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Taranto inerme. Il progetto del dissalatore tra criticità e pareri contrari
NapoliMONiTOR - Tuesday, February 18, 2025
Risulta difficile ragionare sulla città di Taranto senza conoscerne le origini. La storia racconta di una comunità millenaria, capitale della Magna Grecia, e di un passato che spesso ritorna, intrecciandosi con il presente. Ne è un esempio il fiume Tara, un fiume di origine carsica lungo appena due chilometri, il cui nome deriva da Taras, personaggio della mitologia greca, che secondo il mito fu salvato da un delfino inviato da suo padre Poseidone dopo un naufragio, raggiungendo la costa nei pressi del fiume. Ma oltre al mito è possibile associare al Tara alcune vicende storiche, come l’incontro nel 35 a.C. tra Marco Antonio e Ottaviano, che avvenne proprio al centro del fiume; e nel 1594 la battaglia tra Cristiani e Saraceni presso le sponde del Tara, questi ultimi respinti dalla popolazione della vicina Massafra.
A oggi il Tara è frequentato da una numerosa comunità, che ne approfitta durante le calde estati per trovarvi ristoro. In occasione del rito della Madonna del Tara, il primo giorno di settembre i credenti si riuniscono per pregare affinché le acque del fiume possano proteggere la salute dei devoti; è credenza popolare che bagnarsi nel Tara e cospargersi dei suoi fanghi comporti dei benefici.
Al di là del valore storico e sociale, va riconosciuto al Tara il suo importante contributo dal punto di vista ambientale, infatti il suo ecosistema è parte integrante del paesaggio ionico. Le acque e la vegetazione ripariale costituiscono una forte attrattiva per le specie selvatiche tipiche delle zone fluviali della Puglia: aironi, salamandre, anguille, diversi pesci d’acqua dolce, una notevole quantità di insetti, e ultimamente è stata avvistata anche la lontra, un mammifero considerato specie protetta. Pertanto, il fiume rappresenta una vera e propria oasi naturale in un’area fortemente caratterizzata dalle attività antropiche.
Il Tara, dunque, possiede tutte le caratteristiche necessarie affinché possano essere intraprese azioni di tutela dello stesso da parte delle istituzioni, ma negli anni nulla è stato fatto per preservare l’area. Oggi il fiume è minacciato da un controverso progetto promosso da Acquedotto Pugliese, una società partecipata della Regione Puglia. Si tratta di un dissalatore che avrebbe le dimensioni di circa cinque volte l’attuale dissalatore più grande d’Italia, quello di Cagliari. L’impianto sarà finanziato con fondi provenienti da Pnrr e Fsc, quindi spendibili non oltre il 2026.
Il 25 settembre 2023, per un costo che si aggira intorno ai cento milioni di euro, al netto del ribasso d’asta, vengono aggiudicati i lavori all’associazione temporanea di imprese costituita dalle società Suez Italy, Suez International, Edil Alta con sede ad Altamura, la tarantina Ecologicia e la massafrese Cisa, società molto attiva nel settore dei rifiuti.
Dopo diverse sedute, la conferenza dei servizi del 10 gennaio 2025 ha dato il via libera alla realizzazione del dissalatore. Un fattore rilevante è la modalità di approvazione che viene utilizzata, ovvero a prevalenza di pareri. Durante le precedenti conferenze si è sempre deciso di procedere all’unanimità, salvo ora cambiare modalità di approvazione. Spiccano infatti i rumorosissimi “no” provenienti dalla Soprintendenza del ministero della cultura, da Arpa Puglia e Asl Taranto, con pareri ampiamente motivati dagli stessi enti; ma la maggioranza non ha esitato nel procedere alla concessione della Valutazione d’impatto ambientale, necessaria al rilascio di tutte le autorizzazioni che consentiranno la realizzazione dell’impianto, lasciando aperto il dibattito sul peso della componente politica rispetto a quella tecnica.
Il ministero della cultura, attraverso un documento di cinquanta pagine, afferma la sua decisa contrarietà al progetto, dichiarando che l’opera andrebbe realizzata altrove, essendo in netto contrasto con il paesaggio e l’ambiente, e che nessuna modifica al progetto potrà modificare il parere contrario. Anche Arpa Puglia indica che esistono criticità che non considerano l’importanza naturalistica, geomorfologica e idrologica del sistema delle sorgenti e del fiume, riconosciuta dalla pianificazione della stessa Regione Puglia. Arpa fa notare inoltre che il progetto prevede l’espianto di circa novecento ulivi (nella zona sono presenti ulivi secolari), e circa mille e quattrocento alberi da frutto, di cui la maggior parte agrumi. In risposta, Acquedotto Pugliese ha dichiarato che gli ulivi verranno reimpiantati, non si sa però dove, e alcune voci sollevano dubbi sulla capacità degli alberi di adattarsi a nuove aree ed eventualmente ad avere frutti.
