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Ultras e criminalità: una Suburra multidimensionale
La vicenda giudiziaria che riguarda le curve di Inter e Milan riporta nell’agenda del dibattito pubblico il tema del rapporto fra gruppi ultras e criminalità. Un rapporto che già nell’enunciazione risulta di declinazione complessa, poiché la composizione delle parole rischia di essere una trappola e di fuorviare l’analisi a causa di un’imprecisa individuazione di categorie. Tale rischio d’interpretazione è aggravato dalla tendenza a portare, sempre e comunque, sul terreno dell’ordine pubblico la questione ultras. di Pippo Russo e Vincenzo Scalia – Università degli Studi di Firenze da Studi Questione Criminale La vicenda giudiziaria che riguarda le curve di Inter e Milan riporta nell’agenda del dibattito pubblico il tema del rapporto fra gruppi ultras e criminalità. Un rapporto che già nell’enunciazione risulta di declinazione complessa, poiché la composizione delle parole rischia di essere una trappola e di fuorviare l’analisi a causa di un’imprecisa individuazione di categorie. Tale rischio d’interpretazione è aggravato dalla tendenza a portare, sempre e comunque, sul terreno dell’ordine pubblico la questione ultras. Tutto quanto è stato premesso chiama una necessità di chiarezza. Bisogna innanzitutto precisare che il fenomeno ultras, di per sé, non è automaticamente un fenomeno di devianza né tantomeno un fenomeno criminale. I gruppi ultras vanno piuttosto inquadrati come gruppi dell’antagonismo sociale, che si muovono dentro un ecosistema (la curva da stadio) governato da regole proprie (Dal Lago 1990, De Biasi [a cura di] 2008). Questa struttura della situazione pone le condizioni per cui i gruppi ultras si trovino sovente sul confine fra legalità e illegalità. Ma può succedere anche che, lungo quel confine, alcune frange delle curve decidano di installarsi e di attraversarlo volontariamente, facendo della violazione della legalità un’attività consapevole e strutturata. È a partire da questo attraversamento di soglia che i gruppi ultras possono diventare organizzazioni criminali. E che, dopo avere assunto questo profilo, prendono a interagire con altre organizzazioni criminali, strutturate fuori dall’ecosistema della curva.  Il tema al centro dell’attenzione in questi giorni è proprio quello delle relazioni fra le organizzazioni criminali nate nelle curve da stadio (a opera di frange ultras che si trasformano in agenzie per l’esercizio di violenza e la conduzione di pratiche economiche illegali), e le organizzazioni criminali radicate nella società. Comunità, territorio, potere politico e potere economico Lo stadio è al tempo stesso territorio e comunità. Che sono due elementi la cui connessione, in termini analitici, è indispensabile. Ogni comunità ha un territorio di riferimento. E questo principio vale anche per quelle comunità che, nei termini concreti di insediamento e radicamento, un territorio di riferimento non ce l’hanno (perché ne sono state espulse, o perché hanno dovuto allontanarsene per qualsiasi ragione, o perché un territorio non lo hanno mai avuto e allora è proprio la sua assenza a costituire una dimensione territoriale immaginata). Nel caso della curva e della sua comunità, si tratta di una territorialità rituale e intermittente. La curva è abitata durante la partita di calcio (dimensione rituale) e in circostanze ben circoscritte dal calendario della stagione agonistica (dimensione intermittente). Questo complesso di elementi che fra loro interagiscono (comunità, territorio, ritualità, intermittenza) ha come conseguenza una serie di combinazioni da cui deriva una membership di comunità fortemente differenziata. Chi nello stadio frequenta i settori di tribuna, o quello dei distinti, tende a mostrare una fortissima intermittenza nel senso che la sua membership di comunità si attiva entro lo spazio (fisico e temporale) della partita. Rispetto a questa linea di tendenza, la curva è una realtà a sé. I gruppi strutturati che la abitano sono caratterizzati da una membership che oltrepassa la