e alla compagna perquisita: Nella sera tra il 9 e il 10 settembre, in un piccolo paese della provincia di Bari, alcunx compagnx, hanno ricevuto la notizia dell’arresto di altrx tre compagnx G., A. e G. Questx, infatti, erano statx arrestatx rispettivamente a Napoli a Bari e a Varese, tuttx con molteplici accuse relative al corteo “Carnevale No Ponte” avvenuto a Messina nel marzo 2025. Una volta ricevuta la notizia, lx compagnx hanno deciso di incontrarsi in una casa privata. Intorno alla mezzanotte, poco dopo aver raggiunto l’abitazione, lx compagnx hanno sentito bussare violentemente e ripetutamente alla porta. Sei agenti della DIGOS hanno intimato di uscire velocemente dall’abitazione. Una volta fuori hanno specificato di avere un mandato di perquisizione per la compagna S. S. assieme ad un altro compagno sono statx caricatx nelle macchine della DIGOS e condottx all’abitazione dove risiede S. Una volta entratx nell’abitazione, gli agenti della DIGOS sono raddoppiati. Inoltre è apparso evidente fin da subito che la metà degli agenti non proveniva da Bari. Come si legge dalle carte, sei di loro provenivano da Messina e l’obiettivo della perquisizione, oltre alla chiara intimidazione, era quello di recuperare materiale inerente alle indagini contro lx compagnx arrestatx. L’atteggiamento della DIGOS è stato quello di sempre, arrogante, violento e prevaricatore. L’abitazione è stata completamente rivoltata per sequestrare, oltre a due maschere di carnevale, dei poster e degli opuscoli di stampa anarchica. Intorno alle 01.30, dopo la perquisizione S., assieme ad un altro compagno, è stata portata nella questura di Bari per degli accertamenti, effettuare le foto segnaletiche e depositare le impronte digitali. S. ed il compagno che l’aveva accompagnata sono statx lasciatx liberx di andare solo dopo le 5 del mattino. Al momento G. si trova nel carcere di Poggio Reale a Napoli, A. nel carcere di Bari e G. nel carcere di Varese. Queste intimidazioni da parte dello stato non ci fermeranno. Non faremo mancare la nostra solidarietà allx nostrx compagnx detenutx. FUOCO AD OGNI GABBIA! SIAMO TUTTX NO PONTE! Per scrivere: Gabriele Maria Venturi C/o C.c. di Napoli Poggioreale “Giuseppe Salvia” Via nuova Poggioreale 167, 80143 – Napoli Andrea Berardi C/o Casa circondariale di Bari “Francesco Rucci” Via Alcide De Gasperi 307, 70125 – Bari Chiarappa Guido Casa Circondariale di Varese Via Felicità Morandi, 5 21100 Varese (VA)
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Stato di emergenza
Dagli USA al Regno Unito, da carcere a carcere. Comunicato di Casy Goonan in sciopero della fame
Ringraziando chi l’ha fatta, pubblichiamo la traduzione dello scritto con cui Casey Goonan, prigioniero politico dell’intifada studentesca statunitense (accusato dell’incendio di un’auto della polizia in risposta agli sgomberi delle accampate) annuncia di unirsi allo sciopero della fame di T. Hoxha, prigioniera politica di Palestine Action nel Regno Unito (contro alcune restrizioni che le sono state imposte in prigione). Qui un articolo di Samidoun che spiega le due vicende e la situazione attuale: https://samidoun.net/2025/08/call-to-action-political-prisoners-for-palestine-on-hunger-strike-from-britain-to-the-u-s/ Qui un sito di supporto a Casey Goonan: https://freecaseynow.noblogs.org/   Oggi ho saputo di T. Hoxha, una prigioniera di Pal Action nel Regno Unito, al 16° giorno di sciopero della fame presso il carcere di Peterborough. Alle 16:00 (ora della costa orientale) del 26 agosto 2025, 2 delle sue 3 richieste sono