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La curva della Cavese multata per aver ricordato Stefano Cucchi allo stadio
In occasione della gara casalinga tra la Cavese e il Potenza giocata il 26 ottobre, gli ultrà della Cavese hanno lanciato dagli spalti un forte messaggio sociale, ricordando l’omicidio di Stefano Cucchi e sottolineando la necessità dei codici identificativi per le forze dell’ordine: «Numeri identificativi nel dimenticatoio… per chi come Stefano Cucchi ha subito la vostra repressione l’unica via è la ribellione!». L’azione non è piaciuta al giudice sportivo, che ha multato la Cavese con una sanzione da 200 euro per oltraggio nei confronti delle istituzioni di Salvatore Toscano da L’indipendente In occasione del match casalingo con il Potenza, gli ultrà della Cavese hanno lanciato dagli spalti un forte messaggio sociale, ricordando l’omicidio di Stefano Cucchi e sottolineando la necessità dei codici identificativi per le forze dell’ordine: «Numeri identificativi nel dimenticatoio… per chi come Stefano Cucchi ha subito la vostra repressione l’unica via è la ribellione!». L’azione non è piaciuta al giudice sportivo, che ha multato la Cavese con una sanzione da 200 euro per oltraggio nei confronti delle istituzioni. La multa non intaccherà l’impegno sociale dei tifosi; a metà ottobre il mondo ultrà ha registrato un nuovo punto di rottura con la sovrastruttura calcistica italiana. Il 13 ottobre in un incidente stradale hanno perso la vita tre giovani tifosi del Foggia, di ritorno da una trasferta. I gruppi organizzati di tutta Italia hanno messo da parte le rivalità e mostrato vicinanza alla Foggia calcistica. Duro l’attacco unitario mosso nei confronti della FIGC e delle varie Leghe che hanno deciso di non dare voce alla vicenda attraverso un minuto di silenzio prima delle partite. «13-10-2024: la morte non è uguale per tutti!», hanno scritto i tifosi della Cavese in uno striscione che ha accompagnato quello in ricordo di Stefano Cucchi. A mostrare solidarietà ai supporter biancoblu è stata la senatrice Ilaria Cucchi: «Voglio ringraziare i tifosi della Cavese ed esprimere la mia vicinanza a loro e alla società. Multata per uno striscione che ricorda non solo mio fratello, Stefano, ma quanta strada abbiamo ancora da fare per dirci un Paese davvero civile. Non so cosa sia stato considerato “oltraggioso nei confronti delle istituzioni dello Stato” di queste parole. Però so perfettamente che un oltraggio enorme è quello che fa la maggioranza rimandando continuamente l’introduzione dei codici identificativi». Della necessità della misura si è iniziato a parlare con insistenza a seguito del macello alla messicana messo in atto dalle forze dell’ordine contro i manifestanti del G8 di Genova, nel 2001. Negli anni gli appelli, interni e internazionali, si sono sprecati. Anche l’Unione europea e le Nazioni Unite si sono espresse a favore dei codici identificativi per gli agenti. Nel 2022 Amnesty International ha consegnato al Capo della Polizia circa 150mila firme frutto della campagna “Codici identificativi subito”. A mancare, dunque, nel nostro Paese è la volontà politica, complice la levata sugli scudi dei sindacati di polizia. Nel contestato disegno di legge 1660, caratterizzato per un forte impianto repressivo, la maggioranza ha provato a dare un contentino alla società civile, prevedendo che le forze dell’ordine “possano usare le bodycam in situazioni di ordine pubblico e nei luoghi di trattenimento”. Possano, non debbano. La misura sarà quindi facoltativa e le telecamere potranno essere riposte o spente quando gli agenti lo riterranno opportuno. Oltre a bluffare sulle bodycam, la coalizione guidata da Fratelli d’Italia ha glissato sui codici identificativi, lasciando l’Italia tra gli ultimi Paesi europei a esserne priva. «Lo sport è fondamentale anche per trasmettere un messaggio di civiltà. Spero che siano tanti e tante, sempre di più, a condividerlo. E la politica a quel punto non lo potrà più ignorare», ha concluso Ilaria Cucchi, sottolineando la dimensione sociale che il calcio continua a veicolare, nonostante le continue strette repressive mosse da più fronti. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp  
