Il decreto di espulsione che ha colpito nella giornata di Lunedì 24 Novembre
Mohamed Shahin – imam della moschea nel cuore di San Salvario a Torino – ha
rappresentato un attacco del governo alla solidarietà contro il genocidio
palestinese.
Un attacco che utilizza le procedure amministrative che regolano ingressi,
deportazioni e centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) per colpire e
intimorire chi non gode del privilegio dei cosiddetti “giusti documenti”. Un
attacco che mette sotto accusa partecipazione e dissenso, richiesto e firmato
non solo del ministro Piantedosi, ma anche della deputata di fratelli d’italia
Augusta Montaruli.
Un attacco contro cui, però, non si è fatta attendere una rapida risposta:
quella legale, che attraverso l’istanza di richiesta di asilo presentata
tempestivamente da avvocate e avvocati ha bloccato la deportazione di Mohamed; e
quella politica, iniziata con la conferenza stampa sotto la prefettura di Torino
e che adesso si allarga con una serie di iniziative previste nei prossimi giorni
da Torino a Caltanissetta (qui, per seguire le iniziative su Instagram).
Insieme a Brahim, attivista per la Palestina e membro della comunità islamica
torinese, ricostruiamo inizialmente cosa è accaduto da Lunedì ad oggi:
Affrontiamo poi, sempre con Brahim, come islamofobia, degrado e retorica dei
maranza rappresentino sfumature diverse nella costruzione del nemico interno e
della necessità di coordinarsi per lottare contro razzismo e violenza di stato:
Con il contributo di Hafsa, compagna di Torino per Gaza, registrato durante al
presidio in conferenza stampa di martedì 25 Novembre continuiamo a parlare di
solidarietà e mobilitazione:
Attualmente Mohamed Shahin è rinchiuso a più di 1500 km da casa nel CPR di Pian
del Lago a Caltanissetta, il rischio di persecuzioni a seguito della
deportazione in Egitto è tanto concreto, quanto attuale e non si possono non
notare le similitudini tra gli strumenti repressivi utilizzati in Palestina nel
progetto coloniale sionista e quelli in via di sviluppo nel nostro paese.
Per condividere un quadro del funzionamento e della vita all’interno di un CPR
punitivo, come quello di Caltanissetta, gestito dalla cooperativa Albatros di
San Cataldo (CL), condividiamo un intervento di alcun* compagn* sicilian* che si
organizzano contro frontiere e detenzione amministrativa:
Solo nel 2024, le deportazioni collettive verso l’Egitto effettuate con voli
charter sono state 10. I voli sono stati operati dai velivoli dalle compagnie
aree Aeroitalia, Albastar, Air Cairo, Egypt Air, Smartwings e ETF airways
Mese dopo mese i bandi ministeriali consentono a due compagnie di broker che si
spartiscono il mercato dei cosiddetti rimpatri – la PAS (Professional Aviation
Solutions, tedesca) e la AIR PARTNER (britannica, acquisita nel 2022 dalla
statunitense WHEELS UP) – di gestire le tratte deportative al miglior prezzo.
Per saperne di più sulle espulsioni in Egitto, qui.
Infine, condividiamo un contributo audio dal presidio in piazza Castello
dell’avvocata che sta seguendo la tutela legale di Mohamed:
Tag - palestina
di Laila Hassan* Perché il palestinese buono è quello morto o rassegnato.
Appunti sull’inadeguatezza della sinistra italiana “La guerra di liberazione non
è un’istanza di riforme, ma lo sforzo grandioso …
Physicians for Human Rights ha da poco pubblicato il report “Death Sentence for
Palestinians in Custody” che riporta 94 casi di detenuti palestinesi morti
durante la detenzione da parte dello Stato sionista. Il report, documentando la
tortura e la negligenza medica sullx detenutx palestinesi, indica una deliberata
politica israeliana di morte nei confronti dellx detenutx palestinesi in
custodia cautelare.
