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Mo’ basta! La protesta dei lavoratori Gls a Napoli
Fotografie di Mario Spada Nel pomeriggio di ieri un gruppo di lavoratori dell’azienda Gls, organizzati nel sindacato Sol Cobas, si è radunato davanti la sede dell’Unione Industriali di Napoli, a piazza dei Martiri, e ha esposto un lunghissimo striscione con scritto: “Ordini con un clic, le mie ossa fanno crac. Corro sempre, ‘o pacco pesa, pochi soldi a fine mese. Mo’ basta!”.  I lavoratori denunciano continui licenziamenti e sospensioni di massa legate allo stato di agitazione che da mesi portano avanti per ottenere il rispetto dei contratti, in particolare su scatti di anzianità, malattie e infortuni, una retribuzione più equa, condizioni di lavoro generali umane. In Italia la Gls è presente con oltre centocinquanta sedi e tredici centri di smistamento, per un fatturato che supera i centocinquanta milioni di euro annui.  
November 17, 2024 / NapoliMONiTOR
Spina Tremula. Le foto di Spada e Ippolito negli spazi del Chikù a Scampia
(foto da: spina tremula) Fino al 31 dicembre sarà possibile visitare Spina Tremula, la mostra di Mario Spada e Gaetano Ippolito allestita negli spazi del centro Chikù (largo della Cittadinanza attiva – viale della Resistenza, Comparto 12) a Scampia. Insieme all’esposizione, quindici giovani della città verranno coinvolti in un laboratorio di narrazione e di fotografia stenopeica. Martedì 12 novembre, alle 12:00, sempre da Chikù, sarà possibile incontrare e discutere con gli autori della mostra.  Spina Tremula è il lavoro presentato il 24 ottobre nella sede di Chi rom e chi no da Mario Spada e Gaetano Ippolito, artisti napoletani di casa al Centro di fotografia indipendente di piazza Guglielmo Pepe, in zona Porta Nolana. Spada ne è fondatore e insegnante; Gaetano, cresciuto nell’area nord, vi è entrato come studente e ora insegna anche lui, specializzato nelle pratiche di sviluppo e stampa in camera oscura. Se appare evidente la differenza generazionale in Gaetano e Mario, entrambi i loro lavori sono realizzati a Napoli e partono dalla raccolta di migliaia di fotografie. La selezione qui riunita corrode i confini tra le due sequenze per la scelta di abbandonare l’ordine autoriale. Ragionano entrambi sulla possibilità della perdita del nome, confondono le ricerche per smarrirsi e spostare chi osserva; e chi legge, a partire dal titolo. La firma che sgomita per accedere agli spazi espositivi del mondo dell’arte e del mercato, a Napoli e altrove, dove bandi, call e residenze basano festival e campagne di produzione sul principio della competizione, trova spazio di rivolta in Spina Tremula. Lo stesso vale per la produzione del lavoro durante il processo di realizzazione. Una sincerità asciutta e reciproca vive nel confronto quotidiano tra i due. Ciascuno ha scelto per l’altro le immagini da selezionare e da escludere per la costruzione della mostra, portando a confondersi i due sguardi sulla città. “Nelle opere si vuole uscire da uno sguardo confortevole – incide Spada – su una città che non è possibile raccontare attraverso la fotografia”. Il suo lavoro è radicato nell’incertezza; le fotografie non descrivono, ma fanno sussultare direttamente la vista, e tremano non soltanto nello scatto, ma amplificano tale tremore sino al corpo eretto di chi guarda. Arrivare a chiedersi: se questa non è la città che viene raccontata, e neppure quella che conosco, dunque dove ci si trova, per dove arrivare? La posizione è altresì spinosa, e tremula; si abbassa china sulle zampe del cane che incontrano i piedi minuti del neonato; e si apre al cielo, affrontando la gravità del tuffo dall’alto; sta alle spalle di una muta alata, piccola e pronta all’incontro con il paesaggio scuro; avverte posizioni laterali, del passeggero attratto dall’incavo del vagone, che distrattamente possono sfuggire allo sguardo addomesticato. La possibilità di veder stampate in tali dimensioni e in qualità fine art queste fotografie può provocare l’inciampo di percorsi di vita di ragazzi e di ragazze che quotidianamente attraversano il centro Chikù; chissà che qualcuna e qualcuno, di fronte a queste non si innamori dell’atto, e trovi nei laboratori che verranno avviati nel centro la possibilità di comunicare le proprie inquietudini. Raggiungere lo sguardo di più ragazzi potrebbe essere il proseguimento della tensione sprigionata da questa iniziativa, alimentando il discorso e l’incontro intorno alla fotografia, che in quanto scrittura con luce non si riduca alla stampa posizionata, ma che allacci un percorso cominciato dalla postura dell’artista che sceglie di essere occhio testimone, e di non voltarsi di fronte agli eventi quotidiani speciali, orrendi, semplici o normali, ma di sostare prossimo a questi, qualificandoli nel quadro, tramite ciò che sta al di fuori, ciò che sta alle spalle, nella creazione di un proprio tempo che tenta di sabotare il dispositivo. La mostra è per Spada anche un’occasione che consente di guardare a muro le fotografie, per alimentare la motivazione a cercare gli ultimi fondi che mancano alla pubblicazione dell’atteso libro Spina, dopo un anno di lavoro di editing condiviso con Patrizio Esposito. La mostra rientra nella cornice dell’Ecomuseo diffuso di Scampia, un tentativo di unire il patrimonio materiale e immateriale del quartiere, che attraversa lo spazio pubblico con uno sguardo critico che taglia la neutralità apparente rispetto la narrazione dei luoghi, e risalta le trasformazioni avviate dal basso e contro le possibilità negate a quegli spazi a oggi chiusi e inaccessibili, ancora una volta privati ai cittadini. L’ultimo lavoro apparso in città di Gaetano Ippolito era stato installato al Giardino Liberato, per i due eventi Family Jewels curati da Chiara Pannunzio. Insieme a Lia Morreale, Gaetano aveva allestito la stanza come fosse l’occhio saturato dallo stratificarsi delle immagini di violenza, che nell’esporsi si abitua. Centinaia di immagini al muro, a terra tre schermi di televisori catodici, mostravano i resti dei materiali dai quali le immagini venivano estrapolate. Uno di questi una scritta: nell’invito a prenderne parte attivamente. Invito alla distruzione. Nello strappare le immagini, e portarle con sé. Spina Tremula, citando l’intervento di Maurizio Zanardi durante l’apertura, vuole “fare inciampare quella maledetta fotografia della città. L’immagine di Napoli non compare mai nelle foto di Spina. Napoli viene dimenticata. Solo così è possibile ricordarla, attraversandone le membra scritte con la luce”. (leonardo galanti)