state accolte, ma è ancora in sciopero per chiedere al carcere di rilasciare la posta che le è stata trattenuta. Come prigionieri incarcerati per la nostra partecipazione al movimento di liberazione palestinese in Occidente, abbiamo la responsabilità reciproca, oltre i confini, di vivere la nostra vita in prigione con la stessa fermezza del movimento dei prigionieri palestinesi tenuti prigionieri nelle prigioni “israeliane”. Gli stati da cui siamo stati catturati sono i facilitatori del genocidio accelerato dei palestinesi da parte dell’entità sionista, così come dei genocidi in corso dei neri e degli indigeni, le cui terre continuano a occupare. Mentre la sinistra occidentale continua a passare da una crisi all’altra, evitando le proprie responsabilità nei confronti della Palestina, noi siamo tutto ciò che abbiamo. Con noi mi riferisco a chi subisce la repressione per il suo sostegno alla Palestina, a chi si sta davvero sacrificando. Come T. Hoxha, che ha sofferto 16 giorni di fame solo per ricevere la posta. Il movimento di solidarietà con la Palestina in Occidente non può abbandonare persone come lei, che hanno rischiato la vita e continuano a farlo per resistere all’intollerabile condizione di genocidio. Da oggi, io e uno dei miei compagni di cella siamo in sciopero della fame nel carcere di Santa Rita finché le sue richieste non saranno soddisfatte. Solidarietà a T. Hoxha e a tutti i prigionieri del movimento di solidarietà con la Palestina! Abbattete i muri! Liberate tutti i prigionieri dell’impero dei coloni! Casey Goonan
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Stato di emergenza
Sugli ultimi gravi fatti nel CPR di Macomer
Riceviamo e diffondiamo con rabbia: Da https://rifiuti.noblogs.org/post/2025/08/28/riguardo-al-ragazzo-salito-sul-tetto-per-protesta/ A PROPOSITO DEGLI ULTIMI FATTI ACCADUTI AL CPR DI MACOMER La condizione all’interno dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) è caratterizzata da violenze e abusi sistematici. Nonostante le promesse di riforma e miglioramento, le politiche razziste dello Stato italiano e del capitalismo ed imperialismo europeo non solo persistono, ma si intensificano. Il mese di agosto ha visto episodi di pestaggi, mancate cure adeguate e torture, confermando che l’unico cambiamento accettabile è la totale demolizione di queste strutture disumane. Uno degli episodi più recenti ha coinvolto un giovane detenuto in uno dei tre blocchi del CPR di Macomer. Per protestare contro la mancanza di cure necessarie, il ragazzo è salito sul tetto del centro. In segno di solidarietà, un compagno di cella, dopo che si è accorto che erano stati chiusi i citofoni per comunicare con l’esterno, ha tentato di raggiungerlo, ma durante il tentativo è caduto, fratturandosi la mano. Un altro loro compagno non poteva muoversi, perché stava male dopo che aveva ingerito delle batterie e delle lamette, sempre come atto di protesta, senza aver ricevuto nessun tipo di cure al pronto soccorso. Nel frattempo, la situazione si è rivelata una trappola: un’ambulanza è stata chiamata per convincere il ragazzo sul tetto a scendere, promettendo assistenza medica. Una volta sceso con l’aiuto dei vigili del fuoco, è stato brutalmente pestato da un gruppo di 15 tra finanzieri anti-sommossa e operatori del centro, utilizzando anche bastoni. I suoi compagni hanno riferito che è stato massacrato. L’ambulanza, complice in questo inganno, è ripartita vuota, ingannando anche i compagni del ragazzo, che credevano stesse per essere portato all’ospedale San Francesco di