Razzismo di Stato, Stati razzisti. Una breve storia
Osservatorio Repressione - Friday, March 29, 2024Recensione di Racismes d’État, États racistes. Une brève histoire di Olivier Le Cour Grandmaison;
di Franz Himmelbauer da Antiopées, traduzione di Salvatore Palidda
Non c’è dubbio che lo “Stato francese di Vichy” fosse uno Stato razzista [durante l’occupazione nazista il governo francese capeggiato dal general Pétain era alle dipendenze dei tedeschi vedi qui]. Si sa meno però, che la cosiddetta “Terza Repubblica” precedente aveva ben preparato il terreno[1]. E anche il Fronte Popolare [delle sinistre comunista e socialista]. Ecco cosa dice Olivier Le Cour Grandmaison:
“Le audaci riforme dei suoi leader [del Fronte Popolare] non hanno mai beneficiato ai “nativi” dell’impero. “Sudditi francesi” erano prima del giugno 1936, “sudditi francesi” rimasero dopo. Peggio ancora, il Partito Comunista [PCF] denunciò una presunta collusione della Stella del Nord Africa (ENA) guidata da Messali Hadj con elementi fascisti provenienti dall’Algeria.” Forte di questa ignobile accusa, degna dei processi stalinisti, il PCF sostenne, il 26 gennaio 1937, lo scioglimento di questa organizzazione auspicato anche dalla SFIO [il partito da cui poi nacque il Partito Socialista] e dal suo prestigioso leader, allora presidente del Consiglio, Léon Blum” (pp. 88-89).
[NT: Ricordiamo che il PCF mantenne sino alla fine la sua posizione contraria all’indipendenza dell’Algeria].
Non si tratta però di mettere tutto nello stesso sacco. Questo è infatti l’argomento del libro di Le Cour Grandmaison, come afferma il suo autore nell’introduzione:
“Il razzismo di Stato, la xenofobia istituzionale o simile, la discriminazione sistemica generata dalle politiche pubbliche o favorita dalla mancata considerazione della loro gravità da parte delle autorità e di alcuni gruppi progressisti, questi sono i gli oggetti di ricerca di questo libro. A ciò va aggiunto il preciso concetto di Stato razzista, spesso ridotto a quello di razzismo di Stato da molti maestri censori. La funzione di questa confusione, a volte mantenuta deliberatamente, è chiara: continuare a squalificare accademici, ricercatori e attivisti attribuendo loro una grande cecità che ha come conseguenza quella di mettere sullo stesso piano Francia e Sud Africa e gli Stati Uniti prima dell’abolizione, tra il 1954 e il 1967, della segregazione imposta ai neri e alle popolazioni indigene» (pp. 18-19).
Probabilmente per cautela, Olivier Le Cour Grandmaison non include lo Stato d’Israele in questa lista. Paura di vedere le sue parole distorte da virgolette troncate – seguendo lo stesso procedimento retorico di quello che ha appena denunciato – e di ricevere la famigerata etichetta di antisemita? Però, dedica una ventina di pagine dell’ultimo capitolo del suo libro (scritto prima dell’attentato e dei crimini di guerra commessi dalle organizzazioni della resistenza palestinese il 7 ottobre e della risposta genocida di Israele contro gli abitanti di Gaza) alla domanda: “In Israele : un nuovo apartheid[2]?”
Ma torniamo al libro.
Si compone di tre parti: 1) Razzismo di Stato. Origine e uso di un concetto; 2) Razzismo di Stato alla francese. Un’altra storia delle Repubbliche; e 3) Su alcuni stati razzisti.
La prima parte si fonda, da un lato, sulle tesi di Foucault sulla biopolitica, il razzismo di Stato e lo Stato razzista, così come le espose soprattutto nei suoi corsi al Collège de France del 1976 (Bisogna difendere la società)[3], dall’altro lato sugli interventi di Pierre Bourdieu, prima, durante la mobilitazione degli “immigrati privi di documenti” nel 1996 (occupazione della chiesa Saint-Bernard a Parigi, poi espulsione violenta da parte della polizia) e di Achille Mbembe[4], poi, all’epoca delle “rivolte” nei quartieri operai del 2005.
