Riceviamo e diffondiamo:
SOLIDARIETÀ AI DETENUTI DEL CPR DI MACOMER2
Tag - Carcere
Apprendiamo con grande dispiacere che Ghespe è stato arrestato a Madrid.
Latitante dal 2023, era ricercato per una condanna a 8 anni relativa
all'”Operazione Panico”
(https://ilrovescio.info/2021/05/05/sentenza-dappello-processo-panico/).
Solidarietà con Ghespe!
Qui una velina di regime:
https://tg24.sky.it/cronaca/2025/02/15/arrestato-salvatore-vespertino-anarchico
Questo l’indirizzo per scrivere al compagno:
Salvatore Vespertino
Carretera M-609 Km 3.5
28791 Soto del Real (Madrid)
Riceviamo e diffondiamo:
Nel carcere di Udine il sovraffollamento ha raggiunto un limite insopportabile,
vi sono rinchiusi 180 detenuti a fronte di una capienza di 90 posti, dei quali
ben 57 si trovano nella prima sezione, situata al piano terra, in condizioni di
grave degrado ambientale con umidità, muffa, fili elettrici scoperti, mancanza
di tubi di scarico nei lavandini. Questa sezione è quella dove vengono collocati
i nuovi giunti, che vivono il trauma dell’entrata in carcere, i prigionieri che
manifestano problemi di disagio mentale o di tossicodipendenza e dove ci sono le
celle di isolamento.
Inoltre all’interno del carcere manca una copertura medica e infermieristica
sulle 24 ore.
Però i lavori di “riqualificazione della struttura”, tanto sbandierati dai
garanti comunali che si sono succeduti in questi ultimi anni, che prevedono
l’allestimento di aule studio, laboratori e di una sala polifunzionale uso
teatro, vanno avanti. I garanti hanno promosso lo scorso dicembre una “marcia
silenziosa e non violenta”, con tanto di rosa bianca in mano, dal duomo al
carcere “per festeggiare la conclusione dei lavori del polo culturale e
didattico e dolersi per il mancato inizio lavori per la prima sezione”, come se
questa ennesima negligenza fosse colpa del destino avverso, che è necessario
propiziarsi, o di qualche divinità, e non una precisa responsabilità
dell’amministrazione penitenziaria e dell’ASL che evita di controllare e di
intervenire sull’area sanitaria.
A lavori ultimati dunque, la “società civile” di questa società distopica potrà
provare l’emozione di andare a teatro dentro le mura del carcere, mentre nelle
sezioni i detenuti vivono in condizioni disumane, patiscono maltrattamenti
fisici e psicologici, vengono psichiatrizzati attraverso la somministrazione di
psicofarmaci e metadone.
Il garante regionale, pragmatico, già direttore del carcere di Trieste, non si
lagna, ha la soluzione per risolvere il problema del sovraffollamento: costruire
“una nuova e moderna struttura carceraria in regione” in modo da realizzare “una
sorta di bacino di espansione di fronte al flusso non arrestabile di persone
detenute, flusso che non tenderà a decrescere nei prossimi mesi e anni”. Ecco,
le persone che vengono imprigionate diventano un flusso…
Nei prossimi mesi ed anni lo Stato infatti, attraverso il Pacchetto sicurezza,
la creazione di nuovi reati, le zone rosse, il proliferare dei dispositivi di
controllo… vorrebbe chiudere il cerchio del suo dominio, attraverso la guerra a
poveri e marginali, a migranti e ribelli, alle persone detenute nelle carceri e
nei CPR, mentre è sempre più attivo nelle guerre guerreggiate con l’industria
bellica, le missioni militari, le imprese neo-coloniali, lo sfruttamento e la
devastazione della Terra e del vivente.
Qua fuori, la città di Udine, già mostruosamente militarizzata,
video-sorvegliata e blindata, è ora diventata una estesa zona rossa, invasa
dalle forze dell’ordine, con una control room e un progetto comunale di
istigazione alla delazione detto “sicurezza partecipata”.
Noi rifiutiamo di far parte di una società sottomessa che guarda un marchingegno
illuminato mentre tutto va in rovina, vogliamo invece guardarci attorno,
metterci in mezzo, cogliere gli sguardi dei fratelli e delle sorelle, dei
compagni e delle compagne, lottare insieme per continuare a lottare, ancora e
ancora…
SABATO 15 FEBBRAIO 2025
PRESIDIO SOLIDALE CON I DETENUTI DEL CARCERE DI UDINE
MUSICA, PAROLE, SALUTI, URLA DI LIBERTÀ E DI VICINANZA
Riceviamo e diffondiamo:
Domenica 9 febbraio dalle ore 15 in Cox: giornata contro il carcere e a sostegno
degli imputati e delle imputate per il corteo dell’11 febbraio 2023 in
solidarietà allo sciopero della fame di Alfredo Cospito.
Riceviamo e diffondiamo:
[…] ha l’obiettivo di privare il prigioniero della
solidarietà più naturale, quella dei figli, delle mogli,
dei mariti, delle madri che è l’unica solidarietà che la
gente qui dentro può permettersi e capire. Una
tecnica repressiva che privando della solidarietà
umana e dell’empatia disumanizza.
Alfredo Cospito – prigioniero anarchico in 41 bis
Lo Stato vuole detenere il monopolio della violenza e non perde occasione per
affermare, con tutto l’accanimento possibile, questo primato. Che il carcere sia
una forma di tortura è palese, ma quanto sia la ferocia dello Stato lo si può
capire nel fare la fila per i colloqui con familiari, amiche e amici delle
prigioniere e dei prigionieri all’ingresso del lager di Uta. Donne e uomini già
angosciati per le condizioni di chi è rinchiuso in una delle carceri peggiori
d’Italia, in cui Nordio e Gratteri (secondo la migliore logica bipartisan) sono
ansiosi di aprire il modulo 41 bis; donne e uomini estenuati ed umiliati
dall’avere passato giorni tentando di prenotare telefonicamente un colloquio
senza ricevere alcuna risposta dall’amministrazione e costretti ad implorare lo
sbirro alla porta per potere sperare di entrare; donne e uomini spesso molto
anziani e/o accompagnati da bambini anche molto piccoli, che talora perdono
giorni di lavoro, e sono costretti ad aspettare ore al freddo, sotto la pioggia
o sotto il sole cocente senza possibilità di riparo, senza un bagno, solo un
vecchio gazebo strappato, il cui interno è pieno di spazzatura.
Donne e uomini che escono dai colloqui stravolti per lo stato in cui incontrano
i loro parenti, spesso con lesioni gravi, spesso sfuggiti ad un tentativo di
suicidio, prigionieri a cui frequentemente non viene consegnata la
corrispondenza, a cui gli alimenti inviati vengono consegnati dopo essere stati
maneggiati, nel senso stretto della parola, dagli sbirri.
Lo Stato non fa altro che parlare di difendere la sicurezza, ma si riferisce
alla sicurezza di chi comanda; ogni giorno vengono introdotti nuovi reati per
riempire le carceri, profilare e colpire i poveri, chi ha problemi psichiatrici,
chi non ha un alloggio, chi soffre di un disagio, chi non si conforma alle sue
regole. Un sistema che, con i suoi sbirri, ti perseguita sino alla morte come è
accaduto a Ramy.
Perché per lo Stato valgono di più le merci che la vita delle persone.
Per questo vogliamo incontrarci di nuovo sotto le mura di questa galera per
salutare e dar voce a prigioniere, prigionieri e ai loro familiari e ribadire
che la nostra lotta e la nostra solidarietà continueranno sino a quando
esisteranno le galere e il sistema che le produce.
Un sistema che vogliamo distruggere, perché il nostro amore per la libertà è più
forte di ogni autorità.
LIBERTA’ PER ANNA, ALFREDO, JUAN, STECCO, GIULIO, PAOLO, JOAN, MADDA
TUTTE LIBERE, TUTTI LIBERI
FUOCO ALLE GALERE E AI CPR
Anarchicx contro carcere e CPR
Dopo aver appreso con piacere del “non luogo a procedere” stabilito per il
processo “Sibilla”, riceviamo e diffondiamo queste parole belle e vive dai
compagni imputati. Fuori Alfredo dal 41 bis!
