Scuola, se a parlare di violenza di genere sono carabinieri e Rotary Club

NapoliMONiTOR - Tuesday, January 21, 2025
(archivio disegni napolimonitor)

Venerdì 17 gennaio il liceo Pitagora, al Rione Toiano, periferia di Pozzuoli, ha ospitato l’incontro “Il coraggio di parlare. La forza di ascoltare”, promosso dal Rotary Club Campi Flegrei sul tema della violenza di genere. All’evento hanno partecipato diverse figure istituzionali: il sindaco di Pozzuoli Luigi Manzoni, la presidentessa del Rotary Club Emilia Annunziata, l’assessore alle politiche sociali di Pozzuoli Fabiana Riccobene; e poi ancora, tra gli altri: Antonella Sica, presidente della commissione sulla violenza di genere del Rotary, Shervi Haravi, attivista e funzionaria del ministero della giustizia, la tenente Maria Virgilio, comandante della stazione dei carabinieri di Pozzuoli.

Un gruppo di studenti legati alla casa del popolo Villa Medusa di Bagnoli ha organizzato quella stessa mattina un volantinaggio all’ingresso della scuola, dove c’erano più di cinquecento tra ragazzi e ragazze, preoccupati soprattutto dal dover entrare in tempo in classe per evitare grane.

Il volantino criticava l’ipocrisia dell’approccio istituzionale alla violenza di genere. Gli studenti sottolineavano come la narrazione dominante si concentri sulla “caccia al mostro” e sull’invito alla denuncia individuale, trascurando le radici strutturali del fenomeno e i meccanismi di esclusione sociale che colpiscono i soggetti più vulnerabili. Inoltre, veniva evidenziato il paradosso di affidare l’analisi su un fenomeno così complesso a istituzioni come le forze dell’ordine e il Rotary Club, elementi pienamente integrati in un sistema sociale e di potere che ha una incidenza tutt’altro che secondaria sul problema della violenza di genere.

Molto dura è stata la denuncia dei manifestanti contro le cosiddette politiche istituzionali “di prevenzione”, incapaci di arginare la violenza, come dimostrano i dati: solo nel 2024, in Italia, centodieci donne sono state uccise, per lo più da un loro partner o familiare di sesso maschile.

La maggior parte degli studenti ha preso in consegna il volantino: qualcuno si è fermato per chiedere informazioni, altri si sono detti d’accordo, ma non c’è stato molto dibattito. I ragazzi dei diversi indirizzi – classico, scientifico, scienze applicate – sembravano per lo più accomunati dagli zaini pesanti e dall’aria assonnata e non sono mancati quelli che passavano oltre senza fermarsi o gettando appena uno sguardo.

Giorgia, studentessa, ha spiegato di aver provato più volte a proporre la nascita di un collettivo, ma di essere stata frenata dai rappresentanti di istituto. La difficoltà ad aggregare gruppi anche piccoli di studenti è certamente legata alle riforme scolastiche di questi anni, il cui il culmine sembra essere quella Valditara, che stabilisce, tra le altre cose, la bocciatura con il 6 in condotta: un provvedimento che limita ulteriormente la libertà degli studenti, che fanno enorme fatica anche solo a pensare che si possa cambiare qualcosa insieme.

La situazione strutturale del Pitagora è emblematica della difficoltà che hanno gli studenti a elaborare una riflessione complessiva sulle condizioni in cui si trovano a “fare scuola”: da tempo, qui, si ricorre per esempio al sistema della “rotazione”, perché non ci sono classi per tutti. Una forte limitazione del diritto allo studio, che però molti studenti percepiscono come un vantaggio: meno giorni a scuola significa meno stress, meno interrogazioni e compiti classe. Un’altra questione delicata riguarda i viaggi d’istruzione, che non sono accessibili a tutti: le famiglie in difficoltà economica spesso non riescono a sostenere le spese, rendendo queste esperienze, che dovrebbero essere formative, un privilegio per pochi.

Obiettivamente difficile, in un contesto così ostico per lo sviluppo e la condivisione di una coscienza critica come è la scuola oggi, che gli studenti possano mettere in discussione il senso propagandato di certe iniziative, che hanno come unico fine quello di rafforzare le relazioni istituzionali e di potere. Lo stesso titolo, “il coraggio di denunciare”, più che analizzare le cause più profonde del problema ha come unico obiettivo colpevolizzare chi commette violenza. È come mostrare un quadro visibile a metà, oscurando le cause sociali e culturali alla base del fenomeno, e l’ambiguo atteggiamento di forze dell’ordine e istituzioni politiche, che tra l’altro sulla gestione patriarcale dei rapporti sociali e professionali fondano buona parte del proprio equilibrio.

Le donne che non denunciano la violenza lo fanno anche, per esempio, per paura di non essere credute o di non ricevere supporto dalle forze dell’ordine. A un aumento delle chiamate al numero antiviolenza 1522 (quasi diciottomila solo nel primo trimestre del 2024) non corrisponde una diminuzione delle violenze sessuali e dei femminicidi. Anche i reati online, come sextortion e revenge porn, sono cresciuti del 9% dal 2023.

Gli studenti che hanno protestato al Pitagora hanno chiesto che a esprimersi su questi temi non siano sempre e solo soggetti esterni alla scuola, e percorsi di autoeducazione: formazione degli insegnanti, presenza di psicologi e psicoterapeuti, lavoro all’interno di spazi didattici e non, organizzato insieme agli studenti e le studentesse. I nuovi fondi destinati alla già carente educazione sessuale nelle scuole, invece, verranno usati (lo ha dichiarato il ministro Luca Cirani) principalmente per formare gli insegnanti su fertilità e prevenzione dell’infertilità.

Non è la prima volta che gli studenti di questa scuola si trovano a dover affrontare interlocutori così ambigui: l’anno scorso, durante un altro incontro dedicato alla violenza di genere, un tenente colonnello aveva definito “ottimo” il sistema di sicurezza a tutela delle donne. Giorgia racconta di aver obiettato a questo assunto, dato l’alto numero di femminicidi, criticando anche la scelta di coinvolgere le forze dell’ordine in un contesto scolastico. Il tenente colonnello, alzandosi con fare vagamente intimidatorio, e raccogliendo l’approvazione dei docenti e di una parte degli studenti, le ha chiesto di portare dati concreti a sostegno della sua tesi, affermando che avrebbe potuto facilmente smentirli con le sue esperienze. Evidente già in quel caso fu l’ipocrisia di coinvolgere militari (così come ricchi e influenti imprenditori, al vertice di un sistema che alimenta e si fonda sulle disuguaglianze, comprese quelle di genere) in queste iniziative, che presupporrebbero una capacità di mettere in discussione la propria persona e il proprio ruolo sociale, cose che queste due categorie non sembrano disposte a fare.

A ulteriore conferma di come le forze dell’ordine non possano essere un interlocutore accreditato a esprimersi sul tema della violenza di genere, basta guardare a quanto accaduto di recente a Brescia, dove le attiviste di Extinction Rebellion hanno denunciato abusi da parte degli agenti, e raccontato di essere state costrette a spogliarsi nude in questura, mentre gli uomini non hanno subito lo stesso trattamento. Inoltre, le donne sono state obbligate a compiere atti umilianti, come fare piegamenti sulle gambe davanti a un numero non precisato di agenti, pratiche che alcuni tra i centri antiviolenza del paese hanno condannato come vere e proprie violazioni dei diritti umani. (serena bruno – laboratorio di narrazione)