All’indomani dell’inizio dell’ultimo cessate il fuoco, prima che la fase due del
Piano Trump venisse votata all’ONU, qualche giorno prima dell’arresto della
procuratrice militare israeliana Yifat Tomer-Yerushalmi per la diffusione del
video di una violenza sessuale nei confronti di un detenuto palestinese a Sde
Teiman, e qualche giorno dopo lo scambio di ostaggi tra Hamas e Israele, abbiamo
letto qualche articolo sulle immagini dei cadaveri dei detenuti palestinesi
restituiti alle famiglie nella Striscia di Gaza. I cadaveri erano
irriconoscibili, e le famiglie sono state sottoposte allo strazio di dover
riconoscere, in quei corpi torturati e smembrati, i loro cari, senza che Israele
fornisse alcun tipo di aiuto rispetto alla loro identificazione.
Al telefono con un medico di Physicians for human rights abbiamo parlato
dell’introduzione della pena di morte in Israele, della trasparenza dei media
nel Paese, della società israeliana.
Per approfondire
Il report di Physicians for Human Rights Israel
Il caso dell’ex procuratrice militare israeliana Yifat Tomer-Yerushalmi
https://www.bbc.com/news/articles/c2q07kd3ld6o
Il supporto alle IDF dopo la diffusione della notizia delle torture ai danni di
alcuni detenuti palestinesi e del video di uno stupro di gruppo a Sde Teiman
Lunedì 17 novembre alle Nazioni Unite si è votato il famigerato Board of Peace
sulla striscia di Gaza: con 13 sì e l’astensione di Russia e Cina viene
approvato il piano di 20 punti Trump-Netanyahu.
Così il tycoon ottiene la delega formale esecutiva e politica per la gestione
della striscia e di fatto la restaurazione delle sfere d’influenza nella
regione. Non a caso l’interlocuzione tra Trump e Mohammad Bin Salman di martedì
18 ha visto segnare un ulteriore punto verso gli Accordi di Abramo e la
normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele.
L’istituzione di una governance estera sui territori della striscia, la
demilitarizzazione completa e … sono alcuni dei punti principali con cui si
sigla la piena negazione di autodeterminazione per il popolo palestinese e si
rende la logica di guerra un modello di amministrazione dall’alto. Assenti
invece in maniera quasi totale meccanismi che limitino l’agency di Tel Aviv: non
vi sono riferimenti alla fine dell’occupazione israeliana, né attribuzioni di
responsabilità per i 70 mila morti ufficiali (per quanto uno studio di The
Lancet denunci cifre che si aggirano attorno a 186.000) e tanto meno meccanismi
di monitoraggio della gestione.
Il tentativo di deportazione di 153 palestinesi in Sudafrica – bloccato dal
paese il cui ministro degli esteri ha dichiarato “Riteniamo che l’arrivo del
gruppo faccia parte di un piano più ampio per trasferire i palestinesi in varie
regioni del mondo” e che “Il Sudafrica è fermamente contrario a questo piano di
espulsioni e non è disposto ad accettare nuovi voli”-, ci dimostra come l’esito
di questa riorganizzazione territoriale non prevederà mai un ritorno a casa dei
palestinesi.
Continua l’inasprirsi dei bombardamenti in Libano, che hanno visto solo nella
giornata di ieri almeno 15 palestinesi (25 secondo fonti non ufficiali) uccisi
dall’aviazione aerea a Ein El Hilwe, alla periferia di Sidone. E anche in
Cisgiordania, i coloni sotto scorta dell’esercito israeliano procedono
all’attacco sistematico dei contadini e dei raccolti, non sono mai cessate le
uccisioni e procede il progetto di divisione in due della West Bank con
l’intento di impedire qualsiasi unità territoriale palestinese.
Ne parliamo con Eliana Riva, caporedattrice di Pagine Esteri:
Contro l’escalation bellica e i tagli alle scuole e alle università, e in
solidarietà con la Palestina, venerdì, è stata una giornata di lotta e sciopero
studentesco in decine di città italiane, organizzato da collettivi studenteschi
e dal movimento Fridays For Future, per denunciare anche “una situazione
drammatica per la scuola, con investimenti a pioggia nell’economia bellica e
poco o nulla per formazione, istruzione, cultura”. La giornata di mobilitazione
di venerdì è stata anche definita come “No Meloni Day”, con il blocco non solo
di scuole, ma anche di Università, con scioperi, presidi e manifestazioni.