Qui le dichiarazioni in pdf: dichiarazioni-sibilla-15-gennaio-2025
«Questa è la lebbra che chiamate civiltà»
Dichiarazioni spontanee di Alfredo, Francesco, Michele, Matteo, Sara e Paolo
rese durante l’udienza preliminare del procedimento Sibilla
Pubblichiamo le dichiarazioni spontanee lette (in un caso, depositata e letta
dall’avvocato per un compagno che non ha potuto essere presente) da alcuni dei
compagni e compagne anarchici imputati nel procedimento Sibilla in occasione
dell’udienza preliminare dello scorso 15 gennaio 2025 a Perugia. Fra gli
inquisiti, anche Alfredo Cospito, collegato in videoconferenza dal carcere di
Bancali (a Sassari) dove è rinchiuso in 41 bis, ha letto una dichiarazione.
Ricordiamo che l’udienza si è conclusa con il non luogo a procedere in merito a
tutte le accuse per tutti gli imputati, decretando la conclusione definitiva di
un procedimento infame che, oltre a mirare a zittire la pubblicistica anarchica
rivoluzionaria, ha avuto un ruolo importante proprio nel trasferimento di
Alfredo in 41 bis.
Per alcune ore Alfredo ha potuto ascoltare la voce dei compagni, vedere le loro
facce, ha potuto parlare, rompendo la coltre di silenzio nel quale stanno
tentando di seppellirlo. E questo è sicuramente più emozionante di qualunque
decisione presa da qualsivoglia burocrate dello Stato. In particolare proprio le
parole di Alfredo risuonano come una potente denuncia contro l’orrore
totalitario del 41 bis. Quelle impronte dei bambini sui vetri divisori della
sala colloqui dovrebbero scuotere le coscienze, di chi ancora ce l’ha una
coscienza.
Non sappiamo in che misura l’intervento dei compagni in aula abbia in qualche
modo influenzato la decisione del tribunale di non arrischiarsi in un processo
di per sé traballante. Tuttavia il 15 gennaio si è reso evidente che anche le
successive potenziali udienze avrebbero rappresentato senza dubbio alcuno
un’occasione per intervenire, spezzando la coltre di isolamento del 41 bis, da
parte di Alfredo e da parte degli altri compagni e compagne imputati.
Certamente non dovrebbe occorrere un processo come questo per avviare momenti di
mobilitazione contro la vergogna internazionale del 41 bis e, nel caso specifico
di Alfredo, da oggi le giustificazioni per l’internamento in questo regime
speciale hanno un importante tassello in meno. Per fargli pagare lo scotto di
questa contraddizione urge più che mai intraprendere altre strade e ravvivare le
iniziative contro il 41 bis e le politiche guerrafondaie e repressive degli
Stati.
* * *
Dichiarazione letta da Alfredo Cospito nel corso dell’udienza preliminare del
procedimento Sibilla
Oggi voi rappresentanti del braccio giudiziario di questa repubblica ci mettete
sotto processo per delle scritte sui muri, per le nostre parole, per i nostri
libri e periodici, costringendo di fatto l’anarchia alla clandestinità. Siamo in
buona compagnia, con questo governo a guida postfascista la censura e la
repressione si stanno espandendo a tutto il corpo sociale, accelerando la
transizione da democrazia totalitaria a un tragicomico regime da operetta. Detto
questo mi tocca ringraziarvi: dopo un anno di silenzio, grazie al vostro
imbarazzante e anacronistico procedimento penale, mi è concesso esprimere il mio
pensiero pubblicamente. Anche se da remoto, anche se per il breve tempo di un
battito d’ali, oggi posso strapparmi il bavaglio, la mordacchia medievale di un
41 bis che un governo di centrosinistra anni fa mi ha applicato per mettere a
tacere una voce scomoda, per quanto minoritaria e ininfluente, ma certo nemica
di questa vostra democrazia. Questi due anni di regime speciale mi hanno
definitivamente aperto gli occhi sul vero volto del vostro diritto, delle vostre
garanzie costituzionali, rivelandomi un sistema criminogeno fatto di
totalitarismo osceno, quanto crudo e assassino.
Oggi in quest’aula stiamo subendo un processo inquisitoriale basato su
un’intervista rilasciata con regolare posta carceraria e non come vuol far
credere l’accusa attraverso il colloquio con mia sorella, trascinata in aula per
il solo fatto di continuare imperterrita a fare i colloqui con il fratello.
Classica strategia di tutti i regimi autoritari nel mondo, usata regolarmente al
41 bis, per far terreno bruciato di ogni legame affettivo con l’esterno.
È indicativo, ad ogni colloquio che faccio, vedere le impronte delle mani dei
bambini sui vetri blindati che li separano dai loro padri o dalle loro madri. Ma
in fondo che aspettarsi da una democrazia che mette in prigione i bambini?
Naturalmente mi assumo tutta la responsabilità dell’intervista, che è il motivo
per il quale oggi mi trovo al 41 bis, come d’altronde mi assumo la
responsabilità di tutti i miei scritti, l’ultimo in ordine cronologico il
piccolo saggio sul MIL nella Spagna postfranchista scritto in Alta Sicurezza
prima di essere trasferito in questa tomba per vivi e sono certo già pubblicato
o in procinto di esserlo.
Ed è qui la particolarità di questa mia storia giudiziaria. Messo in questo
regime per farmi tacere definitivamente con l’accusa di un ruolo apicale, come
definite il mio ruolo nel vostro contorto e involuto linguaggio. Un brutto
precedente il mio, con risvolti inquietanti. L’essere riusciti a far passare la
tesi che un anarchico possa svolgere un ruolo apicale, un ruolo intrinsecamente
autoritario, quindi incompatibile con quello che è il pensiero stesso
dell’anarchia, spalanca i cancelli del 41 bis a chiunque disturbi il potere,
rivoluzionario singolo o movimento radicale che sia, oltre a rendere più facili
i procedimenti penali abnormi come quello a cui oggi mi tocca assistere da
imputato. Dico questo perché sono fermamente convinto che il mio trasferimento
in 41 bis e questo stesso processo siano fondamentalmente un attacco alla
libertà di pensiero e di stampa. È questo il fuoco della questione, il cuore di
questo processo.
La pericolosità del 41 bis non si può ridurre a un gerarca da operetta che
imbastisce una patetica trappola a un’opposizione altrettanto da operetta
(indicativo in tal senso il mio trasferimento eterodiretto due anni fa da una
sezione all’altra in vista dell’arrivo di politicanti romani per imbastire un
teatrino con comparse più utili alla bisogna). La sua reale pericolosità è
qualcosa di ben più oscuro, in potenza una formidabile scorciatoia repressiva in
caso di conflittualità sociale. Quale modo migliore per silenziare i movimenti e
le opposizioni radicali di un regime emergenziale già attivo e testato. Uno
stato di eccezione in cui molti diritti sono sospesi, in cui regna una censura
assoluta già sperimentata in decenni di pratica sul campo. Chi saranno i primi a
vivere sulla propria pelle questo regime speciale? I compagni e le compagne che
si battono per la Palestina? Gli anarchici e le anarchiche che imperterriti
continuano a parlare di rivoluzione? I comunisti e le comuniste mai arresi?
Quattro di loro sono decenni che resistono con fierezza in questo regime
nell’isolamento più assoluto, senza mai piegarsi.
Se la guerra imperialista dell’Occidente tracimerà per reazione dai confini
dell’Ucraina irrompendo nelle nostre case, se i conflitti sociali supereranno il
limite sostenibile di un meccanismo traballante, o anche solo se la transizione
morbida e graduale in regime non sarà praticabile, il 41 bis grazie proprio alla
sua patina di legalità sarà lo strumento repressivo ideale per
un’anestetizzazione sociale forzata, una sorta di olio di ricino per rimettere
in riga i recalcitranti, un golpe graduale e a norma di legge. E questo
spiegherebbe il perché di un regime emergenziale in assenza di una vera e
propria emergenza. Per fare accettare questa forzatura, questa aberrazione del
vostro stesso diritto, quale miglior cavallo di troia se non la lotta ai cattivi
per eccellenza: i mafiosi. Gente indifendibile, divenuta irrecuperabile dagli
stessi politici che prima li hanno usati per il lavoro sporco e poi seppelliti
qui dentro per evitare recriminazioni su favori fatti e mai restituiti. Un
segreto di Pulcinella che non sorprende più nessuno.