November 4, 2024 / Osservatorio Repressione
La Spectre della fine (del calcio italiano)
Come i media raccontano l’inchiesta di Milano con l’arresto di capi della tifoseria: ultrà, mafiosi, trappers in un sottobosco lombrosiano, uniti contro il «civile mondo calcistico» di Vincenzo Scalia da il manifesto L’inchiesta della procura milanese, culminata con l’arresto di alcuni capi ultras, alimenta un nuovo filone della narrazione complottista. Gli inquirenti meneghini avrebbero aperto il vaso di Pandora di un nuovo mondo di mezzo, dove allignerebbe un’alleanza tra capi ultrà, criminalità organizzata, organizzazioni di destra, trappers, rappers, che inquinerebbe il mondo del calcio, altrimenti pulito e guidato dalla sportività decoubertiniana. Da qui al levarsi di voci moralizzatrici a mezzo di repressione penale, il passo è breve. Ignorando che si tratta di un’inchiesta ancora in corso, e che in fase processuale le posizioni degli imputati spesso si ridimensionano. Si rende perciò necessaria una riflessione che restituisca la contraddittorietà dei fatti. Innanzitutto, è bene specificare che non ci troviamo di fronte ad una trasformazione della tifoseria organizzata milanese in un’appendice della ‘ndrangheta. Alcuni membri della ‘ndrangheta sono tra gli ultrà, ma l’inchiesta non fa emergere un rapporto di dipendenza. La tifoseria organizzata è dotata di una struttura paramilitare, di una propria subcultura, e le utilizza per controllare il territorio dello stadio. Le attività di cui si occupa, quali la vendita dei replica kit, dei gadgets, il controllo dei parcheggi e degli stand, vengono svolte con forme estorsive, da quel che traspare. Insomma, si tratta di organizzazioni che, per struttura e finalità, competono sul territorio con la criminalità organizzata, ma non ne dipendono. Esistono forme di conflitto (come l’omicidio Bellocco) e di cooperazione, come spesso avviene, ma non di organicità e di dipendenza. Quanto al rapporto tra società e ultrà, si tratta di un terreno spesso paludoso. I calciatori, i dirigenti, presenziano a svariate iniziative organizzate dalle tifoserie organizzate, e non necessariamente conoscono in dettaglio i particolari della vita delle persone da cui sono invitate e che gli chiedono i selfie. Certo, c’è la parte relativa ai biglietti, ma anche nei periodi anteriori al calcio globalizzato odierno i canali di conoscenza personale funzionavano per ottenere i tagliandi per assistere al match. È vero che oggi la tessera del tifoso rende tutto più difficile, ma ci sarebbe semmai da riflettere sull’utilità di questo istituto. L’operazione che va fatta è semmai quella di togliere il velo di ipocrisia in merito ai rapporti tra società calcistiche e tifoserie organizzate. Gli ultrà, col loro presidio e controllo del territorio, rappresentano per un verso un male necessario, con cui le dirigenze debbono fare i conti. Dall’altro lato, però, la loro mobilitazione, rappresenta spesso una risorsa a cui i vertici attingono per dirimere conflittualità interne, per liberarsi di allenatori o calciatori scomodi, per fare pressione sugli organismi direttivi nazionali. Ancora ricordiamo il 2003, quando la tifoseria laziale aiutò la dirigenza biancoceleste a risolvere la controversia col fisco, o quella dei tifosi catanesi per ottenere la riammissione in serie B, con alla testa personalità politiche di spicco. Se qualche sospetto affiora, riguarda il modo in cui la vicenda rappresentata a livello mediatico. Ultrà, mafiosi, trappers, vengono ammucchiati in un unico sottobosco lombrosiano, pronti a sferrare la minaccia sul civile mondo calcistico. Una lettura facile, ad uso dei benpensanti di ogni colore politico, che però sortisce due risultati immediati. Il primo è quello di distogliere ulteriormente l’attenzione su passaggi di proprietà, investimenti e crisi finanziarie che investono il calcio italiano, che vedono all’opera personaggi su cui non ci si interroga fino in fondo. In secondo luogo, l’inchiesta cade a fagiolo proprio quando entra nel vivo la questione sul nuovo stadio di Milano. Le dirigenze delle squadre milanesi, come le altre, smaniano per devitalizzare gli stadi, rimasti l’uno luogo di aggregazione di massa, per trasformarli nella brutta copia di centri commerciali. Questa inchiesta può aiutare ad accelerare il processo di bonifica auspicato. È vero, gli ultrà sono egemonizzati dalla destra. Ma non è solo colpa loro, ma anche di chi ha scelto di abbandonare il territorio. E di chi traveste il business da De Coubertin. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp L'articolo La Spectre della fine (del calcio italiano) sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