November 11, 2024 / NapoliMONiTOR
La violenza e l’attesa. Gli ultimi nove mesi degli abitanti del Frullone
(disegno di martina di gennaro) L’architetto Eyal Weizman ha pubblicato nel 2008 un testo intitolato À travers les murs. L’architecture de la nouvelle guerre urbaine, uno studio sul ruolo dell’architettura nelle tattiche militari utilizzate da Israele durante la seconda Intifada nei territori e nelle città palestinesi. Il cuore della sua analisi è rappresentato dal concetto di “spaziocidio” – titolo di un altro suo saggio – che rimanda a un uso dello spazio, dell’ambiente e dell’architettura come strumenti per annientare il nemico. Molte delle osservazioni dell’autore si basano sull’analisi delle tattiche e dei discorsi dei generali israeliani Kochavi e Hirsch, responsabili dei fallimenti militari nel 2006 rispettivamente a Gaza e in Libano.           Kochavi, dopo un’offensiva a Gaza da lui coordinata, che aveva causato centinaia di vittime civili e distrutto varie infrastrutture, aveva riassunto il principio della sua strategia con queste parole: “Il nostro obiettivo è quello di creare confusione dal lato palestinese, di saltare da un ambiente all’altro, di lasciare all’improvviso una zona, e poi di tornarci… Sfrutteremo tutti i vantaggi propri del ‘raid’ piuttosto che dell’occupazione”. La stessa strategia veniva privilegiata da Hirsch, come si legge da alcune istruzioni date ai suoi soldati: “Le forze devono realizzare un’infiltrazione su larga scala per un raid che non lasci traccia; stabilirsi rapidamente sulle zone di controllo, poi creare un contatto letale con le aree costruite (‘sciame’), suscitare un effetto di shock e stupore capace di paralizzare ogni tipo di intervento, poi passare alla modalità della dominazione, parallelamente a una decostruzione sistemico-spaziale dell’infrastruttura nemica (occupazione)”. Nonostante i discorsi dei due generali siano stati criticati anche in seno all’esercito israeliano per il loro intellettualismo e gergo astratto, la teoria militare che esprimono può aiutarci a cogliere le sfumature di alcuni fatti recenti. Sono passati nove mesi dal tentativo di sfratto dell’8 febbraio scorso che ha visto coinvolti gli abitanti di una palazzina di proprietà dell’Asl al Frullone, nell’area nord di Napoli. Qui vivono dagli anni Ottanta nove famiglie, per un totale di una quarantina di persone. Sono assegnatarie di alloggi popolari nelle vecchie graduatorie di edilizia residenziale pubblica, ma non hanno mai ricevuto la casa e nel frattempo sono state riconosciute dal Comune come occupanti. La direzione generale dell’Asl con a capo Ciro Verdoliva intende rientrare in possesso dell’edificio, all’interno di un ex manicomio, e ha avviato la procedura di sfratto. Dopo una serie di rinvii, l’8 febbraio scorso sono arrivati gli avvocati di Verdoliva, assistiti da forze di polizia, agenti antisommossa e pompieri, ma gli abitanti sono riusciti a barricarsi all’interno del palazzo e dopo lunghe ore di tensione, hanno ottenuto l’apertura di una trattativa con il Comune e un nuovo rinvio.  In questi nove mesi, la vertenza è stata scandita da continui rimandi, silenzi e rimpalli istituzionali. Il Comune ha provato a scaricare le responsabilità sulla Regione e viceversa. Ogni comunicazione è stata concessa dai piani alti solo dopo lunghi presidi degli abitanti davanti alle sedi istituzionali, e in una di queste occasioni la vicesindaca Laura Lieto non ha nemmeno accolto i propri interlocutori a palazzo San Giacomo, ma li ha incontrati sulla soglia, congedandoli dopo vaghe promesse. Di queste promesse, quella ricorrente riguarda degli appartamenti (a volte sono cinque, a volte sono sei) che potrebbero essere assegnati a una parte delle famiglie con affitti calmierati, ma non si ha alcuna notizia certa o comunicazione ufficiale di questo impegno, e non si sa nemmeno esattamente dove si trovino questi appartamenti, né a quanto ammonterebbe il fitto. Quando torno al Frullone è appena cominciato novembre, il mese in cui le case promesse prima dell’estate dovrebbero essere pronte. Una delle abitanti mi racconta: «Ci sentiamo presi in giro perché il Comune non fa altro che rimandare. La vicesindaca ci aveva assicurato che entro il 20 novembre gli alloggi sarebbero stati pronti e loro avrebbero fatto le graduatorie per assegnarne cinque o sei, ma da quello che sappiamo i lavori in queste case non sono nemmeno cominciati. Tra l’altro, non sono soluzioni definitive. Si tratta di contratti di massimo di tre anni. Io tra tre anni ne avrò 63, e mi trovo di nuovo con lo stesso problema, come faccio? Nel frattempo qui niente cambia, ma l’Asl non aspetta». L’Asl ha infatti affinato la sua strategia per rendere la quotidianità degli abitanti del Frullone sempre più difficile. Mentre continuano ad arrivare i nuovi avvisi di sfratto, seguiti da continui rinvii, l’architettura della palazzina è diventata uno strumento nelle mani di Verdoliva, capace di soffocare e accerchiare i suoi abitanti. Già a febbraio Verdoliva aveva scientemente utilizzato lo spazio per indebolire materialmente e simbolicamente la capacità di resistenza degli abitanti. Durante una notte era infatti apparso un nuovo muro nell’androne del palazzo, che ne dimezzava la capienza; e immediatamente dopo la resistenza dell’8 febbraio, il cancello che aveva reso possibile agli abitanti chiudere l’accesso alle loro case e barricarsi, era stato tirato giù dai suoi operai. Nei mesi successivi questo tipo di interventi non sono diminuiti. Racconta una abitante: «Dopo il tentativo di sfratto le cose sono precipitate. Dopo averci tolto il cancello d’ingresso del palazzo, Verdoliva ha accerchiato con delle transenne l’entrata impedendoci di usarla e ha aperto un nuovo piccolissimo varco nel muro. Da quel momento entriamo da lì, ma è un’apertura fatta all’improvviso nella parete, e anche qui non c’è il cancello quindi il palazzo è completamente aperto. Sempre da febbraio ha staccato la corrente dalle scale, quindi entriamo e usciamo con le torce del telefono accese. Capisci che se succede qualcosa di notte ai bambini ci facciamo male? Sono mesi che stiamo così». Oltre ad aver agito direttamente sulla palazzina, le strategie intimidatorie