Con la scusa di combattere le mafie avete calpestato le vostre stesse leggi,
tradendo la Costituzione ne avete svelato l’inconsistenza e la sua reale essenza
di foglia di fico. Con la scusa di combattere le mafie avete messo in atto una
sorta di persecuzione etnica. Qui con me, solo calabresi, campani, siciliani,
pugliesi e ovviamente anche rom, figli impresentabili di un meridione popolato
da cittadini di serie b. Gente arrestata a volte solo per il cognome che porta.
Gente a cui i diritti in teoria inviolabili vengono negati per spingerli al
pentimento, che nella vostra aberrante concezione del diritto si concretizza
nella denuncia del proprio padre, della propria madre, del proprio fratello o
sorella. Avvocati accusati di collusione quando non si fanno intimidire da PM
Torquemada, colloqui blindati senza nessun contatto fisico o umano, colloqui nei
quali i parenti vengono incerottati in caso abbiano tatuaggi e filmati e
registrati alla ricerca di pretesti per arrestarli e inquisirli. Una spada di
Damocle sospesa costantemente sulle loro teste per terrorizzare chi imperterrito
continua a non voler abbandonare i propri cari. Un terrorismo di Stato che ha
l’obbiettivo di privare il prigioniero della solidarietà più naturale, quella
dei figli, delle mogli, dei mariti, delle madri che è l’unica solidarietà che la
gente qui dentro può permettersi e capire. Una tecnica repressiva che privando
della solidarietà umana e dell’empatia disumanizza. Arrivati a quel punto al
prigioniero si può fare di tutto perché non è più un essere umano, è solo un
numero a cui estorcere informazioni. Nel caso non si piegasse un soggetto da
torturare con un isolamento assassino, privandolo di ogni speranza, in caso di
ergastolo ostativo fino alla morte.
Una concezione del diritto degna della vostra etica. Questa è la lebbra che
chiamate civiltà.
Alfredo Cospito
* * *
Dichiarazione depositata da Francesco Rota nel corso dell’udienza preliminare
del procedimento Sibilla
Non avrei mai scritto questa dichiarazione se non avessi ritenuto che sotto
attacco vi fosse non solo un percorso di analisi e di approfondimento critico,
quindi una porzione importante della mia vita, bensì soprattutto un compagno
anarchico che lo Stato negli ultimi anni ha inteso seppellire sotto una coltre
d’isolamento tesa all’annientamento, in quanto secondo gli organi antiterrorismo
rappresentativo di una pluridecennale esperienza di lotta rivoluzionaria.
D’altronde era evidente che un trasferimento in 41 bis e una condanna
all’ergastolo equivalessero a un tentativo di annientamento. Il movimento di
solidarietà internazionale degli anni 2022-’23, con la forza delle azioni
intraprese, ha però prima rotto il silenzio e in seguito ha guastato il precario
equilibrio politico su cui si basava questo tentativo.
Dopo alcuni anni di indagini da parte della procura di Milano, volte a tentare
di collegare in qualche modo gli inquisiti a delle azioni di attacco, la procura
di Perugia ha ereditato nell’ambito di un’inchiesta su uno spazio anarchico
quegli atti di indagine concernenti la redazione e la distribuzione del giornale
per cui oggi viene chiesto un rinvio a giudizio. Arrivando a questi ultimi anni,
ecco quindi comparire la spudorata intenzione di impiegare questo procedimento
in funzione di sostegno al 41 bis contro Alfredo Cospito. Quest’intenzione,
assieme al perdurante attacco contro le pubblicazioni anarchiche rivoluzionarie
in corso nell’ambito delle politiche belliciste degli ultimi esecutivi, è
pertanto una delle ragioni per cui deposito oggi questa dichiarazione. In questo
senso esprimo nuovamente e senza mezze misure la mia solidarietà con Alfredo
Cospito, riconfermo quanto già dichiarato in sede di udienza di riesame sulle
misure cautelari il 14 marzo 2023 e ribadisco le ragioni della mia viscerale
partecipazione alla mobilitazione del 2022-’23 contro il 41 bis e l’ergastolo
ostativo.
Come agire contro la complessiva svolta tecnologica in atto da decenni,
combattendola fin da ora, prima che sia troppo tardi? Quali implicazioni nello
scontro sociale e nella lotta rivoluzionaria hanno il processo tecnologico in
corso e i mutamenti intervenuti in questi decenni nella realtà sociale? E come
attrezzarsi in tal senso? Quale scontro può avvenire in una società dove si
manifestano con estrema difficoltà delle capacità di lotta e di organizzazione
di classe? Chi sono oggi gli sfruttatori, i padroni? Questi sono alcuni degli
interrogativi posti tra le pagine del giornale sotto accusa, dove la procura
intende invece vedere a tutti i costi istigazioni e capacità orientative e
terroristiche. Tuttavia non è di questo che intendo dire: le analisi sul terreno
della lotta rivoluzionaria non sono di pertinenza dei tribunali, che per loro
stessa costituzione non possono comprendere l’essenza delle lotte degli
anarchici.
Conosco l’anarchismo da sempre e, meravigliato, senza che nessuno mi avesse
indirizzato in alcuna direzione, ho scoperto le idee e la pratica degli
anarchici dalle parole dei compagni, dal loro esempio e dagli scritti presenti
in quella propaganda anarchica che oggi viene posta sotto accusa come
istigazione a delinquere con la circostanza aggravante della finalità di
terrorismo. È quindi difficile descrivere che cosa significano per me i testi
dell’anarchismo, con la loro densità e profondità di analisi della realtà
sociale: alcuni hanno avuto la capacità rivelatrice di gettare luce su aspetti
solo apparentemente marginali che mai prima di allora avevo considerato,
riguardanti le cose del mondo e della vita nella loro globalità; altri invece mi
sconvolsero nel loro essere uno schiaffo contro ogni accomodamento e
compromesso.
L’anarchismo non implica unicamente l’esistenza di un movimento, quello
anarchico, che solo a costo di una grossolana semplificazione potremmo definire
anzitutto un movimento politico, ma è sempre stato qualcosa di più, qualcosa di
profondamente differente che parla del sogno e della possibile realizzazione di
una vita diversa, radicalmente diversa da quella attuale. L’anarchismo implica
la messa a repentaglio delle nostre garanzie, di molte nostre certezze. Lottare
per l’anarchia significa quindi entrare inevitabilmente nella dimensione del
rischio connaturato al desiderio della libertà integrale, autentica, non certo
delle artefatte “libertà” democratiche di cui tribunali, inquisitori e
maggiordomi dello Stato si ergono a paladini.
Questa mia conoscenza dell’anarchismo è quindi stata un’enorme fortuna e oggi
non posso fare a meno di pensare all’assenza di un anarchico, di mio padre, che
questa fortuna l’ha resa possibile, slegando le intuizioni del cuore dai lacci
della logica spicciola e portando in alto quel grido di libertà che urge nel
nostro cuore.
Dunque capirete che non mi rivolgo a voi oggi per mendicare qualcosa, per
avanzare delle giustificazioni, per avviare un confronto, per rinnegare qualcosa
che per me non è solo la passione di sempre, ma l’essenza indissolubile delle
mie idee, la mia stessa vita.
