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2 aprile: Libertà per Anan, Alì e Mansour! Mobilitazione a L’Aquila e in ogni territorio
Riceviamo e diffondiamo, rilanciando anche noi la mobilitazione per Anan, Alì e Mansour per questo mercoledì 2 aprile: LIBERTA’ PER ANAN ALI’ MANSOUR LIBERTA’ PER I PRIGIONIERI E LE PRIGIONIERE RIVOLUZIONARI! Il 2 aprile 2025 alle ore nove e trenta al tribunale dell’Aquila si terrà la prima udienza del processo ad Anan, Alì, Mansour. Anan Yaeesh ha 37 anni, è palestinese, nato e cresciuto a Tulkarem nella Cisgiordania occupata. Negli anni della Seconda Intifada Anan era un adolescente attivo nella lotte. In seguito ha dovuto scontare quattro anni di prigione come detenuto politico e ha subito un agguato delle forze speciali israeliane nel 2006, durante il quale ha riportato gravi ferite. Anan lascia la Palestina nel 2013, diretto verso l’Europa. Si reca inizialmente in Norvegia dove viene sottoposto a degli interventi chirurgici per rimuovere i proiettili rimasti nel suo corpo per anni. Nel 2017 raggiunge l’Italia, dove si stabilisce, e dove nel 2019 ottiene un titolo di soggiorno. Nel 2023 si reca in Giordania, dove viene sequestrato dai servizi di sicurezza giordani probabilmente per consegnarlo ad Israele. Dopo oltre sei mesi di detenzione, a seguito della diffusione della notizia del suo arresto e al pericolo che venga consegnato alle autorità israeliane, i servizi di sicurezza giordani lo rilasciano per evitare reazioni da parte dell’opinione pubblica. Il 24 gennaio 2024 le autorità israeliane hanno trasmesso al ministero della giustizia italiano una richiesta di arresto provvisorio del cittadino palestinese Anan Yaeesh, a fini di estradizione, per i reati di partecipazione ad organizzazione terroristica e atti di terrorismo. Il ministero della giustizia ha chiesto l’applicazione della misura cautelare alla corte di appello dell’Aquila, città in cui Anan vive e dove gode di un permesso di soggiorno per protezione speciale dal 2022. Il 26 gennaio 2024 Anan è stato arrestato in seguito a questa richiesta. La Corte d’Appello de L’Aquila ha respinto, nel marzo 2024, la richiesta di estradizione, in quanto ha riconosciuto sia concreto il rischio di tortura nelle carceri israeliane, sia che Anan in quanto palestinese sarebbe stato processato da un tribunale militare. Nonostante ciò la magistratura, decaduti i motivi per la sua carcerazione, ha avviato un’indagine per “associazione con finalità di terrorismo internazionale” (art. 270-bis c.p.). Il 13 marzo 2024, la procura della Repubblica de L’Aquila, Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo, emette un mandato di cattura per Anan e altri due suoi amici palestinesi: Alì Irar e Mansour Doghmosh. Secondo l’accusa avrebbero costituito una struttura operativa chiamata “Gruppo di risposta rapida – Brigate Tulkarem”, filiazione delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, che ha tra i suoi obiettivi atti di violenza contro lo Stato di Israele. Le Brigate Al Aqsa, che fanno riferimento ad Al Fatah, su richiesta di Israele sono state inserite dall’Unione Europea nella lista nera delle organizzazioni terroristiche. Secondo la tesi dell’accusa, i fermati avrebbero compiuto opera di propaganda e proselitismo, con l’obiettivo di pianificare attentati contro siti civili e militari sul territorio italiano. L’accusa ha dovuto inserire i due amici di Anan, Alì e Mansour, per poter giustificare l’articolo 270 bis che richiede la presenza di almeno tre persone per la formulazione del reato associativo. Oltre a questa manipolazione ha anche definito complotto terroristico internazionale quello che le convenzioni internazionali definiscono «resistenza legittima contro un occupante», cioè la lotta dei palestinesi contro l’occupazione sionista. L’ufficio dello State Attorney di Israele ha dato atto dell’impegno mostrato dalle autorità italiane e della collaborazione prontamente prestata, dichiarando di voler «ringraziare le autorità italiane per il loro impegno e assistenza in questo caso» e ribadendo la disponibilità israeliana «ad una continuata collaborazione tra i due Paesi». Se l’estradizione di un cittadino palestinese verso Israele, che è un paese in guerra, è attualmente impossibile, allora la magistratura opta per tenerlo in galera in Italia avanzando altre accuse contro di lui. Questa operazione giudiziaria appare una prova di servilismo chiesta all’alleato italiano ed un precedente che potrebbe rivelarsi pericoloso per altri esuli. Ad agosto del 2024 sia la Cassazione che il Tribunale del Riesame scarcerano Alì e Mansour per «mancanza di gravi e circostanziate prove», mentre la procura decide che Anan rimanga nella sezione di alta sicurezza del carcere di Terni. Il 26 febbraio 2025 il tribunale de L’Aquila decide comunque il rinvio a giudizi con le accuse di proselitismo e finanziamento del terrorismo per tutti e tre i palestinesi. Contro l’estradizione si sono svolte manifestazioni e presidi in tutta Italia: a Sassari, Milano, Brescia, Ancona, Modena, Bergamo, Genova, Napoli, L’Aquila, Palermo, Torino, Roma. Vari