dell’Asl hanno riguardato anche l’ambiente circostante, quella che il generale Hircsh nei suoi appunti chiama “infrastruttura nemica”. Un altro abitante racconta: «Il postino ha detto che non lo fanno più entrare a portare la posta ed è ormai da febbraio che non riceviamo più niente. I bimbi piccoli fanno i documenti e non ci arrivano. Con l’auto non possiamo più entrare dall’ingresso principale, dobbiamo fare tutto un giro passando da via Toscanella, prenderci il traffico ed entrare da dietro. Prima potevamo entrare da entrambi gli ingressi, invece ora dall’ingresso principale possono entrare tutti tranne noi. Fino a poco fa, sempre con la scusa dei lavori, per arrivare dal palazzo alle macchine ci aveva lasciato un corridoio stretto tra pannelli e transenne. Sembrava di stare in carcere. E un’altra cosa strana, ad agosto il mio furgone è andato a fuoco. Era parcheggiato qua sotto, me l’aveva appena fatto spostare davanti all’accesso del palazzo. Quando ha bruciato, tutto il fumo è entrato fin dentro le case e volevamo capire come fosse successo ma la polizia ci ha risposto che le videocamere non funzionano». In un continuo rimpallo di responsabilità, intervallate da intimidazioni, violenza spaziale e accerchiamento, lo sfratto diventa un’operazione che si dilata nel tempo. Non consiste solo in un rapporto di forza che si manifesta in un preciso momento e attraverso un’azione in cui sono riconoscibili gli schieramenti e le rispettive capacità di attaccare e di difendersi. In questo caso diventa una condizione esistenziale a cui si aggiungono progressivamente nuovi dettagli, un “essere sotto sfratto” che perdura nel tempo. Oltre allo spazio anche il tempo diventa un’arma e il non essere a conoscenza di quanto questa condizione potrebbe durare lascia gli abitanti nell’angoscia. Al contempo, in ogni momento potrebbe sopraggiungere una nuova intimidazione, un muro potrebbe essere costruito e un altro distrutto, mentre gli ufficiali giudiziari entrano ed escono liberamente per notificare nuovi avvisi di sfratto che non si sa bene cosa significhino. L’obiettivo sotteso degli enti proprietari, e istituzionali, è che sempre di più gli abitanti cerchino delle soluzioni per andarsene, scontrandosi con gli ostacoli del libero mercato immobiliare, come riporta sempre uno di loro: «Io amo casa mia, ma me ne sarei già andato. Avevo visto una casa a Chiaiano come piaceva a me. Quattrocentocinquanta euro al mese, ma volevano due buste paga. Noi non ce le abbiamo, e siamo dovuti rimanere qua sopra». Altre palazzine occupate nei quartieri periferici della città stanno subendo la stessa sorte. È il caso dell’ex motel Agip, un’occupazione abitativa a Secondigliano, sempre nella periferia nord di Napoli. Qui vivono da più di vent’anni diverse famiglie, oggi trentacinque, che hanno ricevuto un primo avviso di sfratto quest’estate e un secondo avviso nel giro di un mese, minacciate di vedersi mandare via alla presenza degli assistenti sociali se non avessero lasciato l’edificio pacificamente. Anche qui, immediatamente dopo l’avviso è stata aperta una trattativa con il Comune che ha subito fatto un passo indietro e tutto sembra essersi rallentato. Ma il tempo che rimane non è che un’attesa, un tempo dell’ignoto che viene scandito da intimidazioni e incertezze. In un altro passaggio del suo libro, Weizman descrive la cornice all’interno della quale collocare lo spazio e – aggiungiamo – il tempo come strumenti di dominio: “Uno dei principali obiettivi delle nuove tattiche mira a emancipare Israele dalla necessità di una presenza fisica nei territori palestinesi, mantenendo al contempo un controllo securitario. Si tratta di un paradigma che si sforza di rimpiazzare la presenza nelle zone occupate con la capacità di spostarsi all’interno di queste zone, con l’obiettivo di produrre gli stessi effetti di attacchi aerei o incursioni, che stremano il nemico psicologicamente e nella sua organizzazione. Queste tattiche servono a sostituire la vecchia dominazione territoriale con un nuovo modo deterritorializzato, l’occupazione a scomparsa”. (barbara russo)
November 11, 2024 / NapoliMONiTOR
Rewind Napoli, ottobre # Spari, torture e incendi dolosi
(disegno di malov) Il primo ottobre i giornali raccontano la morte di Luigi Procopio, quarantacinque anni, ucciso alla Duchesca il pomeriggio del giorno precedente, mentre era in compagnia di suo figlio undicenne. Qualche giorno dopo per l’omicidio verrà fermato a Milano Antonio Amoroso, nipote della vittima, vicino agli ambienti criminali di Forcella. Il movente parrebbe essere un debito di cinquemila euro non saldato. Leandro Del Gaudio (Il Mattino) se la prende quasi più con le persone che avrebbero assistito all’omicidio e non denunciato, che con la barbarie del delitto. Parla di “omertà e paura a fette”, “un misto di rassegnazione e indifferenza”, che incredibilmente accomuna i commercianti e i lavoratori (descrive minuziosamente le attività commerciali del vicolo), stranieri e napoletani. Sempre Il Mattino titola in spalla: “Quartiere sospeso tra droga e rilancio. Tanti turisti, ma servono più controlli”. Gennaro Di Biase scrive: “Il boom turistico da queste parti non ha fatto capolino: qui persiste un melting pot di etnie. Cinesi, georgiani, magrebini, napoletani e nigeriani dal vicinissimo Vasto occupano gli stessi spazi”. Francesco Emilio Borrelli invoca “fermezza totale e presenza frontale delle forze dell’ordine”. Il giorno successivo sempre sulle colonne del Mattino si dà conto con compiaciuta ambiguità del gesto di una banda di ladri che ha restituito, dopo gli appelli pubblicati sul giornale, il cagnolino a una famiglia a cui aveva svaligiato la casa. Il cagnolino era un supporto fondamentale per la dodicenne R., che soffre di una grave malattia genetica degenerativa. In un biglietto, il cui contenuto è riportato integralmente dal Mattino, i ladri hanno scritto: “Siamo ladri, ma onesti”. Sempre il 2, si conteggiano le domande per la partecipazione all’ultimo concorso indetto dal comune di Napoli. I posti sono centotrenta, le domande quasi dodicimila. Per gli otto posti a tempo determinato di vigile urbano, le domande sono duemila centoquarantotto. Sabato 5 un ventiseienne viene arrestato a piazza Garibaldi con l’accusa di lesioni e resistenza a pubblico ufficiale, e denunciato per porto irregolare d’armi. Ai militari e ai carabinieri intervenuti