Francesco Rota
* * *
Dichiarazione letta da Michele Fabiani nel corso dell’udienza preliminare del
procedimento Sibilla
La retorica legalitaria vede nei processi un momento nel quale si stabiliscono
delle verità, nel quale un soggetto dotato di volontà si deve assumere volente o
nolente le proprie responsabilità rispetto a episodi dolosi. Al punto che si
viene in effetti assolti quando si accerta che l’imputato non è in grado di
intendere e di volere. Non ho mai creduto a niente del genere in tutta la mia
vita: penso che sia una paccottiglia ideologica tipica del liberalismo borghese
schiacciare la necessità, il bisogno, le condizioni materiali, la formazione
personale, gli impulsi innati dentro i concetti di colpevolezza e innocenza. Ma
oggi voglio seguire, nell’economia di questo intervento, il luogo comune. Anche
perché oggi si celebra il probabile inizio di un processo particolare, un
processo contro libri e giornali.
Che tipo di verità cela l’Operazione Sibilla? E quale responsabilità si stanno
assumendo i protagonisti?
Per coerenza comincio dalle mie, di responsabilità. Ho scritto articoli, ho
pubblicato e diffuso stampa anarchica, ho pubblicato libri anarchici. Ho
pubblicato, attraverso le Edizioni Monte Bove, il libro Quale internazionale? di
Alfredo Cospito e molti altri. E sono talmente orgoglioso di averlo fatto, che
giusto lo scorso ottobre – in un gesto volutamente provocatorio nei confronti
della precedente udienza preliminare – ne ho stampata la terza edizione.
Ci sono però delle responsabilità che si dovrà assumere anche chi sostiene
l’accusa, in un processo nel quale il corpo del reato sono libri e giornali. Lo
dico con estrema sincerità, io proprio non mi capacito di come lo Stato non
riesca a comprendere una evidenza tanto elementare: da che mondo è mondo, colui
che viene censurato, imbavagliato, internato, torturato per le proprie idee
guadagna popolarità e fama dall’azione stessa della censura. Tutti sanno chi
sono Socrate e Giordano Bruno, credo che nessuno qua dentro conosca i nomi di
Meleto o del cardinal Giulio Antonio Santorio.
Voi da che parte della storia vi sedete?
Quando si parla di responsabilità ce n’è una che è più grande di tutte e che
francamente schiaccia i tecnicismi giurisprudenziali. Quando si parla di verità,
io non posso tacere la verità più vergognosa di questo processo. Mentre
discutiamo di proceduta penale c’è un elefante nella stanza. Proprio qui dentro.
Non posso proprio sottacere lo scandalo che c’è un mio coimputato, un mio
compagno, rinchiuso in 41 bis e collegato in videoconferenza. Quando parliamo di
verità, nessuno può negare che questa indagine ha avuto un ruolo centrale nella
decisione di rinchiudere Alfredo Cospito in 41 bis. Ne ha parlato il ministro
della giustizia in parlamento, ne ha parlato lo stesso procuratore capo Cantone
durante un’audizione.
Questo è uno scandalo non solo perché il 41 bis è una vergogna internazionale,
un regime carcerario di tortura a cui nessuno deve essere sottoposto.
Soprattutto è uno scandalo perché noi anarchici le cose le diciamo chiaramente.
In questo libro, Quale internazionale?, non troverete una cabala di messaggi
criptici. Gli scritti degli anarchici non sono dei pizzini! Né troverete degli
ordini, perché gli anarchici non hanno capi e non prendono ordini da nessuno.
I libri non servono a dare degli ordini, ma a ragionare con la propria testa. I
libri insegnano a disobbedire agli ordini. Per questo fanno tanta paura.
Oltretutto questo processo genera delle interessanti contraddizioni. Si pensi al
fatto che io non sono libero di spedire questo libro, come non sono libero di
spedire il giornale “Vetriolo” ad Alfredo in carcere. Questo è semplicemente
assurdo perché è evidente che io non nascondo nelle cucitura di Quale
internazionale? una lametta, o una ricetrasmittente, o degli stupefacenti, né ho
impaginato il libro in una maniera tale che leggendolo secondo un’astuta chiave
enigmistica possa contenere dei messaggi in codice. Nemmeno l’accusa, per la
verità, lo sostiene.
Che queste disposizioni siano applicate nei confronti del nostro compagno
dovrebbe allora farci riflettere su tre importanti considerazioni. La prima, è
che il modo di pensare e di operare del carrozzone dell’antimafia-antiterrorismo
è ispirato da quello che potremmo definire il “pensiero paranoico”. La seconda,
è che queste misure sono tanto più assurde per un anarchico. La terza, è che in
effetti queste misure non hanno alcuna ragione cautelativa, ma mirano a un unico
scopo: l’annientamento del prigioniero.
Questo genera un cortocircuito anche rispetto al nostro processo. Come può
Alfredo difendersi da un’accusa che riguarda le sue idee e i suoi scritti, se
non può leggerli? Non bastano evidentemente solo le carte dell’accusa, giacché
queste contengono dei passaggi appositamente selezionati.
Ci sono inoltre contraddizioni ancora più grandi prodotte dal contesto generale.
Evidentemente inchieste come questa si inseriscono nel contesto di guerra nel
quale siamo tutti precipitati. C’è infatti uno stretto legame tra guerra e
censura. Quando un Paese è in guerra, ci sono cose che non si possono dire e ci
sono informazioni che non possono circolare. Il 41 bis ad Alfredo Cospito,
l’operazione Sibilla, leggi liberticide contro gli scioperi e le proteste nelle
carceri come quelle contenute nel ddl ex 1660 sono espressione a tutti gli
effetti di politiche di guerra.
Se da un lato questa è una necessità operativa, dall’altro essa genera anche una
contraddizione: con che faccia lo Stato italiano chiede sacrifici ai lavoratori,
fa aumentare il costo delle bollette o quello dei carburanti, affermando che
sono sacrifici resi necessari perché dobbiamo combattere contro le autocrazie, o
contro qualche perfido regime mediorientale, e nel mentre processa libri e
giornali e rinchiude gli oppositori politici in 41 bis? Uno Stato che ci
processa per i nostri discorsi violenti, nel mentre esporta armi in Israele e in
Ucraina.
Su questo terreno lo Stato è debole e un processo come questo può essere
occasione per alimentare la lotta invece che per reprimerla. L’odierna svolta
autoritaria si colloca nel contesto delle misure di guerra contro il nemico
interno. Ma tanto sferragliare di truppe non è servito a niente.
La vicenda Cospito si è rivelata un boomerang che è tornato in faccia a chi l’ha
orchestrata. Volevano chiudere la bocca al compagno e le sue idee non sono mai
state tanto diffuse. Si sono moltiplicate le pubblicazioni degli scritti di
Alfredo. Quale internazionale? ha avuto tre edizioni e sette ristampe. Ci sono
state decine di manifestazioni, cortei, scontri di piazza. L’anarchismo si è
talmente tanto rivitalizzato che sono persino nati nuovi canti anarchici, forse
dopo mezzo secolo di distanza. Ci sono state – leggo su un sito internet – quasi
centoventi azioni dirette distruttive nel mondo. Le azioni simboliche o di
disobbedienza civile, gli striscioni, le scritte sui muri, le secchiate di
vernice, l’occupazione di teatri o della sede di Amnesty o di una radio, quelle
si contano a migliaia.
Vi illudete se pensate che questo può essere fermato chiudendo la bocca a un
singolo compagno. Mentite se affermate che tutto questo è stato mosso dalla
mente diabolica di un sobillatore, di un istigatore. Peraltro in questo guaio vi
ci siete ficcati da soli. Certo, se la classe dirigente di questo Paese è
composta da Delmastro e Donzelli, da Manuela Comodi o da Roberto Sparagna,
Alfredo Cospito al confronto ci apparirà un gigante. E ancora oggi, qui dentro,
come cantava il poeta, i nani chiedono ancora censura contro i giganti che fanno
paura.
Non temo questo processo perché un processo contro libri e giornali è un
processo nel quale – persino per il grande pubblico e non solo per gli
anarchici, per i quali questo è sempre vero – lo scranno più onorevole nel quale
sedersi è il banco dell’imputato.
Non temo questo processo perché in questo processo lo Stato è debole. Quanto
successo lo scorso 10 ottobre è davvero significativo: nella mia certamente non
desiderata esperienza processuale non avevo mai assistito a un’udienza nella
quale gli imputati vogliono parlare e il pubblico ministero cerca delle
scorciatoie tecniche per ottenere un rinvio.