Nuoro. La mattina seguente, è emerso che il giovane, dopo il pestaggio, era stato trasferito in un altro blocco, separato dai suoi compagni e senza ricevere le cure necessarie. LA LOTTA PER LA SOLIDARIETÀ Ieri, come nostra consuetudine, abbiamo cercato di portare solidarietà direttamente fuori dalle mura del CPR. Tuttavia, l’accesso è diventato sempre più complicato. A differenza delle carceri, il CPR è più isolato e militarizzato. Al nostro arrivo, l’unica strada per farsi sentire era già presidiata. Abbiamo tentato di trovare un’altra via, ma le speranze erano scarse, poiché avevamo già compreso che l’accesso a un punto idoneo per la nostra solidarietà era stato bloccato. Nonostante fossimo distanti dal centro, i carabinieri ci hanno seguito con tre volanti, bloccandoci, identificandoci e denunciandoci per violazione del foglio di via da Macomer, lo strumento con cui l’ex questore di Nuoro, Alfonso Polverino, ha provato ad allontanarci da quel lager. Dopo le perquisizioni personali e dell’auto, abbiamo sentito per telefono il nostro compagno, che era stato picchiato dopo la protesta sul tetto. Era contento perché finalmente stava arrivando un’ambulanza, ma anche questa volta si è rivelato un inganno. Allora abbiamo provato a contattare il 118 e abbiamo parlato con gli operatori dell’ambulanza, i quali ci hanno rimbalzato al CPR, affermando che senza la loro chiamata non potevano intervenire. Abbiamo tentato di contattare il centro, ma non abbiamo ricevuto risposta. Abbiamo richiamato l’ambulanza, ribadendo per l’ennesima volta che una persona in gravi condizioni necessitava di assistenza. L’operatore ci ha risposto: “Il ragazzo ci ha chiamato, lo sappiamo. Ma il medico della struttura ha visitato il ragazzo e ha detto che non c’era bisogno del nostro intervento”. A quel punto, abbiamo richiamato il nostro compagno, il quale ha smentito quanto detto dall’operatore: era stato visitato da un infermiere tunisino, non da un medico. Siamo certi che sia stato messo a tacere dopo un brutale pestaggio eseguito da 15 infami finanzieri anti-sommossa e operatori del centro. Questa situazione mette in luce un sistema gerarchico che esiste anche all’interno della sanità, dove una catena di scarico di responsabilità legittima il mancato soccorso per una persona gravemente ferita. LA COMPLICITÀ DEL SISTEMA Prefettura, sbirri, personale medico, ente gestore: siete tutti complici di queste torture. Chi confida ancora nel loro lavoro per migliorare le condizioni all’interno del CPR è parte di questo sistema oppressivo. Ancora una volta le politiche razziste dello Stato italiano e del capitalismo ed imperialismo europeo trovano applicazione, tramite le ordinanze della Questura e Prefettura di Nuoro, per cui una porzione significativa del territorio di Macomer risulta interdetta ai civili e a qualsiasi manifestazione di solidarietà e dissenso verso i prigionieri, su cui viene praticata una violenza feroce ed incontrollata, tramite colei che può essere definita la Lager Kommandant, Elisabeth Rijo, e i suoi sgherri. La zona rimane aperta per gli accessi dei politici, Ghirra, Licheri, Salis e compagnia, che cercano di consolidare la loro inutile e squallida carriera politica con l’aiuto di varie associazioni compiacenti, a cui è permesso accedere per effettuare attività di controllo e “dissenso” e che, di fatto, rafforzano la facciata cosiddetta “democratica” dello Stato, nascondendo quello che succede realmente all’interno del lager. SOLIDALI E COMPLICI CON I DETENUTI IN RIVOLTA. I CPR SI CHIUDONO COL FUOCO.