spazialità e la temporalità della curva e della singola partita. Per i loro membri, tanto la ritualità quanto l’intermittenza vengono annullate perché la curva diventa una dimensione mobile, una matrice dell’agire sociale che determina identità, ruoli, strategie di azione e una disciplina individuale e di gruppo che vengono esportati nel tempo feriale (esterno alla dimensione rituale) e negli spazi della socialità ordinaria (esterni allo stadio). Ha dunque un senso parlare di eccezionalismo della curva, tanto più che senza la presa in considerazione di questa dimensione non sarebbe possibile analizzare le derive criminali di alcuni fra i gruppi organizzati che la popolano. Questi ultimi vanno inquadrati come gruppi di interesse che si muovono per appropriarsi di risorse. Volendo procedere a una semplificazione, sono due i tipi di risorse che questi gruppi cercano di acquisire: risorse di tipo politico e risorse di tipo economico. Per quanto riguarda le risorse di tipo politico, esse ruotano intorno al potere. E dunque rientrano in questo ambito tutte quelle attività che costruiscono la legittimazione di un gruppo all’interno della curva: conquista di una posizione centrale nella topografia della curva, leadership nelle coreografie, primazia rispetto agli altri gruppi della curva, relazioni con la società calcistica, ma soprattutto, gestione della violenza come risorsa esterna e interna. Per quanto riguarda la dimensione esterna, il riferimento è all’esercizio di violenza negli scontri con le tifoserie rivali ma anche nella dialettica con le forze di polizia e nella relazione intimidatoria con altri soggetti (giornalisti, intellettuali, esponenti politici, soggetti della società civile) che vengano percepiti come nemici del gruppo. Per quanto riguarda il versante interno, la violenza viene esercitata, sia in potenza che in azione, sia verso gli altri gruppi che popolano la curva che verso i singoli spettatori. Lo scopo è ribadire che al gruppo leader della curva spetta stabilire cosa si può fare e cosa non si può fare all’interno della curva medesima. Di fatto, e per quanto possa apparire paradossale alla lettura, si tratta dell’esercizio di un monopolio di violenza legittima, laddove la legittimità cui si fa riferimento è quella riconosciuta, in modo più o meno esplicito, dalla comunità che popola la curva. Con riferimento alle risorse di tipo economico, esse diventano cruciali quando i gruppi che assumono il controllo della curva scoprono che, oltre a monopolizzare il modo in cui si esprime il tifo nello spazio sottoposto al loro controllo, capiscono che possono sfruttare in termini commerciali la passione calcistica. Il primo passo viene compiuto con la commercializzazione di gadget, fatta quasi sempre al di fuori dei circuiti commerciali legali. Ma poco a poco il business si allarga verso altri beni e servizi: food & drink, ticketing, logistica, parcheggi, pulizie, sicurezza. Anche questi servizi vengono svolti quasi sempre al di fuori degli ordinari (e legali) circuiti della commercializzazione. Inoltre, si tratta di segmenti economici sui quali (come segnala proprio il caso recente delle curve milanesi) i gruppi mettono le mani grazie all’esercizio dell’intimidazione, o della violenza esplicita, effettuata sui soggetti che in quei segmenti economici si muovono seguendo pienamente i criteri della legalità. Criminalità endogena, criminalità esogena, criminalità mista Si crea così una situazione tipica delle organizzazioni criminali avanzate: infiltrarsi con metodi illegali nell’economia legale e sfruttarla in modo parassitario. E proprio di organizzazioni criminali ha senso parlare poiché, fra esercizio di violenza e creazione di circuiti economici illegali, è questo il profilo che tali gruppi assumono. Inoltre, il modo in cui essi gestiscono il proprio business comporta che le loro attività siano altamente remunerative. La conseguenza di tutto ciò è che forme di business così efficaci non possono non attirare l’interesse delle organizzazioni criminali esterne allo stadio: sia le piccole organizzazioni locali, sia le