è necessario un grosso sforzo per bloccare l’uomo che se ne andava in giro brandendo una katana giapponese. Il 6 Daniela Di Maggio, madre di Giovanbattista Cutolo, ventiquattrenne ucciso a piazza Municipio il 31 agosto 2023, si esprime sulla condanna (vent’anni) emessa nei confronti dell’assassino del figlio: “Sono soddisfatta perché la condanna è diventata definitiva ma mi batterò perché le leggi penali minorili siano al passo coi tempi e non concedano tanti sconti come avviene ora. […] La stretta sulle armi ai minori, l’introduzione del reato di stesa, il ripensamento della messa alla prova, che non deve essere concessa a chi commette reati tanto gravi, sono frutto delle mie battaglie che hanno trovato ascolto in sede governativa. […] Bisogna auspicare che si intervenga al più presto per garantire deterrenza e riabilitazione, rigore ed effettività della pena. In sintesi: niente abbreviato (sconto di un terzo della pena), niente Cartabia (sconto di un sesto per chi accetta di non inoltrare appello) e rafforzare il processo minorile”. Il 7 settanta famiglie lasciano la loro abitazione nelle Vele, che le istituzioni hanno scoperto “non sicure” e “non abitabili” dopo il crollo di quest’estate. Il Comune rende noto che entro novembre sarà allestito il cantiere per l’abbattimento delle vele Rossa e Gialla e che la totalità delle nuove case sarà completata entro il 2026. Intanto, gli abitanti “in uscita” denunciano di continuo di non riuscire a trovar casa, sia per i prezzi altissimi che per la poca predisposizione da parte dei proprietari ad affittare a chi proviene dai palazzoni di Scampia. La Curia mette a disposizione degli immobili transitori: ogni famiglia vi potrà stare quindici giorni. Venerdì 11 la prefettura comunica i risultati di una settimana di task force e interventi che hanno coinvolto carabinieri, guardia di finanza, polizia locale e ausiliari dell’Anm. Tra i risultati: trentasei verbali ad altrettanti parcheggiatori abusivi, cinquantacinque denunce per recidiva, centotrentacinque veicoli rimossi per sosta irregolare, trecentoventi verbali per violazioni del codice della strada. La prefettura non lo dice ma è evidente come, senza bisogno di scomodare Batman, la città ora possa dormire sonni tranquilli. Il 12 due enormi striscioni con scritto “No war” e “No G7” vengono calati da un gruppo di attivisti da uno dei balconi principali di Palazzo Reale. Dal 18 al 20 ottobre si terrà a Napoli, per la prima volta nella storia, un meeting tra i ministri della difesa dei “grandi sette”. Fin dal giorno 17 il palazzo sarà circondato da una “zona rossa”. Il 13 indignazione sul Mattino, e pubblicazione di un “Dossier sulla borghesia”. Il quotidiano di Caltagirone prende atto che “senso civico e ceto sociale non sono sinonimi”, come dimostrano “i dati sui parcheggiatori abusivi e le loro clientele” e “i marciapiedi intasati dagli scooter in via Nazario Sauro”. Lo stupore più grande è rappresentato dai numeri sulla raccolta differenziata che evidenziano come “i virtuosi non sono residenti di Chiaia ma di San Giovanni a Teduccio e Barra”. A corollario viene pubblicata un’intervista allo scrittore Maurizio De Giovanni. Titolo: “Stop indecisioni. Il ceto illuminato sia da esempio”. Il 14 De Luca torna sulla sua possibile terza candidatura consecutiva a presidente della regione Campania. Citando numerosi esponenti del Pd o vicini al partito, afferma: “Io mi ricandido comunque. Potete immaginare che tutto il lavoro in corso lo buttiamo a mare per fare un favore a questi cafoni?”. Il 15 il garante regionale per i diritti dei detenuti, Samuele Ciambriello, spiega a margine di un convegno gli effetti del Decreto Caivano e della stretta legislativa contro i minori: “La giustizia minorile è in crisi, si è avviata verso un modello meramente criminalizzante e privo di prospettive. Da ottobre a oggi c’è stato un aumento di più di duecento adolescenti entrati in cella”. Il 21 otto persone rimangono ferite e quattro vengono arrestate dopo un’aggressione a danno dei veterinari della clinica universitaria di Napoli. Gli aggressori attribuivano al personale sanitario le responsabilità della morte del proprio cane. Particolarmente importante nella cronaca del fatto, per Piero Rossano (Corriere del Mezzogiorno), riportare le frasi in dialetto, con annessa traduzione, anzi parafrasi, pronunciate dagli aggressori mentre pestavano i medici.   Il 22 Dalma Maradona, figlia del campione argentino, denuncia lo spiacevole trattamento che riceve dal presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, ogni qual volta prova a mettere piede nello stadio che porta il nome di suo padre: “Non mi ci fanno entrare”, spiega. “Credo sia iniziato tutto quando il Napoli ha realizzato la maglia con il volto di mio padre. Noi ci complimentammo ma chiedemmo dei soldi per lo sfruttamento dei diritti di immagine, dicendo che li avremmo utilizzati per fare beneficenza, a Napoli. Avremmo voluto aiutare una scuola o un ospedale per bambini. Su queste cose nostro padre non si è mai tirato indietro. De Laurentiis disse di no”. Lo stesso giorno si apprende delle torture subite un paio di settimane prima da un uomo colpevole di aver truffato altre persone con un “pacco” (la vendita di un certo quantitativo di telefoni cellulari, molti dei quali non funzionanti). Il truffatore è un nordafricano di circa trent’anni, i truffati (che per riavere i soldi avevano inviato svariate foto via whatsapp ai familiari della vittima, chiedendo un riscatto) sono napoletani vicini al clan Mazzarella. L’autore del pacco è stato torturato con bruciature di sigarette su tutto il corpo, percosse e l’estrazione di alcuni denti con una pinza. In Colombia, intanto, viene arrestato dopo anni di latitanza Gustavo Nocella, principale intermediario tra i clan napoletani Rinaldi, Formicola, Amato-Pagano, De Micco, e i cartelli della droga centro-sudamericana. Il boss è stato incastrato grazie alla sua passione per il biliardo: in ognuno degli appartamenti, che di continuo cambiava nella città di Medellin, veniva fatto portare infatti un tavolo verde per poter tirare di stecca. Il 23 si apprende dai giornali della confessione di un sedicenne che ammette di aver ucciso il suo amico ventenne Gennaro Ramondino per questioni legate ai traffici criminali di Pianura, su indicazione di più importanti elementi dei clan della zona. Il giorno dopo, per mano di