presìdi hanno portato la voce dei solidali davanti alle mura del carcere di Terni dove sono rinchiusi anche diversi compagni rivoluzionari, tra i quali il nostro Juan. Lo stesso tribunale dell’Aquila è stato presidiato durante le udienze che dovevano decidere la richiesta di estradizione e il rinvio a giudizio per gli imputati. A queste udienze Anan non ha mai potuto partecipare di persona perché gli è stata imposta la videoconferenza, che è ormai una prassi sempre più estesa che limita fortemente le possibilità di difesa e la possibilità per gli imputati di vedere facce amiche in tribunale. Durante queste udienze Anan ha rilasciato una dichiarazione spontanea della quale riportiamo di seguito alcuni stralci: «Nella prima udienza estradizionale di febbraio 2024, ho chiesto alla Corte di Appello e al Procuratore Generale di non consegnare i contenuti dei miei telefoni cellulari agli israeliani, in quanto contenevano informazioni riservate che detenevo in qualità di resistente palestinese, di comandante partigiano. Mi è stato risposto che ciò non sarebbe accaduto, poiché erano consapevoli che eravamo in guerra e che l’Italia è neutrale. Tuttavia, sono rimasto sorpreso nel sapere che ad aprile scorso tutte le informazioni contenute nei miei cellulari sono state passate agli israeliani. In questo modo, avete violato ogni principio di sicurezza e lo stesso diritto internazionale, diventando di fatto partecipi degli israeliani in questa guerra, aiutandoli nella repressione delle legittime aspirazioni di un popolo oppresso…» «Pertanto, signor Presidente, considero il mio arresto e il mio processo qui illegittimi, poiché l’arresto stesso, sin dal primo momento, è stato compiuto in contrasto con il diritto internazionale umanitario, con lo statuto delle Nazioni Unite, con la Convenzione di Ginevra e con i due protocolli aggiuntivi, e tutto ciò che ne è derivato è anch’esso illegale; ciò che si fonda sull’illegittimità, infatti, è anch’esso illegittimo. … Se riconoscete la legittimità dello Stato di Palestina, allora la richiesta di estradizione avanzata nel gennaio dello scorso anno nei miei confronti avrebbe dovuto essere presentata attraverso il governo del mio Paese. Se, invece, considerate la Palestina come un territorio illegalmente occupato da una potenza coloniale, allora la resistenza è un diritto legittimo e non dovreste arrestarmi qui per tale motivo…» «Se in ballo vi fosse stato un altro paese occupante, la Russia ad esempio, avreste riconosciuto la legittimità della resistenza palestinese. Non mi state processando in base al diritto internazionale, ma in base ai vostri rapporti diplomatici, solo perché Israele è considerato un alleato del governo italiano, un partner commerciale, e ritenete legittime tutte le azioni che esso porta avanti. Tanto vale allora cambiare il nome delle corti internazionali e umanitarie in “Corti degli amici”. Volete che mi difenda dalle accuse a mio carico, ma mi vergogno di cercare l’assoluzione da accuse che per me rappresentano un motivo di onore. Non voglio difendermi dall’accusa di avere dei diritti e di averli rivendicati, o di aver tentato di liberare la mia gente e il mio Paese dall’oppressione coloniale. Giuro che non intendo essere assolto dalla legittima resistenza contro l’occupazione sionista. La resistenza palestinese è uno dei fenomeni più nobili conosciuti dalla storia» La vicenda repressiva di Anan è significativa, al di là del dramma personale, in quanto rende evidente come lo Stato italiano agisca per conto dell’entità sionista contro la resistenza palestinese e lo fa mentre sono in corso la pulizia etnica ed il genocidio del popolo palestinese, crimini esplicitamente rivendicati dalle massime autorità israeliane. Per dirlo con le parole di Netanyahu: «Non mi interessano gli obiettivi, distruggete le case, bombardate tutto a Gaza». Chiariamo che la compromissione dello Stato italiano in questi crimini contro l’umanità non si limita al chiudere gli occhi o ad un generico supporto. La realtà è che i sistemi Italiano ed Israeliano sono sempre più integrati in molteplici settori, tra cui quello della ricerca scientifica, dell’industria militare, dei servizi segreti e delle tecnologie di controllo (basti citare il recente scandalo spyware Paragon). Le istituzioni italiane si adoperano per dare spazio ad Israele nella cultura di massa inserendolo all’interno di grandi manifestazioni sportive quali il giro d’Italia od organizzando incontri tra le rispettive nazionali mentre è in corso un massacro. Il governo italiano ha supportato supinamente Israele anche quando questo si è trovato in forte contrasto con la principali organizzazioni che rappresentano il diritto internazionale e che ha provato a demolire (ONU, Unrwa e Corte Internazionale di Giustizia). Quanto elenco non solo ci fa ritenere che il genocidio non sarebbe possibile senza il supporto di Stati come l’Italia, ma inoltre ci porta a considerare Israele il braccio armato della macchina del colonialismo occidentale, che agendo su mandato di quest’ultimo, attua