October 4, 2024 / Osservatorio Repressione
Bergamini, in nome del popolo ultrà
Storia di una verità scritta dal basso di Claudio Dionesalvi da il manifesto Sono trascorse poche ore dalla morte di Denis Bergamini. È il 18 novembre del 1989. Il suo corpo senza vita è sdraiato nell’obitorio dell’ospedale di Trebisacce, sulla costa jonica cosentina. Nella camera mortuaria entrano quattro persone: un frate e tre giovani. Sono ultrà del Cosenza Calcio. A guidarli è Piero Romeo, un leader della tifoseria, ma guai a chiamarlo capo, perché “il gregge ha un capo, il branco no”. Piero è fondatore, insieme a Padre Fedele Bisceglia, della Mensa dei Poveri, dove ogni giorno mangiano 40 diseredati. Bisceglia è un missionario francescano. In curva lo chiamano “Il Monaco”. La Mensa è pure il covo degli ultrà cosentini, nel centro della città. Del quartetto fanno parte anche Vincenzo Speziale, detto “Pasta china” (pasta ripiena –Ndr) e Sergio Crocco “Canaletta” che tanti anni dopo diverrà influencer e poeta vernacolare. I quattro entrano nella camera mortuaria. Denis è solo. I familiari sono stati informati della tragedia; stanno viaggiando, devono arrivare da Argenta, in provincia di Ferrara. Il Monaco solleva il lenzuolo. Piangono tutti e quattro, ma c’è qualcosa che non torna. Il corpo di Denis non è straziato dalle ferite riportate nell’investimento. “Sembrava stesse dormendo”, dirà Vincenzo. Il volto è immacolato, il torace e le braccia senza un graffio. Il primo ad aggrottare le sopracciglia è Piero. Conosce la città fino alle sue zone più ombrose. Gliela raccontano i “matti”, i senza-fissa-dimora, che lo adorano, perché lui è il primo cittadino laico ad averli accolti. Inoltre Piero ha una singolare capacità di cogliere le perversioni, il disagio psichico malcelato, le manie in voga negli ambienti borghesi che conosce e frequenta perché sono gli stessi a contribuire volontariamente, mediante donazioni, al funzionamento della Mensa. Tra i suoi più stretti collaboratori c’è Pasta China che è il custode dei segreti della squadra, l’emissario degli allenatori del Cosenza, che lo hanno incaricato di tenere d’occhio i calciatori e badare che non si lascino andare a vizi e distrazioni. Il giorno dopo, Piero e gli altri tornano in quello che per loro non è più il teatro di un suicidio, bensì il luogo di un delitto. Sono loro i primi ad indagare sulla morte di Denis. Lo fanno con grande discrezione, in silenzio, perché non hanno prove e temono di sollevare uno tsunami di sospetti. Sulla SS 106 eseguono rilievi, misurazioni. Piero disegna un bozzetto planimetrico che 30 anni dopo finirà agli atti del processo giunto poche ore fa a sentenza con la condanna a 16 anni di reclusione per l’ex fidanzata di Denis, Isabella Internò. A due giorni dalla tragedia, nella sua trasmissione “Il Processo del Lunedì”, è Aldo Biscardi a chiedere all’autorevolissimo telecronista Emanuele Giacoia come mai sia stata già scartata l’ipotesi di omicidio. Negli anni successivi, Oliviero Beha, Santi Trimboli e altre grandi firme del giornalismo torneranno a porre la medesima domanda, con insistenza. Eppure, un velo di oblio calerà per qualche tempo, fino a quando Carlo Petrini, ex calciatore, poi divenuto scrittore ed autore di libri che denunciano il malaffare nel sistema calcio, nel 2001 pubblicò “Il calciatore suicidato” (Kaos Edizioni). Per conoscere la storia di Petrini bisogna vedere il docufilm “Centravanti nato”. Dovrebbero proiettarlo in tutte le scuole calcio. Lessi il suo libro sulla morte di Denis e rimasi turbato. Non era la ricostruzione dei fatti a inquietarmi, bensì la descrizione dell’ambiente sportivo e sociale della città in cui sono nato e vivo. Secondo Petrini, non c’erano dubbi: Denis sarebbe