un suo coetaneo, a morire, al corso Umberto, è un quindicenne, Emanuele Tufano, vittima di una sparatoria tra due gruppi di giovanissimi. La polizia fa fatica a ricostruire i motivi del conflitto a fuoco e i nomi dei circa venti partecipanti che si sono sparati addosso per quasi duecento metri (ne abbiamo parlato qui). Il 28 vengono arrestati Antonio e suo padre Rosario Piccirillo, quest’ultimo elemento di spicco dei clan della zona della Torretta. L’accusa è estorsione aggravata dal metodo mafioso, per richieste nei confronti di imprenditori che gestiscono gli ormeggi per imbarcazioni sui moli di Mergellina. Antonio Piccirillo era noto alle cronache per essersi dissociato dalle attività camorristiche del padre, e aver organizzato numerosi eventi (cortei, manifestazioni, presentazioni di libri) contro la criminalità organizzata. Lo stesso giorno più di cinquecento persone sfilano e presidiano dall’esterno l’aula bunker del carcere di Poggioreale, in protesta contro le vessazioni giudiziarie di cui sono oggetto i disoccupati organizzati che lottano in città, da quasi dieci anni, per ottenere un lavoro sicuro, stabile e dignitoso. Il 29 la Corte di appello di Napoli si pronuncia in chiusura del secondo processo sul presunto disastro ambientale che riguarda i dirigenti di Bagnoli Futura. Gli imputati vengono tutti assolti: Gianfranco Caligiuri, Sabatino Santangelo, Mario Hubler, Giuseppe Pulli e Alfonso De Nardo. La Corte li aveva già assolti in precedenza, ma la Corte di Cassazione aveva annullato la sentenza, rinviando la decisione a un’altra sezione di Appello. In serata, il Napoli batte per due a zero il Milan a San Siro, consolidando il primo posto in classifica e dando vita alla prima fuga del campionato. La notte tra il 30 e il 31 alcune persone vengono scoperte mentre tentano di incendiare la propria casa per intascare i soldi dell’assicurazione. Avvertiti da una telefonata anonima, i carabinieri intervengono pochi minuti prima che il rogo venga appiccato. Ne nasce una rissa, tre denunciati. (redazione)
November 6, 2024 / NapoliMONiTOR
Napoli, in piazza contro il processo ai disoccupati organizzati
  28 ottobre è la data di inizio del maxi-processo a quarantatré disoccupati del Movimento di lotta 7 Novembre, del Cantiere 167 Scampia, militanti del laboratorio politico Iskra e del SI Cobas Napoli, processo che si svolgerà all’interno dell’aula bunker del carcere di Poggioreale. Il procedimento arriva al termine di un’indagine che aveva comportato la pesantissima accusa di associazione a delinquere per i qurantatré indagati, sulla base di avvenimenti incorsi durante nove manifestazioni svoltesi tra il 19 dicembre 2022 e il 24 marzo 2023. Tre mesi nei quali la vertenza era in stallo e la pressione per il suo sblocco era particolarmente forte. In particolare, l’obiettivo a breve termine dei movimenti che lottano per un lavoro dignitoso e sicuro in città era in quella fase l’avvio della formazione attraverso corsi organizzati da cooperative convenzionate con la Città Metropolitana e il Comune di Napoli. Per l’attivazione dei corsi era necessaria una modifica all’articolo 33 del Codice del terzo settore che regolamenta il processo di assunzione dei lavoratori all’interno delle cooperative e che impedisce nuovi ingressi, se non in caso di turn over dei lavoratori in pensionamento. Una modifica che, però, poteva arrivare a seguito di interventi ministeriali e governativi. Nei tre mesi a cavallo tra il 2022 e il 2023, dopo diversi incontri a Roma e Napoli che ufficializzavano un pronto inizio della formazione, i corsi furono rinviati per delle generiche “complicazione tecniche”: le istituzioni di fatto rinnegavano gli impegni assunti con i disoccupati. La tensione per questo dietro front si concretizzò in una serie di azioni in città: blocchi stradali, cortei non autorizzati, occupazioni, tutti eventi letti dalla Procura come parte di un disegno preciso, che in termini politici era in realtà la volontà di mettere alle strette le istituzioni attraverso la lotta. Il reato di associazione a delinquere, inizialmente ipotizzato dalla procura, è infatti decaduto in fase di indagini preliminari, ma i capi di imputazione per le azioni condotte nei vari mesi sono stati riuniti in un unico grande processo, amplificandone di fatto la gravità. È lunedì, ma la mattinata comincia presto. Già alle 8:30 piazza Nazionale, al centro di Napoli, si inizia a riempire di bandiere. Si riconoscono quelle palestinesi e quelle delle realtà che hanno promosso la manifestazione, a cominciare da Si Cobas e Iskra. Il corteo è aperto dal camioncino per gli interventi e dallo striscione “La lotta per il lavoro non si processa. Liberi di lottare. Fermiamo il Ddl sicurezza”. La piattaforma di lancio della manifestazione intende infatti andare oltre la denuncia di una spropositata accusa per delle persone che lottano per un proprio diritto; lancia anche l’allarme rispetto alla gestione sempre più repressiva di ogni pratica di dissenso, da quelle pacifiche fino a quelle più conflittuali, sublimata dal provvedimento sponsorizzato dall’asse Meloni-Nordio-Salvini. Un po’ più dietro, dopo qualche cordone di sicurezza, spuntano le bandiere del gruppo sudamericano del Polo Obrero, poi quelle della FGC e dell’Usb. Gli spezzoni più numerosi sfilano però dietro i due striscioni storici dei disoccupati organizzati: i volti degli uomini e delle donne delle prime file riflettono la rabbia per le ultime uscite “a vuoto” dei tavoli istituzionali. I cori che risuonano attorno ai palazzi e nei vicoli attirano l’attenzione dei napoletani impegnati nel quotidiano tran tran. La polizia sorveglia il tutto, ma il corteo comincia con determinazione e senza problemi. Sono circa cinquecento, i manifestanti, quando iniziano a muoversi, percorrendo la rotonda di piazza Nazionale. Gli interventi dei militanti delle varie realtà presenti fanno spesso riferimento al decreto 1660, in via di approvazione al Senato. Ci si muove a passo lento, la strada da fare è molto breve. Si costeggia il perimetro del carcere di Poggioreale, vengono accesi simbolicamente dei fumogeni in solidarietà ai detenuti. Tra un intervento e l’altro c’è spazio anche per i giornalisti e le loro domande. Mentre il corteo avanza verso via Giovanni Falcone, però, arriva la notizia di un rinvio dell’udienza, per un rilevato vizio di forma nelle convocazioni. Una volta a ridosso dei padiglioni, i disoccupati e gli altri partecipanti al corteo si fermano. Salutano con fuochi pirotecnici, cori e canzoni i detenuti, spiegando al microfono il nesso tra la marginalità sociale, la condizione detentiva, la lotta per il lavoro e la dignità, le leggi sempre più dure da parte del governo contro chi fa attività politica. È poco distante, su un marciapiede di piazzale Cenni, che gli interventi conclusivi chiudono la manifestazione, in attesa che una nuova udienza venga convocata e che questo processo così deciso alle lotte sociali cominci. (angelo della ragione)