Ieri, domenica, all’alba gli agenti della Digos di Torino hanno fatto irruzione
a casa di uno studente diciottenne, attivista dei collettivi studenteschi
torinesi, che è stato arrestato e posto agli arresti domiciliari.
Stamattina comparirà davanti al giudice per il processo per direttissima.
L’operazione è stata eseguita in flagranza differita, una procedura che permette
l’arresto anche a distanza di ore dal fatto.
La reazione del mondo studentesco non si è fatta attendere, con un comunicato di
diffuso ieri e che riportiamo per intero e diversi appuntamenti: oggi alle ore
16 davanti alla Prefettura in Piazza castello, domani alle ore 18, appuntamento
a Palazzo Nuovo per l’assembea pubblica di Torino per Gaza e il 28 novembre,
giornata di sciopero generale.
Abbiamo chiesto a uno studente del collettivo del liceo Einstein di raccontarci
la giornata di venerdì e di darci più informazioni rispetto all’arresto di ieri
e ai prossimi appuntamenti.
Di seguito, il comunicato uscito ieri dal Collettivo Gioberti di Torino,
Assemblea studentesca e KSA Torino a seguito dell’arresto in flagranza differita
nei confronti di Omar, uno studente del liceo Gioberti che ha partecipato alla
manifestazione studentesca di venerdì 14 novembre.
Stamattina, domenica 16 novembre, la polizia è piombata in casa di uno
studente appena diciottenne, portandolo in questura per poi metterlo ai
domiciliari, impedendogli categoricamente di andare a scuola nei
prossimi giorni, il suo processo è fissato per domani in direttissima e non gli
sono neanche stati consegnati gli atti per preparare la difesa, che invece che
in mesi dovrà essere preparata in ore.
Omar non è che uno studente, un compagno di scuola e di lotta, un
coetaneo che la polizia ha deciso di individuare come soggetto su cui
accanirsi violentemente per colpire ed intimidire tutti coloro che hanno
preso parte allo sciopero di venerdì 14 novembre.
È evidente infatti, che quest’azione miri a rompere l’unità e la coesione
studentesca andatasi a creare dopo mesi di mobilitazioni e occupazioni che hanno
visto protagoniste più di quaranta scuole Torinesi, nel tentativo di spaventare
lə innumerevoli studentə che si sono viste protagoniste delle piazza di venerdì
e provando a sminuire le azioni che sono state fatte a seguito di decisioni
COLLETTIVE, riducendole ad un atto dislocato e facendone gravare le conseguenze
su una singola persona.
In una giornata che ha visto un grande coinvolgimento da parte delle
scuole, la risposta da parte delle forze dell’ordine non è stata che
violenta, prima a Porta Nuova e in un secondo tempo a Città
Metropolitana, luogo in cui ci siamo diretti per portare ancora un volta
alla luce le gravi mancanze a livello strutturale e finanziario nell’istituzione
scolastica, situazioni di disagio per cui lə studentə hanno bloccato le scuole
dimostrando, come al liceo Lagrange, che nel
momento in cui si fa pressione i fondi per ristrutturare le scuole
magicamente compaiono.
Alla città metropolitana c’eravamo tutte e rivendichiamo collettivamente ciò che
invece la questura di Torino affilia ad una sola persona, e ricordiamo che i
famosi scontri per i quali viene accusato Omar sono partiti dopo che la polizia
ha chiuso uno studente in uno stanzino e gli ha spaccato la testa, prendendolo
in ostaggio.
Del resto, questo modus operandi non ci è nuovo. è un copione già
scritto infatti, quello in cui le dimensioni di scontro di piazza collettive
vengano depoliticizzate e ridotte a meri atti di violenza imputabili a
singole soggettività, unico modo per legittimare la repressione su chi
lotta contro gli sporchi interessi governativi, contro una scuola asservita alla
conversione bellica, contro al taglio sempre crescente di fondi al welfare
pubblico in favore del suprematismo occidentale a suon di bombe.
Siamo indignati, incazzati, ma non così sorpresi da queste dinamiche
repressive, infantili e quasi di ripicca da parte del governo, che si vede
messo all’angolo dai giovani ormai esasperati che non si tirano indietro
nel mostrare il loro dissenso ad un governo complice che giorno dopo
giorno mette sempre più da parte la scuola, preparandosi a tagliare 600
milioni di euro dall’istruzione per investirli nell’industria bellica.