Carcere
Stato di emergenza
Roma, 11-12 ottobre: Assemblea nazionale contro il rinnovo del 41-bis ad Alfredo Cospito
Riceviamo e diffondiamo: Chiamata per un’assemblea nazionale in solidarietà con l’anarchico Alfredo Cospito in vista dalla scadenza dei termini del regime di 41 bis del prossimo anno e della sua potenziale proroga (Roma, 11 ottobre 2025) FUORI ALFREDO DAL 41BIS – ASSEMBLEA NAZIONALE Sono più di tre anni che il nostro compagno Alfredo Cospito è rinchiuso in quella “tomba per vivi” che è il 41bis. Nel frattempo gran parte dei pretesti repressivi utilizzati per applicarglielo sono venuti meno, visto l’esito di alcuni procedimenti giudiziari che vedevano imputati lui e altri anarchici. Entro maggio del prossimo anno è previsto da parte del ministero il rinnovo di questo regime per altri due anni. A seconda della decisione la difesa potrà fare ricorso, una procedura che potrebbe richiedere mesi prima della fissazione di una udienza. È proprio in vista di tale scadenza che tra varie individualità e collettivi anarchici, nonostante le differenze, abbiamo sentito l’esigenza di ritrovarci per discutere e ragionare assieme su come arrivare a quella data. Dal momento del suo trasferimento nella sezione 41bis del carcere di Bancali è nata una mobilitazione che è andata man mano crescendo, raggiungendo il suo apice ben dopo l’inizio dello sciopero della fame avviato da Alfredo nell’ottobre del 2022. Vari sono i processi imbastiti oggi dallo Stato contro i compagni e le compagne che hanno partecipato in vari modi a quella mobilitazione che pur con i suoi limiti è ugualmente riuscita a ridare credibilità e visibilità alle idee e alle pratiche anarchiche. Ma ad oggi il compagno è ancora lì rinchiuso e continuiamo a sentire la responsabilità di non lasciarlo solo in questa lotta. Per questo invitiamo le individualità e i gruppi anarchici a due giorni di dibattito e confronto. L’incontro si terrà a Roma presso il CSA La Torre, in via Bertero 13, a partire dalle ore 15 di sabato 11 Ottobre, con possibilità di proseguire l’assemblea nella mattinata del giorno seguente.Per arrivare con i mezzi pubblici prendere o la linea 341 da Ponte Mammolo (metro B) o la 311 da Rebibbia (metro B) e scendere all’ultima fermata di via E. Galbani. Qui la chiamata in pdf per la stampa:  ASSEMBLEA-NAZIONALE1 ASSEMBLEA-NAZIONALE2
Iniziative
Carcere
Aggiornamenti su Alfredo Cospito e proposta contro il blocco della posta
Riceviamo e diffondiamo: Da diffondere il più possibile! Per rompere l’isolamento a cui l’anarchico Alfredo Cospito* è sottoposto tramite il blocco praticamente totale della corrispondenza, rilanciamo qui la chiamata a mandargli cartoline e lettere… in questo periodo di spostamenti vacanzieri, ecc. potrebbe arrivare corrispondenza a lui diretta da molte amene località! Questa ennesima chiamata a scrivere al nostro compagno è motivata anche dagli aggiornamenti che ci giungono da Bancali, visto che Alfredo valuta estremamente opportuno continuare e incrementare l’invio di corrispondenza a lui diretta: anche senza tracciabilità, anche solo cartoline con o senza mittente… se ne arrivassero in numero considerevole darebbero un bell’impegno a chi è preposto a bloccargli la posta. Si è valutato poi che in questo momento la tracciabilità della corrispondenza a lui destinata non sia necessaria quanto lo è stata fino ad ora visto che Alfredo ha accumulato più di 30 trattenimenti di corrispondenza certificata su cui deve esprimersi il Magistrato di Sorveglianza, che però sta tardando a farlo (normale per quanto riguarda Bancali, a detta dell’avvocato che assiste numerosi reclusi in quell’istituto). Infine, a margine della questione “corrispondenza”, il prossimo 14 settembre ci sarà un’udienza inerente al “giudizio di ottemperanza” nei confronti del carcere di Bancali: si tratta di un procedimento in cui il magistrato valuta se il carcere non è in grado di fare rispettare un’autorizzazione concessa ma che non viene realmente resa possibile. Si tratta dell’accesso di Alfredo alla biblioteca