October 28, 2024 / NapoliMONiTOR
Napoli: Maxiprocesso contro la rete di lotta Disoccupati 7 Novembre
Lunedì 28 Ottobre si svolgerà a Napoli, nell’Aula Bunker del carcere di Poggio Reale, il Maxiprocesso che vede imputati 43 tra partecipanti al Movimento di Lotta 7 Novembre, del Cantiere 167 Scampia, del SiCobas Napoli e Caserta e del Laboratorio Politico Iskra. In risposta, alle 8:30 di lunedì partirà il corteo da Piazza Nazionale, Napoli. […]
October 25, 2024 / Radio Blackout 105.25FM
A Napoli il G7 dei ministri della difesa. In piazza i movimenti contro la guerra e il genocidio in Palestina
(foto di handala ali) Il 19 ottobre a Napoli si è tenuto un incontro di grande rilievo per il G7, il forum che riunisce i sette paesi più industrializzati del mondo. Durante il summit, i ministri della difesa dei “grandi 7” si sono confrontati su temi come la sicurezza globale e i conflitti mondiali. Secondo un recente rapporto dell’International Crisis Group ci sono più di quaranta conflitti armati in corso al momento, mentre l’’industria bellica continua a rappresentare un motore economico per molti paesi nel mondo: solo gli Stati Uniti nel 2022 hanno speso oltre ottocento miliardi di dollari per la difesa, il quaranta per cento della spesa militare globale, a fronte di costi umani e sociali enormi. La retorica della “sicurezza” prova a nascondere, giustificando i conflitti, le conseguenze devastanti delle guerre: nel recente conflitto russo-ucraino si contano (lo dice il Wall Street Journal) quasi un milione di vittime tra morti e feriti mentre altri sette milioni di persone circa sono state costrette a lasciare le proprie case e città ridotte in macerie. A Gaza i bombardamenti “strategici”, che nella pratica sono quelli su civili e infrastrutture essenziali, stanno causando una crisi umanitaria senza precedenti. Mentre all’interno del Palazzo Reale i ministri studiano accordi e strategie mirati a “garantire la stabilità globale”, “affrontare la crisi russo-ucraina”, gestire “le sfide poste dalla Cina” e “riportare l’Africa nell’agenda europea”, all’esterno le strade di Napoli si riempiono di persone pronte a far sentire la propria voce. Sebbene, sulla carta, il summit avesse come priorità la cooperazione su temi come il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare e la condizione femminile, anche solo i precedenti di questi mega-incontri evidenziano l’ipocrisia dei proclami e delle promesse dei leader mondiali. Un corteo organizzato da diversi gruppi che sostengono la causa palestinese, che negli ultimi mesi hanno costantemente manifestato contro il genocidio e le violazioni dei diritti umani nei territori occupati, è partito da piazza Garibaldi intorno alle quattro, con l’imposizione, posta dalla questura, di non superare piazza Bovio. Da un anno la situazione in Palestina è catastrofica, e peggiora drammaticamente di giorno in giorno. Gli attacchi aerei israeliani hanno colpito aree residenziali dense, distruggendo ospedali e scuole, con decine di migliaia di civili tra le vittime. A Gerusalemme Est e in Cisgiordania le espulsioni forzate di famiglie palestinesi dalle loro case continuano ad alimentare tensioni, come dimostrato dai casi recenti di Sheikh Jarrah e Silwan, dove interi quartieri sono stati sgomberati per fare spazio a insediamenti israeliani. A Gaza, un territorio già martoriato da anni di blocco, la popolazione vive in condizioni disumane, con la maggior parte delle famiglie senza accesso costante a elettricità e acqua. Le testimonianze raccolte dalle Ong internazionali riportano una situazione di sofferenza estrema, aggravata dal continuo isolamento e dal mancato accesso agli aiuti umanitari. Intanto, anziché aumentare, le speranze di pace sembrano affievolirsi. Gli striscioni colorati con slogan diversi esprimono l’opposizione del corteo al G7, tenendo sempre in primo piano la questione palestinese. I partecipanti sono per lo più giovani, molti dei quali provenienti da collettivi studenteschi come il CAU – Collettivo Autorganizzato Universitario, centri sociali e gruppi politici come Iskra ed ex Opg – Je so’ pazzo, ma anche il centro culturale Handala Ali, e ancora partiti e sindacati di base come Potere al Popolo e USB.   I loro volti brillano sotto la pioggia, mentre sventolano bandiere e intonano cori. Un camioncino con un impianto audio accompagna la manifestazione, decorato da un scritta in rosso con la parola “Israhell”, gioco di parole che fonde “Israele” ed “hell” (inferno). Gli speaker intervengono al microfono per animare la folla. Il servizio d’ordine composto da volontari dei gruppi organizzatori vigila sul corteo, anche in considerazione dell’enorme spiegamento di forze di polizia. Contestando le politiche di corsa alla guerra messe in atto dalla totalità dei paesi e delle istituzioni internazionali, i manifestanti hanno messo in luce una questione cruciale: il crescente investimento del governo italiano nell’industria bellica e nell’invio di armi. Negli ultimi anni la spesa militare italiana ha visto un aumento significativo, superando i trenta miliardi di euro nel 2023, con un incremento del 4,6 per cento dall’anno precedente e con previsioni di ulteriore crescita. Il Documento Programmatico Pluriennale per la Difesa 2023-2025 prevede infatti un’ulteriore crescita della spesa, destinando risorse consistenti all’acquisto di nuovi sistemi d’arma e al potenziamento delle capacità belliche del paese. Alla fine del corteo gli organizzatori conteranno circa duemila partecipanti. All’altezza della sede centrale dell’Università Federico II, un intervento al megafono incita la folla: «Il G7 della guerra non è il benvenuto. Ripudiamo la guerra e il genocidio del popolo palestinese: Crosetto e i ministri del G7 non passeranno!». All’improvviso, svoltando su via Mezzocannone, la manifestazione cambia direzione. La tensione aumenta quando si giunge a piazza Carità. Il corteo infatti cerca di proseguire verso via Toledo, con l’intento di raggiungere piazza Trieste e Trento, ma la polizia è schierata disponendo agenti e camionette in gran numero per impedirlo. In un attimo, la situazione si fa più animata: gli agenti lanciano lacrimogeni e avviano una carica “di alleggerimento” a danno dei manifestanti, che, protetti da grossi scudi di plexiglass, provano a resistere, mentre alle loro spalle qualcuno lancia oggetti nel tentativo di fermare la polizia. Lo scontro si consuma comunque rapidamente, senza feriti né fermi, a differenza di quanto successo a Roma una settimana fa.  