Ma non basteranno i manganelli a farci abbassare la testa.
Siamo tenaci, furiosi e non abbiamo paura di alzare la voce continuando
a bloccare tutto per un futuro diverso,per un mondo nuovo.
In piazza con Omar c’eravamo tutti. Non era da solo, e per quanto
possano provare a confinarlo in casa e ad isolarlo non lo sarà nemmeno
ora.
Non gliela daremo vinta, la lotta è appena iniziata, torniamo nelle nostre
scuole, alziamo la voce,disertiamo le lezioni, blocchiamo tutto,
prendiamoci gli spazi scolastici che in quanto studenti ci appartengono e
dimostriamo che gli studenti sono una collettività unita a cui i loro sporchi
giochi di potere di divisione e repressione delle lotte
Omar ha il diritto di andare a scuola esattamente come tutti noi.
Se non lo potrà fare lui, non lo farà nessuno.
Omar libero subito
La prima di una serie puntate di Harraga (trasmissione in onda su Radio Blackout
ogni venerdi dalle 15 alle 16) in cui proviamo a tracciare un fil rouge, che
dalla Palestina riporti alle logiche e alle dinamiche coloniali occidentali nei
nostri contesti, che sfruttano e opprimono, tanto in Palestina quanto in Italia,
le persone razzializzate.
L’obiettivo non sta tanto nel definire somiglianze e divergenze nelle forme di
repressione ed oppressione, al di qua e al di là del Mediterraneo, ma sviluppare
terreni di lotta comuni capaci di tenere insieme le lotte: non solo nella teoria
politica, ma a partire proprio dalla materialità con cui si manifestano.
Partiamo quindi dalla detenzione amministrativa e dai CPR, forma di repressione
e segregazione in Palestina di larghissimo utilizzo da parte dell’entità
sionista e tassello chiave della catena del razzismo di stato qui in Italia.
La fase di mobilitazioni in solidarietà al popolo palestinese che abbiamo
attraversato negli ultimi mesi, ha rappresentato un salto di qualità rispetto a
quanto messo in campo in Occidente negli ultimi decenni. Dallo slogan
“blocchiamo tutto”, le mobilitazioni hanno raggiunto non solo la comprensione ma
soprattutto la presa di responsabilità chiara e collettiva che ciò che
produciamo qui sui luoghi di lavoro, nelle scuole o nelle università, è complice
e materialmente responsabile del genocidio e dell’oppressione sistemica del
popolo palestinese. Ma non solo, la consapevolezza che inizia a radicarsi anche
nella fetta più ampia del movimento ProPal, è che la Palestina non rappresenta
solo se stessa ma tutte le lotte e le rivendicazioni anticoloniali e
antirazziste, sia negli obiettivi della lotta di liberazione e
autodeterminazione che nelle forme in cui essa si concretizza.
Siamo quindi partite dal delineare in cosa consiste la detenzione amministrativa
in Palestina, la genealogia della sua nascita e le fluttuazioni storiche del suo
utilizzo, per poi provare a tracciare le analogie negli obiettivi di questo
strumento di repressione in Italia come in Palestina. In primo luogo come monito
ai liberi: in Palestina, per esempio, è prassi che l’esercito sionista arresti i
familiari dei combattenti per convincerli a desistere dalla lotta. D’altra parte
in Italia le torture e le deportazioni sono quantitativamente minori in
relazione al numero di persone sprovviste del permesso di soggiorno, ma sono
funzionali al terrorizzare tuttx le/gli altrx tentando, con l’uso della paura
su larga scala, di renderli docili. Altrettanto chiara è, in entrambi i
contesti, l’obiettivo di creare profitto dal razzismo. Dall’evidente guadagno di
aziende private sui corpi delle persone recluse nei CPR, alla possibilità di
sfruttare manodopera a bassissimo costo tramite il meccanismo del ricatto del
permesso di soggiorno. Fino ad arrivare in Palestina dove l’intera società può
essere definita una società carceraria, dove genocidio, pulizia etnica e
incarcerazioni di masse generano profitto come laboratorio sperimentale di armi
e sistemi di sicurezza di ogni tipo.
