Qui il pdf: Luci da dietro la scena (XXVI)
Nella Casa di Salomone
Bacone scrisse la sua utopia, la New Atlantis, nel 1624, poco prima della sua
morte. In contrasto con le società organiche egualitarie di Campanella e di
Andreae, in cui donne e uomini dovevano ricevere un’educazione e onori in gran
parte simili, la struttura sociale di Bensalem di Bacone era gerarchica e
patriarcale, modellata sulla famiglia patriarcale all’inizio dell’epoca moderna.
[…]
L’istituto di ricerca scientifica destinato a portare il progresso a Bensalem,
la comunità della Nuova Atlantide, si chiama Casa di Salomone. Il carattere
patriarcale di questa società utopica viene rafforzato chiamando gli scienziati
«Padri della Casa di Salomone». A Bensalem non esisteva alcun reale processo
politico. Le decisioni venivano prese in vista del bene di tutti dagli
scienziati, nel cui giudizio si doveva aver fiducia in quanto essi soli
possedevano i segreti della natura.
Gli scienziati decidevano quali segreti dovevano essere rivelati allo Stato
nella sua totalità e quali dovevano restare proprietà privata dell’istituto
anziché diventare di pubblico dominio. «Teniamo consultazioni per decidere quali
scoperte ed esperienze da noi realizzate possono essere rese note al pubblico e
quali no, prestiamo tutti un giuramento di non diffondere mai quelle che
pensiamo debbano restare segrete. Alcune di queste talvolta le riveliamo allo
Stato, altre neppure ad esso».
[…]
Lo scienziato di Bacone non solo sembrava un prete, ma si comportava come un
prete che avesse il potere di assolvere attraverso la scienza l’intera
infelicità umana. Egli aveva «uno sguardo pieno di umana pietà» e «levava la
mano nuda benedicendo il popolo silenziosamente». La strada era orlata di due
ali di folla dall’aspetto felice, ordinato e completamente passivo: «La via era
strabocchevole di folla, ma la gente era così ben ordinata da apparire simile a
un esercito schierato in ordine di parata. Anche le finestre non erano
sovraccariche, ma ognuno si affacciava ordinatamente».
Lo «scienziato» di Bacone sembrerebbe un precursore di molti scienziati
ricercatori moderni. Oggi i critichi della scienza sostengono che gli scienziati
sono diventati i custodi di un corpus di conoscenza scientifica avvolto nei
misteri di un linguaggio altamente tecnico che può essere inteso a fondo solo da
chi abbia almeno una dozzina di anni di esperienza. Oggi tali scienziati hanno
la possibilità di rivelare al pubblico solo le informazioni che considerano
rilevanti. A secondo dell’etica e del punto di vista politico dello scienziato,
tali informazioni possono essere o no al servizio del pubblico interesse.
La Casa di Salomone, considerata per molto tempo il prototipo del moderno
istituto di ricerca, fu un antecedente del modo meccanicistico di investigazione
scientifica. Il metodo meccanicistico evolutosi durante il Seicento operava
scomponendo un problema nelle sue parti componenti, isolandolo dal suo ambiente
e risolvendone ogni sua parte separatamente. Il centro di ricerca di Bacone
manteneva «laboratori» separati per lo studio dell’arte mineraria e dei metalli,
delle meteorologia, degli organismi d’acqua dolce e d’acqua salata, di piante
coltivate, insetti e via dicendo.
[…]
Nei laboratori della Casa di Salomone uno degli obiettivi era quello di ricreare
artificialmente l’ambiente naturale per mezzo della tecnologia applicata.
Caverne ampie e profonde, chiamate «regioni inferiori», erano usate, «a
imitazione delle miniere naturali, per la produzione di nuovi metalli
artificiali, mediante la combinazione di vari materiali». In un’altra regione
c’erano «un buon numero di pozzi e sorgenti artificiali fatte a imitazione delle
sorgenti naturali». L’acqua salata poteva essere trasformata in acqua dolce,
poiché «abbiamo anche stagni in alcuni dei quali purifichiamo l’acqua dal sale,
e altri nei quali artificialmente trasformiamo l’acqua dolce in acqua salata».
Il programma di Bacone non comprendeva solo la manipolazione dell’ambiente in
vista del miglioramento dell’umanità, ma abbozzava specificamente la
manipolazione della vita organica per creare specie artificiali di piante e
animali. Bacone trasformò il mago naturale da «servitore della natura» in
manipolatore della natura e trasformò l’arte da imitazione della natura in
tecniche per forzare la natura in nuove forme e per la riproduzione in vista
della produzione. «Otteniamo numerose specie di serpenti, vermi, insetti, pesci
da sostanze in putrefazione e alcuni di questi animali sono arrivati a essere
creature perfette come gli animali e gli uccelli: provvisti di sesso e capaci di
propagarsi. E nulla di tutto ciò avviene per caso perché sappiamo in antecedenza
quale specie di creatura nascerà da una determinata materia o incrocio».
[…]
La Nuova Atlantide aveva parchi e recinti per animali e uccelli, nei quali
venivano eseguiti proprio esperimenti del genere: «Riusciamo a renderli
artificialmente più grossi o più alti degli altri membri della loro specie, o
viceversa più piccoli, arrestando il loro sviluppo. Li rendiamo più fecondi e
prolifici del normale oppure sterili e infecondi. Possiamo variarne il colore,
la forma, le attività». Gli scienziati della Casa di Salomone non solo
producevano nuove forme di uccelli e di bestie, ma alteravano le specie
esistenti di erbe e di piante e ne creavano di nuove. «Conosciamo anche dei
sistemi per far nascere, mediante combinazioni di terreni, varie piante senza
semi, per produrre nuove specie di piante diverse dalle comuni e infine per
trasformare una pianta in un’altra». Piuttosto che rispettare la bellezza degli
organismi viventi, La Nuova Atlantide di Bacone propugnava la creazione di nuovi
organismi:
Abbiamo costruito poi grandi frutteti e giardini dalle diverse colture, nei
quali non guardiamo tanto alla bellezza quanto alla varietà del terreno e alla
sua idoneità alla coltivazione di piante ed erbe diverse… In questi stessi
frutteti e giardini facciamo nascere artificialmente piante e fiori più presto o
più tardi della stagione in cui esse nascerebbero naturalmente e le facciamo
fiorire e fruttificare più rapidamente del normale. Siamo in grado anche di
ottenere piante molto più grandi delle normali, e i frutti di queste piante sono
più grandi, più dolci e differenti di gusto, profumo, colore e forma degli altri
della specie originaria.