Ciò che sembra più interessante è che Le Cour Grandmaison conserva dei corsi di Foucault la confutazione delle “analisi comuni che riducono il razzismo a una “operazione ideologica” di diversione con l’obiettivo di dirottare le “ostilità che agiterebbero il corpo sociale” verso una “mitico avversario” costruito per i bisogni di questa cattiva causa”. Si tratta quindi della teoria del “capro espiatorio”, una teoria “incapace di spiegare la profondità e la permanenza strutturale del razzismo nelle società contemporanee in cui si esercita il biopotere”. Foucault si pronuncia anche contro
“il semplicismo delle interpretazioni psicologizzanti che considerano il razzismo come espressione del ‘disprezzo’ o dell’”odio’ delle differenze”, aprendo la strada a un “antirazzismo morale i cui seguaci confondono le cause e gli effetti”. Perché, “se le persone di colore sono infatti spesso temute, a volte odiate e oggetto di ostilità popolari, non è innanzitutto a causa delle loro differenze reali o presunte, ma perché sono state designate dallo Stato e da varie istituzioni pubbliche come minacce suscettibili di danneggiare gravemente la società e i membri del gruppo dominante[5]” (pp. 37-38). [si approda così a designare l’immigrato come nemico e quindi a scatenare la guerra alle migrazioni -vedi dopo riferimenti a pubblicazioni in italiano].
Leonora Miano non dice altro in L’Opposé de la blancheur (L’opposto della bianchezza), recentemente recensito[6]:
“Affinché più di un miliardo e mezzo di esseri umani – per dirla velocemente – siano ancora oggi incarcerati in una condizione simbolica e politica dovuta alla razzializzazione negativa che colpì i loro antenati diversi secoli fa, è necessario che sia messo in piedi un apposito sistema particolare. Si deve garantire, più o meno consapevolmente, che venga mantenuto”.
Secondo Foucault letto da Le Cour Grandmaison, si tratta di un “potere sovrano” che, avendo ormai la missione di difendere la vita delle popolazioni che organizza, in qualche modo crea razze, straniere, talvolta anche nazionali, razzializzandole e gerarchizzandole.”[7]
Da qui allora «l’esecrazione e la paura, […] conseguenze di questa politica e non le cause della situazione» (pp. 38-39). Foucault analizza così il modo in cui si passa dalle pratiche di razzismo di Stato agli Stati razzisti, fino al parossismo della tanatopolitica nazista[8].
Quando Pierre Bourdieu interviene a favore degli immigrati privi di documenti occupanti della chiesa di Saint-Bernard, non si tratta, secondo le sue stesse parole, di uno Stato razzista, ma piuttosto di una “xenofobia di Stato” che, dopo il dominio diretto su intere popolazioni e un vasto territorio che era quello dell’impero coloniale francese, con tutte le sue forzesi accontenta ora di fabbricare il “clandestino”, prendendo due piccioni con una fava: designando per la vendetta popolare come responsabili della crisi, della disoccupazione, ecc. e per disporre così di una riserva di manodopera che può essere tagliata e reclutata a piacimento [al nero per le economie sommerse]. Denuncia poi la discriminazione indotta dalla costruzione dell’Unione europea tra gli stranieri “europei” e gli altri[9] [NT: è la fabbricazione della “distrazione di massa” per distogliere l’opinione pubblica dai veri problemi provocati dai dominanti che ne sono responsabili[10]]. Bourdieu parlerà apertamente di razzismo di Stato.
Infine, Le Cour Grandmaison cita Achille Mbembe per la sua analisi del modo in cui lo Stato francese ha reagito alle “rivolte” del 2005 [NT: le grandi rivolte delle banlieues prima di quella dopo l’assassinio di Nahel a Nanterre nel 2023]. Sintetizzerò dicendo che Mbembe sottolinea le continuità tra l’epoca coloniale e gli anni 2000 … Così spiega lo “stato d’urgenza” proclamato dall’allora primo ministro, Domnique de Villepin, per la prima volta dopo la guerra d’Algeria. Ma anche tutta la “filosofia che sta alla base” dei dispositivi discriminatori coloniali, come il codice dell’indigenismo, filosofia che ancora prevale nei rapporti della “Repubblica” con i suoi “quartieri perduti” (le banlieues), come ha detto un saggista reazionario. Le Cour Grandmaison avrebbe potuto altrettanto facilmente basarsi sulle analisi del Movimento Immigrazione e Periferie (MIB[11]), che è stato probabilmente il primo a denunciare la “gestione coloniale dei quartieri”, pur conoscendo la situazione fatti, o anche sulle tesi di Rachida Brahim, che ha dato una dimostrazione indiscutibile del doppio standard applicato dallo Stato francese ai suoi cittadini a seconda che siano “visibili” o meno[12].