Successivamente a questo momento di tensione il corteo riprende a muoversi, giungendo a piazza del Gesù, occupata dai manifestanti e trasformata in un luogo di resistenza simbolica. I tamburi fanno da sottofondo a danze e cori di protesta. Anche qui il messaggio è chiaro: il G7 della guerra non è il benvenuto a Napoli. (serena bruno)
October 20, 2024 / NapoliMONiTOR
Il passato in soffitta. Tre lavori sul Novecento industriale napoletano
(foto di federico patellani da: bagnoli anni cinquanta. 1911-1961) L’Italsider di Bagnoli ha chiuso da più di trent’anni ma l’ex area industriale e il suo quartiere restano un territorio sospeso tra passato e futuro. L’immobilismo è solo un pretesto, anche perché la spesa di novecento milioni in bonifiche farlocche, le opere inutili a loro volta dismesse, la costante attività di chi fraveca e sfraveca per andare più indietro rispetto al punto di partenza, hanno responsabili ben precisi. Nel frattempo il paesaggio fisico, e il tessuto sociale ed economico del quartiere hanno subito trasformazioni enormi, di cui nessuno, se non gli stessi abitanti, vuole accorgersi.  La recente accelerazione nei processi di bonifica e pianificazione, però, ha avuto ripercussioni anche sul dibattito pubblico. Sembra esserci infatti una gran voglia di parlare di Bagnoli, di rileggere gli anni della fabbrica senza sottrarsi, almeno a parole, ai conti col presente. Una voglia assecondata dal mercato che ci propone film, libri, spettacoli teatrali, mostre spesso di dubbia qualità sul tema. Circa un anno fa è uscito per Rizzoli il secondo libro della scrittrice napoletana Maria Rosaria Selo, un romanzo di formazione intitolato Vincenzina ora lo sa, con richiamo ai versi scritti e musicati da Jannacci nel 1975, in piena crisi industriale. Vincenzina, protagonista del libro, deve abbandonare gli studi all’università e impiegarsi in fabbrica a causa della morte del padre, una delle tante vittime della civiltà dell’acciaio. Lo fa scoprendo un mondo di solidarietà umana, “sorellanza”, mutuo riconoscimento nell’ambito di una classe, quella operaia, a cui forse non aveva ancora capito di appartenere. Ossessionata dall’idea di rendere giustizia a quel mondo, però, Selo scivola di continuo su espedienti retorici di linguaggio e di contenuto, a cominciare dalla frattura manichea e, a suo avviso, generazionale, tra il modo di concepire il mondo da parte di chi porta il pane a casa con il sudore (Vincenzina) e chi invece non vuole saperne (sua sorella). Una contrapposizione che diventa quasi comica quando le ragazze si trovano a dialogare, e che non rende giustizia alla complessità di percezioni, contraddizioni, rabbiosi rifiuti alternati a illusori rifugi in una presunta “sicurezza”, quella della fabbrica, che almeno tre generazioni hanno dovuto vivere a Bagnoli da quando si è cominciato a capire che l’acciaio possedeva la capacità di salvare vite e distruggerne contemporaneamente altre. La fascinazione per il mondo operaio – anche nella sua più ruvida espressione culturale, nel maschilismo imperante, nella brutalità di alcuni ragionamenti – pervade dall’inizio alla fine anche Mare di ruggine. La favola dell’Ilva, spettacolo di Antimo Casertano che ha avuto successo al Piccolo Bellini. L’obiettivo di Casertano è ancora più ambizioso rispetto quello di Selo: ricostruire la vita della fabbrica attraverso quella di alcune famiglie bagnolesi, esistenze legate reciprocamente, ma in cui micro e macrocosmo vengono restituiti allo spettatore in maniera troppo didascalica. Anche in questo caso la complessità è ridotta all’osso: l’universo della fabbrica e l’epopea dei suoi abitanti si snodano attraverso una parabola che nasce dalla povertà, poi cresce con il progresso, il lavoro, l’emancipazione sociale, e in fase discendente crolla seguendo le traiettorie della crisi, la malattia, la morte, l’assenza di prospettive future. Non ci sono fratture in questa parabola, anzi quelle che renderebbero il racconto più complesso – e onesto – vengono eliminate. Le lotte operaie sembrano aver avuto inizio negli anni Settanta, quando i caschi gialli bagnolesi riuscivano a condizionare le scelte dirigenziali con scioperi e proteste, supportati da un contesto disponibile a valorizzarle. In tutta la narrazione precedente, invece, la figura dell’operaio è infantilizzata, il lavoratore dell’Ilva della prima metà del Novecento sembra una bestia da soma disposta a subire tutto in nome dello stipendio (vale la pena ricordare che già nel 1914 i lavoratori dell’acciaieria ebbero un ruolo negli eventi della Settimana Rossa¹). Anche gli anni che precedono la chiusura avrebbero meritato una trattazione più articolata, tanto più in uno spettacolo che si candida a piccolo Bignami di un secolo di storia. In maniera troppo superficiale sono affrontati i delicati passaggi che portarono all’allineamento di Pci, sindacati e partiti di governo verso la deindustrializzazione, e alla scelta di puntare sugli impianti di Taranto e Cornigliano. L’unico nome che viene fatto è quello del “povero” De Michelis, preso a fischi e pernacchi dagli operai bagnolesi a cui aveva parlato nel 1981 di sacrifici e cassa integrazione. La complessità del passato è azzerata anche nella suggestiva installazione artistica che in questi giorni è visibile sui terreni dell’ex fabbrica, la proiezione di raggi colorati immaginata da Franz Cerami per illuminare le strutture di archeologia industriale di Bagnoli, a cui gli spettatori assistono andandosene in giro sui pullman del Napoli City Sightseeing. Tralasciando alcuni aspetti organizzativi discutibili (il contrasto tra i bus giganti rosso fiammante e l’atmosfera dark-industrial dell’area; la