[…]
Gran parte del programma di Bacone nella Nuova Atlantide mirava proprio a
legittimare tali manipolazioni, il cui intento essendo quello di recuperare il
diritto dell’uomo sulla natura, andato perduto con il peccato. […]
Per poter controllare le devastazioni prodotte da una natura selvaggia e
tempestosa, Bacone fissò tra gli obiettivi della Casa di Salomone il controllo
artificiale dei fenomeni meteorologici e dei mostri e pestilenze ad essi
associati. «Abbiamo anche case grandi e spaziose, dove imitiamo e riproduciamo i
fenomeni meteorologici, come la neve, la grandine, la pioggia, le piogge
artificiali di corpi non acquosi, i tuoni e i fulmini».
[…]
Nella Nuova Atlantide risiedono le orgini intellettuali dei moderni ambienti
pianificati iniziati dal movimento tecnocratico alla fine degli anni Venti e
negli anni Trenta del nostro secolo, che prese in considerazione ambienti
totalmente artificiali creati dall’uomo per l’uomo. Troppo spesso questi
ambienti sono stati creati dallo stile meccanicistico di soluzioni di problemi,
che presta poca considerazione all’intero ecosistema, di cui le persone sono
solo una parte. Il meccanicismo, che rappresenta l’antitesi del pensiero
olistico, trascura le conseguenze ambientali di prodotti sintetici e le
conseguenze umane di ambienti artificiale. Si ha l’impressione che la creazione
di prodotti artificiali sia stata il risultato della tendenza baconiana al
controllo e al potere sulla natura, in cui «Fine della nostra istituzione è la
conoscenza delle cause e dei segreti movimenti delle cose per allargare i
confini del potere umano verso la realizzazione di ogni possibile obiettivo». A
questo programma di ricerca, i moderni ingegneri genetici hanno aggiunto nuovi
obiettivi: la manipolazione di materiale genetico per creare la vita umana in
grembi materni artificiali, la duplicazione di organismi viventi attraverso la
clonazione e la generazione di esseri umani nuovi adattati ad ambienti altamente
tecnologici.
Un insieme di particelle morte e inerti
Come modello unificante per la scienza e la società, la macchina ha permeato e
ricostruito in modo così totale la scienza umana che oggi difficilmente ne
contestiamo la validità. La natura, la società e il corpo umano sono composti da
parti atomizzate intercambiabili che possono essere riparate o sostituite
dall’esterno. La tecnologia consente di porre rimedio a un cattivo funzionamento
ecologico, nuovi esseri umani sostituiscono i vecchi per mantenere un
funzionamento senza scosse dell’industria e della burocrazia e una scienza
medica sempre più incline all’intervento sostituisce un cuore nuovo a uno
logoro, malato.
La concezione meccanicistica della natura che viene insegnata oggi nella maggior
parte delle scuole occidentali è accettata senza discussione come nostra realtà
quotidiana, del senso comune: la materia è composta da atomi, i colori sono
causati dalla riflessione di onde luminose di diversa frequenza, i corpi
obbediscono alla legge d’inerzia e il sole è al centro del nostro sistema
solare. Nessuna di queste nozioni faceva parte del senso comune per gli uomini
del Seicento. La sostituzione dei precedenti modi di pensare «naturali» con una
forma di vita – con modi di vedere, di pensare e di comportarsi – nuova e
«innaturale» non si verificò senza lotta. La sopraffazione dell’organismo da
parte della macchina diede molto da riflettere alle menti migliori, in un
periodo gravido di timori, di confusione e di instabilità, tanto nella sfera
intellettuale quanto in quella sociale.
L’eliminazione degli assunti animistici, organici sul cosmo segnò la morte della
natura: l’effetto di più vasta portata della Rivoluzione scientifica. Poiché la
natura veniva considerata ora un insieme di particelle morte, inerti, mosse da
forze esterne anziché interne, la cornice meccanica stessa poté legittimare la
manipolazione della natura. Inoltre l’ordine meccanicistico, in quanto cornice
concettuale, era associato a un sistema di valori fondati sul potere, del tutto
compatibile con gli orientamenti assunti dal capitalismo commerciale.
[…]
I meccanicisti trasformarono il corpo del mondo e la sua anima femminile, che
nel cosmo organico era fonte di attività, in un meccanismo di materia inerte in
moto, tradussero lo spirito del mondo in un etere corpuscolare, purgarono la
natura dalla molteplicità di spiriti individuali e trasformarono simpatie e
antipatie in cause efficienti. La spoglia inerte che ne risultò era un sistema
meccanico di corpuscoli morti, messi in moto dal Creatore, così che ciascuno di
essi obbedisse alla legge d’inerzia e fosse mosso solo per mezzo di un contatto
esterno con un altro corpo in movimento.
[…]
L’avvento del meccanicismo gettò le basi di una nuova sintesi del cosmo, della
società e degli esseri umani, costruiti come sistemi ordinati di parti
meccaniche soggette al governo della legge e alla prevedibilità attraverso il
ragionamento deduttivo. Un nuovo concetto dell’io come padrone razionale delle
passioni contenute in un corpo simile a una macchina cominciò a sostituire il
concetto dell’io come parte integrante di una stretta armonia di parti organiche
unite al cosmo e alla società. Il meccanismo rese la natura effettivamente
morta, inerte, e manipolabile dall’esterno.
Un compendio
L’incidente accaduto nel marzo 1979 al reattore nucleare di Three-Mile Island
nei pressi di Harrisburg, in Pennsylvania, ha compendiato i problemi di «morte
della natura» che sono divenuti evidenti dopo la Rivoluzione scientifica. La
manipolazione dei processi nucleari in uno sforzo di controllare e imbrigliare
la natura attraverso la tecnologia si è tradotta in un disastro. Gli interessi
economici a lungo termine e l’immagine pubblica della società elettrica e del
progettista dell’impianto furono posti al di sopra della sicurezza immediata
delle gente e della salute della terra. Gli effetti occulti di emissioni
radioattive che, concentrandosi nella catena alimentare, potrebbero condurre nei
prossimi anni a un aumento del cancro, furono inizialmente sminuiti da coloro
che avevano la responsabilità di regolamentare l’energia atomica.
Three-Mile Island è un simbolo recente della malattia della terra causata da
scorie radioattive, antiparassitari, materie plastiche, smog fotochimico e
fluorocarburi. L’inquinamento dei «suoi fiumi più puri» è stato sostenuto a
partire dalla rivoluzione scientifica da un’ideologia del «potere sulla natura»,
un’ontologia di parti atomiche e umane intercambiabili e una metodologia di
«penetrazione» nei suoi segreti più riposti. La terra malata, «anzi morta, anzi
putrefatta», potrà probabilmente essere restituita a lungo termine alla salute
solo da un rovesciamento dei valori della maggioranza e da una rivoluzione nelle
priorità economiche. In questo senso, il mondo dovrà essere messo ancora una
volta sottosopra.