grandi organizzazioni criminali come le mafie. Esse tentano di radicarsi in qualsiasi business altamente remunerativo e questo è il motivo per cui guardano al giro d’affari realizzato dai gruppi ultras che controllano le curve da stadio delle principali piazze italiane. L’ingresso in scena da parte delle organizzazioni criminali esterne allo stadio comporta la ricerca di un nuovo equilibrio, che ridisegna l’ecosistema criminale delle curve. Per le mafie si tratta di infiltrare un territorio che fin lì è stato presidiato in modo discontinuo e molto relativo. È comunque un territorio presidiato da altri soggetti nonché governato da regole proprie anche per quanto riguarda i meccanismi dell’illegalità. Dunque, le grandi organizzazioni criminali devono affrontare quantomeno una fase di adattamento alle logiche e ai meccanismi della curva. La soluzione che scelgono dipende dai casi singoli; cioè, dai contesti locali, dalle leadership esistenti in curva e dalle circostanze in cui avviene il tentativo di infiltrarsi. In questo senso, e mantenendosi su un piano analitico, bisogna distinguere tre tipi di leadership nelle curve. Il primo tipo è quello della leadership endogena e fa riferimento ai casi in cui il comando sulla curva si strutturi all’interno della curva medesima. Il secondo tipo è quello della leadership esogena, con la costituzione di gruppo per mano di una regia esterna (che può essere quella di una grande organizzazione criminale) da infiltrare nell’ecosistema della curva e consolidare in termini di leadership e partecipazione al business. E c’è in fine la modalità di terzo tipo, quella che possiamo etichettare come mista. Si tratta della soluzione che vede un patto fra i gruppi ultras che regolano la vita delle curve e i gruppi di criminalità organizzata che dall’esterno intendono partecipare al business. Questo terzo tipo di leadership è anche il più complesso, poiché può esprimersi in forme diverse: l’ammissione in curva di un nuovo gruppo, o l’inserimento di rappresentanti dell’organizzazione nel gruppo dominante della curva, o la mera attuazione di un principio di divisione del lavoro che lascia al gruppo dominante della curva la piena gestione del proprio ambito (con possibilità di espansione all’esterno) in cambio di una partecipazione ai profitti. Ovviamente si tratta di una tipologia che non ha alcuna pretesa di essere esaustiva, ma che può essere uno strumento utile per la lettura dei processi in corso e della loro complessità. Quante suburre da studiare La tipologia appena illustrata ha comunque il pregio di fare intravedere quali siano la varietà e la complessità delle strutture di potere nelle curve e la loro propensione a contaminarsi con le organizzazioni criminali esterne. Infatti, se si compie una panoramica di massima, si scopre che in ogni realtà locale viene adottata una soluzione specifica. Tale soluzione tiene conto della storia della singola curva, delle leadership attuali e del loro profilo, ma anche delle culture criminali radicate nel territorio oltreché delle condizioni di apertura/chiusura rispetto alle influenze delle grandi organizzazioni criminali. Se il modello è quello di Suburra, allora è necessario declinarlo al plurale e studiare ogni caso nella sua individualità per poi procedere a generalizzazioni molto caute. Riferimenti bibliografici Dal Lago, A., 1990, Descrizione di una battaglia. I rituali del calcio, Bologna, Il Mulino. De Biasi, R. (a cura di), 2008, You’ll never walk alone. Mito e realtà del tifo inglese, Milano, Shake.     > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp
November 28, 2024 / Osservatorio Repressione
La curva della Cavese multata per aver ricordato Stefano Cucchi allo stadio