stato ucciso perché coinvolto in affari illeciti della malavita locale. All’epoca collaboravo con Il Quotidiano della Calabria. Scrissi una recensione, il giornale la pubblicò e mi impressionò molto il nervosismo che quella pagina scatenò. Qualcuno chiamò in redazione per lamentarsi. Allora rimasi ancor più convinto del valore di quel libro, ma c’erano due dettagli che mi lasciavano perplesso: la mancanza di un movente chiaro ed il presunto ruolo della ‘ndrangheta. In Calabria come altrove, la mafia è una calamità, ma troppo spesso funge da spaventapasseri e da parafulmini. Quando non si possono o non si vogliono additare i veri responsabili di certe malefatte, si dice che è stata la ‘ndrangheta. Come sparare verso il cielo. Così però rimangono impuniti uomini corrotti nelle istituzioni ed un’intera classe politica che della malavita è guida, protezione, complemento. Mi misi in contatto con Carlo Petrini, gli riferii le mie perplessità e gli proposi di scendere a Cosenza per presentare il suo libro. Al telefono, mi disse che per il momento non sarebbe potuto venire, perché le sue condizioni di salute non glielo permettevano. Infine mi sfidò: “Facciamo così, se lei mi risponde ad una domanda, quando verrò a Cosenza le dirò perché è stato ucciso Bergamini”. Bisognerà aspettare il deposito delle motivazioni della sentenza emessa dalla corte d’Assise di Cosenza poche ore fa, prima di rivelare quale fu il quesito postomi da Petrini. Comunque era sin troppo chiaro che mi stava provocando e che la sua era una domanda retorica. All’epoca, il mio oracolo si chiamava Piero Romeo. Lui non mi aveva mai parlato dei suoi sospetti sulla morte di Denis. Del bozzetto planimetrico, da lui disegnato, sono venuto a conoscenza solo di recente. Mi precipitai da Piero. Aveva una personalità magnetica, viveva a stretto contatto con la città, ma a volte non disdegnava la solitudine. Il poeta Arthur Rimbaud se ne andò in Africa a vendere armi. Piero si rifugiò a Rende, vicino Cosenza, dove aprì un ristorantino. Gli girai la domanda che Petrini mi aveva posto pochi minuti prima al telefono. Piero rimase in silenzio per qualche secondo, poi rispose. E un istante dopo, ammonì: “Non chiedermi più nulla”. Mai sentito il suo tono di voce così rabbioso ed impotente! Mi convinsi allora che qualcosa di brutale doveva essere avvenuto davvero quella sera di novembre, nel 1989, sulla strada statale 106. Trascorre ancora qualche anno. Il tam tam riparte dai social. Nel 2009 il ternano Alessandro Piersigilli, dipendente pubblico ed appassionato di inchieste giornalistiche, apre il gruppo “Giustizia per Donato Denis Bergamini”. A Cosenza nasce un’associazione che chiede verità. Il fotoreporter cosentino Luigi Celebre scava tra i materiali delle indagini archiviate, contatta testimoni, recupera ed analizza le fotografie della tragica sera in cui perse la vita Denis. E si rende conto che ritraggono la scena di un crimine. Con lui, ad indagare nell’ombra, ci sono dei ragazzi dei Cosenza Supporters. Su una testata locale, Cosenza Sport, il giornalista Gabriele Carchidi è il primo ad ipotizzare il movente “passionale”. Da questo momento, scatena una guerra personale contro gli insabbiatori e quelli che individua come gli assassini del calciatore. Nel 2013, davanti al tribunale di Cosenza, centinaia di persone chiedono verità e giustizia. Si pubblicano libri. Programmi televisivi e rotocalchi ricostruiscono l’intera vicenda. Dal 2015 il blog iacchite’, di cui Carchidi è direttore e Michele Santagata redattore, conduce una campagna ostinata per giungere alla riapertura del caso. Riceve querele e minacce, però non si ferma. Ed affianca una persona che in questa tragedia lunga 35 anni, sin dall’inizio, non ha mai ceduto. Neanche per un istante. Così ha costretto la giustizia a fare i conti con sé stessa. Si chiama Donata ed è la sorella di Denis. È rimbalzata da un capo all’altro di questo Paese, ottenendo solidarietà; ha rinunciato alla propria esistenza, affrontando spese immani e notevoli ostacoli. È soprattutto merito suo se oggi abbiamo una risposta alla domanda che milioni di persone ponevano. E poi ci sono loro, gli ultrà. Non solo quelli di Cosenza, ma anche gli altri. In tutto