(brani tratti da Carolyn Merchant, La morte della natura. Donne, ecologia e
rivoluzione scientifica [1980], Editrice Bibliografica, Milano, 2022)
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Riceviamo e diffondiamo:
Dall’internazionalismo alla solidarietà umanitaria
o di come la solidarietà si è trasformata in un investimento economico
neoliberista e in uno strumento di ricatto in Palestina e non solo
Questo testo nasce da un’iniziativa che si è svolta a Genova nell’ aprile 2024 e
di cui porta il titolo. La discussione voleva abbozzare una breve riflessione
critica sulla funzione della cooperazione allo sviluppo (ma anche degli enti
caritatevoli,
ONG, ecc.) come strategia ufficiale (o latente) della politica estera degli
Stati imperialisti, senza la pretesa di esaustività, vista l’ampiezza della
tematica.
Attraverso i contributi di un compagno del collettivo Hurriya! di Pisa e di una
compagna di GPI, il testo prova a fornire alcuni spunti di riflessione e di
approfondimento sulla solidarietà “umanitaria” quale fenomeno ampio, collaterale
(e il più delle volte in combutta) alle politiche di predazione
economica e di controllo del territorio.
Dalla quarta di copertina
Con l’indebolimento della militanza internazionalista, il grosso della
solidarietà praticata in Occidente si è progressivamente piegato ai progetti di
cooperazione allo sviluppo capitalista.
Si sono affermate nuove figure ibride (operatori umanitari,cooperanti “dal
basso”, ecc) per cui carriera professionale e bisogno di reddito si fondono
spesso con l’attivismo politico e che accettano le condizioni dei finanziatori e
degli Stati (occupanti o meno) in qualsiasi tipo di intervento.
La lotta contro il nemico comune per una trasformazione collettiva è stata
sostituita con progetti di cooperazione economica
completamente compatibile (e talvolta in sinergia) con le politiche di
colonizzazione e predazione economica di Stati e Capitale.
Se in Palestina la rinuncia al diritto al ritorno è una condizione necessaria
per accedere agli aiuti internazionali, in Italia chi lavora nel sistema di
accoglienza è costretto a collaborare al disciplinamento degli immigrati, alla
società dello sfruttamento e dell’alienazione.
Avere ceduto tanto terreno comporta, per chi sceglie di agire al di fuori della
logica dei diritti umani che relega gli oppressi al
ruolo di vittime, l’essere criminalizzato come nemico della democrazia.
Scarica la nota introduttiva: opuscolo_ONG-nota introduttiva
pagine 26
1.50 euro a copia, 1 euro per i distributori (dalle 5 copie in su)
spese di spedizione 1,50 euro
per informazioni e spedizioni: irregolari@inventati.org
Riceviamo e diffondiamo il secondo numero di “Campagna di Sfida”, bollettino
dell’omonima campagna, volta a spezzare le collaborazioni tra ateneo trentino e
università israeliane, portata avanti a Trento dall’Assemblea in solidarietà
alla resistenza palestinese. Il numero è dedicato in particolare alla Fondazione
Bruno Kessler.
CAMPAGNA DI SFIDA #2 – VERSIONE STAMPA DEFINITIVA
Qui il primo numero del bollettino:
https://ilrovescio.info/2025/01/20/campgna-di-sfida-un-bollettino-contro-le-collaborazioni-trentine-con-il-genocidio-a-gaza-e-lindustria-bellica/
Riceviamo e diffondiamo
Riceviamo e diffondiamo
Riceviamo e diffondiamo questo importante scritto del nostro Stecco:
Fino a che di una sola prigione rimarrà una sola pietra
Riceviamo e diffondiamo (per informazioni su come ordinare copie vedi in fondo):
Gruppi Autonomi Rivoluzionari Internazionalisti
NON SIAMO STATI NOI AD ASSASSINARE PUIG ANTICH
Titolo originale: NO FUIMOS NOSOTROS QUIENES ASESINAMOS A PUIG ANTICH
(Grupos Autónomos Revolucionarios Internacionalistas)
Prometeo Ediciones, primavera 2024.
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Per tradurre un libro editato in una lingua diversa occorrono energie e tempo, è
necessario quindi dare un senso perchè questa energia e questo tempo non siano
sprecati.
Le parole danno un significato all’agire (anche se spesso l’azione si spiega da
sola) che è essenziale per costruire la propria forma di e nel mondo. Le parole
da sole non sono sufficienti per comprovare la pratica dell’utopia.
Le parole ci aiutano però a non dimenticare, a far conoscere la nostra storia,
la storia dei vinti quando a scrivere la Storia sono i vincitori, la storia
delle e degli audaci, di coloro i/le quali azzardano e arrischiano, che lanciano
il cuore oltre l’ostacolo. Perché come è apparso sulle colonne de «l’anarchie»:
La vita, tutta la vita, è nel presente. Aspettare è perderla.
In queste pagine parleranno i GARI e i prigionieri accusati di far parte dei
GARI, come sempre nelle nostre pubblicazioni abbiamo voluto dare risalto alla
testimonianza diretta per non travalicare l’esperienza soggettiva del percorso
individuale di chi ha voluto intraprendere la propria rivolta contro il Sistema;
da qui lo sciopero della fame di quarantatré giorni visto con gli occhi di chi
lo ha intrapreso, benché contrario a tale pratica, come unica possibilità per
sottrarsi alle continue umiliazioni ci ha riportato alla mente la vicenda di
Alfredo Cospito e dei suoi centoottanta due giorni di sciopero della fame. Ci
ha ricordato che dobbiamo avere fiducia nella capacità di auto-critica di chi lo
inizia, come hanno ludicamente dimostrato i compagni dei GARI nella Lettera da
Fresnes.
Inoltre ci sembra interessante affrontare la questione del terrorismo, questo
mostro spaventoso che solo al sentirlo nominare ci azzittisce atterrite dalla
paura dei nostri pensieri. In questo testo troverete una visione differente da
quella che apparirà nei libri della Collana La vita non attende di prossima
uscita, tratti da Programma della fazione terroristica di Narodnaja Volja e da
La lotta terroristica (Morozov 1880).
Come anarchiche non abbiamo risposte certe ma solo una selva di punti
interrogativi. Ognuna cercherà le proprie risposte e speriamo che nel farlo la
terra ci tremi sotto i piedi.