un processo di destabilizzazione dell’intera Asia occidentale, al fine di sottometterla e controllarne le risorse per garantire gli interessi dei capitalisti Statunitensi e Europei. In conseguenza di queste considerazioni riteniamo che il principale modo con cui possiamo opporci al genocidio dei palestinesi è quello di combattere contro il nostro governo, i nostri padroni e tutti gli apparati (repressivi, industriali, mediatici) che sostengono i conflitti in Asia occidentale affinché cessino la loro azione di collaborazionisti e protettori di Israele. Tra questi vi sono appunto gli apparati repressivi dello Stato italiano: magistratura,forze di polizia, servizi di sicurezza, amministrazione carceraria che sono stati schierati a difesa dei genocidi, divenendo complici della macchina dello sterminio. Fanno questo perseguitando gli esuli come nel caso di Anan, lo fanno reprimendo i movimenti di lotta scesi al fianco del popolo palestinese, lo fanno ribaltando la realtà quando equiparano l’antisionismo all’antisemitismo, facendo sì che chi si oppone all’apartheid, alla deportazioni alle stragi, nel mondo alla rovescia in cui viviamo rischi di essere stigmatizzato e perseguito per razzismo o antisemitismo. Bisogna ricordare che la città de L’Aquila, in cui si svolge il processo, ospita un carcere con le sezioni 41 bis. In queste sezioni tramite le pratiche dell’isolamento e della deprivazione sensoriale si attua una vera e propria tortura ai reclusi che mira al loro annientamento fisico psichico e politico. Nella sezione femminile del 41 bis de L’Aquila è prigioniera dal 2007 la compagna dei Nuclei Comunisti Combattenti Nadia Lioce. Per la chiusura del 41 bis il compagno Anarchico Alfredo Cospito ha sostenuto uno sciopero della fame durato 182 giorni. Alle sezioni 41 bis è associata la presenza della Direzione Distrettuale Antimafia ed Antiterrorismo de L’Aquila, ed è questa che ha imbastito il processo contro i tre palestinesi mettendo in pratica le montature che le sono congeniali, inventandosi associazioni che non esistono e arrestando persone utilizzando false accuse. Il processo ad Anan si svolge in questa valle chiusa da vette innevate, ma se allarghiamo lo sguardo sulla cartina geografica ci accorgiamo di essere nel mezzo del mediterraneo, un mediterraneo dove vogliamo la felicità, la libertà, la pace e la fratellanza tra tutti i popoli che lo abitano. Invece i fronti di guerra si allargano sempre più, e se molte persone si disinteressano alla guerra questo non fa sì che la guerra non si interessi a noi. La guerra non risparmia nessuno e, con le dovute proporzioni, tocca anche i proletari in Europa sui quali i governanti scaricano il costo delle loro nefaste avventure. Il fronte interno si manifesta tramite l’aumento della povertà conseguente alla crisi industriale e all’aumento dei costi dell’energia, si manifesta tramite la militarizzazione della società che i burocrati dell’UE vogliono imporre con il piano Rearm Europe, si manifesta con l’aumento di repressione e controllo attraverso il ddl ex 1660, con il quale si attaccano i poveri ei dissidenti. La guerra è sempre, innanzitutto, la guerra degli oppressori contro gli oppressi, la proposta allucinante di spianare Gaza e di valorizzare il suo territorio tramite una speculazione edilizia è paradigmatica del mondo in cui viviamo. Un mondo in cui i proletari che risultano eccedenti rispetto ai progetti del capitale internazionale, possano essere tranquillamente deportati e sterminati, come testimoniano la distruzione della Ex Jugoslavia, dell’Iraq, del Afganistan, della Libia, della Siria, dell’Ucraina, e infine della Palestina che le élite occidentali vorrebbero condannare alla soluzione finale. Solo la resistenza degli sfruttati e la solidarietà internazionale può opporsi a questa strage continua, è la variante umana che può ribaltare il corso della storia. Liberazione immediata per Anan Yaeesh! Facciamo sentire ad Anan, Alì, Mansour la voce solidale di chi si oppone al genocidio del loro popolo.   2 aprile presidio, l’Aquila ore 9:30 tribunale de L’Aquila via XX settembre 68 ANAN YAEESH LIBERO! LA RESISTENZA NON SI ARRESTA! LA RESISTENZA NON SI PROCESSA! COMPLICI E SOLIDALI   riferimenti e fonti: https://www.instagram.com/free_anan/ https://www.facebook.com/people/Free-Anan/61556541179498/ https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/04/09/anan-yaeesh-lavvocato-alla-camera-caso-politico-non-e-stato-considerato-il-diritto-internazionale-umanitario/7506144/ Dichiarazioni di Annan ultima udienza l’aquila https://www.ondarossa.info/focus/anan-ali-mansour-compagni-palestinesi https://ilmanifesto.it/israele-vuole-anan-yaeesh-litalia-intanto-lo-fa-arrestare (17/2/2024 un anno fa) https://contropiano.org/news/politica-news/2024/02/14/no-allestradizione-di-anan-yaeesh-0169353 videoconferenza https://ilrovescio.info/2025/03/22/trento-stecco-condannato-a-3-anni-e-6-mesi/ https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Sindispr&leg=19&id=144932423) https://pungolorosso.com/2025/03/21/i-proclami-ferocemente-sterministi-di-israele-nel-silenzio-generale-dei-suoi-complici-o-mandanti/