Pure quanto successo qua fuori è significativo; la minaccia da parte del
questore di Perugia di emettere dei fogli di via per una manifestazione nella
quale non è successo – ahimè – niente di particolarmente conflittuale, è
certamente segno dei tempi che corrono, può essere espressione in qualche modo
di una certa arroganza, ma è sicuramente soprattutto spia di tutta la vostra
debolezza.
Fosse solo per un fatto, ovvero che la semplice presenza di Alfredo – fosse pure
nella forma spettrale e fantasmatica del collegamento in videoconferenza –
rappresenta una contraddizione vivente per tutti quelli che il nostro compagno
vorrebbero tenerlo murato vivo.
Concluderei dunque con delle ovvietà. L’anarchismo non è il prodotto di un dotto
o di un filosofo, non è il raccolto di un coltivatore intensivo di cervelli, ma
è una pianta selvatica della lotta di classe. Chi agisce non ha bisogno di
essere istigato. Chi lo fa ha maturato da sé l’esigenza di lottare.
L’istigazione irresistibile è quella provocata delle ingiustizie della vostra
società.
Mentre corriamo a passi spediti verso la guerra nucleare e assistiamo impotenti
al primo genocidio automatizzato della storia, è proprio la risposta alla quella
domanda – Quale internazionale? – che oggi è di drammatica attualità. E non si
trova in nessun libro. I libri fanno solo le domande.
Se verrò rinviato a giudizio farò del mio peggio per acuire queste
contraddizioni. Cercherò di utilizzare il processo a “Vetriolo” come tribuna per
fare propaganda alle idee e alle tesi espresse su quel giornale. Soprattutto
farò di tutto per trasformare questo processo in un’occasione per sabotare il 41
bis, per dialogare con Alfredo, per comunicare con lui.
Voglio che Alfredo sappia che la lotta che ha portato avanti ha smosso le
montagne. Non ti abbattere. Sei un esempio di coerenza e di coraggio. La strada
verso Itaca è irta di terribili ostacoli, ma è anche piena di meravigliose
avventure. Ti aspettiamo a casa compagno.
Viva l’anarchia!
Michele Fabiani
* * *
Dichiarazione letta da Matteo Monaco nel corso dell’udienza preliminare del
procedimento Sibilla
Prendo parola ben contento di poterlo fare di persona questa volta.
Avrei voluto essere qui già il 10 ottobre in occasione dell’udienza preliminare
che è stata poi rinviata, ma purtroppo gli impegni di lavoro ai quali mi tocca
sottostare per campare e i millecinquecento chilometri che separano la mia
residenza da quest’aula me lo hanno impedito. Non infierirò sui grossolani
errori, di certo non miei, che hanno determinato i difetti di notifica nei miei
confronti e che hanno comportato il rinvio dell’udienza. Si qualificano da soli.
E qualificano anche molto altro in realtà. Affronto quest’udienza, così come
l’eventuale processo che ne scaturirà, con serenità. Consapevole che non ho
nulla da cui difendermi in un processo politico come questo. Orgoglioso di
trovarmi alla sbarra insieme ad alcuni dei compagni e delle compagne a me più
cari. Felice di poter finalmente salutare Alfredo ed esprimergli tutta la mia
vicinanza e solidarietà. Deciso a guardare in faccia coloro che reclamano il
diritto di giudicarmi.
Ci troviamo qui perché bisogna rispondere, in particolare, dell’accusa di
istigazione a delinquere con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine
democratico. Bene. Non mi interessa entrare nel merito delle imputazioni, né
tantomeno, come già accennato, difendermi da questi reati di opinione. Quello
che mi preme è mettere in chiaro le mie considerazioni rispetto a questa accusa.
Nella concezione che ho io dell’anarchismo, così come della vita stessa, non
esiste alcun binomio istigatore-istigato, non esistono zucche vuote da riempire,
non esistono masse da dirigere e indirizzare ed io non ho la pretesa di istigare
alcunché. Il termine stesso “istigazione” ha un’accezione negativa, subdola, che
sottintende una sorta di persuasione dell’altro tramite inganno o imbroglio o
manipolazione. Ed è proprio per questo, signori, che ritengo che non esista
miglior istigatore a delinquere dello Stato stesso. Cosa pensate che ingeneri
sentimenti di rivalsa e rivolta tra gli sfruttati e gli oppressi in tutto il
mondo? L’esportazione della guerra o gli anarchici? Siete realmente convinti che
se qualcuno decide di prendere in mano la propria vita e ribellarsi è perché
glielo hanno sussurrato in un orecchio gli anarchici? Non vi viene il dubbio che
la violenza sistemica perpetrata tramite leggi, istituzioni e apparati
repressivi, sempre indirizzata verso i proletari e sempre a difesa della
borghesia, possa genuinamente produrre un ritorno di fuoco? Qual è dunque la
questione? Se l’anarchismo propaganda idee di rivolta? Se io come anarchico
punto sulla sconfitta di questo sistema miserabile? Certo che sì. Se scrivo e
applaudo teorie e pratiche di sovversione? Mi sembra il segreto di Pulcinella.
La verità è che lo Stato, il capitale, i suoi apparati e le loro
personificazioni concrete, compresi voi, hanno paura. Non paura degli anarchici
sia ben chiaro, hanno paura che la situazione sfugga di mano, che il controllo
che pretendono di avere sul mondo possa vacillare. Ogni sistema malato tende
inevitabilmente a porsi sulla difensiva, adottando misure volte a tentare di
mantenere un equilibrio interno e cercando di annientare le minacce, siano esse
interne o esterne. Gli scricchiolii di questo squilibrio si avvertono un po’
ovunque e lentamente iniziano ad essere sempre più evidenti e soprattutto i
responsabili sempre più chiari agli occhi della gente: disastri economici,
disastri ambientali, guerre, pandemie. Le crisi, si sa, generano malcontento, il
malcontento si trasforma molto facilmente in rabbia, la rabbia scatena le
rivolte. E questo, voi tutti, non potete certo permettervelo. Perciò cercate di
agire in maniera preventiva, andando a colpire senza tregua chi la guerra ve
l’ha dichiarata già da un secolo e mezzo e chi vi considera nemici a prescindere
da crisi e malcontento, tentando di evitare che certe idee si diffondano tra chi
ha cominciato a nutrire una certa sfiducia e un certo risentimento nei vostri
confronti. Perché sono idee pericolose per la vostra stabilità e per i vostri
comodi posti nelle torri d’avorio.
Il mondo in cui voi credete e nel quale ci costringete trova la sua
realizzazione nella guerra, nell’avvelenamento, nella privazione, nel ricatto,
nello sterminio, nella repressione, nella tortura. Potrei continuare
all’infinito ma chiudo qua quest’elenco che capisco potrà essere percepito come
retorico e nulla più. Ma evidentemente c’è ancora bisogno di un po’ di retorica
se ci si ostina a far finta di non capire cosa spinge gli individui a ribellarsi
e si cerca di individuarne la causa negli anarchici. E quindi. Guerra, contro i
proletari di mezzo mondo per assicurare potere, ricchezza e supremazia ai
plutocrati del pianeta. Avvelenamento, di tutto ciò che ci circonda e dei nostri
corpi con lo schifo che siamo obbligati a respirare, mangiare e assorbire per il
profitto di quelli che difendete. Esproprio, di terre, culture e materiale umano
per l’estrazione di materie prime utili a far marciare la macchina
capitalistica, verde o a combustione che sia. E poi il ricatto del lavoro
salariato, senza il quale è impossibile sopravvivere in questa società malata e
pervasiva; schiavi condannati a svendere il proprio tempo libero per gonfiare le
tasche di padroni senza scrupoli e dove spesso si finisce ammazzati o mutilati,
ne sanno qualcosa gli operai dell’Eni di Calenzano, solo per fare un esempio. Lo
sterminio degli oppressi, come quello in corso in Palestina con il quale
fabbriche di morte occidentali fanno lauti profitti e del quale, personalmente,
vi considero tutti complici. La repressione e l’eliminazione di chi non è
conforme alla vostra idea di normalità, produttività e utilità, di chi varca le
vostre linee immaginarie che chiamate confini, di chi prova a scappare dalle
bombe che voi stessi sganciate e dalla fame che voi stessi procurate, di chi
alza la testa contro il padrone, contro le divise, contro le leggi. E la
tortura, quella che riservate a chi finisce nella vostra morsa, ma che non
riuscite a piegare; quella insita nel regime di annichilimento del 41 bis sotto
la cui coltre avete voluto murare vivo, oltre a tanti altri, il nostro compagno
anarchico Alfredo Cospito, progetto del quale la cosiddetta operazione Sibilla
rappresenta un tassello fondamentale. Per me una parte della lotta che Alfredo
ha intrapreso tra l’ottobre 2022 e l’aprile del 2023 e a cui i compagni hanno
dato seguito tramite proteste e azioni dirette a livello internazionale,
facendovi pagare lo scotto di questa spregevole disposizione, prosegue oggi qui
dentro, in questa aula di tribunale.