————————
Dal prologo di Francisco Solar
Carcere di La Gonzalina – Rancagua
Gennaio 2024
Se stiamo parlando di espressioni di solidarietà rivoluzionaria, solidarietà
incentrata sulla liberazione dei compagni imprigionati, è impossibile non citare
l’interessante e particolare attività dei Gruppi di Azione Rivoluzionaria
Internazionalista (GARI).
Costituito appositamente per sostenere e solidarizzare con i prigionieri del
Movimento di Liberazione Iberico (MIL), ha realizzato molte azioni su larga
scala per far conoscere e denunciare il brutale trattamento riservato dalla
dittatura franchista a questi combattenti imprigionati, che comprendeva anche la
pena di morte, come nel caso di Salvador Puig Antich.
Pertanto, l’esperienza di GARI è inseparabile da quella del MIL, dove molti dei
suoi membri entrarono a far parte del primo, dando continuità ad approcci e
pratiche basati sulla lotta. Così, il modo in cui i membri incarcerati del MIL
hanno inteso la solidarietà con i compagni incarcerati, che si riflette in: “[…]
l’intensificazione della lotta per distruggere il sistema che genera la
repressione è il modo migliore per sviluppare la solidarietà dei rivoluzionari
con i prigionieri” , è diventato parte costitutiva delle idee che hanno dato
contenuto alle azioni del GARI. Tuttavia, mentre continuare a colpire il potere
sarebbe stata la forma più appropriata di solidarietà, che indubbiamente
caratterizzava questo gruppo internazionalista, tutta la loro attività ruotava
intorno ai prigionieri del MIL. Tutte le loro azioni erano in diretta relazione
con la realizzazione di una solidarietà rivoluzionaria che irrompesse con forza
sulla scena sociale europea e diffondesse in questo modo la situazione dei
compagni imprigionati e la brutalità esercitata dagli ultimi anni del regime di
Franco. L’obiettivo era chiaro: evitare le condanne a morte di diversi
prigionieri e ottenere la liberazione dei militanti del MIL.
La vita dei GARI fu breve ma di notevole intensità. Scossero la tranquilla
normalità di Paesi come l’Olanda, il Belgio e la Francia con ordigni esplosivi,
mirando fondamentalmente agli interessi spagnoli. La maggior parte delle loro
azioni ottenne, per la loro ampiezza e particolarità, una grande copertura
mediatica che, in parte, permise di far conoscere la realtà affrontata dax
prigionierx rivoluzionarx e di generare, in una certa misura, sostegno alla
campagna internazionale per la loro liberazione.
L’assassinio di Stato di Salvador Puig Antich da parte della vile garrota segnò
un prima e un dopo per l’ampio movimento antifranchista e, in particolare, per
l’attività del GARI, con l’entrata in gioco di un fattore decisivo: la vendetta.
L’esecuzione del compagno, lungi dal provocare l’immobilismo dei membri del
GARI, costituì una chiara chiamata all’azione che completò e intensificò la
lotta per la liberazione dei membri del MIL. La rabbia e l’impotenza si
trasformarono rapidamente in attacchi energici contro gli interessi spagnoli,
dando un segnale di risposta immediata all’aggressione ricevuta.
Le azioni incorniciate dalla vendetta di Puig Antich riflettono, da un lato, la
reazione quasi istintiva dei compagni, che decidono di contrattaccare, e
dall’altro la capacità di portare a termine attacchi potenti e immediati, dando
un chiaro segno di forza.
Rispondere, vendicare, ripagare ogni aggressione da parte del Potere significa
affrontare la guerra in prima persona, significa farsi carico della complessità
del conflitto e significa anche saper prendere la parola, capire che non si è
spettatori e che le situazioni non sono inavvicinabili.
Sono state queste idee a dare contenuto alle azioni vendicative del 2019 a
Santiago [Cile] per le quali sono stato condannato e per le quali sono stato
rinchiuso per diversi decenni. Nonostante siano passati vent’anni, il vile
assassinio della compagna Claudia López è stato vendicato con una potente
esplosione che ha scosso la stazione di polizia dei Carabineros, utilizzata come
centro di pianificazione e protezione quella notte del settembre 1998, ferendo
diversi poliziotti. Così come gli assassinii e le ondate repressive protette e
promosse dall’ex ministro degli Interni Rodrigo Hinzpeter hanno avuto una
risposta che ancora oggi tiene in allerta i rappresentanti del potere.
La vendetta, quindi, si inscrive all’interno delle pratiche politiche offensive,
dando loro senso e contenuto, costituendo un motore che spinge l’azione
vendicativa. Strettamente legata alla memoria, ha la capacità di trovare il
momento giusto per entrare in scena, a volte immediatamente, a volte nel corso
degli anni. L’importante, ovviamente, è che diventi presente.
In questo senso, la vendetta, oltre al fatto concreto che rappresenta, contiene
una dimensione simbolica rilevante nella misura in cui dà conto di un universo
di codici condivisi che danno coesione, rafforzano e danno continuità a un
determinato gruppo. Non lasciare impunito l’omicidio dex compagnx, praticare la
solidarietà rivoluzionaria con x nostrx prigionierx, fanno parte di
quell’impalcatura storica che ci permette di continuare a stare in piedi e di
non vivere esclusivamente nei libri di storia come molti vorrebbero.
La comprensione della lotta in questo modo spazza via ogni forma di delega che
mette nelle mani di terzi la speranza di prendere in mano la situazione.
I GARI non si sono costituiti per ordine di alcun partito o sindacato, né per
direttive o mandati di alcun tipo. Ciascuno dei suoi membri, molti dei quali
provenienti dal MIL, decise liberamente di dare vita a questo gruppo con lo
scopo di sostenere attivamente x proprix compagnx di prigionia. Pertanto, fin
dalla sua genesi, l’autonomia è stata un fattore fondamentale che ha determinato
ogni loro decisione, che ha dato loro il dinamismo e la flessibilità che ha
permesso di adattare le loro pratiche a situazioni e contesti specifici.
Sono stati, in misura maggiore o minore, la continuazione dei MIL, portando
avanti l’“intensificazione della lotta per distruggere il Sistema che genera la
repressione”, come modo più appropriato e coerente di praticare la solidarietà
con x rivoluzionarx imprigionatx, un approccio sviluppato dai MIL, adottato dai
GARI e, successivamente, anche da Action Directe.