Se è vero, come dicono in molti, che Israele fa e ha fatto per anni il lavoro
sporco dell’Occidente, spingendo sempre più in là l’asticella del livello di
violenza e repressione accettabili dalla “democratica società civile”,
dall’invenzione da parte delle IOF della dottrina della spoporzionalità del 2006
alle violenze indicibili commesse dall’esercito sionista dal 7 ottobre a Gaza,
ai trattamenti deumanizzanti che, se fino a ieri sarebbero stati impensabili,
oggi sono fin normalizzati dalle popolazioni occidentali. E’ anche vero che in
Europa la sperimentazione di livelli di violenza, controllo e repressione si
attua sempre sulle vite delle persone migranti che fungono, in tale quadro,
anche da banco di prova per estendere i limiti dell’umanamente
accettabile, nonché per normalizzare forme di tortura sia fisica che
psicologica.
Dall’altro lato, va ricordato che Israele è un prodotto dell’Occidente e
pertanto necessita della continua legittimazione ideologica razzista ed
islamofoba occidentale che si manifesta con la narrazione della “minaccia
islamica”, usata a scopo propagandisco dai governi occidentali e non solo, per
giustificare un discorso sulla “sicurezza”, sul riarmo e sul controllo delle
frontiere.
Di tutto questo ne abbiamo parlato proprio nel giorni di apertura
della settimana di mobilitazione per i prigionieri palestinesi. Sempre al fianco
delle 3368 persone imprigionate in detenzione amministrative nelle carceri
sioniste; con Anan, Ali e Mansour imprigionati in Italia per conto dello stato
sionista; con chi si trova reclusə per aver lottato al fianco della Palestina e
contro le complicità di aziende belliche occidentali, con Tarek e con
Prisoners4Palestine e Stecco, in sciopero della fame da più di sette giorni.
Libertà per tuttx!
PROIEZIONE DI COLPEVOLI DI PALESTINA
Csoa Gabrio - Via Millio 42, Torino
(giovedì, 27 novembre 19:00)
Domenica 2 Novembre all’ora di colazione, nel carcere di Bronzefield nella città
di Ashford a sud del Regno Unito, i primi due prigionieri in sciopero della fame
di Prisoners for Palestine, Qesser Zuhrah e Amu Gib, hanno rifiutato il cibo.
Questo gesto ha segnato l’inizio del primo sciopero della fame a ciclo continuo,
che coinvolge un gruppo di prigionieri e prigioniere accusate di azioni dirette
contro l’industria bellica inglese.
Il 20 Ottobre era già stato inoltrato al Ministro dell’Interno, tramite il
gruppo Prisoners for Palestine, un documento contenente le rivendicazioni delle
persone in stato di arresto e l’annuncio dell’imminente sciopero.
Nessuna risposta, ad oggi, è ancora pervenuta dalle autorità.
Sono sei le persone attualmente in sciopero nel Regno Unito (Qesser Zuhrah, Amu
Gib, Heba Muraisi, Jon Cink, THoxha e Kamran Ahmed, ad esse si è aggiunto un
compagno anarchico – Luca Dolce detto Stecco – prigioniero nel carcere di
Sanremo.
I prigionieri sono membri rispettivamente dei gruppi denominati Filton 24 e
Brize Norton 5 e sono detenuti in carcere, senza condanna, accusati di aver
preso parte a due azioni distinte, rivendicate dal gruppo Palestine Action.
Filton 24 è l’appellativo utilizzato per il gruppo di attivisti incarcerati per
un raid di Palestine Action (riportato nel video precedente) nel centro di
ricerca, sviluppo e produzione del più grande produttore di armi
israeliano, Elbit System, situato a Filton, Bristol, nell’Agosto 2024. In 6
furono arrestati sul posto, ma in seguito, mentre erano sotto custodia della
polizia, sono stati nuovamente arrestati ai sensi della legislazione
antiterrorismo, che ha consentito alle autorità di prolungare il periodo di
detenzione. Nei mesi successivi, in una serie di raid all’alba, altri 18
attivisti ricondotti allo stesso gruppo furono arrestati, alcuni anche insieme a
familiari, che furono poi rilasciati.