Carcere
Stato di emergenza
[2025-04-06] Solidarietà ai prigionieri di Quarto in regime chiuso @ Carcere di Asti
SOLIDARIETÀ AI PRIGIONIERI DI QUARTO IN REGIME CHIUSO Carcere di Asti - Quarto inferiore, 266 (domenica, 6 aprile 10:00) Dalle 10 sotto alle mura del carcere di Quarto, in solidarietà ai prgionieri in regime chiuso. Diventa quindi necessario e urgente portare la nostra solidarietà ai reclusi per sostenere percorsi di lotta comune dentro e fuori. Per rompere il muro di isolamento e silenzio e far sentire alle persone detenute la nostra vicinanza.  Perché nonostante la retorica portata avanti anche in questa città,non esistono carceri "umani" o  riformabili e questo provvedimento che rende ancora più afflittiva una quotidianità già difficile delle persone recluse ci mostra ancora una volta la sua natura strutturalmente violenta.  https://lamicciaasti.noblogs.org/post/2025/03/28/solidarieta-ai-prigionieri-di-quarto-in-regime-chiuso/
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[2025-03-29] Solidarietà ai prigionieri di Quarto in regime chiuso @ Asti Parco della Resistenza
SOLIDARIETÀ AI PRIGIONIERI DI QUARTO IN REGIME CHIUSO Asti Parco della Resistenza - Parco della Resistenza Asti (sabato, 29 marzo 10:00) Punto info, banchetto, distro, chiacchiere Dalle 10 al parchetto, angolo vicino alla piazza del mercato. Per info complete: https://lamicciaasti.noblogs.org/post/2025/03/28/solidarieta-ai-prigionieri-di-quarto-in-regime-chiuso/
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Carcere
punto info
“Haiku senza haiku”. Versi scatenati il 5 aprile a Trieste
Riceviamo e diffondiamo: Il prigioniero anarchico Juan Sorroche si trova nella sezione di alta sorveglianza del carcere di Terni dal 2019 e nell’autunno 2023 ha lanciato un appello a inviare scritti di versi e immagini per creare un dialogo con le persone recluse, per non smettere di lottare, di sognare, di immaginare e realizzare infiniti mondi nuovi! Un pomeriggio in strada con la poesia dal basso – per presentare il progetto Haiku Senza Haiku-Versi scatenati: creare in modo non meccanicistico le condizioni adatte per un incontro di poesia povera, perché “la poesia non è un lusso”, uno stare assieme per creare ponti non alienati con l’altro, fare due chiacchiere, mangiare e bere, sorridendo o piangendo per conoscersi e riconoscersi nella diversità. Sabato 5 aprile 2025, Trieste, Campo San Giacomo dalle 16
Iniziative
Carcere
È disponibile il libro “Alcuni scritti su Kamina Libre. Identità irriducibili di una lotta anticarceraria”
Riceviamo e diffondiamo la notizia di questa pubblicazione, con un interessante brano dell’introduzione di che da un lato ripercorre la vicenda del compagno Marcelo Villaroel, e dall’altra mostra come il modello di segregazione e tortura del 41 bis italiano sia guardato con sempre più interesse da diversi Stati dell’Occidente globale: Qui la presentazione del libro in pdf: kl web È uscito il libro “Alcuni scritti su Kamina Libre, identità irriducibili di una lotta anticarceraria”. Il libro, nato dalla tesi di laurea del compagno prigioniero Francisco Solar e poi ampliato, racconta l’esperienza del collettivo di prigionieri Kamina Libre nato nel 1995 nel carcere di Santiago del Cile, che per anni ha portato avanti uno scontro permanente all’interno del Carcere di Alta Sicurezza (CAS) cileno fino ad ottenere il “ritorno in strada” di tutti i suoi membri. La prima presentazione è avvenuta all’interno della sedicesima Tatoo Circus benefit per prigionier* a El Paso (Torino). Nella discussione di sabato 15 l’esperienza di lotta del Kolektivo Kamina Libre tra gli anni Novanta e i Duemila nelle carceri cilene è stata messa a confronto con altre esperienze di lotta dei/delle detenuti/e, come la COPEL in Spagna negli anni Settanta, per riflettere da differenti prospettive sull’autorganizzazione dei/delle prigionieri/e e sul rapporto dentro-fuori dalle mura del carcere. Perché parlare di Kamina Libre oggi? Come espresso da Francisco nella sua prefazione al testo “l’esperienza di Kamina Libre ci mostra l’importanza di portare avanti un atteggiamento combattivo in carcere, di portare avanti in modo autonomo giornate di lotta al suo interno, così come di generare legami di complicità con ambienti solidali, sostenendo una pratica reale di attacco. Scrivere oggi di Kamina Libre significa parlare di scontro e autonomia”. Dall’introduzione italiana: Identità irriducibili. Contributo alla traduzione italiana Oggi attraversiamo un momento cruciale della situazione giuridica del compagno Marcelo Villarroel Sepúlveda nelle carceri cilene, da qualche mese è iniziato un ricorso per cercare di annullare le condanne inflitte dalla giustizia militare durante il periodo di Pinochet che persistono sul compagno. Marcelo fu arrestato per la prima volta nel novembre 1987, all’età di 14 anni, accusato di aver svolto attività di propaganda armata contro la dittatura all’interno di un liceo di Santiago e per la sua militanza nel MAPU-LAUTARO, un’organizzazione politico-militare