questo tempo, hanno esposto striscioni, lanciato cori, sostenuto in ogni modo la battaglia per l’accertamento dei fatti. Sino a domenica scorsa, quando in diversi stadi d’Italia e d’Europa sono apparsi striscioni imploranti verità per Denis. Perché gli ultrà si affezionano alle proprie “bandiere” fino a vivere in simbiosi con esse. E se una mano assassina le recide, sono i primi ad accorgersene. > Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi > sostenerci donando il tuo 5×1000  > > News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp   L'articolo Bergamini, in nome del popolo ultrà sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
October 3, 2024 / Osservatorio Repressione
L’alternativa al vittimismo dei camerati
L’attacco alla pugile algerina Imane Khelif è stato il punto più basso dell’utilizzo delle Olimpiadi da parte dell’estrema destra per la propria «guerra culturale». Ma alcune e alcuni giovani atleti mostrano con le proprie parole che esiste un’alternativa di Giacomo Gabbuti e Lorenzo Zamponi da Jacobin Italia Le Olimpiadi, grande evento sportivo per eccellenza, riflettono […] L'articolo L’alternativa al vittimismo dei camerati sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
August 7, 2024 / Osservatorio Repressione
La Uefa minaccia, il governo obbedisce
La realtà è che in questo sistema comandano i soldi, non le passioni o le necessità del popolo. E ciò è vero anche per il calcio, visto che il ricchissimo “modello Premier” ha avuto come effetto principale l’espulsione delle fasce popolari dalla vita delle società sportive. da Contropiano “L’emendamento Mulè è accantonato, ora si sta ragionando […] L'articolo La Uefa minaccia, il governo obbedisce sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
July 12, 2024 / Osservatorio Repressione
Quando sciarpe e felpe diventano pretesto per la rappresaglia
Succede a Sora ma potrebbe succedere ovunque. Succede nel silenzio, nell’indifferenza e nella compiacenza di troppi. Fortunatamente non di tutti. di Simone Meloni da Sportpeople Trentotto tifosi bianconeri sono stati raggiunti da un documento con cui vengono informati che la Questura di Frosinone sta indagando – e con tutta probabilità comminerà loro altrettanti Daspo – […] L'articolo Quando sciarpe e felpe diventano pretesto per la rappresaglia sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
March 21, 2024 / Osservatorio Repressione
Quando gli ultrà vanno oltre il tifo e si mostrano più lucidi della politica
Conflitto in Medio Oriente, le curva tornano a parlare. Sugli striscioni in tanti stadi le richieste di pace e rispetto delle vittime di Luca Pisapia da il manifesto Con la nuova esplosione del conflitto israelo-palestinese le curve degli stadi sono tornate a essere l’inconscio collettivo della società. Inconscio come luogo del rimosso e di creazione […] L'articolo Quando gli ultrà vanno oltre il tifo e si mostrano più lucidi della politica sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
November 14, 2023 / Osservatorio Repressione
Il Celtic punisce i suoi tifosi che sostengono la Palestina
Un gruppo di tifosi del Celtic ha accusato la dirigenza del club di agire in modo vergognoso per “aver cercato di censurare e punire la solidarietà verso il popolo palestinese da parte dei tifosi”. di InfoAut Secondo il sito web della BBC, gli abbonamenti sono stati ritirati ai tifosi delle Green Brigades, un gruppo di […] L'articolo Il Celtic punisce i suoi tifosi che sostengono la Palestina sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
November 4, 2023 / Osservatorio Repressione
Perché opporsi all’introduzione del riconoscimento biometrico negli stadi?
La Lega Calcio vuole inserire il riconoscimento facciale ai tornelli di ingresso negli stadi. di  Marco Sirocchi La notizia, uscita qualche giorno fa, in merito alla proposta della Lega Calcio di inserire il riconoscimento facciale ai tornelli di ingresso negli stadi, non dovrebbe stupire. Da decenni l’ambiente dello stadio è utilizzato come banco di prova […] L'articolo Perché opporsi all’introduzione del riconoscimento biometrico negli stadi? sembra essere il primo su Osservatorio Repressione.
September 11, 2023 / Osservatorio Repressione