Brize Norton, invece, è il nome del gruppo accusato di aver spruzzato vernice
rosso sangue su due aerei Voyager noleggiati dalla RAF. La base di Brize Norton
è quella che ha svolto funzione di hub di trasporto e rifornimento per i voli
diretti alla RAF di Akrotiri a Cipro, da dove vengono inviati voli giornalieri
per lo spionaggio a Gaza.
Qui, tradotta in italiano, un audio intervista ad un’attivista di Prisoners for
Palestine che racconta come si sta e si è organizzata la solidarietà per i
prigionieri e le prigioniere e attraverso quali iniziative e con quali obiettivi
continuerà la campagna antirepressiva nel Regno Unito.
LA DICHIARAZIONE DI AMU GIB: “Sono in sciopero della fame perché il mio corpo è
stato messo sotto custodia dello Stato, ma ho ancora il dovere di lottare per la
libertà dall’oppressione…
Come possiamo stare in prigione, aspettando che il cappio si stringa intorno al
nostro collo per opporci al genocidio?
Come potrei non agire, mentre i bambini vengono assassinati nella più completa
impunità da uno Stato sionista genocida?
Distogliere lo sguardo dagli orrori non impedirà che accadano e dobbiamo
affrontare la realtà. Dovremmo forse sorridere e chiedere gentilmente la nostra
clemenza a un “sistema giudiziario” fondamentalmente corrotto dal sionismo?”
Attualmente ci sono 33 prigionieri detenuti in custodia cautelare nelle carceri
britanniche per azioni legate alla Palestina. Da quando Palestine Action è stata
dichiarata fuorilegge dal governo britannico come organizzazione “terroristica”,
oltre 2000 persone sono state arrestate in Inghilterra e Galles, principalmente
per aver esposto cartelli con la scritta “MI OPPONGO AL GENOCIDIO. SOSTENGO
PALESTINE ACTION”. La maggior parte è stata arrestata durante le proteste di
massa organizzate da Defend Our Juries.
“L’incarcerazione di attivisti in base a poteri antiterrorismo non è un abuso
della legge, ma piuttosto è lo scopo per cui queste leggi sono state create.
L’antiterrorismo è sempre stato uno strumento per mettere a tacere il dissenso e
criminalizzare coloro che sfidano la violenza dello Stato. Questo sciopero della
fame mette a nudo la continuità tra il passato coloniale della Gran Bretagna e
la sua attuale repressione” ha dichiarato Anas Mustapha, responsabile della
difesa pubblica presso CAGE International, organizzazione che sta supportando
legalmente e pubblicamente lo sciopero.
Dal 2012, Elbit si è aggiudicata 25 appalti pubblici nel Regno Unito per un
totale di oltre 355 milioni di sterline. Ora, il Ministero della Difesa si sta
preparando a firmare un contratto da 2,7 miliardi di sterline con Elbit, che la
designerebbe come “partner strategico” e che le consentirebbe di addestrare
60.000 soldati britannici ogni anno. Alla luce del ruolo svolto nel paese
dall’azienda leader nella produzione bellica, tra le rivendicazioni dei
prigionieri e delle prigioniere in sciopero della fame spicca la chiusura degli
stabilimenti Elbit e l’oscuramento dei suoi siti.
Rimandando al sito del gruppo Prisoners for Palestine e dell’organizzazione CAGE
International per aggiornamenti sullo sciopero della fame e le iniziative a
sostegno dei e delle prigioniere, condividiamo alcune informazioni ad
integrazione e approfondimento dell’intervista.
Estratti dalla puntata del 27 ottobre 2025 di Bello Come Una Prigione Che Brucia
CRETA: MOBILITAZIONI CONTRO BASI MILITARI E INTERESSI SIONISTI Grazie al
contributo di una compagna ci facciamo raccontare come si articolino le
mobilitazioni contro gli interessi israeliani nell’isola di Creta: un territorio
cruciale su un piano strategico (basi nella di Baia di […]
Estratti dalla puntata del 27 ottobre 2025 di Bello Come Una Prigione Che Brucia
CATANIA: IL LUPO SOTTO SGOMBERO Il LUPo (Laboratorio Urbano Popolare) è sotto
sgombero. Grazie al contributo di due occupanti cerchiamo di approfondire il suo
posizionamento nella geografia urbana e sociale di Catania, gli interessi che si
sovrappongono a un pezzo di […]