Un’altra osservazione dell’ente di controllo ambientale riguarda l’utilizzo delle acque, indicando come la quantità minima di acqua che deve rimanere nel fiume debba essere maggiore o uguale a 2.000 l/s, considerando che la portata media del Tara equivale a 3.700 l/s, e affinché i prelievi non abbiano impatti negativi sull’ecosistema il limite massimo di prelievo è fissato a 1.300 l/s. A oggi esiste già un prelievo di acque autorizzato dall’Autorità idrica pugliese pari a 1.100 l/s, per uso destinato all’ex Ilva e all’irrigazione; il Wwf di Taranto ha fatto sapere che questo prelievo può arrivare a 3.500 l/s. Il progetto del dissalatore prevede un prelievo di 1.000 l/s, quindi la somma dei prelievi potrebbe superare di gran lunga non solo il deflusso ecologico (quantità minima necessaria), ma addirittura anche la portata del fiume stesso.
Il Tara ha origine carsica, la sua portata varia in funzione delle piogge. Non si capisce come l’impianto possa sopperire a una mancanza delle stesse, se strettamente legato ai fenomeni piovosi. Acquedotto Pugliese ha proposto durante la conferenza dei servizi che se dovesse non esserci acqua a sufficienza, tutti gli utilizzatori dovranno ridurre i prelievi secondo regole concordate.
In concomitanza con l’avanzare di questo progetto, si registrano le attività di associazioni, comitati e liberi cittadini che hanno prodotto opposizioni, anche tecniche, sufficienti per dimostrare quanto l’operazione sia inopportuna e impattante dal punto di vista ambientale. Per esempio, il Wwf di Taranto ha prodotto osservazioni sul consumo di suolo che questo progetto produrrà. È prevista la costruzione di due grandi condotte: una di quattro chilometri, condurrà gli scarichi della lavorazione in mare; l’altra, di quattordici chilometri, accompagnerà le acque depurate al centro di raccolta. Inoltre, in prossimità delle tubazioni, è prevista la costruzione di strade di servizio. La somma di suolo occupato da strade, condotte e stabilimento occuperà quindi all’incirca otto ettari di suolo, che corrispondono a una dozzina di campi da calcio.
Bisogna inoltre segnalare un fatto di cronaca non irrilevante, ovvero la comparsa di una numerazione registrata di nascosto su ulivi secolari all’interno di proprietà private, secondo i proprietari dei terreni proprio in corrispondenza del tratto che vede passare la condotta di quattordici chilometri. Non è possibile attribuire alcuna colpevolezza in quanto non si dispone di prove, ma i titolari degli alberi hanno sporto denuncia contro ignoti e presentato un esposto ai carabinieri sottoscritto da circa centocinquanta cittadini.
Altro punto critico: l’impianto si avvarrà della tecnologia a osmosi inversa per desalinizzare le acque già dolci. La bassa salinità delle acque, di fatto, costituisce un punto di forza del progetto di Acquedotto Pugliese: l’ente sostiene che il dissalatore comporterebbe un consumo di energia minore per produrre la stessa quantità di acqua che verrebbe prodotta lavorando acque più salate. Sempre secondo il Wwf di Taranto, però, oltre la salamoia giungerebbero in mare fanghi, metalli, anti-incrostanti e cloruri, che sarebbero poi soggetti a un processo di stratificazione, determinando un’alterazione dell’habitat marino.
Un altro interrogativo riguarda il consumo di energia: gli impianti di dissalazione sono energivori, e in questa fattispecie i proponenti hanno dichiarato che le fonti energetiche che alimenteranno l’impianto sono di tipo rinnovabile. Dopo mesi di dibattito sul dissalatore, solo ora viene annunciato che l’impianto sarà alimentato al cento per cento da energia rinnovabile. Questo aspetto, che non era stato incluso nel progetto originale né menzionato nei documenti ufficiali, appare più come un tentativo di rassicurare l’opinione pubblica che come il frutto di una reale programmazione strategica. In altre parole, sembra un’aggiunta dell’ultimo minuto piuttosto che un elemento strutturale del piano iniziale.
Nonostante questo annuncio, però, analizzando i dettagli scopriamo che il quattordici per cento dell’energia sarà autoprodotta tramite fotovoltaico, mentre il restante arriverà dalla rete con “garanzie di origine”: una modalità che non garantisce affatto che l’energia consumata in tempo reale sia davvero rinnovabile. Si potrebbe continuare a elencare una serie di interrogativi da porre alla Regione Puglia riguardanti il progetto, ma è altrettanto importante soffermarsi sull’aspetto politico della vicenda.
Regione Puglia e Acquedotto Pugliese hanno scelto Taranto come sede per la costruzione dell’impianto, pur essendo a conoscenza della critica situazione ambientale del capoluogo ionico, definendo questo progetto strategico per la Puglia (stessa cosa fu detta in altre situazioni da altri attori). Il progetto è giunto alle battute finali, accompagnato da una scarsa partecipazione da parte della comunità locale, ormai fragile e stanca di dover affrontare spesso problemi che hanno natura comune. La politica ionica da diversi anni ha smesso di avere un ruolo centrale nelle decisioni prese altrove, sebbene questo territorio abbia già dato troppo in termini ambientali, e i suoi cittadini continuino a pagarne le conseguenze. Considerando che già oggi la rete idrica pugliese perde il 43,6% (fonte Istat), caro presidente Emiliano, non sarebbe il caso di prendere in considerazione un’altra alternativa per risolvere la crisi? (domenico colucci)