marxista-leninista attiva contro la dittatura di Pinochet e nella successiva transizione democratica. Nel 1992 venne di nuovo arrestato dopo due anni di clandestinità nei quali fu ricercato sempre per la sua militanza nel MAPU-LAUTARO, che intanto, dopo la fine della dittatura di Pinochet nel 1990, aveva deciso di continuare la lotta armata “contro il riposizionamento capitalista mascherato da democrazia”. L’operazione antiterrorismo coinvolse trenta agenti e culminò in uno scontro armato che procurò a Marcelo tre ferite di arma da fuoco. Nel 1994 fu inaugurato in Cile il regime di alta sicurezza nel quale Marcelo fu trasferito insieme ad altri 33 prigionieri. In questo primo periodo di detenzione a partire dal 1995 prese parte al Kolektivo Kamina Libre. Successivamente è stato accusato di aver preso parte alla rapina al Banco Santander del settembre 2007 a Valparaíso e alla rapina al Banco Security dell’ottobre 2007 a Santiago, durante la quale l’agente Luis Moyano è morto in una sparatoria. Dopo un periodo di clandestinità, Marcelo fu arrestato il 15 marzo 2008 insieme a Freddy Fuentevilla a Neuquen, in Argentina. Furono poi estradati in Cile il 15 dicembre 2009. Il 2 luglio 2014 il tribunale cileno lo ha condannato a 14 anni di carcere per le due rapine, successivamente si sono poi aggiunte altre accuse, arrivando a un totale di 46 anni di carcere: -Associazione terroristica: 10 anni e 1 giorno. -Danneggiamento di un’auto della polizia con gravi lesioni ai carabinieri: 3 anni + 541 giorni. -Coautore dell’omicidio qualificato come terrorista: 15 anni e 1 giorno. -Furto con intimidazione, legge 18.314: 10 anni e 1 giorno. -Attentato esplosivo contro l’ambasciata spagnola: 8 anni. Lo Stato, i suoi meccanismi ideologici e il capitale tentano ancora una volta di seppellire le fila del movimento combattente, di fare calare il silenzio sui contenuti politici, le scelte di lotta e i decenni di tradizione rivoluzionaria. Compagni in ogni dove (Cile, Italia, Grecia, Spagna ecc…) hanno dedicato, oggi come ieri, la loro vita alla lotta contro l’oppressione per costruire un mondo di uguaglianza e libertà, assumendosi le responsabilità e compiendo scelte che hanno portato alla prigionia o alla morte, dando anima, corpo e pensiero alla causa rivoluzionaria. Tali scelte sono parte integrante di una continuità storica insurrezionale che mantiene viva nei nostri cuori e nelle menti la visione della rivoluzione sociale. Esportare l’isolamento Già da fine Ottocento le polizie europee stavano cercando un coordinamento per reprimere il movimento anarchico (le leggi antianarchiche approvate a partire dal 1890 in vari Stati europei e la sistematizzazione della pratica della schedatura politica prendendo a modello la polizia asburgica ne sono un esempio), oggi siamo davanti a una vera e propria globalizzazione della repressione e della controrivoluzione. In questo contesto di coordinamento repressivo tra Stati, l’Italia si sta ponendo come modello nella differenziazione carceraria e nell’isolamento dei prigionieri. Soltanto nell’ultimo anno le democrazie francese e cilena hanno avviato interlocuzioni con i professionisti dell’antimafia e dell’antiterrorismo italiani per esportare nei loro paesi, entrambi attraversati negli ultimi anni da un forte livello di conflittualità sociale, il modello del 41bis. “Al mattino il Ministro Darmanin e la delegazione sono stati ricevuti alla casa circondariale di Roma Rebibbia dalla capo Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria facente funzioni, Lina Di Domenico, e guidati dal Direttore del Gom – Gruppo operativo mobile, hanno visitato la sezione destinata ai detenuti sottoposti al regime del 41bis. […] A seguire, hanno incontrato il Procuratore Nazionale antimafia, Giovanni Melillo, presso Palazzo Farnese, sede dell’ambasciata di Francia.”[1] Secondo le dichiarazioni di Darmanin la prima struttura di alta sicurezza ispirata al modello italiano dovrebbe essere completata a fine luglio 2025, con almeno altre due a seguire negli anni successivi. Se in Francia il 41bis è tornato solo oggi un tema della discussione politica nazionale, giustificato anche in questo caso dalla lotta alle mafie e al narcotraffico[2], da oltre un anno nel nuovo Cile democratico di Boric è in corso un dibattito sull’opportunità di implementare il regime del 41-bis, nel contesto più ampio di una riforma della gendarmeria e del regime penitenziario. Per il procuratore nazionale cileno Angél Valencia “È importante guardare all’esperienza italiana, gli italiani hanno ottimizzato i loro sforzi per combattere la criminalità organizzata, hanno creato nuove carceri rispettando gli standard europei sui diritti umani”[3]. Nel settembre 2024 l’ambasciata d’Italia a Santiago ha organizzato un incontro per presentale alla Corte costituzionale cilena il modello del 41-bis e la sua storia[4], tenuto dal Professor Antonello Canzano dell’Università Roma Tre il quale ha sottolineato come la sua genesi si trovi in ben trent’anni di storia repressiva dello Stato italiano. “Questo quadro non è il