Non mi soffermerò sulla seconda parte del libro, che offre una sintesi storica molto utile e interessante sul “razzismo di Stato alla francese”, in tre punti: La violenza coloniale di ieri e le attuali pratiche di polizia; la Francia di oggi terra d’accoglienza? E le Tre Repubbliche contro i nomadi e i rom. È quest’ultimo punto che attira maggiormente attenzione, essendo i due precedenti già stati esplorati un po’ di più da vari autori. L’implacabilità delle ultime tre Repubbliche (in poco più di un secolo e mezzo) è infatti edificante: i nomadi furono oggetto di stupefacenti misure normative volte a immobilizzarli, (anche se ciò avvenne spesso, e in modo ancora più tragico durante la Seconda Guerra Mondiale, quando furono rinchiusi in campi di concentramento dai quali solo alcune/i uscirono … nel 1946!). In seguito, la polizia ha sperimentato le sue “armi non letali” – flashball, ecc.- contro i “giovani delle periferie”, generalizzandone l’uso prima contro gli zadisti, i gilet gialli e i manifestanti contro la riforma delle pensioni, l’amministrazione francese ha messo a punto documenti d’identità e targhe su nomadi prima di estenderli poi a tutti. Sebbene le disposizioni giuridiche più discriminatorie siano state abolite nel … 2017! ciò non ha cambiato il razzismo istituzionale che ancora sperimentano i rom. Sappiamo abbastanza bene in quali condizioni indegne essi e, più in generale, “la gente di viaggio” è “accolta” tra autostrade, ferrovie e fabbriche inquinanti, quando non è loro semplicemente rifiutato l’accesso ai terreni liberi. Riguardo al trattamento indegno dei lavoratori immigrati, Simone Weil, citata da La Cour Grandmaison, ha detto: “Mi vergogno di coloro ai quali mi sono sempre sentita più vicina. Mi vergogno dei democratici francesi, dei socialisti francesi, della classe operaia francese”. Leggendo ciò che da tanto tempo la Repubblica fa ai nomadi, anch’io mi vergogno di essere francese[13]. Anche se non mi sono mai sentito vicino a Sarkozy, Valls e altri.
La terza parte del libro è quindi dedicata ad alcuni Stati razzisti. Olivier Le Cour Grandmaison parla delle “origini coloniali del regime di apartheid in Sud Africa”, di “180 anni di Stato razzista negli Stati Uniti” (dal 1787 al 1967) e del “nuovo apartheid” in Israele (con un punto interrogativo, come ho sottolineato sopra). Senza entrare nei dettagli nemmeno qui, ciò che mi colpisce è che potremmo applicare altrettanto facilmente le parole “origini coloniali” ai tre casi studiati. Perché si tratta infatti di tre imprese coloniali, anche se con modalità diverse dal punto di vista storico. D’altro canto, se l’apartheid è stato abolito in Sud Africa e la segregazione razziale negli Stati Uniti[14], purtroppo sono sempre più attuali in Israele. Si capisce bene che questo paese, o più precisamente la sua componente razzista e guerrafondaia, ha inserito disposizioni razziste nelle leggi fondamentali che costituiscono la sua Costituzione nel 2018, ma forse non ha la prospettiva di mantenere un apartheid che manterrebbe i palestinesi in ghetti carceri a cielo aperto, ma piuttosto punta a liberarsene con ogni mezzo, uccidendoli o espellendoli con la forza. Dopotutto, altri sono riusciti – o quasi – in questo tipo di imprese, come gli Stati Uniti che sono riusciti quasi a sterminare tutti i loro aborigeni, così come l’Australia, che è riuscita quasi a sterminare i suoi.