Questa posizione rompe radicalmente con il vittimismo che generalmente
caratterizza la solidarietà con x detenutx, anche quelli che si dichiarano
attivx e militantx, ed è per questo che è fondamentale conoscerla e tenerla in
considerazione oggi, dove le pratiche assistenziali sono sempre più ricorrenti,
dimenticando o tralasciando il fatto e le motivazioni che hanno portato x nostrx
compagnx in carcere.
————————
SOMMARIO
Comunicati
SUL SEQUESTRO DI ANGEL SUAREZ[I]
SUL SEQUESTRO DI ANGEL SUAREZ [II]
SUL SEQUESTRO DI ANGEL SUAREZ [III]
SUL SEQUESTRO DI ANGEL SUAREZ [IV]
COMUNICATO STAMPA INVIATO A «LIBERATION»
PER QUANTO RIGUARDA GLI ARRESTI “IL CASO SUAREZ”.
ALCUNE PRECISAZIONI POLITICHE SU QUELLO CHE NON È UN FATTO DI INTERESSE
GIORNALISTICO
LA SOLIDARIETÀ IN AZIONE.
TELEGRAMMA ALLE AUTORITÀ SPAGNOLE
18 LUGLIO DEL 1974
MI CHIAMO MARIA, ABITO A LOURDES E QUESTA NOTTE ASPETTAVO CHE MI PORTASSERO IN
CIELO
LETTERA APERTA A «LA DE PECHE DU MIDI»
ULTIMO COMUNICATO STAMPA
IL NOSTRO E’ TERRORISMO?
AUTODISSOLUZIONE DEI GARI
ELENCO DEI SOGGETTI INCRIMINATI (O IN FUGA)
Testi dei gruppi che parteciparono ai gari
DICHIARAZIONI
A «LIBERATION»
DOBBIAMO ULULARE CON I LUPI
IL SEQUESTRO DEL PRINCIPE DELLE ASTURIE
A COSA VI RIFERITE QUANDO PARLATE DI VIOLENZA GRATUITA?
6 GENNAIO DEL 1975
22 APRILE 1976
23 APRILE 1976
TESTO DI UN GRUPPO CHE PARTECIPO’ AI GARI
LETTERE DALLA PRIGIONE
LETTERA DAL CARCERE DE LA SANTE’
NON SIAMO STATI NOI AD ASSASSINARE PUIG ANTICH
SECONDA LETTERA DALLA PRIGIONE DEGLI ACCUSATI DEL GARI
LETTERE DEI PRIGIONIERI DEI GARI DAL CARCERE SULLO SCIOPERO DELLA FAME
LETTERA DA FRESNES
LETTERA DALLA PRIGIONE DI SAINT-MICHEL
LETTERA DEI PRIGIONIERI PER UN NUOVO SCIOPERO DELLA FAME
LETTERA A UN GIUDICE APOLITICO E INDIPENDENTE
LETTERA DEI PREGIONIERI POLITICI DI LA SANTE’
Appndice
IL M.I.L. E LA RESISTENZA ARMATA IN SPAGNA
COMUNICATO PER GLI ARRESTI DOPO IL RILASCIO Dl SUAREZ. – N. 1
COMUNICATO PER GLI ARRESTI DOPO IL RILASCIO Dl SUAREZ. – N. 2
GRUPPI D’AZIONE RIVOLUZIONARIA INTERNAZIONALISTA COMUNICATO STAMPA DEI GRUPPI
AUTONOMI INVIATO A «LIBERATION»
DOCUMENTI RELATIVI ALL’ARRESTO Dl COMPAGNI DEL GARI
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pagine 124
formato 12×16,5 cm
1 copia 6 euro
dalle 4 copie 5 euro
spese di spedizione 1,50 euro piego di libri
pacco tracciabile 5 euro
per informazioni: tremendedizioni@canaglie.org
Riceviamo e diffondiamo questo breve video con stralci delle dichiarazioni di
Anan Yaeesh al processo de L’Aquila. Da brividi…
https://ilrovescio.info/wp-content/uploads/2025/04/VID-20250405-WA0018.mp4
Qui il pdf:
Luci da dietro la scena (XXV)
Uno scomodo rumore
Il mondo dei diritti individuali, delle frontiere aperte e del diritto
internazionale si sta allontanando rapidamente. Oggi, la recinzione statunitense
lungo il confine messicano, la pratica australiana di imprigionare i richiedenti
asilo su isole al di fuori del suo territorio, l’aperto incitamento rivolto da
un ministro degli Interni britannico ai nazionalisti inglesi di estrema destra e
la crescente ossessione di molti giovani uomini per il «genocidio bianco», la
«Grande Sostituzione» e altri scenari apocalittici prospettati all’inizio del
Ventesimo secolo, rendono crudelmente visibile il ritorno a casa del
suprematismo bianco nel cuore dell’Occidente moderno.
Il 7 ottobre il suo feroce atteggiamento difensivo si è infiammato, quando Hamas
ha distrutto, in modo definitivo, l’aura di invulnerabilità di Israele.
Quest’assalto a sorpresa da parte di persone che si presumeva fossero state
schiacciate rappresenta, per molte maggioranze bianche turbate e inorridite, la
seconda Pearl Harbor del Ventunesimo secolo, dopo l’11 settembre. E, come è già
successo, la percezione diffusa che il potere bianco sia stato pubblicamente
violato ha «scatenato», secondo le parole di John Dower, «una rabbia che rasenta
la furia genocida».
Nel tentativo di riconquistare la propria immagine di potenza attraverso un
bagno di sangue, Israele e i suoi sostenitori barcollano verso la «terribile
probabilità» delineata in passato da James Baldwin: che i vincitori della
storia, «lottando per mantenere ciò che hanno rubato ai loro prigionieri, e
incapaci di guardarsi allo specchio, scateneranno un caos nel mondo che, se non
porrà fine alla vita su questo pianeta, provocherà una guerra razziale di
dimensione che il mondo non ha mai visto». Abbiamo già assistito a Gaza – dopo i
milioni di morti evitabili nel corso della pandemia – a un’altra fase di quella
che l’antropologo sociale Arjun Appadurai chiama «una vasta correzione
malthusiana mondiale» che è «orientata ad approntare il mondo per i vincitori
della globalizzazione, senza il rumore scomodo dei suoi perdenti».
Non è esagerato affermare che raramente la posta in gioco etica e politica è
stata più alta.
L’abisso che abbiamo davanti
Gaza ha allungato l’ombra della Shoah su molte più persone della popolazione
ebraica mondiale. Nella storia moderna, è stato il destino di miliardi di
persone in tutto il mondo quello di vedere la pulsione di morte all’opera.
