La seconda di una serie di puntate di Harraga – trasmissione in onda su Radio
Blackout ogni venerdì alle 15 – in cui proviamo a tracciare un fil rouge che
dalla Palestina riporti alle logiche e alle dinamiche coloniali occidentali nei
nostri contesti, che sfruttano e opprimono le persone razzializzate, tanto in
Palestina quanto in Italia.
L’obiettivo non sta tanto nel definire somiglianze e divergenze nelle forme di
repressione ed oppressione, al di qua e al di là del Mediterraneo, ma
individuare piuttosto terreni comuni capaci di tenere insieme le lotte: non solo
nella teoria politica, ma anche e soprattutto nella materialità in cui si
manifestano.
Nel riconoscere la colonia nei nostri contesti, il tema di questa seconda
puntata parte dall’approfondimento della storia e delle forme che assumono i
campi di lavoro dei distretti agroindustriali in Italia, grazie alla diretta con
una compagna della rete Campagne in Lotta. Il sistema-campo qui prende la forma
di un arcipelago di forme abitative formali e informali, create per contenere la
forza lavoro e la sua mobilità in chiave estrattiva. Un modello che si è andato
formando dalla fine degli anni 80, con l’incremento significativo di
immigrazione e di richiesta di manodopera nei distretti agroindustriali, ma la
cui storia e genealogia è molto precedente ed è andata di pari passi passo con
quella coloniale e di formazione di un’economia capitalista ed estrattivista, in
particolare del Sud. I campi sono le struttura che l’istituzione crea a scopo
contenitivo e di controllo, che si possono presentare come un campo
“umanitario”, ad esempio un centro d’accoglienza. Ghetto è la definizione che
chi lo abita gli dà, uno spazio fatto anche di forme di organizzazione,
socialità e solidarietà che vanno molto ad là del controllo istituzionale.
Nell’andare a fondo dell’argomento non si può che affrontare una delle
manifestazioni più evidenti della colonia: i processi di frammentazione o
campizzazione dei territori. Analisi che si collega al concetto di
“arcipelago Palestina”, un processo di frammentazione dei territori palestinesi
iniziato da Israele nel 1948 e che oggi si manifesta in primis nella divisione
territoriale (territori del ’48, Cisgiordania, Gaza, campi profughi e diaspora),
funzionale al controllo della mobilità, al contenimento e alla carcerazione
della popolazione palestinese, così come all’appropriazione di nuovi territori,
ma il cui tentativo (spesso fallito) risiede anche nella frammentazione del
tessuto sociale palestinese, anche attraverso la moltiplicazione di status
giuridici. Una pratica che alle nostre latitudini richiama i vari livelli di
cittadinanza, tra chi ha o meno un permesso di soggiorno, e di quale tipo.
La componente umanitaria, delegata alla gestione/oppressione delle persone in
questi territori, rappresenta un tassello chiave dell’impianto razzista statale:
dal ruolo di vari attori del terzo settore nella pacificazione ai fini della
capitalizzazione sulla pelle delle persone immigrate nei campi di lavoro come
nei lager di stato – alle ONG che operano nei ghetti dell’agroindustria o in
Palestina, che creano una completa dipendenza da “aiuti umanitari”, portando ad
uno svilimento delle istanze di lotta di chi questi territori li abita.
Tracciare la genealogia di alcuni campi di lavoro del Sud Italia ci permette
anche di delineare alcune retoriche fondamentali del colonialismo, attuate sia
qui, nei confronti del Sud Italia, sia in Palestina: la conquista delle terre
giustificata dall’idea di averle rese produttive e fertili, assieme al
trasferimento forzato di ampie masse di popolazione locale, trasformandole in
nomadi, fornendo così un’ulteriore legittimazione all’occupazione dei territori.
Ricostruire una genealogia del sistema campo in Italia ci aiuta a puntualizzare
quanto il concetto di colonia non sia delegabile esclusivamente a territori al
di fuori dei confini nazionali ma si manifesti anche qui, tanto nelle sue forme
oppressive quanto in quelle di lotta e resilienza.
Per ascoltare il primo episodio della serie: “La detenzione amministrativa come
manifestazione della colonia, in Palestina e nei CPR”