piattezza della voce registrata che funge da guida; il fatto che metà dei visitatori vedano pochissimo perché hanno davanti quelli seduti sull’altra fila di poltroncine del bus), il vero tema è la descrizione che viene fatta della fabbrica, e l’idea che rimanda, molto simile a quella dei libri e video celebrativi che l’Ilva prima, e l’Italsider poi, producevano per propagandare la loro funzione economica e sociale. Il robot-guida turistica parla della vecchia fabbrica come un sogno appartenente a un’epoca lontana, esaltando la potenza industriale e la forza motrice di emancipazione sociale per i bagnolesi, senza mai far menzione delle problematicità – a partire dai tanti lavoratori che dentro la fabbrica ci sono morti – che quel passato e le sue conseguenze sul presente hanno provocato. Anche in questo caso esiste il futuro (le prossime destinazioni d’uso degli edifici e gli scenari che verranno) ma non il presente, mentre, per esempio, un elemento interessante per connettere la mostra e il quartiere avrebbe potuto essere la messa a dialogo tra le luci artistiche e quelle reali degli edifici di via Diocleziano, come il supermercato Conad, l’hotel Nubvò, la pizzeria Vitagliano (edifici che illuminano h24 la strada antistante l’altoforno, e che – piaccia o meno – rappresentano per i bagnolesi, da più di un decennio, l’immagine di quella porzione di territorio assai più della fabbrica). È difficile dire se le semplificazioni che accomunano questi e altri lavori siano un effetto collaterale o una precisa linea in relazione con ciò che sta succedendo a Bagnoli. Il mantra che accompagna nell’ultimo triennio gli avanzamenti dei lavori è infatti: “Basta star fermi! Si sbagli anche, ma si faccia!”. Una linea molto pericolosa, soprattutto in presenza di un piano di azione (il PRARU) che, pur nelle sue criticità, rappresenta la sintesi di spinte arrivate da direzioni diverse, in particolare gli interessi (pubblici e privati) verso la capitalizzazione economica e lo sfruttamento del territorio, e le istanze dei cittadini che reclamavano la restituzione di enormi aree che nell’ultimo quarantennio gli hanno portato solo malattie e decessi. I recenti eventi, e per esempio i cambi normativi promossi da governo e commissario per poter evitare la rimozione totale della colmata, sfruttano invece un sentire sociale talmente provato da rendere possibile (quasi) ogni operazione, persino la progressiva e silente rilettura di quel piano. Eppure, a partire non dalla stanchezza dei cittadini, ma dall’interesse comune, dovrebbe muovere ogni azione di un governante. Da questo punto di vista la propaganda che quotidianamente ci comunica che i bagnolesi sono stanchi e che bisogna muoversi (sottinteso: a qualunque costo) trova supporto non solo nella prefigurazione di un presunto futuro migliore, ma anche nell’idealizzazione tout court di un passato che avrebbe, secondo queste rappresentazioni, avuto un lineare percorso di crescita e caduta, per cui voltare pagina senza se e senza ma sarebbe l’unica soluzione possibile. Bisognerebbe invece evidenziare che le crisi congiunturali che hanno portato alla deindustrializzazione sono state tante, si sono susseguite dal 1920 in poi (quando l’Ilva chiuse per ben quattro anni!), e che sono un elemento fondante e ciclico di ogni sviluppo capitalistico; che gli operai napoletani non sono stati dei lazzaroni raccattati per strada dagli industriali prima privati e poi di Stato, istruiti chissà da chi a diventare forza lavoro civilizzata e poi resi obsoleti dal progresso in un ineluttabile dramma sociale; che il conflitto all’interno della fabbrica non era tutto rose e fiori, ma aspra dialettica tra partito, sindacato, consigli di fabbrica, operai politicizzati e altri piuttosto apatici, complessità che si rifletteva negli equilibri sociali del territorio, dove anche durante i decenni tra il Sessanta e il Novanta, seppur in maniera contenuta, a Bagnoli esisteva la camorra, la disoccupazione, persino sezioni della Dc e dell’Msi; che ancora oggi, a distanza di quarant’anni dalla chiusura, e con l’ex area industriale così ridotta, gli abitanti del quartiere si chiedono quanto la crescita sociale ed economica promossa dalla fabbrica sia valsa la candela della devastazione e dell’impoverimento. Oltre a non rendere giustizia a una storia lunga come quella operaia che si è vissuta per oltre un secolo in questo territorio, le narrazioni semplificate rischiano di avere un effetto sul presente e sul futuro: isolare quel passato idealizzato e congelare le complesse eredità sociali e culturali di cui si dovrebbe invece tener conto nei processi di rigenerazione di una zona sempre più ad alto rischio, pronta per gli assalti di pescecani locali (vedi il porto di Nisida) e neoliberismi internazionali (vedi gli interessamenti di americani e arabi per investimenti nel terziario). Indipendentemente dal fatto che si riesca o meno – in tempi assai difficili – a resistere a questi assalti, servirebbero letture più coscienziose e informate da parte di artisti e intellettuali, ma anche dell’ente commissariale, della sovrintendenza e degli istituti culturali pubblici, per impedire che il Novecento bagnolese resti a impolverarsi in un faldone per i giorni che verranno. (riccardo rosa) _______________________ ¹ Si veda il volume di Giuseppe Aragno: La settimana Rossa a Napoli. Giugno 1914: due ragazzi caduti per noi (La città del Sole, 2006)
October 15, 2024 / NapoliMONiTOR
Napoli contro Vannacci
Giovedì 2 Maggio le strade di Napoli sono state attraversate dalla contestazione alla presentazione del libro del generale Vannacci.  La manifestazione è riuscita ad arrivare a pochi metri dall’evento, sfidando il divieto della questura e subendo successivamente le cariche e gli insulti della celere. Un segnale netto di rifiuto di fronte alla retorica irricevibile di […]
May 3, 2024 / Radio Blackout 105.25FM
Stop agli accordi universitari con Israele: la protesta si diffonde.@1
In questi giorni continuano a moltiplicarsi le università italiane che, su pressioni e proteste degli studenti e studentesse, decidono di interrompere gli accordi con le università israeliane che comportano dual use della ricerca. La presa di posizione riguarda in particolare il bando MAECI, accordo di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica Italia-Israele, il governo e in […]
April 19, 2024 / Radio Blackout 105.25FM