In occasione della gara casalinga tra la Cavese e il Potenza giocata il 26 ottobre, gli ultrà della Cavese hanno lanciato dagli spalti un forte messaggio sociale, ricordando l’omicidio di Stefano Cucchi e sottolineando la necessità dei codici identificativi per le forze dell’ordine: «Numeri identificativi nel dimenticatoio… per chi come Stefano Cucchi ha subito la vostra repressione l’unica via è la ribellione!». L’azione non è piaciuta al giudice sportivo, che ha multato la Cavese con una sanzione da 200 euro per oltraggio nei confronti delle istituzioni di Salvatore Toscano da L’indipendente In occasione del match casalingo con il Potenza, gli ultrà della Cavese hanno lanciato dagli spalti un forte messaggio sociale, ricordando l’omicidio di Stefano Cucchi e sottolineando la necessità dei codici identificativi per le forze dell’ordine: «Numeri identificativi nel dimenticatoio… per chi come Stefano Cucchi ha subito la vostra repressione l’unica via è la ribellione!». L’azione non è piaciuta al giudice sportivo, che ha multato la Cavese con una sanzione da 200 euro per oltraggio nei confronti delle istituzioni. La multa non intaccherà l’impegno sociale dei tifosi; a metà ottobre il mondo ultrà ha registrato un nuovo punto di rottura con la sovrastruttura calcistica italiana. Il 13 ottobre in un incidente stradale hanno perso la vita tre giovani tifosi del Foggia, di ritorno da una trasferta. I gruppi organizzati di tutta Italia hanno messo da parte le rivalità e mostrato vicinanza alla Foggia calcistica. Duro l’attacco unitario mosso nei confronti della FIGC e delle varie Leghe che hanno deciso di non dare voce alla vicenda attraverso un minuto di silenzio prima delle partite. «13-10-2024: la morte non è uguale per tutti!», hanno scritto i tifosi della Cavese in uno striscione che ha accompagnato quello in ricordo di Stefano Cucchi. A mostrare solidarietà ai supporter biancoblu è stata la senatrice Ilaria Cucchi: «Voglio ringraziare i tifosi della Cavese ed esprimere la mia vicinanza a loro e alla società. Multata per uno striscione che ricorda non solo mio fratello, Stefano, ma quanta strada abbiamo ancora da fare per dirci un Paese davvero civile. Non so cosa sia stato considerato “oltraggioso nei confronti delle istituzioni dello Stato” di queste parole. Però so perfettamente che un oltraggio enorme è quello che fa la maggioranza rimandando continuamente l’introduzione dei codici identificativi». Della necessità della misura si è iniziato a parlare con insistenza a seguito del macello alla messicana messo in atto dalle forze dell’ordine contro i manifestanti del G8 di Genova, nel 2001. Negli anni gli appelli, interni e internazionali, si sono sprecati. Anche l’Unione europea e le Nazioni Unite si sono espresse a favore dei codici identificativi per gli agenti. Nel 2022 Amnesty International ha consegnato al Capo della Polizia circa 150mila firme frutto della campagna “Codici identificativi subito”. A mancare, dunque, nel nostro Paese è la volontà politica, complice la levata sugli scudi dei sindacati di polizia. Nel contestato disegno di legge 1660, caratterizzato per un forte impianto repressivo, la maggioranza ha provato a dare un contentino alla società civile, prevedendo che le forze dell’ordine “possano usare le bodycam in situazioni di ordine pubblico e nei luoghi di trattenimento”. Possano, non debbano. La misura sarà quindi facoltativa e le telecamere potranno essere riposte o spente quando gli agenti lo riterranno opportuno. Oltre a bluffare sulle bodycam, la coalizione guidata da Fratelli d’Italia ha glissato sui codici identificativi, lasciando l’Italia tra gli ultimi Paesi europei a esserne priva. «Lo sport è fondamentale anche per trasmettere un messaggio di civiltà. Spero che siano tanti e tante, sempre di più, a condividerlo. E la politica a quel punto non lo potrà più ignorare», ha concluso Ilaria Cucchi, sottolineando la dimensione sociale che il calcio continua a veicolare, nonostante le continue strette repressive mosse da più fronti. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
November 4, 2024 / Osservatorio Repressione
La Spectre della fine (del calcio italiano)