risultato di un singolo intervento, ma di una graduale evoluzione normativa nel corso di 30 anni, continuamente adattata in base alla sua efficacia”, ha affermato il professore durante la sua esposizione in Aula, al termine della quale si è generato un interessante dialogo in chiave comparata a cui hanno partecipato anche i ministri Miguel Ángel Fernández, Nancy Yáñez, Héctor Mery e Marcela Peredo. Ampia attenzione è stata dedicata al cosiddetto “modello italiano” di lotta al crimine organizzato, di cui parte integrante rappresenta il regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41bis dell’ordinamento penitenziario italiano, volto a neutralizzare la possibilità che gli autori di reati più gravi, soprattutto legati alla criminalità organizzata, possano condurre attività illecite dal carcere.”[5] La visita di Canzano in Cile, lungi dall’essere un evento isolato è stata preceduta pochi mesi prima da quella del magistrato Giovanni Tartaglia Polcini, Consigliere del Ministero degli affari Esteri e vicedirettore del programma europeo EL PACCTO 2.0[6], il programma europeo di cooperazione con il Sud America per la lotta alla criminalità organizzata, non a caso con L’Italia come paese coordinatore. Degna di menzione è anche la nuova legge antiterrorismo cilena approvata a inizio febbraio 2025, più “moderna, efficace e democratica” che andrà ad ampliare il reato di associazione terroristica, permettendo la detenzione anche in assenza di reati specifici per chi all’occorrenza ne sarà considerato membro o anche solo “finanziatore” di un’associazione terroristica, andando a colpire in maniera più efficace anche la solidarietà fatta di benefit per i prigionieri. L’inasprirsi delle tensioni internazionali, sociali e politiche dovute alla tendenza alla guerra e alle contraddizioni insite a questo sistema capitalista richiedono agli Stati un’azione sempre più preventiva, una contro-insurrezione in assenza di insurrezione, per garantire la tenuta del fronte interno in un periodo storico in cui il recupero delle lotte da parte dello Stato portato avanti tramite welfare e piccole concessioni non è ormai più sostenibile. Il carcere distilla “la quintessenza delle pratiche repressive legate alla ristrutturazione sociale e politica, in forme più palesemente autoritarie (quelle più asettiche dell’UE e quelle più becere dei sovranismi nazionali sono equivalenti da questo punto di vista, si vedano le politiche antimmigrazione e la propaganda di guerra in corso) in un occidente che ancora non si capacita di essere in piena crisi e cerca con una mano di arginare con manie securitarie le falle di una nave che affonda e con l’altra di arraffare quanto più possibile per riempirsi le tasche prima del naufragio.”[7] È in questo contesto che la guerra sul fronte interno si allarga e accelera il consolidamento di un diritto penale del nemico, con gli ultimi sviluppi repressivi come il DDL 1660 in Italia il quale prevede l’introduzione del reato di “terrorismo della parola”, fino ad ora non codificato ma comunque utilizzato nelle varie operazioni repressive contro la stampa anarchica come Sibilla e Scripta Scelera. Il DDL 1660 non si risparmia inasprimenti di pena anche sul fronte del carcere, aumentando le pene per rivolte e prevedendo un’aggravante per il reato di “istigazione a disobbedire alle leggi” se il fatto è commesso “all’interno di un istituto penitenziario o a mezzo di scritti o comunicazioni diretti a persone detenute”[8]. I regimi di alta sorveglianza e di isolamento diffusi nel mondo, con apice nel 41bis, puntano a rompere la solidarietà tra il dentro e il fuori del carcere e tra gli stessi prigionieri attraverso la differenziazione carceraria, anche per questo riteniamo che sia importante tornare a riflettere sulle esperienze di chi, come il Kolektivo Kamina Libre, sia sotto la dittatura, sia nel periodo di transizione alla democrazia, ha continuato a lottare sia all’esterno che all’interno del carcere contro l’oppressione e per una società radicalmente diversa, rompendo la divisione dentro/fuori per ottenere il ritorno in strada dei suoi membri, ma anche inserendosi, con le riflessioni sui prigionieri sociali, in un dibattito che in quegli anni sembrava schiacciato dall’opposizione prigionieri comuni versus prigionieri politici. Marcelo Villarroel in strada! Tuttx liberx! Indice: -Identità irriducibili -Intervento di Claudio Lavazza per l’edizione in italiano -Nota delle Ediciones Abandijas -Come prologo -Prologo II -Introduzione -Antecedenti generali -Organizzazione ed espressione nel carcere di alta sicurezza -L’uso del corpo come simbolo di espressione -Conclusioni -Allegati     La gabbia d’oro     Gli echi delle eliche     Pensando, pensando     La lotta dentro e al di fuori     Intervista a Kamina Libre     Detenuti sociali -Alcuni poster e immagini -Bibliografia -Qualche domanda a Marcelo Villarroel -Poche parole su Edizioni El Buen Trato -Contributo di Marcelo Villarroel alle Edizioni El Buen Trato Totale 210 pagine Per contatti: presospolitico@anche.no [1] https://ambparigi.esteri.it/it/news/dall_ambasciata/2025/02/italia-francia-nordio-incontra-lomologo-darmanin-3-febbraio/ [2] https://www.lefigaro.fr/actualite-france/gerald-darmanin-justifie-les-prisons-haute-securite-pour-les-narcotrafiquants-pour-affirmer-l-autorite-de-l-etat-20250203 [3] https://www.emol.com/noticias/Nacional/2024/04/22/1128642/carcel-italianas-modelo-chile-crimen.html [4] https://ansabrasil.com.br/english/news/news_from_embassies/2024/09/06/italy-and-chile-united-in-the-fight-against-organised-crime_3ef7f9a4-9206-42ac-9a7b-3d89dad8b577.html [5] https://ambsantiago.esteri.it/it/news/dall_ambasciata/2024/09/lambasciatrice-valeria-biagiotti-e-il-professor-antonello-canzano-in-visita-protocollare-al-tribunale-costituzionale/ [6] https://iila.org/it/al-via-la-seconda-fase-del-programma-el-paccto-di-lotta-alla-criminalita-organizzata-transnazionale-panama-11-13-marzo-2024/ [7] https://lanemesi.noblogs.org/post/2025/02/03/anna-beniamino-fisiopatologia-del-mostro-carcerario-veleni-e-antidoti-ottobre-2024/ [8] Opuscolo “Lo Stato è guerra. Il Fronte interno della guerra. Diritto penale del nemico”
Carcere
Materiali
Aggiornamenti su Ghespe, trasferito nel carcere di Spoleto
Riceviamo e diffondiamo. Fraterna solidarietà a Ghespe! IL COMPAGNO GHESPE È STATO TRASFERITO PRESSO IL CARCERE DI SPOLETO Arrestato in Spagna il 15 febbraio con un mandato di arresto internazionale, ed estradato in Italia il 4 marzo, Ghespe è stato prima portato a Roma nel carcere di Rebibbia, per essere poi trasferito nel carcere di Spoleto. Ricordiamo che Ghespe deve scontare una condanna ad 8 anni per fabbricazione, detenzione e porto di ordigno esplosivo, lesioni personali gravissime e danneggiamento, relativa all’Operazione Panico del 2017 a Firenze con l’accusa di aver fabbricato l’ordigno artigianale rinvenuto davanti all’entrata della libreria “il Bargello” a Firenze, sede dei fascisti di CasaPound. Fin dai primi giorni della sua detenzione in Spagna Ghespe ha subito pressioni e soprusi da parte delle guardie e dai suoi aguzzini. A Rebibbia non gli è stata consegnata la corrispondenza, colloqui e telefonate sono stati autorizzati soltanto poco prima del suo trasferimento nel carcere di Spoleto. Se guardie e servi dello Stato pensano di poter utilizzare simili giochetti per spezzare la nostra vicinanza, si sbagliano di grosso. NESSUNA GABBIA FERMERÀ LA NOSTRA SOLIDARIETÀ GHESPE LIBERO TUTTE LIBERE TUTTI LIBERI Per continuare a scrivere a Ghespe Salvatore Vespertino Casa di reclusione di Spoleto Località Maiano n. 10 06049 Spoleto (PG)
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Stato di emergenza
Trento: Stecco condannato a 3 anni e 6 mesi
Trento: Stecco condannato a 3 anni e 6 mesi Ieri si è svolto, presso il tribunale di Trento, il processo di primo grado contro il nostro amico e compagno Stecco, accusato di aver favorito la latitanza dell’amico e compagno Juan e di aver contraffatto dei documenti di identità. Stecco è stato condannato – con rito abbreviato – a 3 anni e 6 mesi di carcere. Questa sentenza sembra decisamente un monito: chiunque aiuti fuggiaschi e latitanti, la pagherà cara. La condanna di ieri fa il paio con il dispiegamento davvero impressionante di uomini e mezzi che ha portato all’arresto dello stesso Stecco. Su quest’ultimo aspetto, per come emerge dai faldoni dell’operazione “Diana”, uscirà una sintesi di ciò che è utile che compagne e compagni sappiano dell’armamentario del nemico. Fuori dal tribunale, si è svolto un presidio di solidarietà con Juan e Stecco, in particolare contro l’ennesima imposizione della videoconferenza. Questo il volantino distribuito: Un calcolo sbagliato Questo è il tuo segreto, Butch. Continuano a sottovalutarti. Pulp fiction Oggi il nostro amico e compagno Stecco (in carcere a Sanremo) è a processo qui a Trento perché accusato di aver fabbricato dei documenti falsi per un altro nostro amico e compagno, Juan (in carcere a Terni), quando quest’ultimo era latitante. La cosa in sé non richiede grandi parole. Se Stecco ha fabbricato quei documenti, ha fatto bene, perché servivano ad evitare il carcere a un compagno ricercato. Sottrarsi alla polizia politica è una necessità che accompagna da sempre chi lotta per la libertà e per la giustizia sociale. La differenza è che oggi – con la fine dell’“asilo politico” su cui hanno potuto contare per decenni gli esuli e gli oppositori, e il drastico aumento delle forme di controllo tecnologico – è sempre più difficile riuscirci. Una volta introdotti, i dispositivi di sorveglianza possono colpire chiunque (come si è visto, su scala di massa, con il green pass), per cui è necessario non farsi abbindolare dai pretesti con cui vengono giustificati. Oggi Stecco non sarà fisicamente in aula perché gli è stata imposta la videoconferenza. Quest’ultima, un tempo riservata ai detenuti in 41 bis e poi agli accusati di “terrorismo”, dal Covid in poi è stata estesa praticamente a tutti i prigionieri. In tal modo, il detenuto non può vedere facce amiche in tribunale, non può difendersi adeguatamente (il confronto con l’avvocato avviene solo per telefono) e