Da parte mia avrete solo e sempre ostilità.
Ci tengo a esprimere il mio appoggio a quanti in questi giorni scendono in
strada e se ne infischiano delle regole e della moderazione, contro il massacro
sionista e i suoi finanziatori, contro il monopolio della violenza da parte
della polizia e dello Stato.
Solidarietà internazionalista con tutti i compagni e le compagne privati della
libertà. Il mio ricordo è per Kyriakos, morto in azione ad Atene il 31 ottobre
2024, il mio affetto a Marianna, ferita nella stessa e attualmente costretta in
una cella del carcere di Korydallos.
Matteo Monaco
* * *
Dichiarazione letta da Sara Ardizzone nel corso dell’udienza preliminare del
procedimento Sibilla
Sono anarchica. Come anarchica sono nemica di questo Stato come d’ogni altro
Stato, dal momento in cui questo nella sua essenza presuppone l’esercizio del
potere militare ed economico di alcuni uomini e donne su altre persone e sul
pianeta in generale. Sono nemica di ogni forma di governo di cui questo si dota,
dal momento in cui la scelta tra democrazia e dittatura è solo quella più
funzionale a mantenere il controllo sulla popolazione o per essere più precisi:
sulla classe oppressa. Odio l’attuale ordine esistente e chi lo detiene pertanto
credo nella giustezza della violenza degli oppressi avverso le proprie catene ed
avverso chi le stringe.
Di sedere sul banco degli imputati a rispondere di danneggiamento contro delle
auto di poste italiane, azienda responsabile dei rimpatri forzosi di centinaia
di migranti scappati dalle guerre di cui l’Italia è coprotagonista non mi
provoca né turbamento né vergogna.
Quello che invece, per dirla con un eufemismo, mi lascia indignata è il
costrutto che avete fatto sull’anarchismo. Un castello di bugie volto solamente
ad aumentare anni di galera per compagni e compagne, volto solo a giustificare
l’attuazione di regimi speciali in cui altrimenti non potrebbero andare.
Pertanto la pubblica accusa ha creato un mondo, un mondo anarchico fatto di
capi, dove articoli di giornale diventano “ordini” dove c’è chi impartisce
comandi e chi li riceve dove c’è chi istiga e chi viene istigato.
La cosa più sorprendente è che quello di cui accusate l’anarchismo, in realtà, è
il vostro mondo. Davanti ogni caserma dei carabinieri campeggia la scritta
“obbedir tacendo e tacendo morir” motto che lascia un ampio margine di
giustificazione individuale per quei servi che perpetrano quotidianamente la
violenza statale. Un motto studiato ad hoc o per alleggerirsi la coscienza dalle
barbarie quotidiane o, forse, più probabilmente per smarcarsi da qualche
processo iniziato solo quando l’operato dei cosiddetti tutori dell’ordine
pubblico è troppo eclatante per essere silenziato.
La responsabilità individuale è, invece, un fondamento dell’anarchismo. Io non
prendo ordini né li do: né da nessuno né a nessuno. Agisco rispondendo solo alla
mia coscienza che non ha parametri d’interesse né di vantaggi e che rimane
l’unica voce che io possa ascoltare.
Vedere un anarchico, in questo mio processo coindagato, in 41 bis non è un
deterrente alla convinzione nelle mie idee anzi è un rafforzativo. Mi convince
sempre di più della vostra ipocrisia, mi convince sempre di più che, al di là
dell’ingiustizia del 41 bis nella sua posizione specifica, il 41 bis in generale
è tortura. Perché non si possono tenere per un tempo indefinito degli esseri
umani senza contatti fisici né senza vedere il cielo. Mi convince che c’è un
enorme differenza fra la violenza degli oppressi e quella degli oppressori: la
prima segue un etica, la seconda nessuna.
Sempre per l’anarchia.
Chiudere il 41 bis.
Sara Ardizzone
* * *
Dichiarazione letta da Paolo Arosio nel corso dell’udienza preliminare del
procedimento Sibilla
Non è mia abitudine prendere parola davanti ad una corte o ad un tribunale. Se
oggi, invece, ho deciso di farlo è perché vedo in questo provvedimento a nostro
carico alcune specificità che vanno sottolineate. Come prima cosa vorrei
precisare, però, che queste mie brevi parole non sono certo pronunciate per
fornire in alcun modo alla corte elementi ulteriori di giudizio né, tantomeno,
per giustificare in qualche modo ciò che mi accusate di aver fatto. Per quanto
siano evidenti gli aspetti paradossali e contraddittori dell’indagine di cui,
insieme a miei compagni, sono stato fatto oggetto, da una parte mi mancano le
competenze giuridiche e legali e, dall’altra, ho troppo rispetto per la mia
intelligenza e per la mia dignità per perdermi in cavilli e sottili discrimini
giuridici. Mi preme invece sottolineare, ed è questo il motivo per cui ho preso
parola, che le accuse e i provvedimenti a nostro carico oggi all’attenzione di
questa corte abbiano un carattere che certo esula dalle giustificazioni legali
di cui l’accusa ha ammantato questa vicenda. Vi sono delle scelte precise che
hanno mosso gli organi inquisitori nella scelta di condurre questa operazione,
scelte che attingono alla sfera della politica e dell’etica ben più che a quella
della legalità. Penso sia evidente a chiunque che siano quanto meno due gli
ordini di ragioni che hanno condotto a questa indagine.
Per primo, da una parte il progressivo inasprirsi delle tensioni sociali e
politiche, in Italia e nel mondo, pongono gli apparati dello stato di fronte
alla concreta possibilità di esplosioni di rabbia sociale e di rivolta contro di
loro. Dalle forme di resistenza popolare e nazionale delle popolazioni
palestinesi che si oppongono al genocidio perpetrato da Israele allo scoppio
genuino di rabbia che sta attraversando le strade in Italia a seguito
dell’ennesimo omicidio razzista da parte delle forze dell’ordine a Milano; dalle
centinaia di migliaia di diserzioni e sabotaggi che, da entrambi i lati del
fronte, sono diventati quotidianità nel conflitto di spartizione delle zone di
influenza tra la Federazione Russa e la Nato all’azione “bella e vendicatrice”
di Luigi Mangione a Manhattan; dagli scioperi selvaggi in Iran e in India alle
mobilitazioni del proletariato tedesco, sempre più le tensioni che il
capitalismo e gli stati stanno provocando suscitano un sommovimento delle masse
oppresse che rischia di sfuggire al loro controllo. Terrorizzati di perdere il
monopolio della violenza e la possibilità di sfruttare gli altri esseri umani
gli oppressori, e voi che ne difendete gli interessi insieme a loro, devono
tentare di mettere in campo politiche sempre più repressive e feroci. Politiche
di guerra, perché l’accelerarsi delle contraddizioni interne al capitale solo
guerra può portare, che hanno il preciso intento di colpire, sia all’interno dei
propri confini che all’esterno, i nemici che da sempre vengono sfruttati e
uccisi, gli oppressi.