Come i media raccontano l’inchiesta di Milano con l’arresto di capi della tifoseria: ultrà, mafiosi, trappers in un sottobosco lombrosiano, uniti contro il «civile mondo calcistico» di Vincenzo Scalia da il manifesto L’inchiesta della procura milanese, culminata con l’arresto di alcuni capi ultras, alimenta un nuovo filone della narrazione complottista. Gli inquirenti meneghini avrebbero aperto il vaso di Pandora di un nuovo mondo di mezzo, dove allignerebbe un’alleanza tra capi ultrà, criminalità organizzata, organizzazioni di destra, trappers, rappers, che inquinerebbe il mondo del calcio, altrimenti pulito e guidato dalla sportività decoubertiniana. Da qui al levarsi di voci moralizzatrici a mezzo di repressione penale, il passo è breve. Ignorando che si tratta di un’inchiesta ancora in corso, e che in fase processuale le posizioni degli imputati spesso si ridimensionano. Si rende perciò necessaria una riflessione che restituisca la contraddittorietà dei fatti. Innanzitutto, è bene specificare che non ci troviamo di fronte ad una trasformazione della tifoseria organizzata milanese in un’appendice della ‘ndrangheta. Alcuni membri della ‘ndrangheta sono tra gli ultrà, ma l’inchiesta non fa emergere un rapporto di dipendenza. La tifoseria organizzata è dotata di una struttura paramilitare, di una propria subcultura, e le utilizza per controllare il territorio dello stadio. Le attività di cui si occupa, quali la vendita dei replica kit, dei gadgets, il controllo dei parcheggi e degli stand, vengono svolte con forme estorsive, da quel che traspare. Insomma, si tratta di organizzazioni che, per struttura e finalità, competono sul territorio con la criminalità organizzata, ma non ne dipendono. Esistono forme di conflitto (come l’omicidio Bellocco) e di cooperazione, come spesso avviene, ma non di organicità e di dipendenza. Quanto al rapporto tra società e ultrà, si tratta di un terreno spesso paludoso. I calciatori, i dirigenti, presenziano a svariate iniziative organizzate dalle tifoserie organizzate, e non necessariamente conoscono in dettaglio i particolari della vita delle persone da cui sono invitate e che gli chiedono i selfie. Certo, c’è la parte relativa ai biglietti, ma anche nei periodi anteriori al calcio globalizzato odierno i canali di conoscenza personale funzionavano per ottenere i tagliandi per assistere al match. È vero che oggi la tessera del tifoso rende tutto più difficile, ma ci sarebbe semmai da riflettere sull’utilità di questo istituto. L’operazione che va fatta è semmai quella di togliere il velo di ipocrisia in merito ai rapporti tra società calcistiche e tifoserie organizzate. Gli ultrà, col loro presidio e controllo del territorio, rappresentano per un verso un male necessario, con cui le dirigenze debbono fare i conti. Dall’altro lato, però, la loro mobilitazione, rappresenta spesso una risorsa a cui i vertici attingono per dirimere conflittualità interne, per liberarsi di allenatori o calciatori scomodi, per fare pressione sugli organismi direttivi nazionali. Ancora ricordiamo il 2003, quando la tifoseria laziale aiutò la dirigenza biancoceleste a risolvere la controversia col fisco, o quella dei tifosi catanesi per ottenere la riammissione in serie B, con alla testa personalità politiche di spicco. Se qualche sospetto affiora, riguarda il modo in cui la vicenda rappresentata a livello mediatico. Ultrà, mafiosi, trappers, vengono ammucchiati in un unico sottobosco lombrosiano, pronti a sferrare la minaccia sul civile mondo calcistico. Una lettura facile, ad uso dei benpensanti di ogni colore politico, che però sortisce due risultati immediati. Il primo è quello di distogliere ulteriormente l’attenzione su passaggi di proprietà, investimenti e crisi finanziarie che investono il calcio italiano, che vedono all’opera personaggi su cui non ci si interroga fino in fondo. In secondo luogo, l’inchiesta cade a fagiolo proprio quando entra nel vivo la questione sul nuovo stadio di Milano. Le dirigenze delle squadre milanesi, come le altre, smaniano per devitalizzare gli stadi, rimasti l’uno luogo di aggregazione di massa, per trasformarli nella brutta copia di centri commerciali. Questa inchiesta può aiutare ad accelerare il processo di bonifica auspicato. È vero, gli ultrà sono egemonizzati dalla destra. Ma non è solo colpa loro, ma anche di chi ha scelto di abbandonare il territorio. E di chi traveste il business da De Coubertin. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp L'articolo La Spectre della fine (del calcio italiano) sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