dell’istituto, che era stata autorizzata senza che però ne abbia potuto beneficiare. Se danno ragione ad Alfredo il giudice designerà altra figura differente dal personale penitenziario per fare sì che l’autorizzazione venga rispettata. Facciamo anche nostra la proposta di “Iniziativa in solidarietà ad Alfredo contro il blocco della posta” formulata dai/dalle compas di S’Idea Libera di Sassari per dare ulteriore sviluppo  al tentativo di inceppare uno dei dispositivi di isolamento applicati nei confronti di Alfredo: un’occasione in più perché, superata questa “fase estiva” di invio di cartoline e lettere senza modalità coordinate, si provi a dare continuità sul lungo periodo all’impegno nel dimostrare ai suoi carcerieri che Alfredo non sarà mai solo! INIZIATIVA IN SOLIDARIETÀ AD ALFREDO CONTRO IL BLOCCO DELLA POSTA In relazione alla situazione di censura, blocco e isolamento di Alfredo in 41 bis a Bancali, vorremmo condividere questa proposta di iniziativa. Nel tempo sono state diverse le occasioni in cui, in forma individuale o organizzata, si è cercato di rompere l’isolamento tramite la corrispondenza. In questo momento, in cui ci sembra importante battere il ferro con costanza, abbiamo pensato a un’iniziativa che abbia come obiettivo quello di sostenere Alfredo tramite la corrispondenza e dargli un po’ di continuità per avere un certo impatto, o provare ad averlo. La proposta è la seguente: ogni realtà, collettivo o individuale, che abbia voglia di aderire si prende l’impegno di inviare almeno 7 cartoline ad Alfredo in una determinata settimana. In questo modo, quante più adesioni ci saranno, tanto più riusciremo a garantire una “copertura” nel tempo con una certa continuità. Proponiamo questa modalità organizzativa: 1. le realtà, individuali o collettive, possono mandare la propria disponibilità alla mail evaliber2@inventati.org entro l’1 settembre. 2. sulla base delle disponibilità butteremo giù un calendario, per cui a ogni realtà sarà data una settimana di riferimento in cui inviare le cartoline/lettere ad Alfredo. L’indirizzo per scrivere ad Alfredo è: Alfredo Cospito C.C. “G.Bacchiddu” Strada Provinciale 56, n°4 Località Bancali 07100 Sassari Rompiamo l’isolamento! Spazio Sociale S’Idea Libera (Sassari) Cassa AntiRep delle Alpi occidentali * Alfredo Cospito è un compagno anarchico in carcere dal 2012. Inizialmente arrestato e condannato per il ferimento dell’Amministratore Delegato di Ansaldo Nucleare, sta ora scontando una condanna a 23 anni di reclusione emessa nell’ambito del processo “Scripta Manent” in cui sono stati imputati (e alcune e alcuni tra loro anche condannati) vari anarchici e anarchiche. Dopo la sua assegnazione al regime detentivo del 41bis nella primavera del 2022, Alfredo ha intrapreso uno sciopero della fame durato 6 mesi contro il 41bis e l’ergastolo ostativo che, grazie anche all’energica mobilitazione internazionale che ha accompagnato la sua iniziativa, ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica l’aberrazione di questo regime carcerario e della condanna a morire in carcere rappresentata dall’ergastolo ostativo. Alfredo è tuttora rinchiuso nel 41bis di Bancali (Sassari), e il rinnovo o meno della sua assegnazione a tale regime avverrà la prossima primavera. La finalità del 41bis è chiara: annientare fisicamente e psicologicamente gli individui che ci finiscono. Nel caso di Alfredo è evidente una progressiva limitazione nelle già esigue possibilità di vivibilità stabilite per tale regime detentivo: blocco della corrispondenza da/per l’esterno, impossibilità di accedere alla biblioteca interna (autorizzazione che Alfredo aveva avuto dalla Direzione), blocco dei libri regolarmente acquistati in libreria tramite il carcere (come prevede il regime del 41-bis) e di altri beni, come farina o indumenti, di uso quotidiano. ps: Per chi fosse interessat*, sono state stampate delle cartoline contro il 41bis che si possono richiedere alla mail: cassantirepalpi@autistici.org
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