In questo senso paiono assurde le accuse di istigazione e organizzazione a
nostro carico. L’emergere drammatico delle contraddizioni sociali non ha certo
bisogno dell’istigazione di un pugno di anarchici per dar sfogo alla propria
rabbia né le lotte degli oppressi hanno necessità di chissà quale organizzazione
clandestina per comprendere ed agire contro gli apparati dei loro oppressori. È
quanto meno un dato di fatto che da quando il giornale anarchico Vetriolo ha
cessato le pubblicazioni o da quando la vostra opera censoria ha zittito i siti
di contro-informazione Malacoda e RoundRobin il conflitto sociale non è certo
scemato ma, anzi, si è inasprito sempre di più.
Il secondo ordine di ragioni, che certo non esula dal primo ma ne è, anzi, un
tragico corollario, attinge alle “personalità” dei protagonisti di questa
vicenda giudiziaria. È in corso, ormai da decenni, uno scontro politico sulle
strategie repressive che lo stato italiano deve mettere in campo per gestire
l’inevitabile crisi e le sue conseguenze. In questo senso la Direzione Nazionale
Antimafia e Antiterrorismo rappresenta un’opzione strategica di gestione
dell’ordine pubblico che ha i propri gruppi di potere, i propri organi di
propaganda e i propri interessi specifici. Non è dunque un caso se questa
operazione, dal chiaro carattere censorio e intimidatorio, abbia avuto un peso
specifico enorme nelle decisioni di sottoporre il compagno anarchico Alfredo
Cospito al regime detentivo del 41 bis. Il 41 bis rappresenta, anche dal punto
di vista propagandistico oltre che da quello giuridico, il fiore all’occhiello
di un intero sistema di apparati volti nei fatti ad instaurare un regime da
“stato di polizia”, in cui le esigenze repressive dell’ordine pubblico siano
prioritarie nella gestione dello stato. Il compagno anarchico Alfredo Cospito è
stato così sottoposto a questo regime inumano per la giustezza e la dignità
delle sue azioni e del suo pensiero. Il tentativo, però, di demonizzarlo e di
isolarlo è fallito in primis per le capacità di lotta che lui stesso ha saputo
esprimere e, anche, per la mobilitazione di centinaia di persone in solidarietà
alla sua condizione. Una mobilitazione che, ancora una volta, non ha certo avuto
bisogno di sobillatori o istigatori per esprimersi ma che ha avuto la capacità,
grazie alla forza e all’integrità di Alfredo, di aprire delle contraddizioni
anche all’interno degli apparati statali mettendo in discussione i punti di
forza della corrente politica che fa capo alla DNAA. Ecco, quindi, che per
giustificare le scelte repressive sulla vita e sul corpo del compagno si chiede
a questa corte di aprire un nuovo processo a suo carico nell’intento di cercare
delle foglie di fico legali che possano coprire la volontà vendicatrice e
censoria degli apparati di polizia di colpire la coerenza e la dignità di un
anarchico rivoluzionario.
Queste, brevemente, sono le poche eccezioni che volevo portare. Sta ora alla
vostra falsa coscienza trovare i cavilli con cui smentire l’ovvietà di queste
affermazioni e procedere nel processarci.
Paolo Arosio
I Cpr sono i Centri di permanenza per il rimpatrio, in pratica delle carceri per
chi ha il passaporto sbagliato. Quattro persone che sono state “trattenute” in
queste strutture raccontano il prima, il durante e il dopo di questa esperienza
L'articolo Dietro quella porta. Storie dai Cpr proviene da IrpiMedia.
Riceviamo e diffondiamo:
Domenica 26 gennaio torniamo sotto le mura del carcere di Piacenza per portare
un saluto a tutte le persone recluse.
Complici e solidali con Dayvid, compagno che sta scontando in questo carcere una
condanna per devastazione e saccheggio di oltre 6 anni per gli scontri avvenuti
a Roma il 15 ottobre 2011.
Libertà per tutte e tutti
Fuoco alle galere
DUE GIORNI DI EVASIONE
Benefit prigionierx attraverso la Cassa antirepressione delle Alpi Occidentali
VENERDI 24 GENNAIO
dalle 18:30_APERTURA aperitivo e cibarie vegan
dalle
20:00 _PRESENTAZIONE
“RESPIRO”
con Marco Bailone, curatore del
progetto.
”Respiro” è una rivista di fumetti e disegni
nata nel 2020 a sontegno
dex prigionierx e di
“IN SEGNO DI SFIDA”
con l’autore, Giorgio Pratolongo.
Storia illustrata della Banda Bonnot
, edito da Red Star Press
dalle 21:00 CANTI DI LOTTA COLLETTIVI porta la tua ugola
SABATO 25 GENNAIO
dalle 11:00 PRESIDIO
al carcere di Canton Mombello di Brescia
dalle 14:30 APERTURA
dalle 15:00 LABORATORI
Laboratori collettivi di tipografia, linoleografia e
cianotipia per la creazione di cartoline da inviare ax prigionierx. Postazione
di serigrafia per stampa maglie e toppe. Porta il tuo cencio!
dalle 19:00 APERITIVO
e cibarie vegan
dalle 21:00 CONCERTO
live dei @koolantro.raymi _cumbia
distro, stampe, fanze e
birrette!
NO machi NO fasci
Riceviamo e pubblichiamo questo testo, la cui versione originale è uscita qui
(https://informativoanarquista.noblogs.org/post/2024/12/24/chile-consideraciones-sobre-la-libertad-escrito-del-companero-anarquista-francisco-solar/),
del compagno anarchico Francisco Solar. Libertà come tensione parmanente, come
esigente ricerca di coerenza, come rispetto della parola data, come conquista
tramite l’azione. Insomma, l’esatto contrario della “libertà”
(tecno-)liberale.
Considerazioni sulla libertà
Qui la versione in pdf:
considerazioni sulla liberta imp
La libertà è, senza dubbio, un principio fondamentale all’interno dei diversi
discorsi e tendenze anarchici. Costituisce l’asse cartesiano da cui partire per
elaborare proposte, progetti e pratiche, a incominciare dal concetto per cui
l’esistenza di un potere centralizzato determina le differenti oppressioni che
sottomettono le comunità e gli individui. È lo Stato, o qualunque altra
espressione del potere, ciò che genera e fortifica in sostanza questo sistema di
sfruttamento e tutte le sue conseguenze. I tentacoli, le realizzazioni e le
manifestazioni di quest’ultimo puntano in diverse direzioni – in modo ogni volta
più impercettibile – raggiungendo praticamente la totalità degli aspetti della
vita delle persone.
Intendendo la libertà come un processo permanente di riappropriazione graduale
delle nostre vite, in cui si cerca di eliminare qualsiasi traccia di autorità
che cerchi di costringerci, così come quelle che si trovano nel nostro stesso
comportamento, essa non costituisce un punto di arrivo cui dobbiamo aspirare.
Pertanto, è molto probabile che la libertà in quanto entità stabilita, come
punto culminante di un percorso, non esista, chissà che non sia solo un sogno, e
quindi, credo, il nostro sguardo non debba soffermarsi lì, bensì nel concetto di
lotta che questo concetto contiene. Come ben disse Don Chisciotte: “Più
importante è il cammino che la taverna”. Sono la costruzione di relazioni che
cercano di essere libere e la distruzione di qualsiasi espressione di autorità
ciò che dev’essere al centro delle nostre preoccupazioni e dei nostri compiti,
poiché è tramite la pratica quotidiana e l’approfondimento di questa che ci
impossessiamo di momenti di libertà.
Questo non significa che deciderci a transitare per questo cammino ci converta
in esseri liberi o che abbiamo raggiunto l’anelata libertà, bensì rappresenta
solamente un’opzione di lotta nel tentativo di liberarci dell’autorità.
Pertanto, non siamo liberi e non sappiamo se mai lo saremo, e questo senz’altro
ci rende noncuranti.