può dire la sua solo se il giudice non decide di premere un pulsante e tagliare il collegamento audio e video. Nemmeno l’inquisizione era riuscita a far sparire il corpo e la voce degli accusati. Quello di risparmiare sulle spese di trasferimento dal carcere al tribunale è uno sfacciato pretesto: ci sono detenuti che vengono portati in altri carceri dotati dei collegamenti per la videoconferenza invece di essere portati direttamente nei tribunali della stessa regione. Se poi – questa è la tendenza – in futuro le sentenze verranno stabilite dagli algoritmi, le macchine giudicheranno degli umani che aspetteranno la loro sorte dietro gli schermi: un indubbio risparmio di tempo e di carta. Al totalitarismo non si arriva mai tutto d’un colpo, né è mai esistito un potere che affermi di perseguire dei fini apertamente malvagi. La guerra viene promossa in nome della “pace”; la repressione si chiama “sicurezza”; chi si ribella è un “terrorista”. C’è però un aspetto con cui Stato, padroni e tecnocrati non hanno fatto i conti: la variante umana. Questa si esprime in mille modi: i corpi dei detenuti che si prendono lo spazio con le proteste e le rivolte; i disertori che si rifiutano di diventare carne da cannone; le disfattiste e i disfattisti che sabotano la macchina della guerra; i lavoratori e le lavoratrici che scioperano; il popolo palestinese che resiste. Il prigioniero palestinese Anan Yaeesh (in carcere insieme a Juan), accusato di “terrorismo” da uno Stato italiano complice del sistema genocida israeliano, ha scritto in una sua commovente dichiarazione di sentirsi privilegiato, lui chiuso in una cella, rispetto al suo popolo costretto a vivere tra le macerie, sotto le bombe, senza acqua né elettricità; un popolo imprigionato in un campo di concentramento high tech, ma che la strapotenza israeliana non riesce a domare. Se i partigiani palestinesi sono “terroristi”, allora diventa motivo di orgoglio essere inquisiti per “terrorismo”, come la polizia politica e la Procura stanno facendo per l’ennesima volta contro anarchiche e anarchici trentini (tra cui Stecco e Juan). Lo sbaglio dei potenti è pensare che lo spirito di rivolta e l’umano gesto di rifiuto possano essere previsti e impediti dalla smisurata potenza di calcolo delle loro macchine. Libertà per Juan e Stecco Basta videoconferenza, vogliamo vedere i nostri compagni in aula! Con Gaza nel cuore, contro guerra e repressione anarchiche e anarchici
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Bologna, 14 marzo: Haiku senza haiku, versi scatenati a sostegno di Juan
Riceviamo e diffondiamo: Venerdì 14 Marzo si terrà una presentazione di HSH a Bologna, organizzata al Circolo Anarchico Berneri da una compagna che ha contribuito al progetto inviando alcuni suoi scritti in risposta all’appello dell’Autunno 2023. Mentre il 13 Febbraio si è tenuta a Brescia un’altra udienza del processo in cui Juan è inquisito per un attacco contro la Scuola di Polizia di Brescia (POLGAI) avvenuto nel 2015. Fandonie e invenzioni varie della Digos e della Pm per sostenere un castello accusatorio lacunoso. Le prossime udienze, sempre nel tribunale di Brescia, saranno il 13 Marzo alle 9:30 e il 14 Aprile alle 10:30. Segnaliamo il contributo di Juan Sorroche Il mutuo accordo dell’anarchismo rivoluzionario non-sistemico, proseguimento della critica all’articolo L’anarchismo rivoluzionario contro la desistenza, pubblicato sul numero 7 del giornale anarchico “Vetriolo”. https://ilrovescio.info/2025/03/05/il-mutuo-accordo-dellanarchismo-rivoluzionario-non-sistemico-di-juan-sorroche/ E infine un testo scritto da Stecco nel carcere di Sanremo Il falò  Il falò come momento di comunione, come momento per stringere amicizia, per sorridere e scherzare per cantare e giocare. Il falò la sera, per far scendere qualche lacrima di nascosto, ma con le fiamme la si vede brillare per tenersi tutti le mani e continuare a pensare al nostro ideale. Il falò per fare l’amore, dove davanti ci si scotta, e dietro ci si ghiaccia, per tenersi stretti ed in sintonia respirare. Il falò per vedere dietro di te, qualche occhietto di animale, che respira e ci guarda con curiosità. Il falò per ricordare chi non c’è più, e per sentire meglio il dolore che sale. Per nominare chi è in galera e sempre con noi deve stare. Il falò per guardarsi negli occhi e senza parlare, i nostri intenti la strada troveranno per dare corpo alla nostra volontà. Il falò per stare soli un momento sentire solo il tuo parlare gettarti ancora un pezzo di legno da mangiare, per farti ancora attizzare. Il falò senza pezzi di plastica illuminati da guardare, senza rumori artificiali che ci mangiano testa e cuore. Il falò per potersi ascoltare un poco dentro, per non silenziare l’ardore che abbiamo nel petto per sentire ancora i polsi vibrare. Il falò per poter meditare ancora un momento l’azione che sta per arrivare. Tu amico mio che mi manchi come non mai illumina ancora i nostri occhi e il nostro pensare per poter ancora lottare ed amare. Carcere di San Remo Stecco
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