La conclusione di Le Cour Grandmaison non è certo ottimistica. Confronta la questione del razzismo con quella del clima: disponiamo, dice, di una massa di informazioni che non lascia dubbi su ciò che potrebbe accadere se proseguiamo sulla strada che abbiamo intrapreso. Eppure continuiamo ad accelerare. Ciò che sta accadendo oggi a Gaza, con la tacita approvazione dei governi occidentali (e alcune proteste formali) e ne è un sinistro esempio l’esplicita approvazione degli Stati Uniti, che prima hanno appena posto il veto al Consiglio di Sicurezza contro una risoluzione che chiedeva un cessate il fuoco e solo ora -quasi fine marzo si sono solo astenuti.
(Franz Himmelbauer, per Antiopées, le 25 février 2024)
Fra i libri sulla criminalizzazione razzista si vedano anche :
Razzismo democratico (scaricabile gratuitamente, in francese; Migrations critiques, Karthala, Parigi 2011, in inglese Racial Criminalization di Migrants in the 21st Century, Londra: Ashgate/Routledge, 2011; in spagnolo:
Criminalizacion racista de los migrantes en Europa)
Polizie, sicurezza e insicurezze: https://www.meltemieditore.it/catalogo/polizie-sicurezza-e-insicurezze/
Note:
[1] A questo proposito si legge, tra gli altri, dello stesso Olivier Le Cour Grandmaison: Coloniser, exterminer. Sur la guerre et L’État colonial, Fayard, 2005 ; La République impériale. Politique et racisme d’État, Fayard, 2009 ; De l’indigénat. Anatomie d’un ‘monstre’ juridique : le droit colonial en Algérie et dans l’Empire français, La Découverte, 2010.
[2] Noto anche qui la cautela di questa formulazione, mentre la nozione di apartheid israeliano è ormai ampiamente riconosciuta non solo dalle ONG israeliane e internazionali, ma anche dagli organismi delle Nazioni Unite. Su questa questione è facile scoprirlo guardando alcuni dei numerosi articoli ad essa dedicati sui siti Agence media Palestine o Orient XXI.
[3] Ora in versione economica https://www.ibs.it/bisogna-difendere-societa-libro-michel-foucault/e/9788807894015 Scrive il recensore: Credo valga la pena citare l’inizio del capitolo dedicato a Foucault: “[Nel 1976 al Collège de France] intraprese un percorso ambizioso e complesso: analizzare l’emergenza e le molteplici conseguenze di un biopotere la cui funzione essenziale è quella di “difendere la società contro tutti i pericoli biologici” legati, tra l’altro, all’esistenza di razze diverse. Si presentano così il “razzismo di Stato”, volto a preservare l’integrità e la superiorità razziale della popolazione sulla quale i poteri pubblici esercitano il loro potere sovrano, e le guerre razziali combattute soprattutto nelle colonie soggette ad estrema violenza.” E c’è un’osservazione in proposito -scrive Le Cour Grandmaison: “sul contesto politico dell’epoca, poiché nessun funzionario si espresse contro il filosofo e il contenuto dei suoi insegnamenti, né la vice-ministra per le università, Alice Saunier-Seïté, né il potentissimo ministro dell’Interno, eppure persone poco sospetti di lassismo. I loro lontani successori oggi [Macron e Darmanin, ministro degli interni], che si dicono così moderni e liberali, non hanno né questa prudenza né questa modestia …” (p. 31-32). Basti pensare, infatti, alla caccia alle streghe “islamo-disinistra” o, ancora più recentemente, alla denuncia degli “orrori wokisti” [e dell’intersezionalismo].
[4] NT: Achille Mbembe merita però di essere criticato per aver accettato l’invito di Macron à far parte di un Comitato a sostegno del progetto che mira a ridare onore alla Francia cancellando il passato coloniale attraverso il perdono e la “riparazione -che in realtà sono aleatorie o mai pervenute tant’è che -fra altri- l’Algeria non ha condiviso questo progetto vedi qui https://effimera.org/lattuale-questione-neocoloniale-versus-la-riparazione-e-il-perdono-del-colonialismo
[5] Sull’argomento si veda anche Olivier Le Cour Grandmaison, Ennemis mortels. Représentations de l’islam et politiques musulmanes en France à l’époque coloniale, La Découverte, 2019. (La recensione qui.)