A questo punto mi sembra pertinente fare brevemente cenno alla distinzione tra i
termini “anarchico” e “libertario” che fece l’irriverente Albert Libertad
nell’articolo “La libertà” del 1907. Il primo “Non fa della libertà la causa ma
piuttosto il fine dell’evoluzione dell’individuo. Non dice, anche quando si
tratta del più piccolo dei suoi gesti: ‘Io sono libero’, bensì: ‘Io voglio
essere libero’”. Mentre il libertario concepisce la libertà come “l’inizio e la
fine di ogni cosa”, dichiarandosi libero “nei movimenti allorché il determinismo
ereditario, atavico e l’ambiente rendono schiavi…”.
L’anarchico, l’anarchica avrebbe chiaro che è imprescindibile lottare per la
libertà, il che costituisce un conflitto quotidiano con l’autorità. Al contrario
il libertario, la libertaria si sente e si crede libero, e deve difendere questa
conquistata libertà. Non vede o non vuole vedere le molteplici oppressioni cui è
sottomesso, derivate in gran parte dal Potere.
Questa caratterizzazione dei libertari e libertarie realizzata da Albert
Libertad la possiamo apprezzare nell’attualità, ad esempio negli spazi che si
autodefiniscono “sicuri”, nell’ottica della costruzione di “bolle di libertà”
che sarebbero scevre da qualsiasi forma di autorità. Questi spazi, secondo i e
le loro difensori, sarebbero alieni alle molteplici nocività dell’“esterno”,
facendo convergere la maggior parte dei propri sforzi nell’evitare – in ipotesi
e ingenuamente – l’intromissione di “condotte nefaste” nelle proprie dinamiche
interne.
Intendere in questo modo la libertà, oltre a essere un’illusione, implica un
rischio per qualunque posizionamento conflittuale, nella misura in cui pensa e
propone l’esistenza di esperienze libere nel contesto della più completa e
assoluta dominazione.
I rischi di un’illusione
Il Potere nelle sue differenti forme si trova presente in praticamente tutti i
nostri comportamenti, perché nell’attualità siamo, consciamente o
inconsciamente, riproduttori di esso, e ciò è innegabile. Per quanti
scommettiamo su una vita priva di catene, tale aspetto rappresenta evidentemente
una contraddizione che dobbiamo sempre tenere chiara e presente. Implica, tra le
altre cose, porci continuamente in discussione, il che è parte fondamentale
della nostra lotta contro l’autorità in questo percorso interminabile che si fa
a livello individuale e collettivo. Ciononostante, l’illusione di credersi
“liberi”, alieni dall’oppressione, si è installato come un argomento potente per
giustificare comportamenti che di certo ci debilitano e ci sottraggono, in
maggiore o minor misura, credibilità.
Una pratica che ha caratterizzato gli anarchici e le anarchiche nel corso della
storia è l’impegno incrollabile con la parola data, cosa riconosciuta e tenuta
in conto da tutte le tendenze rivoluzionarie e persino dai nostri nemici. Questa
caratteristica ci ha impresso un’etica particolare che ha che fare con il fare
ciò che si sostiene, con il tentare in qualsiasi maniera di essere coerenti con
le nostre posizioni. Non avendo ed essendo contrari a rigidi statuti che fissino
norme di comportamento, la parola è ciò che ci conferisce identità e ci
fortifica, ci fornisce continuità e credibilità. Tuttavia, questa ricca eredità
è cancellata con un colpo di penna attraverso il sorprendente argomento del
“rispetto della libertà individuale”.
Gli impegni presi sarebbero molte volte un ostacolo per lo sviluppo della
supposta libertà individuale, visto che si parte dal presupposto secondo cui la
priorità assoluta sono l’interesse e il desiderio personali. Ciò che chiama
l’attenzione è che questi impegni non sono frutto dell’obbligazione, al
contrario sono il risultato della volontà e dell’iniziativa personali. Pertanto,
questo modo di intendere la libertà individuale ci fa domandare: che solidità
possono avere i nostri progetti collettivi? Che serietà può tenere la nostra
parola se deve sottostare ai cambiamenti del nostro stato d’animo ed emozionale?
“Ho la libertà di fare ciò che ritengo conveniente, incluso, se è il caso, di
mancare agli impegni presi”. Questo è l’argomento che si cela dietro questa
nefasta concezione di libertà individuale, null’altro che un’infantile
giustificazione dell’irresponsabilità. Questo non solo rende impraticabile
qualsiasi iniziativa congiunta, visto che lascia installarsi la sfiducia, ma
getta pure a mare questa coerenza che è il risultato dello storico lavoro dei
compagni e delle compagne che ci hanno preceduti e che è tenuta in
considerazione come parte dell’arsenale teorico-pratico che ci distingue dalle
altre tendenze rivoluzionarie.
Analogamente alla maniera con cui alcuni spazi si sentono sicuri e alieni da
ogni forma di autoritarismo e sfruttamento, l’individuo che si crede libero
intende sostenere che ha ottenuto una conquista e che deve difenderla, pertanto
vede nella lotta qualcosa di superfluo che manca di senso. L’inazione, quindi,
va di pari passo con questa maniera di intendere la libertà, alimentando in tal
modo una convivenza pacifica con l’oppressione. Così, il conflitto con il potere
è negato e addirittura criticato perché non avrebbe ragione di esistere;
addirittura, molte volte viene visto come una minaccia che può pregiudicare la
libertà acquisita.
Un altro rischio di questa illusione libertaria ha a che fare con l’adottare
comportamenti che si trovano ai nostri antipodi. Con la scusa della “libertà
individuale” in non poche occasioni sono state fatte scelte che storicamente
sono state contrarie alle pratiche anarchiche. Penso a quei “compagni” che
decisero di andare a votare per la socialdemocrazia di fronte al timore
dell’avanzata del fascismo o addirittura a coloro che, vedendosi colpiti dalla
repressione, hanno collaborato con la polizia e tradito i compagni e le
compagne.
L’utilizzo di questo argomento è arrivato sino a casi estremi in una nefasta,
interessata e opportunista maniera di intendere la libertà. In maniera
sorprendente si ricorre alla “libertà” per rinforzare e mantenere le catene
della dominazione.
La libertà come motore per il conflitto
Albert Libertad è preciso nel segnalare che “l’uomo non è libero di fare o di
non fare, esclusivamente in base alla propria volontà. Impara a fare o a non
fare quando ha esercitato il proprio giudizio, illuminato la propria ignoranza,
distrutto gli ostacoli che lo intralciano”.
Partendo da questa base, la libertà non è qualcosa di conquistato ma, come si è
sostenuto, un percorso che si realizza tanto individualmente quanto
collettivamente, in un processo di messa in discussione permanente che mira
all’eliminazione di ogni forma di autorità. E questo percorso significa
conflitto, significa lotta contro ogni passività e inazione. Comprendere che non
si è liberi, che si vive sotto diverse oppressioni, costituisce per un
anarchico, un’anarchica, un invito alla ribellione, al fine di rompere ognuna
della catene. Rappresenta anche uno sforzo per identificare le nostre
contraddizioni e cercare di superarle, comprendendo che siamo determinati da un
contesto di dominazione che è indispensabile distruggere.
Sebbene si abbia la chiarezza che siamo soggetti a molteplici aspetti
dell’autorità, questo non ci impedisce di provare a portare avanti relazioni
lontane e contrarie a ogni forma di costrizione. La lotta per eliminare
l’autorità dalle nostre relazioni e dai nostri comportamenti è qui e ora, così
come il conflitto contro il Potere. Ed è a partire da qui che abbiamo scelto
l’informalità per organizzarci nel e per lo scontro, nella misura in cui la
flessibilità e il dinamismo che la costituiscono rendano infattibile che
prevalga la coercizione.
“Lottiamo per essere liberi”, questa è la base del posizionamento che pone la
libertà come motore della lotta e che ha spinto gli anarchici e le anarchiche a
gettarsi nel combattimento con tutte le proprie forze, e che oggi è più attuale
che mai.
Per una costellazione di individualità e gruppi di affinità per il
combattimento!
Carcere “La Gonzalina” – Rancagua
Dicembre 2024
Francisco Solar