October 4, 2024 / Osservatorio Repressione
Bergamini, in nome del popolo ultrà
Storia di una verità scritta dal basso di Claudio Dionesalvi da il manifesto Sono trascorse poche ore dalla morte di Denis Bergamini. È il 18 novembre del 1989. Il suo corpo senza vita è sdraiato nell’obitorio dell’ospedale di Trebisacce, sulla costa jonica cosentina. Nella camera mortuaria entrano quattro persone: un frate e tre giovani. Sono ultrà del Cosenza Calcio. A guidarli è Piero Romeo, un leader della tifoseria, ma guai a chiamarlo capo, perché “il gregge ha un capo, il branco no”. Piero è fondatore, insieme a Padre Fedele Bisceglia, della Mensa dei Poveri, dove ogni giorno mangiano 40 diseredati. Bisceglia è un missionario francescano. In curva lo chiamano “Il Monaco”. La Mensa è pure il covo degli ultrà cosentini, nel centro della città. Del quartetto fanno parte anche Vincenzo Speziale, detto “Pasta china” (pasta ripiena –Ndr) e Sergio Crocco “Canaletta” che tanti anni dopo diverrà influencer e poeta vernacolare. I quattro entrano nella camera mortuaria. Denis è solo. I familiari sono stati informati della tragedia; stanno viaggiando, devono arrivare da Argenta, in provincia di Ferrara. Il Monaco solleva il lenzuolo. Piangono tutti e quattro, ma c’è qualcosa che non torna. Il corpo di Denis non è straziato dalle ferite riportate nell’investimento. “Sembrava stesse dormendo”, dirà Vincenzo. Il volto è immacolato, il torace e le braccia senza un graffio. Il primo ad aggrottare le sopracciglia è Piero. Conosce la città fino alle sue zone più ombrose. Gliela raccontano i “matti”, i senza-fissa-dimora, che lo adorano, perché lui è il primo cittadino laico ad averli accolti. Inoltre Piero ha una singolare capacità di cogliere le perversioni, il disagio psichico malcelato, le manie in voga negli ambienti borghesi che conosce e frequenta perché sono gli stessi a contribuire volontariamente, mediante donazioni, al funzionamento della Mensa. Tra i suoi più stretti collaboratori c’è Pasta China che è il custode dei segreti della squadra, l’emissario degli allenatori del Cosenza, che lo hanno incaricato di tenere d’occhio i calciatori e badare che non si lascino andare a vizi e distrazioni. Il giorno dopo, Piero e gli altri tornano in quello che per loro non è più il teatro di un suicidio, bensì il luogo di un delitto. Sono loro i primi ad indagare sulla morte di Denis. Lo fanno con grande discrezione, in silenzio, perché non hanno prove e temono di sollevare uno tsunami di sospetti. Sulla SS 106 eseguono rilievi, misurazioni. Piero disegna un bozzetto planimetrico che 30 anni dopo finirà agli atti del processo giunto poche ore fa a sentenza con la condanna a 16 anni di reclusione per l’ex fidanzata di Denis, Isabella Internò. A due giorni dalla tragedia, nella sua trasmissione “Il Processo del Lunedì”, è Aldo Biscardi a chiedere all’autorevolissimo telecronista Emanuele Giacoia come mai sia stata già scartata l’ipotesi di omicidio. Negli anni successivi, Oliviero Beha, Santi Trimboli e altre grandi firme del giornalismo torneranno a porre la medesima domanda, con insistenza. Eppure, un velo di oblio calerà per qualche tempo, fino a quando Carlo Petrini, ex calciatore, poi divenuto scrittore ed autore di libri che denunciano il malaffare nel sistema calcio, nel 2001 pubblicò “Il calciatore suicidato” (Kaos Edizioni). Per conoscere la storia di Petrini bisogna vedere il docufilm “Centravanti nato”. Dovrebbero proiettarlo in tutte le scuole calcio. Lessi il suo libro sulla morte di Denis e rimasi turbato. Non era la ricostruzione dei fatti a inquietarmi, bensì la descrizione dell’ambiente sportivo e sociale della città in cui sono nato e vivo. Secondo Petrini, non c’erano dubbi: Denis sarebbe stato ucciso perché coinvolto in affari illeciti della malavita locale. All’epoca collaboravo con Il Quotidiano della Calabria. Scrissi una