Rimarranno a lungo impressi nella loro memoria momenti isolati di un’orgia di
violenza bestiale: Sha’ban al-Dalou, uno studente di ingegneria di diciannove
anni, bruciato vivo, con una flebo attaccata al braccio, in uno dei tanti
ospedali bombardati da Israele; soldati israeliani, intervistati dalla CNN, che
affermano di «non riuscire più a mangiare carne» dopo avere schiacciato
centinaia di palestinesi sotto i bulldozer ed essersi accorti di come «tutto
schizza fuori». Imprimendo nella nostra coscienza la violenza gratuita delle
nostre società, un’offesa così incomprensibile è insanabile, come avvertiva
Primo Levi. Essa «pullula in mille modi, contro la stessa volontà di tutti, come
sete di vendetta, come cedimento morale, come negazione, come stanchezza, come
rinuncia». E renderà più difficile l’urgente compito etico di connettere tra
loro le diverse storie di sofferenza, di esplorare insieme un passato di
catastrofi collettive, per orientarci verso le sfide di un futuro
inevitabilmente pluralista e il destino comune del cambiamento climatico.
Dopo aver assistito per diversi mesi a un feroce genocidio, con la
consapevolezza che è stato concepito, eseguito e approvato da persone molto
simili a loro, che lo hanno presentato come una necessità comune, legittima e
persino umana, milioni di persone adesso si sentono meno a casa nel mondo. Lo
shock di questa rinnovata esposizione a un male tipicamente moderno – il male
commesso nell’era premoderna solo da individui psicopatici e scatenato nel
secolo scorso da governanti e cittadini di società ricche e teoricamente
civilizzate – non può essere ignorato. Né può esserlo l’abisso morale che
abbiamo davanti.
Una scossa di consapevolezza etica
Il Ventesimo secolo – segnato dai conflitti più brutali e dai più grandi
cataclismi morali della storia – ha messo in luce i pericoli di un mondo in cui
non esisteva alcun vincolo etico su ciò che gli esseri umani potevano o osavano
fare. La ragione secolare e la scienza moderna, che avevano rimpiazzato la
religione tradizionale, non solo hanno rivelato la loro incapacità di legiferare
sulla condotta umana, ma hanno anche avuto un ruolo nelle nuove e più efficienti
modalità di sterminio impiegate a Auschwitz e Hiroshima. Il rispetto religioso
dei sani princìpi era in declino ovunque. Ma nei decenni di ricostruzione
successivi al 1945 è stato possibile, anzi imperativo, sperare che la malvagità
umana organizzata fosse largamente in ritirata. Si poteva quantomeno provare ad
aggrapparsi alla teologia laica negativa, il «mai più» adottato nelle
commemorazioni della Shoah, anche se fu spesso ripudiato, come in Cambogia,
Ruanda e nei Balcani.
Quella a cui siamo di fronte oggi è una rottura definitiva nella storia etica
globale dopo il Ground Zero del 1945; la storia in cui la Shoah era il
riferimento universale per indicare un tragico fallimento della moralità umana.
Da qualche tempo le immagini idealizzate che abbiamo dei nostri Paesi, siano
essi l’India, Israele, gli Stati Uniti o l’Europa, sono al collasso. Il mondo
come lo conoscevamo, modellato a partire dal 1945 dai beneficiati della
schiavitù, del colonialismo e del nazionalismo anticoloniale, si sta
sgretolando.
[…]
In Oriente così come in Occidente, nel Nord e nel Sud del mondo, siamo stati
chiamati a nuove lotte per la libertà, l’uguaglianza e la dignità e per creare
un mondo in cui ci sia meno miseria. Ma è stata proprio Gaza a spingere molti a
fare i conti con il profondo malessere delle loro società. È Gaza che ha
accelerato l’idea di un mondo decrepito che non ha più alcuna fiducia in se
stesso e che, preoccupato solo dell’autoconservazione, calpesta i diritti e i
princìpi che un tempo considerava sacri, ripudia ogni senso di dignità e onore,
e premia la violenza, la menzogna, la crudeltà e il servilismo.
Allo stesso tempo in cui provoca sensazioni di vertigine, di caos e di vuoto,
Gaza diventa per molte persone impotenti la condizione essenziale della
coscienza politica ed etica del Ventunesimo secolo, proprio come lo è stata la
Prima guerra mondiale per una generazione in Occidente.
I crimini di Gaza e i numerosi atti di complicità e voluta indifferenza che li
hanno resi possibili hanno avuto un impatto più profondo tra i giovani nella
tarda adolescenza e nei ventenni. Al confine tra l’infanzia e l’età adulta,
hanno ricevuto una rapida e brutale formazione sulle barbarie della storia e su
come gli adulti che detengono il potere le giustificano: un’esperienza finora
del tutto estranea alla loro percezione collettiva. Mentre politici, burocrati,
uomini d’affari mentivano e insabbiavano, o fingevano di ignorare, i giovani
studenti si sono trovati ad affrontare in tempo reale un fenomeno sconvolgente
che gli storici dei genocidi affrontano retrospettivamente, e con cui sono
ancora alle prese […].
[…]
Scendendo in strada a protestare, i giovani hanno affrontato, soprattutto negli
Stati Uniti, la forza della condanna da parte della classe dirigente, che si
trattasse di rettori delle università che scatenavano la polizia militarizzata
contro di loro, di miliardari che cancellavano offerte di lavoro o di un
candidato alle presidenziali che prometteva di espellere i giovani stranieri.
[…]
Nel suo libro I sommersi e i salvati Primo Levi descrive Auschwitz come «il
microcosmo della società totalitaria» in cui «viene concesso generosamente il
potere a chi sia disposto a tributare ossequio all’autorità gerarchica,
conseguendo in questo modo una promozione sociale altrimenti irraggiungibile».
Levi poi devia inaspettatamente chiedendosi se «una vasta fascia di coscienze
grigie che sta fra i grandi del male e le vittime pure» sia peculiare di un
regime totalitario. Si chiede, pessimisticamente, se il collaborare dei nazisti
sia più simile a noi di quanto ci piaccia pensare, perché «anche noi siamo così
abbagliati dal potere e dal denaro da dimenticare la nostra fragilità
esistenziale». «Ovunque le persone aspiravano a un avanzamento di carriera»
conclude in modo simile Christopher R. Browning in Uomini comuni (1992), il suo
studio pionieristico su come persone addestrate a rispettare l’autorità e le
norme convenzionali dei propri simili perdano il senso di responsabilità
individuale e arrivino a partecipare alla violenza genocida.