[6] Rivista Antiopées. L’Opposé de la blancheur
[7] NT: Ricordiamo che in Italia il razzismo antimeridionale sin dall’Unità nazionale non è mai scomparso. E si è sviluppato anche un processo di etnicizzazione che assomiglia a quello del fasullo meltingpot statunitense producendo quindi la riproduzione della gerarchizzazione sociale che alimenta anche il razzismo di alcuni meridionali immigrati al nord nei confronti degli immigrati stranieri e anche fra questi cioè fra gli integrati da più tempo e i più recenti. L’utilità di questa riproduzione del razzismo è evidente con l’ascesa anche del caporalato “etnico” che permette supersfruttamento e persino neoschiavitù degli ultimi immigrati da parte dei più anziani sempre per conto degli autoctoni e questo anche in grandi imprese come Fincantieri attraverso il subappalto (vedi qui https://effimera.org/il-furore-di-sfruttare-e-di-accumulare e qui: https://effimera.org/lambigua-enfasi-sullimprenditorialita-degli-immigrati.
[8] Sulla tanatopolitica in versione liberista vedi: https://effimera.org/far-morire-lasciar-morire-la-scelta-tanatopolitica-del-governo-meloni-e-dei-suoi-ministri e “Major changes in “migrations e borders” after the “revolution” of globalized liberalism”: https://www.elgaronline.com/display/edcoll/9781839108891/9781839108891.00019.xml
[9] Rappresentanti britannici, ben informati sull’understatement, nel contesto dei dibattiti all’interno delle istituzioni internazionali hanno parlato di: “minoranze visibili” a proposito dei “non europei”…
[10] [NT: Sin dall’inizio (anni ‘70) l’immigrazione straniera in Italia si situa nel contesto della controrivoluzione liberista; la sua gestione è quindi arrangiata in modo da assicurare la riproduzione continua della precarietà e di sena permesso destinati alle economie sommerse che in Italia arrivano a oltre il 35% del PIL (stima Eurispes). Questo si è accompagnato da une perpetua razzializzazione e criminalizzazione soprattutto di quelli che cercavano e cercano di sottrarsi al lavoro super sfruttato o da neo-schiavi o si rivoltavano a tale condizione (il quadro legislativo è servito a garantire innanzitutto questa riproduzione di manodopera al nero attraverso una durata molto limitata dei permessi di soggiorno, l’enorme difficoltà a accedere all’immigrazione regolare e al rinnovo dei permessi, procedure spesso molto costose e in mano a bande di “mediatori” magliari fra i quali sbirri, avvocati azzeccagarbugli, caporali ecc). E’ per questo che noi abbiamo cercato di capire i meccanismi dell’integrazione regolare parallelamente a quella al nero e a quella nelle attività “devianti” (spaccio, piccola ricettazione, venditori ambulanti di merci fabbricate al nero o di origine ignota (che son le stesse prodotte per le grandi marche come Gucci, Dior, Prada ecc].
[11] Purtroppo, non si trova più molto del MIB in rete: si può trovare di più sul MIB. Tranne questo testo del 2007 sul Forum social des quartiers del 2007, che ancora oggi dà una panoramica di cosa fosse questo movimento. La voce Wikipedia riporta una piccola bibliografia con alcune interviste e articoli tratti dalla stampa quotidiana e dalle riviste (https://fr.wikipedia.org/wiki/Mouvement_de_l%27immigration_et_des_banlieues ).
[12] Nel suo eccellente La Race tue deux fois, che recensito qui.
[13] Da leggere al riguardo: Lise Foisneau, Kumpania. Vivre et résister en pays gadjo, Wildproject, 2023 (ne ho parlato qui).
[14] Con tutte le riserve del caso riguardo al razzismo quotidiano – e molto spesso mortale – che ancora imperversa negli Stati Uniti. Non ho molte informazioni sul Sud Africa, quindi non dirò nulla al riguardo.
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