recensione, il giornale la pubblicò e mi impressionò molto il nervosismo che quella pagina scatenò. Qualcuno chiamò in redazione per lamentarsi. Allora rimasi ancor più convinto del valore di quel libro, ma c’erano due dettagli che mi lasciavano perplesso: la mancanza di un movente chiaro ed il presunto ruolo della ‘ndrangheta. In Calabria come altrove, la mafia è una calamità, ma troppo spesso funge da spaventapasseri e da parafulmini. Quando non si possono o non si vogliono additare i veri responsabili di certe malefatte, si dice che è stata la ‘ndrangheta. Come sparare verso il cielo. Così però rimangono impuniti uomini corrotti nelle istituzioni ed un’intera classe politica che della malavita è guida, protezione, complemento. Mi misi in contatto con Carlo Petrini, gli riferii le mie perplessità e gli proposi di scendere a Cosenza per presentare il suo libro. Al telefono, mi disse che per il momento non sarebbe potuto venire, perché le sue condizioni di salute non glielo permettevano. Infine mi sfidò: “Facciamo così, se lei mi risponde ad una domanda, quando verrò a Cosenza le dirò perché è stato ucciso Bergamini”. Bisognerà aspettare il deposito delle motivazioni della sentenza emessa dalla corte d’Assise di Cosenza poche ore fa, prima di rivelare quale fu il quesito postomi da Petrini. Comunque era sin troppo chiaro che mi stava provocando e che la sua era una domanda retorica. All’epoca, il mio oracolo si chiamava Piero Romeo. Lui non mi aveva mai parlato dei suoi sospetti sulla morte di Denis. Del bozzetto planimetrico, da lui disegnato, sono venuto a conoscenza solo di recente. Mi precipitai da Piero. Aveva una personalità magnetica, viveva a stretto contatto con la città, ma a volte non disdegnava la solitudine. Il poeta Arthur Rimbaud se ne andò in Africa a vendere armi. Piero si rifugiò a Rende, vicino Cosenza, dove aprì un ristorantino. Gli girai la domanda che Petrini mi aveva posto pochi minuti prima al telefono. Piero rimase in silenzio per qualche secondo, poi rispose. E un istante dopo, ammonì: “Non chiedermi più nulla”. Mai sentito il suo tono di voce così rabbioso ed impotente! Mi convinsi allora che qualcosa di brutale doveva essere avvenuto davvero quella sera di novembre, nel 1989, sulla strada statale 106. Trascorre ancora qualche anno. Il tam tam riparte dai social. Nel 2009 il ternano Alessandro Piersigilli, dipendente pubblico ed appassionato di inchieste giornalistiche, apre il gruppo “Giustizia per Donato Denis Bergamini”. A Cosenza nasce un’associazione che chiede verità. Il fotoreporter cosentino Luigi Celebre scava tra i materiali delle indagini archiviate, contatta testimoni, recupera ed analizza le fotografie della tragica sera in cui perse la vita Denis. E si rende conto che ritraggono la scena di un crimine. Con lui, ad indagare nell’ombra, ci sono dei ragazzi dei Cosenza Supporters. Su una testata locale, Cosenza Sport, il giornalista Gabriele Carchidi è il primo ad ipotizzare il movente “passionale”. Da questo momento, scatena una guerra personale contro gli insabbiatori e quelli che individua come gli assassini del calciatore. Nel 2013, davanti al tribunale di Cosenza, centinaia di persone chiedono verità e giustizia. Si pubblicano libri. Programmi televisivi e rotocalchi ricostruiscono l’intera vicenda. Dal 2015 il blog iacchite’, di cui Carchidi è direttore e Michele Santagata redattore, conduce una campagna ostinata per giungere alla riapertura del caso. Riceve querele e minacce, però non si ferma. Ed affianca una persona che in questa tragedia lunga 35 anni, sin dall’inizio, non ha mai ceduto. Neanche per un istante. Così ha costretto la giustizia a fare i conti con sé stessa. Si chiama Donata ed è la sorella di Denis. È rimbalzata da un capo all’altro di questo Paese, ottenendo solidarietà; ha rinunciato alla propria esistenza, affrontando spese immani e notevoli ostacoli. È soprattutto merito suo se oggi abbiamo una risposta alla domanda che milioni di persone ponevano. E poi ci sono loro, gli ultrà. Non solo quelli di Cosenza, ma anche gli altri. In tutto questo tempo, hanno esposto striscioni, lanciato cori, sostenuto in ogni modo la battaglia per l’accertamento dei fatti. Sino a domenica scorsa, quando in diversi stadi d’Italia e d’Europa sono apparsi striscioni imploranti verità per Denis. Perché gli ultrà si affezionano alle proprie “bandiere” fino a vivere in simbiosi con esse. E se una mano assassina le recide, sono i primi ad accorgersene. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp   L'articolo Bergamini, in nome del popolo ultrà sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