Nella loro indifferenza verso gli avanzamenti di carriera e sfidando
l’establishment o a riformarsi o a schiacciarli, i manifestanti hanno dimostrato
un coraggio non comune. Rifiutando la complicità con istituzioni corrotte, hanno
espresso la necessaria fiducia nella capacità umana di resistere all’autorità
criminale e di riconoscere i deboli e solidarizzare con loro in ogni situazione.
Hanno avuto il coraggio di correre dei rischi in nome della libertà, della
dignità e dell’uguaglianza. Alla mentalità di autoconservazione passiva che
domina la vita politica e professionale, hanno opposto una formidabile sfida
morale con i loro atti di abnegazione personale.
Si ha sempre più l’impressione che per ripristinare la forza e la dignità della
coscienza individuale si possa confidare solo nelle persone in cui la catastrofe
di Gaza ha prodotto una scossa di consapevolezza etica.
(brani tratti da Pankaj Mishra, Il mondo dopo Gaza, Guanda, Milano, 2025)
Riceviamo e diffondiamo questo bel testo e questa bella notizia. Chi ce lo invia
ci manda anche queste righe, utili a contestualizzare l’occupazione:
«In Grecia la pratica dell’occupazione è uno strumento forte di lotta e di
presidio importante sul territorio ed è anche una pratica molto conflittuale
soprattutto di questi tempi, quindi la scelta di attuarla e la sua difesa sono
estremamente impegnative. Nasce da vari fattori, primo fra tutti il fatto che
l’università è stata chiusa al pubblico e l’asilo al suo interno non è più
riconosciuto, cose che hanno reso sempre più difficile il potersi organizzare e
incontrare a una realtà di movimento che contiene molti gruppi differenti.
Ad Atene, dopo gli sgomberi di Villa Amalia e Skaramaggà, non si è più riusciti
ad occupare uno spazio come movimento anarchico. Sì, ci sono state occupazioni
di palazzi per le persone migranti di passaggio in Grecia nel 2013 e dopo. Ma
nulla del genere. I differenti gruppi hanno scelto, il più delle volte, la forma
dello “steki” ovvero uno spazio in genere affittato, dove poter discutere ecc.
La zona di Exarchia, dove nasce questa nuova occupazione, non è più quel luogo
liberato, il presidio permanente 24 ore su 24 dei MAT ( squadre antisommossa) e
di ogni tipo di polizia, nella piazza centrale del quartiere, per proteggere
delle transenne che dovrebbero essere il perimetro degli scavi della nuova
metro, ha completamente militarizzato quel luogo di conflitto, scontro, incontro
e da sempre centro nevralgico per il movimento antagonista ateniese.»
Qui il testo impaginato: il silenzio delle metropoli
Titolo originale : Κάτω απ’ το τσιμέντο, κάτι βράζει
Rasprava Squat, 2025
SOTTO IL CEMENTO,
QUALCOSA RIBOLLE
Dopo la fine dell’evento “Memoria rivoluzionaria e prospettive della lotta” in
via Mesologgiou, una folla di compagni e compagne è scesa nelle vie di Koletti e
Themistokleo per difendere la liberazione di un edificio.
Di seguito la presentazione scritta dagli stessi occupanti:
Il silenzio della metropoli pesa come una pietra sulle nostre spalle. Le strade
sono piene di sguardi consumati, di corpi che strisciano per abitudine, per
paura, per sottomissione. Il mondo si muove lungo percorsi predeterminati, senza
interrogarsi, stemperando i sogni. Tutto è programmato per funzionare
esattamente come vogliono loro: lavoro, consumo, obbedienza. Eppure,
incessantemente, sotto la superficie, qualcosa ribolle.
La storia non è scritta dagli obbedienti. Alcuni scelgono di portare il peso
della disobbedienza. Di rompere il cemento della normalità, di affrontare la
mano invisibile del potere che soffoca ogni aspetto della nostra vita. Rifiutare
di sottomettersi non è una semplice presa di posizione. È una chiamata a mettere
in discussione, a rovesciare l’ esistente, a riprendersi ciò che è nostro.
Siamo compagni e compagne, anarchici e anarchiche che provengono da contesti
politici e ideologici diversi e che si sono trovati nello stesso fuoco di lotta.
E’ lì, che le nostre lotte comuni e le esperienze collettive ci hanno unito,
dove abbiamo riconosciuto la necessità vitale di creare uno spazio di incontro,
di agitazione politica1, di scambio di opinioni e potenziamento organizzativo.
In un momento in cui l’isolamento è imposto e le comunità in lotta vengono
smantellate dalla repressione, la formazione di questi spazi non è solo
necessaria, è cruciale.
Gli attacchi repressivi degli ultimi anni non sono arrivati a caso. Le autorità
stanno cercando di eliminare ogni focolaio di resistenza, di schiacciare ogni
forma di auto-organizzazione e di spegnere la fiamma della contestazione.
Grandi conquiste sono andate perdute, il movimento è stato messo sulla
difensiva, la recessione è ormai all’orizzonte. Ma sappiamo che la storia viene
scritta da chi non arretra, da chi non ha paura di confrontarsi con la realtà.
Rimanere sulla difensiva significa accettare la sconfitta. E questo non
accadrà..
È il momento di passare dalle parole ai fatti, di passare dalla difesa
all’attacco.
Facciamo capire al nemico che non si sbarazzerà di noi così facilmente.
Dobbiamo forgiare il nostro campo di lotta, reclamare il nostro spazio e il
nostro tempo.
Per liberare i territori dal dominio, creare un centro vibrante di resistenza,
una cellula radicale per la mobilitazione2 sia nella teoria che nell’azione.
Percepiamo l’occupazione come parte integrante del movimento e il movimento come
elemento organico dell’occupazione. L’esistenza di territori di lotta non è solo
una questione pratica, ma profondamente politica.
Gli squat non sono solo luoghi di ritrovo, non sono solo luoghi di ospitalità.
Sono roccaforti di resistenza, laboratori di pratiche radicali, crepe nella
normalità che cercano di imporci.
E questa realtà non è negoziabile.
Ogni quartiere, ogni strada, ogni piazza non è un terreno neutro.
È una mappa vivente di contraddizioni, conflitti e rivendicazioni.
Le città sono costruite sulla base della disciplina, della polizia e della
sterilizzazione dello spazio pubblico. Le piazze sono piene di telecamere di
sorveglianza, i muri sono dipinti di grigio, gli edifici diventano bastioni
inaccessibili per coloro che non possono permettersi di pagare il prezzo
dell’esistenza in un mondo in cui tutto ha un prezzo. Il dominio sta attuando un
piano strategico di controllo universale delle metropoli, schiacciando ogni
forma di resistenza.
Armato di una propaganda nera e da una guerra ideologica, cerca di plasmare le
coscienze, mentre spinge deliberatamente nel degrado interi quartieri
utilizzando la criminalità organizzata, che spiana la strada all’espulsione
violenta della popolazione locale e al completo assorbimento del territorio da
parte del capitale.
La repressione dello Stato agisce come una guardia armata per gli investitori,
le agenzie immobiliari divorano terreni, le case diventano merci, gli affitti
salgono alle stelle, gli spazi pubblici diventano sterili campi di sorveglianza
e uniformità di consumo.
Il flagello della gentrificazione e dell’imborghesimento sta inghiottendo le
città, agendo come meccanismo di assoggettamento e controllo sociale.
Exarchia, un quartiere che ha una storia vibrante di lotte, è nel mirino
dell’assalto statale e capitalista.
Lo Stato, da un lato, scatena ondate di repressione: gli squat vengono
sgomberati, la presenza della polizia viene rafforzata, gli spazi pubblici
vengono militarizzati. Dall’altro lato, il capitale saccheggia la memoria
collettiva assorbendo i simboli della resistenza e trasformandoli in merce
turistica. Le nostre sottoculture vengono forgiate e adattate a progetti
commerciali “alternativi”, mentre il quartiere viene modificato per servire
l’industria dell’intrattenimento e del “life-style”.
Non permetteremo che trasformino il luogo delle nostre lotte in un’altra
attrazione “ornamentale”. Per tutte queste ragioni, abbiamo fatto l’occupazione
nel quartiere storico di Exarchia.
Perché le sue strade non sono in vendita.
Perché le memorie non sono commercializzabili..
Perché le resistenze vive non diventino attrazioni turistiche, ma campi di
battaglia.
Gli squat possono certamente essere anche isole di resistenza nell’arcipelago
delle lotte, ma possono essere barricate. Sono spazi dove il dominio perde il
controllo, dove lo Stato cessa di essere il regolatore assoluto della vita. Sono
laboratori di lotta, punti di incontro, centri di auto-organizzazione e di
azione.
La cultura insurrezionale e rivoluzionaria non nasce da sola.
Si coltiva.
Si sviluppa negli scantinati, nelle piazze, nei luoghi di ritrovo, negli sguardi
che non si piegano, nei corpi che non accettano di essere disciplinati dal
nemico.
L’occupazione non è un evento isolato.
Ha la capacità di impegnarsi nella pratica della negazione, di ricordarci
costantemente che non siamo numeri nei registri dello Stato, non siamo
ingranaggi nella macchina della produzione, non siamo pedine sulla scacchiera
del potere.
Siamo qui per prenderci ciò che è nostro, per aprire crepe da cui scaturiranno
nuove possibilità.
Le circostanze ci lasciano quindi indenni per quanto riguarda la nostra
coscienza e pratica anarchica. Non vogliamo unirci al terrore che deriva dai
“tempi repressivi e avversi”. Siamo contro la retorica riformista, la cui
manifestazione è lo scadere del campo dell’azione nel conformismo politico, noi
siamo radicalmente per una rottura permanente e totale.
La nostra preoccupazione non è la repressione che è esistita e che esisterà
contro di noi, ma la scommessa continua con noi stessi, per evitare strategie
politiche che minacceranno un movimento e lo faranno passare nell’oblio
attraverso una presenza militante sempre più carente sia a livello di eventi che
di strutture.
Ci rendiamo conto che, come movimento, l’assenza di una cultura militante ci
indebolisce, ci rende vulnerabili e indifesi di fronte all’assalto del potere.
L’inazione equivale alla sconfitta.
Cerchiamo quindi, attraverso questo progetto, di costruire una solida base che
promuova la prospettiva rivoluzionaria/insurrezionale, che intensifichi la
minaccia contro i meccanismi oppressivi del presente e coltivi le coscienze
ribelli di domani.
Perché la rivolta non è uno schema teorico. È azione, è fermento3, è conflitto
costante.
PERCHÉ SCEGLIAMO E PROMUOVIAMO UNA CULTURA RIVOLUZIONARIA E INSURREZIONALE
(AZIONE DIRETTA)?
i. Perché è l’unico mezzo per uno scontro diretto con il nemico qui e ora. È la
pratica che crea il “punto d’inizio”, rompendo le catene della normalità e
consentendo ai soggetti di determinare il proprio destino.
ii. Perché, nella sua essenza, l’anarchia è una lotta costante per la libertà.
Non è uno slogan, non è una teoria, è un conflitto, è una prassi.
iii. Perchè le relazioni tra compagni/e non è un concetto astratto, ma relazioni
vive e non negoziabili tra militanti. Si forgiano nel fuoco della lotta, fianco
a fianco in ogni crisi, in ogni sconfitta, in ogni momento difficile. È lì che
ritroviamo il nostro io collettivo perduto.
iv. Perché spinge gli individui a superare i propri limiti, a spezzare le catene
della paura, a mettere in discussione l’impossibile.
v. Perché la violenza dell’azione diretta non è violenza casuale, ma una
decisione strategica.
L’espansione dell’azione rivoluzionaria, la generalizzazione del confronto
violento con le forze di potere, è necessaria per la demolizione dello Stato e
della struttura capitalistica e per la distruzione dei rapporti sociali di
oppressione.
Il dovere di ogni persona che lotta è quello di arricchire quotidianamente i
propri strumenti, sia a livello pratico che teorico, che la porteranno alla
realizzazione dei propri ideali. Richiede coraggio, rischio, immaginazione,
organizzazione, fede e coerenza. L’intenzione non basta, occorre la decisione.
Per queste ragioni l’apertura di questa occupazione rientra per noi in questa
direzione.
PER L’ANARCHIA
Insieme possiamo fare tutto, possiamo gettare via la visione della fine che
sembra così vicina.
Possiamo vivere come esseri umani orgogliosi e liberi.
Possiamo abbattere il muro e vedere una intera vita di gioia che ci aspetta!
Rasprava Squat
(Koletti and Themistocleous )
1(πολιτικής ζύμωσης nel testo originale, significa letteralmente fermentazione
politica), il dibattito teorico che avviene in uno spazio politico, sociale,
etc. che prepara il cambiamento di una situazione
2(εστία ζύμωσης, nel testo originale, significal letteralmente epicentro (punto
focale) di fermentazione)
3(Ζύμωση nel testo originale), il dibattito teorico che avviene in uno spazio
politico, sociale, etc. che prepara il cambiamento di una situazione nello
stesso contesto della nota nr.1.