October 3, 2024 / Osservatorio Repressione
L’alternativa al vittimismo dei camerati
L’attacco alla pugile algerina Imane Khelif è stato il punto più basso dell’utilizzo delle Olimpiadi da parte dell’estrema destra per la propria «guerra culturale». Ma alcune e alcuni giovani atleti mostrano con le proprie parole che esiste un’alternativa di Giacomo Gabbuti e Lorenzo Zamponi da Jacobin Italia Le Olimpiadi, grande evento sportivo per eccellenza, riflettono […] L'articolo L’alternativa al vittimismo dei camerati sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
August 7, 2024 / Osservatorio Repressione
La Uefa minaccia, il governo obbedisce
La realtà è che in questo sistema comandano i soldi, non le passioni o le necessità del popolo. E ciò è vero anche per il calcio, visto che il ricchissimo “modello Premier” ha avuto come effetto principale l’espulsione delle fasce popolari dalla vita delle società sportive. da Contropiano “L’emendamento Mulè è accantonato, ora si sta ragionando […] L'articolo La Uefa minaccia, il governo obbedisce sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
July 12, 2024 / Osservatorio Repressione
Quando sciarpe e felpe diventano pretesto per la rappresaglia
Succede a Sora ma potrebbe succedere ovunque. Succede nel silenzio, nell’indifferenza e nella compiacenza di troppi. Fortunatamente non di tutti. di Simone Meloni da Sportpeople Trentotto tifosi bianconeri sono stati raggiunti da un documento con cui vengono informati che la Questura di Frosinone sta indagando – e con tutta probabilità comminerà loro altrettanti Daspo – […] L'articolo Quando sciarpe e felpe diventano pretesto per la rappresaglia sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
March 21, 2024 / Osservatorio Repressione
Quando gli ultrà vanno oltre il tifo e si mostrano più lucidi della politica
Conflitto in Medio Oriente, le curva tornano a parlare. Sugli striscioni in tanti stadi le richieste di pace e rispetto delle vittime di Luca Pisapia da il manifesto Con la nuova esplosione del conflitto israelo-palestinese le curve degli stadi sono tornate a essere l’inconscio collettivo della società. Inconscio come luogo del rimosso e di creazione […] L'articolo Quando gli ultrà vanno oltre il tifo e si mostrano più lucidi della politica sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
November 14, 2023 / Osservatorio Repressione
Il Celtic punisce i suoi tifosi che sostengono la Palestina
Un gruppo di tifosi del Celtic ha accusato la dirigenza del club di agire in modo vergognoso per “aver cercato di censurare e punire la solidarietà verso il popolo palestinese da parte dei tifosi”. di InfoAut Secondo il sito web della BBC, gli abbonamenti sono stati ritirati ai tifosi delle Green Brigades, un gruppo di […] L'articolo Il Celtic punisce i suoi tifosi che sostengono la Palestina sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
November 4, 2023 / Osservatorio Repressione
Perché opporsi all’introduzione del riconoscimento biometrico negli stadi?
La Lega Calcio vuole inserire il riconoscimento facciale ai tornelli di ingresso negli stadi. di  Marco Sirocchi La notizia, uscita qualche giorno fa, in merito alla proposta della Lega Calcio di inserire il riconoscimento facciale ai tornelli di ingresso negli stadi, non dovrebbe stupire. Da decenni l’ambiente dello stadio è utilizzato come banco di prova […] L'articolo Perché opporsi all’introduzione del riconoscimento biometrico negli stadi? sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
September 11, 2023 / Osservatorio Repressione